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Writer Officina Blog
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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L'Identità dell'Anima
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C'è un vuoto che ognuno di noi conosce, anche se raramente lo nominiamo. Si insinua tra le ore più silenziose, quando i rumori del mondo si affievoliscono e resta solo l'eco dei nostri pensieri. È il vuoto di non essere visti, di non essere ascoltati. Di non sapere se, in questo mondo così vasto, lasciamo davvero una traccia. La solitudine non è soltanto assenza di compagnia. È un'assenza di senso, una battaglia contro l'idea che la nostra esistenza possa ridursi a una serie di gesti vuoti, replicabili, insignificanti. Eppure, proprio in quel vuoto, c'è una scintilla. Un desiderio profondo di essere, di lasciare un segno che non si cancelli. È la volontà di resistere al silenzio, di gridare al mondo: «Io esisto. Guardatemi, sono qui.» Ma cosa accade quando il mondo non risponde? Quando ci si trova faccia a faccia con l'abisso dell'isolamento? Forse la risposta non sta nell'attesa, ma nel tentativo. Nella lotta per creare, per costruire, per definire chi siamo attraverso ciò che facciamo. Anche se nessuno guarda, anche se nessuno ascolta. Questo è un viaggio nell'anima umana. Nel desiderio di realizzarsi, di sfidare il caos e trovare un ordine che non ci schiacci. Non è solo una storia di solitudine: è una storia di resistenza. La resistenza di chi, nonostante tutto, sceglie di continuare a creare. Di continuare a esistere.
Avvio
La webcam è accesa. Il contatore del live streaming segna ancora zero, ma purtroppo questa non è una novità. Sistemo la scheda madre sul banco e verifico l'inquadratura. La luce del neon illumina i componenti, rendendo ogni dettaglio visibile. È tutto pronto, almeno per me. «Ben ritrovati nel laboratorio del vostro Fixer!» dico, con un sorriso accennato che so non arriverà a nessuno, per ora. «Oggi abbiamo qui una scheda madre recuperata da un sito di usato. L'ho pagata una miseria poiché dichiarata morta. Lo sarà veramente? Scopriamolo insieme e vediamo se riusciamo a rianimarla.» Avvicino la scheda alla webcam, inclinando leggermente la mano per mostrarla meglio. «A prima vista, niente di troppo grave. I condensatori sono intatti, il chipset sembra a posto, e la batteria CMOS è in buone condizioni.» Scorro le dita lungo i bordi della scheda, sistemo i componenti sul banco. Una rapida occhiata al monitor, ancora nessuno si è collegato, ma non importa: chiunque arrivi deve vedere tutto chiaramente, come se stessero guardando fin dall'inizio. Un paio di aggiustamenti ed è tutto pronto. «Vediamo un po' cosa troviamo qui sotto.» Prendo il cacciavite e inizio a svitare le viti del dissipatore, con calma, una dopo l'altro. Parlo a bassa voce, mantenendo il tono rilassato, come se stessi spiegando qualcosa a un vecchio amico. «I problemi potrebbero essere nascosti. Una pista interrotta, o magari qualcosa di più profondo. Per ora non vedo nulla di strano.» Una vite oppone resistenza. Stringo la presa sul cacciavite, imprimendo più forza. La webcam traballa leggermente. «Aspettate, lasciatemi sistemare.» Sposto l'obiettivo con un movimento rapido, ma preciso. Poi riprendo il lavoro. Un ultimo giro deciso e la vite cede di colpo. Il cacciavite sfugge alla presa e mi si conficca nel palmo. Un dolore acuto mi attraversa la mano.
Sangue
Stringo la mano e prendo un pezzo di carta per tamponare il taglio. Non brucia, ma avverto come un formicolio che sale lungo il polso, simile ad una scossa elettrica appena percettibile. «Un piccolo contrattempo», dico, cercando di mantenere il tono calmo. Il sangue macchia la scheda. Una goccia più nera e viscosa di quanto dovrebbe inizia a scivolare tra i punti di saldatura. Dovrei disinfettarmi ma...
Bling
Una notifica! Appare una visualizzazione sullo schermo. C'è qualcuno! Un fremito di entusiasmo mi attraversa la nuca, la ferita può aspettare. Riprendo subito il ritmo, tutto deve sembrare naturale. «Ok, niente di grave», dico allo schermo. «Piccolo incidente di percorso, ma tutto sotto controllo.» Riprendo il cacciavite. Il dissipatore è quasi fuori. «Adesso vediamo cosa c'è sotto, senza più intoppi.» Una leggera scarica attraversa il palmo ferito. La mano vibra per un istante, come colpita da una piccola scossa elettrostatica. La luce nella stanza diminuisce per un momento, un abbassamento di tensione. Dura un niente. La connessione regge. È quasi saltata la corrente... o l'ho solo immaginato? È come un ago invisibile che pulsa sotto pelle. Interrompere la diretta ora? Non se ne parla. «Il prossimo passo sarà testare l'alimentazione. Prima di andare avanti, però, dobbiamo capire se ci sono problemi nei circuiti.»
Controllo lo schermo con la coda dell'occhio. L'inquadratura sembra impeccabile. Ogni gesto deve essere calibrato per mantenere la scena fluida, ogni movimento pesato come se avessi davvero un pubblico attento e al momento finalmente ne ho uno. La scheda è di nuovo ferma sul banco. Completo il lavoro sul dissipatore. La presa è salda, i bulloni vengono via uno dopo l'altro. Finalmente, il dissipatore si stacca, e lo poso accanto alla scheda con un movimento misurato. «Ok, ecco qui.» Avvicino la scheda alla webcam. «Niente danni visibili sulla CPU, buone notizie finora. Ma non possiamo dare nulla per scontato.» Il sangue gocciola, tampono alla meglio senza smettere di lavorare. Spiego gesticolando, mentre con la destra continuo l'operazione. Ruoto la scheda verso l'obiettivo. «Guardate con attenzione. In questa zona si trova la causa dei nostri problemi... In questo caso nulla sembra essere bruciato, quindi escluderei un corto circuito. Ma osservate attentamente questo connettore» Indico un punto. «Potrebbe aver subito uno stress meccanico: si vede una leggera torsione.» Allungo la mano per prendere una lente d'ingrandimento. La polvere si annida tra i connettori, ma il resto sembra intatto. Forse è solo una questione di alimentazione, o un corto circuito nascosto. «Facciamo un'ispezione più precisa.» Posiziono la lente davanti alla webcam per mostrare il dettaglio. «Ecco qui. Forse siamo fortunati. Sembra che il problema sia più superficiale di quanto pensassi.» Torno a concentrarmi sul connettore. «Sarà sufficiente una piccola risaldatura per rimettere tutto a posto. Niente di complicato, ma è il tipo di intervento che fa la differenza.»
Lo schermo lampeggia, ma non ci sono nuove notifiche. Controllo il contatore: una persona è ancora collegata. Bene. Benissimo. Metto da parte la scheda e prendo il saldatore. Finalmente, una pausa. Guardo la ferita. Il sangue si è fermato. Non sembra nulla di grave. Ci soffio sopra, per fortuna non brucia molto. Posso andare avanti. «La cosa fondamentale in queste riparazioni», continuo, fissando lo schermo, «è la precisione. Niente movimenti inutili.» Il calore si propaga subito sulla punta del saldatore; il fumo si alza in un rivolo toccando lo stagno. «Saldatura rapida e pulita», dico, lasciando che il metallo fuso si posi con delicatezza sul punto critico. La mano sinistra inclina leggermente la scheda per l'inquadratura, mentre la destra lavora con precisione chirurgica. Il lavoro è finito «Ecco fatto. Un'operazione semplice, ma necessaria.» Prendo tempo sorridendo allo schermo, devo riorganizzare i pensieri in testa. «Ora, la prossima fase sarà testare il tutto. Vediamo se il sistema regge l'alimentazione.» Recupero il multimetro. Un'altra piccola scossa, più intensa, mi attraversa la mano. Non sembra normale. Per fortuna non brucia, ma è come se qualcosa si agitasse sotto la pelle. Mi fermo a guardarla. Il taglio non sembra profondo. Non posso lasciarmi distrarre. Ho un lavoro da finire. Attacco il multimetro alla scheda e inizio a misurare i punti di contatto. I numeri sul display restano costanti, senza sbalzi. «Il circuito sembra in ordine. Nessuna anomalia finora. Questo è sempre un buon segno.»
Mi avvicino di nuovo allo schermo. «Ora amici, incrociamo le dita perché collegherò l'alimentazione e vediamo se riusciamo a rimettere in vita questa scheda.» Collego l'alimentatore e premo l'interruttore. Una piccola scintilla si accende nei circuiti e le luci della scheda si illuminano per un istante. Trattengo il respiro. Lo schermo del multimetro non segnala anomalie. «Qualcosa si muove! Non male per una scheda dichiarata morta e obsoleta da almeno una decina di anni.»
Bling
Un piccolo cuore rosso appare sullo schermo. È un like, un riconoscimento per il mio lavoro! Sta davvero succedendo. Finalmente, qualcuno si accorge che esisto. Un movimento veloce, e regolo la webcam. «Grazie per il like, amico. Adesso vediamo se riusciamo a farla tornare davvero operativa.» Avvicino la scheda alla telecamera. Ogni gesto deve apparire studiato. La connessione con chi guarda è fragile, ma deve resistere.
«Prossimo passo: testiamo il sistema sotto carico.»
Il caricamento procede lentamente. La scheda regge, il sistema risponde bene. «È un miracolo, se ci pensiamo: pochi soldi, tanta pazienza, e qualcosa che sembrava perso è tornata in vita.»
Bling
Un altro like. Lo noto. «Grazie. Ora possiamo dire che è tutto sotto controllo. Il sistema è solido anche sotto stress. E anche per oggi abbiamo riparato!» Mi avvicino alla webcam per concludere. «Grazie a chi è rimasto fino alla fine. Alla prossima amici ed un abbraccio dal vostro Fixer! Non dimenticate di seguire la mia pagina!» Chiudo la diretta, spengo la webcam e appoggio il cacciavite sul banco. Mi accorgo che la scossa nella mano è più debole, meno fastidiosa. Il taglio si è già chiuso? Meglio così, si vede che non era nulla di grave. Mi alzo. So che il caffè non basterà a riprendermi da questa giornata, ma ne ho assoluto bisogno. Oggi devo festeggiare.
Rituale di Solitudine
Mi sveglio insolitamente riposato. La mano è perfetta. Nessuna traccia del taglio, nessun segno, nessun dolore, come se non fosse mai successo. È una sensazione quasi innaturale, ma decido di ignorarla. «Buongiorno, quartiere», mormoro rivolto allo schermo della videosorveglianza. Nuvole si muovono lente nel cielo grigio. «Nuvole, ma niente pioggia in vista.» Punto il dito verso la radio in cucina e corro ad accenderla. Il caffè scorre nella macchinetta con un gorgoglio rassicurante. La fetta biscottata scricchiola sotto i denti, mentre la radio continua il suo monotono palinsesto mattutino. La solita pubblicità di dentifricio lascia spazio al meteo: «Nubi sparse, possibilità di piogge nel pomeriggio.» Schiocco le dita. «Questa volta ci sono andato vicino», mormoro, quasi per abitudine.
Prendo un sorso di caffè e mi siedo davanti al computer. Inserisco la data di nascita di mio figlio. La sua foto appare, familiare come sempre. Ride felice, ma quella gioia non è mai stata per me. Lo penso sempre, anche se ogni volta ho paura di rovinare quel sorriso, come se bastasse un mio pensiero per spezzarne la perfezione. Le icone iniziano a coprire il suo volto, e con loro il peso che preme sul mio petto si dissolve. Inspiro profondamente. Forse è meglio così. Sì, è sempre meglio così. La radio riempie il silenzio. Parole che scivolano via senza lasciare traccia, ma che riescono comunque a distrarmi. Una musichetta introduce l'oroscopo del giorno: «Per il Toro, oggi è il momento di mettere in ordine i pensieri e fare chiarezza. Occhio a non perdere di vista le cose importanti.» Bevo l'ultimo sorso di caffè e lascio la tazza accanto al PC. Scrivo un post rapido: — Tra poco tutti in live! Un nuovo incredibile recupero che non potete perdere.— Invio. Adesso ho giusto il tempo per farmi bello. Mi alzo e vado verso il bagno, con la musica della radio che mi segue.
Ehi, ma guarda che splendido ragazzo abbiamo qui. Mi guardo allo specchio e accenno un sorriso. Sono ancora belloccio, anche se il tempo inizia a farsi sentire. La barba è cresciuta troppo, e quei fili bianchi spiccano più del necessario. Preparo la schiuma e il mentolo mi pizzica le narici. La lama scivola decisa sulla pelle, lasciandola liscia. Ogni passaggio porta via un pensiero di troppo.
L'acqua fredda scorre sul viso, portando via la schiuma e lasciandomi una sensazione di piacevole freschezza. Prendo lo spazzolino. Il sapore della menta, mescolato al retrogusto del caffè, mi fa arricciare le labbra. Alla radio passano la solita promozione sui divani, «valida ancora per oggi.» Un altro guardaroba? No, grazie. Sputo la schiuma marrone. Rientro nella stanza e mi avvicino alla cyclette, sommersa da una pila disordinata di vestiti. Scelgo una maglietta dalla cima e afferro un paio di jeans appoggiati di traverso sul manubrio. Li indosso con calma, cercando di non inciampare nel caos che mi circonda. Torno al PC e apro i soliti siti dell'usato. Scorro tra gli articoli in offerta: schede madri, alimentatori, vecchi hard disk. Donne vogliose vicino a te! Rimedio miracoloso per allungare il pene! Sbuffo e chiudo il banner con un clic secco. «Questo a me non serve.» Finalmente trovo qualcosa che vale la pena considerare: un hard disk da 500 GB. Non è niente di speciale, ma è abbastanza per il mio progetto. Salvo l'annuncio e scrivo subito una mail al venditore.
Oggetto: Hd da 500GB
Ciao, ho visto il tuo annuncio per l'hard disk da 500GB. Sembra in buone condizioni e sarei interessato a comprarlo, ma il prezzo mi sembra un po' alto. Ti andrebbe di scendere a 25 euro? Posso concludere subito, pagamento rapido. Fammi sapere.
Bene, un pensiero in meno. Adesso è il momento di concentrarmi sulla live. Frugo tra gli scatoloni accatastati lungo la parete. Cavi impolverati, dissipatori arrugginiti, tastiere rotte... eccola, la vecchia scheda video con lo slot piegato che cercavo. La tiro fuori, scrollo via la polvere e la sistemo sul banco, pronta per l'operazione. Accendo la luce principale; il neon scatta con un ronzio, illuminando ogni angolo della stanza. Dalla radio ancora accesa arriva una risata preregistrata, seguita da una musichetta mal calibrata che annuncia una trasmissione su libri. Un tappeto sonoro strano, ma perfetto. Avvio la live. Il contatore segna uno spettatore. Subito? Com'è possibile? Di solito inizio parlando nel vuoto. Cerco di ignorare il nodo che si stringe allo stomaco. Devo restare calmo. «Ben ritrovati, amici, nel laboratorio di Fixer.» La mia voce è tesa, troppo tesa. Devo correggerla, modulare meglio e andare avanti. «Oggi ho con me un piccolo gioiellino per i nostalgici del retro gaming: una scheda video con lo slot piegato. Non potete immaginare quante gioie potrebbe ancora regalare questa bellezza.» Alzo la scheda, soffermandomi sulla sua manifattura. Ogni graffio sembra portare con sé una storia. «Quelli che ripariamo possono sembrare oggetti inutili, ma se potessero parlare, chissà quante storie ci racconterebbero.» Mentre parlo, un suono mi interrompe. TUC tic tic. Una falena sbatte contro il neon, insistente. «In questo punto, il vecchio proprietario potrebbe...» TUC TUC tic tic. Sbuffo e alzo lo sguardo. La sua ombra irregolare sul neon mi distrae. «Ehi, qualunque cosa tu stia cercando, non la troverai lì», dico, cercando di sorridere. Ma lei non si ferma. Continua a sbattere contro la lampada, come se fosse programmata per non smettere mai. Ogni colpo è una scheggia che mi si infila in testa, acuta e insistente. Poi, improvvisamente, cade. Il silenzio che lascia è più assordante del rumore. Le sue ali si piegano su se stesse, fragili come carta bagnata. Non riesco a distogliere lo sguardo.
Bling. Un like.
La mia attenzione si sposta sullo schermo. Dall'inquadratura emerge il caos: scatole ammucchiate, cavi sparsi, polvere ovunque. Quel fastidio nella mano torna, delicato ma insinuante. Lo sento crescere lungo il braccio, tiepido, denso, ruvido. Poi accade. Le mani si muovono da sole: spostano un cacciavite, allineano una scatola, raddrizzano un attrezzo. No, è tutto ok. È solo lo stress. Forzo un sorriso alla telecamera. «Ok, torniamo a noi», dico, ma la mia voce suona vuota, come un'eco distante. Abbasso lo sguardo sulla falena, tra la polvere e i cavi abbandonati. È questo che sono? «Sì, forse è ora di mettere a posto», sussurro. E inizio a farlo. Le mani si muovono senza sosta, liberando spazio, riordinando, cercando qualcosa che nemmeno io riesco a definire, tantomeno a controllare. |
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