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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Imperio Fidelissima
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Il gruppetto di uomini si riunì, silenziosamente, in un angolo riparato di una stradina laterale che usciva da Piazza della Sala. Si guardavano attorno nervosi, coperti dai loro cappucci benché il tempo fosse particolarmente mite e non stesse piovendo. La piazzetta era affollata come ogni giorno, a quell'ora, per il mercato, con le merci facevano bella mostra esposte sui banconi in pietra, a ricordare quel luogo creato dai longobardi secoli prima. Uno di quegli uomini, più nervoso degli altri, sbottò improvvisamente: “Dove diavolo si è cacciato, Ubaldo? Eppure, quest'idea proviene proprio da lui” “Sono proprio qui, Sinibaldo” Tutti i presenti ebbero un sussulto, poi voltarono lo sguardo vero la piccola porticina che si stava aprendo proprio accanto a loro. “Che roba, farci prendere uno spavento così!” Ubaldo allargò le mani abbassando leggermente la testa. “Ve chiedo umilmente perdono, nobile Ammannato, ma era necessario per mantenere la riservatezza. Ordunque, nobili signori, siamo tutti presenti?” “Si, nobile Ubaldo. E il notaio Gerardo?” “È qui” disse Ubaldo scansandosi e facendo apparire, dalla porticina, un ometto ben vestito con una lunga tunica colorata e un berretto da cui sfoggiava una piuma; con sé portava una sacca a tracolla. “Messeri, al vostro umile servizio. Oggi è un grande giorno” “Lo è eccome” ribadì Ubaldo “Ma prima, prepariamo il terreno” A un suo cenno, alcuni uomini che erano appostati in angoli strategici della piazza accorsero verso il centro della stessa con dei materiali e allestirono un piccolo palco, con tanto di tavolino. Nello stesso momento, i negozianti ritirarono la merce esposta, sotto lo sguardo stupito dei presenti che volevano fare acquisti, e chiusero i battenti dei loro negozi. Poi si misero in silenziosa attesa. In quel momento, per la viuzza, passarono correndo e ridendo alcuni ragazzini. Ma alla vista di quegli uomini, uno di loro si bloccò. “Innocenzo, perché ti sei fermato?” Gli gridò un altro ragazzo. Il fanciullo si avvicinò a colui che l'aveva chiamato: “Bellino, quello lì è tuo zio Ubaldo” Gli disse sottovoce. Bellino osservò l'uomo, che li salutò. “Si, è lui. E quindi?” “Il fratello di Ardiccione, Villano e Lucio, tuo padre” Continuò l'altro. “Innocenzo, conosci la mia famiglia da quando sei nato. Hai battuto la testa e non li ricordi più?” Rispose Bellino in tono canzonatorio. “Vieni, ho l'impressione che sia qualcosa d'importante” E corse verso il codazzo di uomini. L'amico rimase un momento fermo con un'espressione di sorpresa, poi deciso di seguirlo. Nel frattempo, gli uomini che avevano predisposto il palco scansarono i presenti per far sì che i nobili potessero passare. Tutte le persone in piazza si spostarono, a formare due ali, che i nobili e il notaio percorsero con atteggiamento di grande soddisfazione e sicurezza. Tutti, nella piazzetta, intuivano che stava per avvenire qualcosa di solenne e memorabile. I due ragazzetti corsero accanto ai nobiluomini poi, sgomitando un po', si fecero largo tra la folla per arrivare direttamente al palco. Ubaldo, nel vederli lì sotto, sorrise. Gli uomini salirono sul piccolo palco seguiti dal notaio, che prese posto al tavolino; vi posò sopra la sua borsa e cominciò a estrarne il suo materiale: fogli di pergamena, una boccetta di inchiostro e una serie di penne d'oca. Nello stesso momento, un uomo ben vestito, anche lui con una pergamena, salì sul palco e si mise sul bordo a osservare attentamente tutti i presenti, che si accalcarono lì vicino. Quando vi furono abbastanza persone, aprì la pergamena e iniziò a leggere, con la voce più potente che potesse emettere: “Cittadini della nobile città di Pistoria! Ascoltatemi! Oggi è un grande giorno! In questa nostra Sala 8 dichiaro aperto il primo Arengo1 della città per la proclamazione del Libero Comune, che si rende tale per volontà dell'Imperatore Enrico e in grazia di Dio!” Grandi grida di giubilo seguirono tali parole, con i due ragazzi che ridevano e si davano di gomito, mentre l'araldo eseguiva un leggero inchino; poi, quando le persone in piazza fecero silenzio, proseguì: “Cominceremo dunque con l'elezione a consoli dei primi cinque boni homines2, i cui nomi saranno redatti dal notaio Gerardo, qui presente” * Il prezioso piatto volò da una parte all'altra della stanza, andando a frantumarsi in mille pezzi contro la parete. L'ometto che si trovava lì vicino si parò istintivamente il viso con le braccia. “Maledetti! Mille volte maledetti!” Urlò colui che l'aveva lanciato. “Monsignore, vi prego, calmatevi!” Disse l'ometto che, per poco, non era stato colpito dal piatto. “Non dirmi di stare calmo! Non si può stare calmi davanti ai nemici di Dio e della chiesa!” Urlò come una furia. Poi prese altri due piatti e li scaraventò nuovamente contro la parete. L'ometto gli si avvicinò, forse più per evitare schegge di ceramica, che non per fermare quella rabbia incontrollata. Prese un altro piatto, poi si fermò e lo puntò verso l'ometto, ormai a due passi. “Lo sai come l'hanno chiamata, la loro assemblea? Arengo! Un termine tedesco! Proprio per ribadire la loro fedeltà a quei senzadio!” E scaraventò anche quel piatto, i cui frammenti andarono a posarsi su quelli precedenti. Poi appoggiò le mani sul tavolo e abbassò la testa, sconsolato. “Abbiamo lottato per decenni, contro gli ottoniani e le loro prevaricazioni. Adesso che l'impero è debole ed Enrico IV sempre più malato e solo, e finalmente siamo a un passo dall'imporre il dominium mundi3 come sarebbe giusto perché noi siamo i rappresentanti in Terra di nostro signore Gesù Cristo, arrivano questi... questi signorotti volgari! Che hanno fatto i soldi con l'usura!” E, afferrato un altro piatto, lo lanciò con forza verso il solito punto. “Sono solo degli arricchiti a cui non basta aver rubato più degli altri! Ora vogliono anche il potere! E si riuniscono in piazza, come gli antichi greci! Si credono degli ateniesi nell'Agorà!” L'ultimo piatto della pila andò a seguire gli altri. Poi l'uomo si girò verso la finestra, ad osservarne l'esterno. “Sono arrivato da neanche due mesi, in questa città, dopo la nomina a vescovo che ho ricevuto direttamente dal Papa. Ho lasciato il monastero di Vallombrosa, come mi era stato ordinato, per venire qui a svolgere i miei nuovi uffici. Ho trovato un luogo ricco, florido e timorato di Dio. Almeno pensavo tale. Invece, sotto, covavano le ceneri di Satana!” L'ometto, che continuava a tenere sul petto la piccola cuffia, si avvicinò al vescovo. “Perdonatemi, messer vescovo, se oso l'adire...” Il vescovo lo osservò, con sguardo benevolo. “Sono io che devo chiederti perdono, Astorre. Il mio sfogo è stato inopportuno. Lo sarebbe stato per chiunque, a maggior ragione per un vescovo” “Non dica così, la prego. È comprensibile, invece. Voi siete appena arrivato e non vi aspettavate questa situazione nuova...” “Parla liberamente. Non voglio che ci siano segreti, con i miei servitori” L'ometto si fece coraggio e alzò lo sguardo sul vescovo. “La mia famiglia è al servizio dei vescovi della città da molte generazioni. Io ho sempre lavorato per il nostro beneamato Pietro Guidi, che Iddio l'abbia in gloria, che voi conoscevate bene” Il vescovo sorrise: “Il mio maestro al monastero di Vallombrosa, prima di essere chiamato a servire qui. E così io dopo di lui” “Nobile congrega di uomini pii e giusti. E prima ancora abbiamo servito il vescovo Leone, Martino, financo a Guido, quasi un secolo fa” “Siete una famiglia devota, sia verso l'ufficio del vescovo che verso Nostro Signore, e ve ne sono infinitamente grato” Disse il vescovo posandogli una mano sulla spalla. “Vi ringrazio, mio Signore” Rispose il servitore Astorre chinando la testa, commosso per il gesto affettuoso “Vedete, questa città, da tanto tempo, è cresciuta moltissimo. Ogni giorno arrivano persone, dal contado, per lavorare, commerciare...” “E quindi mi stai dicendo che questa volontà di prendersi il potere, da parte di quei ladri usurai, è una cosa giusta?” Pronunciò accigliato il vescovo. “No, monsignore, assolutamente! Lungi da me giustificarli. Ma sono molti anni che non arrivano delegati imperiali, in città. E anche la contessa non è mai stata molto presente, presa com'è dai suoi domini sull'altro versante dei monti. Forse questo bisogno di autogoverno potremmo definirlo... inevitabile?” Il servitore rimase a osservare il vescovo che, in silenzio, guardava all'esterno i movimenti delle persone. Un brulicare di uomini e donne che andavano in ogni direzione, spesso con sacchi sulle spalle o tirando piccoli carretti carichi di merce. Non era abituato a vedere tanta vita, tanto movimento, sia di persone che di denaro, in una città. Di colpo, il vescovo Ildebrando cominciò a riflettere. Il servitore non aveva tutti i torti, negli ultimi anni la popolazione era molto aumentata; sempre più persone circolavano per i territori del Regno d'Italia e anche oltre: sia al nord, al cuore dell'Impero, sia al sud, nei territori normanni come in quelli ancora controllati dai greci. Se ne era reso conto lui stesso, nei suoi viaggi per l'Italia centrale e nei suoi pellegrinaggi a Roma. Anche nella stessa Vallombrosa i prodotti della terra, affidata dai monaci ai contadini, aumentavano ogni anno, e il monastero era sempre più ricco e prestigioso. Non sarebbe mai stato a livello di Cluny, ma era ormai il faro benedettino dell'Italia centrale. Il servitore diceva il giusto, quando affermava che non arrivavano più incaricati dell'Impero, ma anche la chiesa non era più forte come ai tempi di Gregorio VII. La lotta per le investiture aveva indebolito entrambi, in maniera profonda; Enrico IV non si era piegato all'umiliazione subita a Canossa e dopo aver soppresso le ribellioni in Germania, era ridisceso in Italia costringendo Gregorio a lasciare Roma e morire in esilio nel regno normanno. Ma la forza della contessa Matilde era stata tale da battere persino le truppe imperiali. Caduto in disgrazia, l'imperatore era stato spodestato dallo stesso figlio. Così tanta capacità, per una donna! |
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