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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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L'oro di Manaus
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Aeroporto di Fuhlsbüttel - Amburgo, 15 agosto 1956.
All'alba, la pista dell'aeroporto di Fuhlsbüttel brillava di riflessi dorati, come se lo stesso sole volesse rende-re omaggio all'evento storico. Il volo LH 500 della neonata compagnia nazionale tedesca, Lufthansa, stava per compiere la sua prima traversata atlantica senza scalo. Destinazione: Rio de Janeiro, con tappe intermedie a Düsseldorf, Franco-forte, Parigi e Dakar. Sul piazzale, il nuovissimo Lockheed L-1049 Super Constellation si stagliava con fierezza. La sua fusoliera affusolata, emblema dell'ingegneria moderna, rifletteva la luce del mattino. I motori R-3350 turbo-compound, colossali e silen-ziosamente minacciosi sotto le ali, sembravano pronti a divorare il cielo. Alle estremità alari, i serbatoi sup-plementari testimoniavano la portata ambiziosa di quel volo: un ponte tra due mondi. A bordo, l'interno era una promessa di lusso. Qua-rantotto comode poltrone in prima classe, convertibili in letti, accoglievano con eleganza l'élite internaziona-le, mentre i posti dell'economy, destinati ai voli più brevi, erano stati adattati per l'occasione. Le hostess, impeccabili nella divisa color crema e cappellino blu notte, offrivano flute di champagne ai passeggeri per celebrare il battesimo della nuova rotta. Tra i primi a salire a bordo vi era Hermann Ror-schach, dirigente svizzero della società Technical Cor-poration, un uomo di quarant'anni con capelli tagliati in stile pixie che cozzavano con l'austerità del suo completo gessato. Con lui, tre collaboratori dallo sguardo severo e silenzioso. Quando alzò il bicchiere per brindare, i suoi compagni lo seguirono con un sorriso abbozzato. Poco più in là, una coppia italiana rideva di gusto, infischiandosene dell'etichetta. Un'ombra attirò l'attenzione dei passeggeri: un vec-chio cieco, vestito con un logoro cappotto militare svizzero dai bottoni di metallo opaco dal doppiopetto sdrucito e dalle mostrine scolorite, avanzava con diffi-coltà aggrappandosi al bastone telescopico. Una ho-stess lo aiutò a sedersi, porgendogli un bicchiere. “Svizzero?” chiese uno degli uomini della Technical, incuriosito dalla divisa. L'anziano si voltò lentamente. Dietro gli occhiali scuri, lo sguardo invisibile sembrava penetrargli l'anima. Non disse nulla. Il rombo dei motori iniziò ad aumentare. Le eliche cominciarono a girare come falchi d'acciaio nella neb-bia mattutina. Poco dopo, tra gli applausi, l'aereo si staccò dalla pista. Decollava così il primo volo transat-lantico senza scalo della compagnia aerea Lufthansa. Il tempo a bordo sembrava fluire come in una bolla, rarefatto. “Mi chiamo Massimiliano, detto Max, questa è mia moglie Maria Cristina, ci siamo sposati ieri,” annunciò con orgoglio il giovane italiano seduto vicino al fine-strino, sfoderando un sorriso disarmante. “Angelo Pisani, commerciante di tessuti. Piacere.” L'uomo seduto accanto a lui aveva l'aria di chi era abi-tuato a notare ogni cucitura e scollatura. Dopo aver baciato la mano della ragazza con eccessiva galanteria, continuò a squadrarla con insistenza. “Il Brasile è la meta perfetta per una luna di miele. Calda, esotica, sensuale...” Maria Cristina cercò rifugio negli occhi del marito. “È stato Max a organizzare tutto,” disse con un tono volutamente formale. Il giovane colse il segnale e si ir-rigidì. “Ho un'agenzia viaggi a Roma, in via Veneto,” rispo-se lui tagliando corto, poi aggiunse: “mia moglie non lavora.” Lo sguardo si posò con disprezzo sulla giacca a qua-dri e il gilet sgualcito del commerciante. Pisani capì che era stato gentilmente zittito. Pochi minuti dopo, Max si alzò. “Vado in bagno.” La moglie gli strizzò l'occhio. Ma Max non si diresse subito alla toilette. Avanzò lungo il corridoio, notando ogni volto. I suoi occhi si soffermarono su due uomini robusti, se-duti a destra in prossimità della coda dell'aereo. Indos-savano abiti civili ma la loro postura - fiera, eretta e scolpita dalla disciplina - li tradiva. Soldati. O peggio. Tedeschi dell'Est? Spie? Il suo fiuto non sbagliava. Superò i sedili, si avvicinò alla botola della stiva, sol-levò la griglia ed entrò. Silenzioso come un'ombra, scese la scaletta metallica. Nella semioscurità della stiva, lo colpì un suono bas-so e gutturale. Un cane. Poi udì una voce che parlava con tono sommesso, quasi ipnotico. Avanzò con cau-tela. Davanti a una gabbia, il vecchio cieco stava acca-rezzando il muso di un grosso pastore tedesco. “È un cane speciale,” disse l'uomo, senza voltarsi. Max sorrise e avvicinò la mano alle grate. L'animale abbaiò piano, come se lo riconoscesse. “Si chiama Max,” disse il cieco. “Come me. Massimiliano Laudadio, detto Max,” ri-spose il giovane, ma il gelo corse lungo la sua schie-na quando l'anziano replicò: “Non credo. Ma le tue bugie servono a qualcosa di buono.” Max impallidì. “Tranquillo, agente. Non sono affari miei. Mi chiamo Erik Jan Hanussen.” A quel nome, la sua mente si illuminò. “Il Veggente?” “Esatto ragazzo,” sorrise Hanussen. Un rumore improvviso lo distrasse. Max fulmineo, estrasse la pistola dalla schiena avanzando in direzione del rumore. Su una cassa con la scritta “TECHNICAL CORPORATION” sedeva un uomo dall'aspetto or-dinario, pistola Colt Python da 6 pollici identica alla sua nella mano. “Tutto bene?” chiese Max. “Perfettamente.” L'altro alzò la bottiglia verso di lui. Non era acqua. Max annuì, rinfoderò l'arma e risalì. “Il bagno è pulito” disse alla moglie con tono natura-le. Maria Cristina sorrideva. Max notò che Angelo Pisa-ni si teneva il costato, il volto deformato da una smor-fia di dolore. “Allungava le mani, non la smetteva,” commentò lei con innocente nonchalance. Il ragazzo annuì, poi rivolto all'uomo, interpretando il marito geloso con una verve da attore consumato ad alta voce protestò animatamente. Dovette intervenire la hostess alla fine: “È preferibile che il signore cambi posto? Faremo un'eccezione. Venga con me.” I due risero. La tensione sembrava sciolta per un momento. “Nella stiva tutto sotto controllo. Hai notato quei due seduti in fondo a destra?” sussurrò Max a sua mo-glie. “Appena imbarcati. Militari, ne sono certa.” “Il vecchio cieco... si chiama Erik Jan Hanussen. Era lì con il suo cane,” aggiunse Max, lo sguardo fisso oltre il finestrino. “Il veggente?” esclamò Maria Cristina. “Proprio lui,” confermò il ragazzo, mentre l'oceano si stendeva sotto di loro come una tavola scura. Qualcosa stava per accadere.
Aeroporto di Rio de JANEIRO Santos Dumont Rio de Janeiro, 17 agosto 1956
“La giornata è soleggiata e la temperatura oscilla tra i 19 e i 25 gradi. Fra pochi minuti inizieremo la discesa: benvenuti a Rio de Janeiro.” Trasmessa attraverso l'interfono la voce calma e leg-germente roca del comandante, i toni distaccati ed eleganti dei grandi piloti d'epoca, ruppe il silenzio ovattato della cabina Il Lockheed Super Constellation LH 500, emblema dell'orgoglio tedesco, iniziò la lunga e maestosa discesa sulla Baia di Guanabara. Sotto di loro, la città si mostrava come una tela viva: il Pan di Zucchero , maestoso, sfiorava le nuvole basse come un guardiano silenzioso; Copacabana e Ipanema si stendevano dorate, curve sinuose affacciate sull'Atlantico, mentre le vele bianche dei pescherecci tagliavano la superficie dell'acqua. Quando le ruote toccarono l'asfalto dell'aeroporto Santos Dumont, nel cuore stesso della città, un mor-morio di ammirazione si levò tra i passeggeri. Era difficile credere che un aeroporto potesse esiste-re così vicino al centro urbano, lambito dal mare su tre lati, circondato da grattacieli e colline tropicali. Sulla pista secondaria, un altro velivolo si preparava al decollo: un Lockheed L-049 della Panair do Brasil, dipinto di un verde giungla sbiadito, con la scritta “Manaus” in bianco elegante sul muso. Il cuore dell'Amazzonia li aspettava. Max e Maria Cristina, smessi i panni dei turisti, man-giarono in silenzio un panino secco e un caffè dolcia-stro in un piccolo bar del terminal, arredato con tavo-lini di metallo e sedie cigolanti. Ogni gesto, ogni sguardo tra loro era denso di ciò che non poteva dirsi ad alta voce. La luna di miele era solo una copertura. Quello era il loro lavoro. E lo sapevano entrambi. Al gate d'imbarco c'erano già Hermann Rorschach, gli uomini della Technical, i due tedeschi muscolosi dall'aria marziale e i frati cappuccini, con le tonache marroni e lo sguardo basso. Tra loro, come un'ombra staccata dal tempo, Erik Jan Hanussen sedeva compo-sto con il suo pastore tedesco, il muso protetto da una museruola di cuoio consumato. Il cane guardingo, immobile, ringhiava sommessamente nella direzione dei frati. Non gli piacevano. Saliti a bordo del volo interno, Max e Maria Cristina presero posto nella zona centrale, tra i quattro uomini della Technical e i due germanici, in modo da poterli tenere d'occhio. Il veggente era seduto pochi sedili più indietro, lo sguardo cieco puntato verso il nulla, o forse, verso qualcosa che nessun altro riusciva a vede-re. Al decollo, l'aereo puntò verso sud per poi virare a ovest, sorvolando un'ultima volta il profilo incantato di Rio: il Cristo Redentore si stagliava in controluce, braccia spalancate, mentre le spiagge si perdevano tra le onde e le ombre dei palazzi. Il viaggio fu inizialmente tranquillo. L'aereo solcava i cieli sopra il bacino amazzonico, un mare verde che si estendeva all'infinito sotto di loro. Il rio Urubu, dalle acque torbide e impenetrabili, scintillava come un ser-pente d'inchiostro sotto i raggi del sole. Alcune nuvo-le basse si raccoglievano all'orizzonte, minacciose. Poi, qualcosa cambiò. Max notò che i due tedeschi si scambiavano occhiate nervose. Il loro sguardo seguì i frati quando questi si alzarono in silenzio diretti verso i bagni nella parte an-teriore dell'areo. Nessuno parlava, ma l'aria divenne pesante, elettrica, come se un temporale invisibile si stesse caricando tra le pareti dell'abitacolo. Passarono cinque minuti. Poi dieci. I frati non torna-rono. Hermann Rorschach si alzò. Si voltò lentamente, fis-sando Max. Era un gesto volutamente teatrale, quasi un avvertimento. Max comprese subito. Qualcosa sta-va accadendo. Qualcosa era già cominciato. Si alzò a sua volta e si incamminò verso la prua. I rumori arrivarono all'improvviso: voci alterate, un tonfo sordo, poi un gemito soffocato. Max accelerò, ma proprio in quel momento un vio-lento beccheggio scosse il velivolo. L'aereo si inclinò bruscamente a sinistra: il pavimento sfuggì sotto i pie-di, e Max fu proiettato contro le poltrone di destra, battendo la spalla contro un bracciolo metallico. Cer-cò di rialzarsi, ma il rollio successivo lo scaraventò sull'altro lato, un altro colpo al fianco. Le hostess urlavano, le mani tese in gesti disperati nel vano tentativo di mantenere l'ordine. Ma era troppo tardi. Le urla dei passeggeri riempirono la ca-bina. Alcuni pregavano, altri piangevano. Il panico era diventato materia, un vento che divorava ogni certez-za. Il muso dell'aereo si abbassò di colpo. Connie perse quota con una velocità spaventosa, mentre i motori ululavano come animali feriti. Poi, la giungla. Uno schianto assordante, un urlo di metallo e legno, il frastuono spezzato in mille eco. Il velivolo si ruppe come un giocattolo di latta tra le chiome degli alberi. Alcune sezioni s'inabissarono lentamente in un'ansa del Rio Urubu, le lamiere galleggianti come ossa di un gigante morto. Il silenzio calò d'improvviso. Solo la pioggia. Una pioggia sottile, incessante, tutt'intorno rottami, valigie aperte, cadaveri, vestiti impigliati nei rami, occhi spalancati al cielo. Il cane guaì, da qualche parte. Poi più nulla. Il cuore dell'Amazzonia aveva inghiottito tutto. |
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