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Writer Officina Blog
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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L'Icona
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E placida, scese la notte sul casato di Fleury-des-Fossés. I lumi dei casolari si erano spenti. I contadini con le loro famiglie già dormivano il sonno profondo di chi l'indomani all'alba, ricominciava tutto daccapo. Le guardie scrutavano la valle dalla rocca e nel castello... «Non farlo Zosimo. Ti prego. Ne morirà.» «Madre. É deciso ormai. Domani all'alba partirà per il convento.» «Fallo per me Zosimo. Non darmi questo dispiacere.» Le lacrime velavano il volto di Zaffiria che non faceva niente per trattenerle. «É per il suo bene che lo faccio.» Una formalità di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Quella di discuterne con sua madre. Doveva però salvare le apparenze. Ogni cosa a suo tempo. Prima sistemava Celeste poi... «Lui vuole fare l'uomo d'armi.» Donna Zaffiria implorava pietà per il figlio più piccolo, con la persona meno disposta a concedergliela. «Diventerà invece un Abate importante. E governerà un'abbazia. Andrà come fanciullo oblato a Saint-Benoit-sur-Ain. Ho appena versato un consistente obolo al Camerario del convento. Partirà domani all'alba.» Zaffiria singhiozzava senza più freni. Gli argomenti per controbattere l'infausta decisione li aveva finiti ancor prima di cominciare. Destino segnato quello di Celeste. «Mi ringrazierà un giorno.» S'atteggiava pure a grande pensatore. Zaffiria tutto s'immaginava di Celeste monachello meno che ringraziasse il fratello Zosimo. Se non con un colpo di balestra in mezzo agli occhi. «Ripensaci. Manda via me piuttosto.» Si era inginocchiata. «Tranquilla. Non sarà solo.» Aggiunse per consolarla. «Il bastardo lo seguirà.» E su quella che aveva tutta l'aria di essere l'ultima parola, Zosimo si produsse in un ghigno dei suoi. Repellente. Scivoloso. Unto. Lo sguardo sofferente di lei era l'immagine della sconfitta. «Povero piccolo.» Sospirò tra le lacrime. «Piccolo? Ha quattordici anni. E la testa vuota è bene che la si riempia di cose importanti. Servirà il Signore Dio Nostro e le sue preghiere saranno di consolazione per il tribolato percorso terreno di tutta la sua famiglia.» Parlava come un Vescovo. Agiva come un diavolo. «Per quanto riguarda Voi, Madre, mi premurerò appena possibile di trovare una sistemazione adeguata al vostro rango. Che sia di piena soddisfazione per il casato.» E con un inchino di quelli che mettono i brividi, si congedò da lei. La candela era quasi finita. Zaffiria la reggeva con la cura di chi non vuole che un soffio più forte degli altri gliela spegnesse proprio mentre attraversava i lunghi corridoi del suo castello. Aveva poco tempo. L'alba era vicina. Aprì la porta curando di non far rumore. Si guardò in giro con circospezione. Entrò. Celeste dormiva come un sasso. Il ragazzino si spendeva tutto durante il giorno. Fino all'ultima goccia di sudore. E appena calava il sole andava sotto le coperte a sognare spazi infiniti per cavalcare con Gorgon. E tirare di spada coi briganti. Le mani scivolavano sui riccioli del ragazzo. Una carezza d'infinito amore. Doveva svegliarlo ma non aveva il coraggio. Era sereno. «Addio piccolo. Addio riccioli neri.» La voce rotta dai singhiozzi e gli occhi velati di lacrime. In quello sguardo che forse per l'ultima volta gli dedicava, cera tutto l'amore che non poteva più dimostrargli. Zaffiria sapeva che avrebbe pagato caro quel gesto ma doveva farlo. «Svegliati Celeste.» Sussurrò scuotendolo. Tra uno stiracchio e uno sbadiglio «Madre,» mormorò Celeste con un'espressione di meraviglia «è già giorno?» «No ragazzo, ma devi andartene subito.» «Andarmene? Dove?» E in quell'attimo. Strabuzzò le pupille per cercare di mettere a fuoco qualcosa dietro le spalle della donna. Che d'istinto si girò verso il punto che stava fissando Celeste. Zosimo. E vicino a lui due guardie. «Ha ragione nostra madre, Celeste.» Esordì il fratello con tutta la flemma strafottente di cui disponeva. «Devi prepararti per un viaggio.» «Che viaggio?» Anche mezzo addormentato il ragazzo aveva rizzato il pelo. Guardava a turno madre e fratello. Ma non capiva né il pianto di lei né la calma frenata di lui. Soprattutto non capiva che ci facevano le due guardie armate di tutto punto a quell'ora nella sua camera. «Gorgon è già giù che scalpita.» Gli disse mieloso Zosimo. «Non farlo aspettare.» Era un ordine. Li dava con il sorriso ma se non ubbidivi. «Madre che significa?» Celeste implorava una risposta. Sua madre non poteva dargliela. Impegnata com'era a piangere e supplicare Zosimo, di recedere dall'infelice proposito. «Significa che ha preso una decisione importante per il tuo futuro.» Rispose sprezzante il fratello maggiore. Neanche aveva finito la frase che le due guardie avevano sollevato Celeste di peso e trascinato giù per le scale. Incuranti degli urli disperati della povera Zaffiria.
Alba nebbiosa. Bruma e brividi di freddo. Laggiù, alla fine della cantoniera che attraversava la valle c'erano tre persone a cavallo. Due guardie e un ragazzo infagottato che piangeva in silenzio. Assieme a loro, un ragazzino spaurito trotterellava su un asinello. Stringendosi la bricolla al petto per ripararsi dal freddo. Stavano già in cima alle colline. Tra poco sarebbero spariti nel bosco. Il ragazzo fermò il cavallo e si girò verso la valle che aveva appena attraversato. Il sole era ancora una promessa ma laggiù in fondo dove il buio della notte stava già sfumando, il paesello ancora dormiva. In cima alla rocca che lo dominava, il castello era solo un'ombra oscura. «Madre» sospirò. E girato il cavallo, riprese il suo cammino. «Celeste.» Chiamò il ragazzino che cavalcioni dell'asino cercava di tenersi in equilibrio e non cadere proprio adesso che si cominciava a salire su per i ruvidi sentieri dei boschi. E non avendo ricevuto risposta «Celeste.» Chiamò ancora, «Cosa vuoi?» La voce era rotta dal pianto. Aveva poca voglia di parlare. Anche se gli scaldava il cuore la presenza dell'amico Alfano. Si sentiva meno solo e disperato. Il poveretto che faticava a tenere il loro passo e a ogni curva litigava con l'asino, «dove siamo diretti?» domandò piano per non farsi sentire dalle guardie. «Non lo so. Non ti ha detto niente Marconio?» «No. Mi ha solo dato un calcio per svegliarmi. E le guardie mi hanno caricato sull'asino con questa bisaccia.» «E non ti hanno detto niente le guardie?» «Mi hanno detto di stare dietro al gruppo. Perché puzzo come un maiale.» Rispose candido. «Faccio una fatica enorme a tenermi in groppa a questa bestia.» «Liberati della bisaccia.» Gli suggerì l'amico. Che grazie alla piccola discussione aveva dimenticato i suoi tormenti per un po'. «Non posso liberarmene.» Parlottavano piano cercando di non farsi sentire dalle guardie, che qualche metro più avanti guidavano il piccolo gruppo. «Se t'impiccia perché l'hai portata con te?» «Me l'hanno data loro,» indicò le guardie, «è roba tua. C'è il tuo desinare e qualche camicione pulito per il cambio qua dentro. Io di mio che potevo portare? Non ho niente. Tu piuttosto ti ha detto qualcosa Zosimo, circa la destinazione?» «Ehi tu.» Una delle due guardie infastidita dal continuo bisbiglio, «smettila di blaterare» ordinò ad Alfano. «Appena arriviamo al fiume ti diamo una bella strigliata. Così conciato imputridisci l'aria che si respira.» E giù una risata. «Faccio fatica a seguirvi signore.» Rispose umile il guardiano dei porci. «Questo somarello va dove gli pare.» «Allora caricaci la bisaccia e prosegui a piedi.» Il sole era già alto quando in riva al fiume la guardia che aveva il comando del gruppo decise di fare una sosta per mettere qualcosa sotto i denti. E far riposare i cavalli. «Passagli la bisaccia.» Ordinò ad Alfano. Quando con la lingua di fuori dopo un po' che gli altri tre erano fermi, li aveva raggiunti. Il piccolo guardiano dei porci con la testa bassa passò la bisaccia che aveva trascinato fin lì al suo amico e signore Celeste. Senza azzardare di alzare gli occhi. Cavando ciascuno dalla propria bricolla le provviste preparate per il viaggio, cominciarono a mangiare. Alfano, che non aveva niente, se ne stava lontano a guardare gli altri. Era abituato. Non ci faceva più caso ormai. In un cantuccio per conto suo, Celeste fissava il vuoto rapito da chissà quali pensieri. Gli altri non esistevano per lui. Si teneva strette le briglie di Gorgon e piluccava le sue provviste. Alla fine del pasto... «Ehi tu porcaro, vai a farti un bel bagno.» Ordinò una delle due guardie ad Alfano, indicandogli il fiume. «Sento freddo, signore.» Rispose umile il ragazzo, rannicchiato al riparo di un grosso abete. «Non ti ho chiesto come stai.» Replicò duro la guardia. «Ti ho ordinato di lavarti.» Il ragazzo allora s'incamminò timido verso il fiume. Nei pressi della riva si chinò per bere spruzzandosi dell'acqua sulla faccia. «Ragazzo» urlò la guardia. «Spogliati e lavati nella corrente.» «Ma signore sto morendo di freddo.» Piagnucolò il poveretto. A questo punto, stanco di ripetersi, la guardia lo afferrò per buttarlo così come si trovava, nella corrente del fiume. «Che fai, sei pazzo?» Gridò l'altra guardia. «Quello se non affoga muore di freddo.» «Non è una gran perdita.» Rispose il compare. Che nel momento di buttarlo a fiume, percepì qualcosa pungergli la nuca. Si girò e si ritrovò la punta della propria spada, all'altezza degli occhi. Aveva commesso un grosso errore appoggiando la spada ai piedi dell'albero. Mai restare disarmati nel bel mezzo di un bosco con un ragazzo che tira di spada meglio di un cavaliere. «Lascialo o ti stacco la testa.» Celeste non usava mezze misure. L'avrebbe fatto senza neanche pensarci su un attimo. Era diabolico con un'arma in mano. La guardia lo sapeva. Depositò Alfano con i suoi stracci sulla riva, e indietreggiò piano senza mai dargli le spalle. «É tempo di riprendere il viaggio.» Ordinò per darsi un contegno. «Adesso rendimela» disse al ragazzo indicando l'arma. «La riavrai quando arriviamo a destinazione.» Rispose Celeste saltando in groppa a Gorgon. Lassù, sulla torre che imponente dominava la sommità della gola, le campane battevano il vespero. Il sole stava già tramontando dietro le cime. Gli ultimi raggi infuocavano le mura dell'abbazia che austera e solenne si preparava alla notte. Sulla ripida mulattiera che dal passo lontano saliva fin là, i quattro puntini lontani erano ormai diventati ombre. Le campane era anche per loro che rintoccavano. Per indicare la via al pellegrino, sul far della sera. Una specie di faro per i viandanti che avevano bisogno di riparo per la notte. «Ecco che arrivano. Non sono più di quattro.» Il monaco cellerario aveva la responsabilità delle provviste e di accogliere i pellegrini nella foresteria del convento. Perciò li aveva già contati da un pezzo. Costruita sulle antiche mura di un fortino forse romanico che da lì controllava il transito dei vicini valichi del Giura, l'abbazia aveva la possibilità di avvistare con largo anticipo i probabili ospiti. Per salire fin lassù bisognava seguire una ripida mulattiera che non finiva più e in uguale misura stremava bestie e pellegrini. I più erano tanto sfiniti da dover essere soccorsi. I quattro che stavano salendo intanto, già da un pezzo avevano intravisto il torrione campanario dell'abbazia. In cima al costone era così aguzzo che dominava la conca quasi fosse una lancia appoggiata là da un ciclope. Pareva di toccarlo a ogni curva da quanto li sovrastava. Ma più salivano più sembrava prendere le distanze dalla comitiva. Inerpicandosi sempre più in alto. «Maledetto campanile. Ma quanto ancora dobbiamo camminare per raggiungerlo? Da ore l'abbiamo avvistato. Pare sempre più lontano.» La guardia che guidava il gruppo aveva dato sfogo ai dubbi di tutti. Gli altri guardavano e non parlavano per non sprecare energie. La torre campanaria passo dopo passo intanto, diventava sempre più imponente ai loro occhi. Impressionante la solennità con cui li stava aspettando. Metteva i brividi il suo profilo massiccio. Nella luce del crepuscolo imminente poi. Alfano era estasiato. La fissava come se là dentro ci fossero i suoi sogni. Gli bastava quindi raggiungerla per realizzarli. Il suo asinello arrancava su ogni ciottolo ma avanzava diritto. Celeste era senza parole. La torre l'aveva già intravista passando più a valle nel suo viaggio a Bourg. Anche allora gli aveva fatto paura. Gorgon scalpitava sicuro, ma lui era preoccupato. Ansimava. Non solo per la fatica. Quindi era là che erano diretti. Per fare che? «I monachelli.» Aveva risposto Alfano senza che l'altro avesse aperto bocca per chiederglielo. «I monachelli?» Celeste era sconvolto. L'idea di mettersi il saio gli rivoltava lo stomaco. Non fosse per la stanchezza avrebbe all'istante girato Gorgon e si sarebbe buttato giù a capofitto per la discesa senza girarsi indietro. Ma dietro c'erano le guardie. Prima li precedevano ora li seguivano. Non gli restava che proseguire. «Per scappare c'è sempre tempo.» Pensò. Quindi era lì in quell'abbazia coi muri che parevano dirupi, che il fratello Zosimo con la benedizione di sua madre l'aveva sepolto. E con lui i suoi sogni di cavaliere. Salmi e preghiere invece di spade e tornei. Gli veniva da piangere. Ma era stanco. E da che aveva lasciato il casato troppe lacrime aveva già versato. Osservò Alfano. Era eccitatissimo. L'asinello si arrampicava con quasi più grinta del suo Gorgon. «Che maestosità, Celeste. É meravigliosa.» Non aveva toccato cibo. Era morto di freddo. Puzzava come i maiali di Marconio. Eppure. Spronava l'asinello quasi a volarci lassù. In quella tetra abbazia che li stava aspettando. «Stai calmo Alfano non eccitarti. Qui ci fermeremo solo una notte.» Non sapeva neanche lui come gli era uscita ma dopo che l'aveva sparata, cominciava anche a crederci. In fondo i conventi a questo servivano. Dare asilo notturno ai pellegrini. E loro erano pellegrini che la notte ormai aveva avvolto col suo velo nero. «Io mi accampo qui fuori con Gorgon. Non vado là dentro.» Dichiarò risoluto. A un passo dall'abbazia. Le due guardie si guardarono perplesse. «Gli ordini sono stati chiari. É là dentro che dobbiamo portarti.» Replicò il più pronto dei due. «Andateci voi, io,» si guardò in giro, «mi accampo lì vicino a quella chiesetta defilata appena fuori del convento. Domattina tutti insieme riprenderemo il cammino.» E intanto accarezzava l'elsa della spada. «Quella chiesetta non fa parte del convento. É sconsacrata.» Era uscito dal buio all'improvviso. Nessuno si era accorto di lui prima che parlasse. Erano sulla porta del chiostro e non si decidevano a entrate. Il monaco cellerario li aveva osservati da una vita e stava andando loro incontro per porgergli il benvenuto che si conviene ai pellegrini. Quando ha visto il ragazzo puntare i piedi e accarezzando l'elsa fronteggiare un armigero col fodero vuoto, si era preoccupato. Perciò era uscito dall'ombra. Il gruppo si era subito girato. Celeste stava per spronare Gorgon e filarsela. Il bravo monaco afferrò le briglie del cavallo e lo guidò subito dentro. E approfittando della confusione, la guardia si riprese la spada. Alfano si guardava intorno. Da dentro, la solenne bellezza dell'abbazia gli appariva magica. La guardia legò Gorgon al palo della foresteria e il monaco cellerario serrò il pesante portone. Sprangata fuori dal convento, la tenebrosa notte oscurò tutto il circondario. Vallate e montagne circostanti. Celeste era in trappola. Alfano era in estasi. E lassù, da una piccola finestrella della foresteria, l'ombra furtiva si trasse veloce per non essere vista. |
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