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Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Autore: Andrea Ansevini
Titolo: La più bella estate della mia vita
Genere Romanzo Contemporaneo
Lettori 67
La più bella estate della mia vita
Mi chiamo Tobia Caporali; Tobi per gli amici.
Ho quindici anni e sono figlio unico, i miei genitori si chiamano Marco e Laura.
Quella che mi appresto a raccontare è la storia dell'estate più bella della mia vita.
L'estate, si sa, è tempo di vacanze e di relax per tutti.
Chi ama leggere, per esempio, riesce a trovare non solo il tempo, ma anche il momento giusto per immergersi nelle pagine di un bel libro e godersi la lettura senza fretta.
Un buon libro può essere un ottimo compagno di viaggio e, al rientro dalle ferie estive, avrà un aspetto particolare, che ricorderà immediatamente quei giorni di relax, stupore e spensieratezza vissuti durante la bella stagione: magari avrà la copertina sporca di sabbia e salsedine, oppure sarà sgualcito e arrotolato a mo' di giornale per averlo tenuto parecchio tempo nella tasca laterale dello zaino durante le escursioni. Le pagine saranno forse permeate dall'umidità assorbita nelle calde notti e alcune, chissà, saranno corredate da appunti e impressioni sui luoghi visitati, le facce incrociate per caso, gli scorci di bellezza improvvisa
scovati girovagando con curiosità.
Per me, scrivere è come dipingere: non si sa mai l'esatta sfumatura che si otterrà.
Mentre sto scrivendo, la mia mente torna alla stupenda isola di Favignana, nell'arcipelago delle Egadi, in Sicilia.
Un'isola felice, dove vorrei vivere per sempre.
Tobia chiuse l'amato diario e lo ripose nel cassetto del comodino. L'indomani sarebbe partito per Favignana, e doveva ancora preparare la valigia.

Favignana, giovedì 24 luglio 1975.

Tobia era uscito presto di casa per correre in spiaggia a guardare il sole sorgere sul mare. Lo faceva ormai da una settimana, perché adorava quel momento unico ed emozionante del mattino. Da quando aveva raggiunto la casa che era stata dei suoi nonni paterni per trascorrervi le vacanze con i suoi genitori, non aspettava altro. Ogni volta si incantava a guardare i gabbiani volare liberi e salutare con i loro garriti il sole nascente.
Poi si toglieva in fretta i sandali e iniziava a correre a piedi nudi sul bagnasciuga. Sorridendo, allargava le braccia facendole vibrare nell'aria come fosse anche lui un gabbiano.
«Sto volando! Sto volando!» ripeteva felice.
Come ogni mattina, mamma Laura e papà Marco lo avevano accompagnato alla spiaggia.
«Attento a non inciampare!» gli gridò la madre cercando di non perdere di vista il suo piccolo, grande tesoro.
Tobia si fermò. Stanco, ma felice. Piano, ritornò accanto ai genitori e dallo zaino estrasse la macchina fotografica di suo padre.
«Fai attenzione a non farla cadere in acqua!» si raccomandò il padre.
«Dai, babbo! Ho ormai quasi quindici anni, non sono più un ragazzino!»
Giunto vicino al mare, scattò una foto per fissare quel momento magico, l'attimo sospeso tra la notte che muore e il giorno che sta per nascere e che riporta il battito della vita.
L'acqua era talmente trasparente che si vedevano nuotare banchi di pesciolini e, sul fondale, piccoli granchi bianchi, così simili al colore della sabbia, che fuggivano rapidi in ogni direzione.
Laggiù, dove il cielo abbracciava il mare, ora c'era solo un bagliore rosso fuoco, che si stemperava in mille sfumature.
«Sembra la copertina dell'album “Sabato pomeriggio” di Claudio Baglioni, vero?» disse, rivolgendosi ai suoi genitori.
«Eh già. Troppo bella quella canzone, peccato solo che il testo sia un po' triste», rispose Laura.
«Sì, certo... come tutte le sue canzoni; del resto, se lo chiamano “agonia” un motivo ci sarà, no? Io preferisco il “Mimmo nazionale”», rise Marco, che adorava la canzone “Piange il telefono” di Domenico Modugno.
«Però Claudio ha un fascino irresistibile ed è più bello di te!» ribatté Laura.
Mentre i due si rimbeccavano scherzosamente sui capisaldi della musica italiana, Tobia accese la radio che suo nonno Attilio gli aveva regalato tre anni prima, giusto un mese prima di morire.
In quel momento stavano trasmettendo “Amore grande, amore libero”, de Il Guardiano Del Faro, una vera hit che da alcune settimane stava dominando le classifiche dei 45 giri.
Ogni volta che ascoltava quel brano, Tobia si sentiva libero di viaggiare con la fantasia.
«Adesso vi faccio vedere che so volare come i gabbiani!»
Allargò di nuovo le braccia, agitandole come ali, e ricominciò a correre, poi si arrampicò sugli scogli.
«Tobia, scendi giù subito, finirai per farti male!» urlò Laura, ma lui si gettò nel vuoto, urlando: «Guardate come volo!»
«Oddio!» esclamò la donna, ma poco dopo Tobia stava già risalendo sulla scogliera, per poi lanciarsi di nuovo in mare.
Il tempo di riprendere fiato e via, di nuovo sugli scogli.
Aveva iniziato con quelli più bassi, poi si era arrampicato sempre più in alto, lanciandosi senza paura. Il suo sogno era quello di tuffarsi dalle scogliere a picco sul mare.
E un giorno, un giorno in cui il mare infuriava e ruggiva in mille gorgoglii e onde con tutta la sua forza e il vento sferzava le vie dell'isola, gemendo e ululando quasi fosse una minaccia pericolosa, Tobia decise che era venuto il momento di lasciare il segno.
Nonostante il cielo cupo e il vento forte, quella mattina era andato sulla spiaggia per dare sfogo ai suoi pensieri, felice di poter volare nell'aria come i gabbiani che amava tanto.
Era arrivato in cima alla scogliera salendo gli scalini sconnessi e si era fermato in una cava di tufo, quella chiamata “del Bue Marino”. Qui, aveva inciso il suo nome
sulla parete rocciosa, poi aveva raggiunto lo spiazzo da cui si sarebbe buttato.
Nonostante il cielo grigio, da lassù si poteva godere di una vista mozzafiato.
Tobia cercava con lo sguardo l'orizzonte, ma il cielo e il mare sembravano una cosa unica, fredda e scura.
Si avvicinò al parapetto di pietra, sporgendosi per guardare il mare. Sotto di lui le onde s'infrangevano violentemente sulla scogliera. Provò a chiudere gli occhi,
immaginando sotto di sé un immenso tappeto di erba verde. Li riaprì, prese la rincorsa e si buttò con coraggio nel vuoto.
«Tobia!» urlò suo padre, vedendolo volare giù da quell'altezza terrificante.
Per qualche secondo Tobia ebbe veramente l'impressione di volare come un gabbiano. Poi arrivò il devastante impatto con l'acqua e subito dopo venne sommerso dai cavalloni.
«Oh mio Dio, Marco... Dove è finito Tobia?» urlò Laura, atterrita.
«Non lo so, non lo vedo più...»
Marco correva avanti e indietro, scrutando il tratto di mare che aveva davanti.
«Tobia, dove sei?» urlava disperato.
«Tobia, ci senti?» gridava sua madre.
Del loro figlio, però, nessuna traccia, e iniziarono a temere il peggio.
«Dobbiamo chiamare i soccorsi», affermò Laura, sempre più spaventata.
«Babbo, mamma... Sono qui. Avete visto? Ce l'ho fatta!»
La voce di Tobia giunse loro da uno scoglio; il ragazzino li stava salutando come se nulla fosse accaduto. «Visto che volo ho fatto?»
«Tobia, ci hai fatto morire di paura!» gridò suo padre dirigendosi verso di lui. «Dai, adesso scendi. Torniamo a casa, prima che inizi a piovere.»
«Arrivo. Prima però voglio fare un altro salto.»
Nonostante le proteste dei genitori, e prima che potessero raggiungerlo per fermarlo, salì di nuovo sulla scogliera, deciso a ripetere l'esperienza.
Saltò di nuovo, questa volta senza paura alcuna, ma invece di cadere in mare, andò a sbattere su uno scoglio che sporgeva dall'acqua. Un dolore lancinante al fianco gli tolse il fiato. La vista gli si annebbiò e perse i sensi.
Suo padre lo raggiunse in un battibaleno, lo prese in braccio e lo riportò sulla spiaggia.
«Ha una profonda ferita al fianco e perde sangue!» disse a sua moglie.
«Chiamo l'ambulanza!» rispose la donna correndo verso il vicino bar.
Il mezzo di soccorso arrivò pochi minuti dopo e Tobia venne portato al Pronto soccorso dell'ospedale più vicino.
«Vostro figlio ha riportato la frattura di tre costole», disse il dottore che lo aveva avuto in carico, dopo averlo sottoposto a radiografia e ulteriori accertamenti.
«Quindi cosa dobbiamo fare?» chiese Marco.
«Per un mese circa dovrà stare a riposo, non dovrà fare sforzi né sollevare pesi. Vi prescrivo degli analgesici per alleviare il dolore.»
Ormai le vacanze erano rovinate, ma Tobia non si perse d'animo. Una volta tornati alla casa dei nonni chiese a sua madre con un sorriso: «Ci torneremo presto a Favignana, vero?»
«Sì, tesoro, il prossimo anno ci ritorneremo», rispose Laura, intenta a preparare le valigie.
«Non vedo l'ora di tornare a volare con i gabbiani.»
Il giorno seguente la famiglia Caporali partì per fare ritorno a Pistoia. Per strada, li accompagnava una nuova canzone, appena uscita: “Sei bellissima” di Loredana Bertè.
Andrea Ansevini
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