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Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Tea Vergani
Titolo: La mano del santo
Genere Giallo Storico
Lettori 84
La mano del santo
Thriller Medievale a Venezia.

Prima dell'alba.

Barcollavano, tenendosi vicini per non cadere.
Il sole stava alzandosi lentamente sopra la laguna veneziana; i suoi raggi dorati spezzavano l'oscurità della notte, dipingendo il mare con sfumature rosa e arancio, come se il cielo si svegliasse da un sogno, baciando le acque lagunari con un calore tenero e avvolgente.
Due marinai, che uscivano da una notte passata a far bagordi in una taverna del porto di Venetia, si dirigevano a passi lenti e incerti sul bordo della banchina, che faceva funzione di latrina pubblica. Grande fu il loro stupore, vedendo due corpi umani galleggiare nelle scure acque del canale.
«Guarda!»
«Misericordia!»
«Due poveri cristi!»
«Son morti?»
«Mi sembra di sì. Qualcuno li avrà derubati. Dai, scappiamo!»
«Tiriamoli fuori dal canale, almeno!»
«No, andiamocene via, è meglio.»
«Hai ragione, perché se arrivano le guardie del Doge, finiamo ai ferri!»
Correndo, i loro passi creavano echi nelle piccole calli, mentre i gabbiani lanciavano i primi gridi rauchi, salutando l'alba.

Due giorni prima a Venezia.

In quegli anni, caratterizzati da rivalità politiche e conflitti territoriali aperti con molte potenze straniere, molte navi veneziane solcavano l'Adriatico per cercare di realizzare buoni affari.
Per questo, il ricco mercante veneziano Bartolo Capeto aveva deciso di organizzare una spedizione marittima e commerciale a Spalatum, assoldando Peàta, il miglior capitano a disposizione nel porto. Sperava di approfittare delle opportunità economiche offerte dal fiorente mercato dalla città dalmata e soddisfare la sua voglia di guadagno.
Spalatum, un tempo importante città romana, era diventata un centro commerciale altomedievale anche grazie all'arrivo, tra le sue mura, di molti profughi, costretti ad abbandonare la vicina città di Salona a causa di una guerra. In pochissimi anni, grazie alla loro forza lavoro, la città era diventata ben nota ovunque per il suo vivace mercato, dove si vendevano spezie, tessuti e prodotti artigianali, nonché robusti schiavi.
Il Capitano Peàta era un quarantenne arrivato dal nord, di robusta corporatura e sguardo fermo, un uomo di bell'aspetto, svelto e veloce di pensiero. Tutti lo chiamavano solo con il suo soprannome veneziano, derivato dal greco plàti, con il quale veniva designato un tipico barcone da trasporto merci. Nella sua tunica corta da marinaio, stretta in vita da una cintura di cuoio dove alloggiava il suo pugnale, incuteva rispetto e piaceva alle donne.
Non così il mercante Capeto, che mascherava la sua tozza figura indossando sempre abiti eleganti. Non era nato ricco, ma lo era diventato grazie alla sua astuzia. Per questo particolare incarico aveva scelto di ingaggiare il capitano convocandolo nella sua casa, e non, come era sempre avvenuto in passato, nel grande fondaco dove custodiva le sue merci.
Il capitano si prese tempo per arrivare puntuale all'appuntamento, camminando tra i campi dove si coltivavano ortaggi, e i campielli con la loro vivace e animata vita sociale. Tra un ponte e l'altro, nelle calli sbirciava curioso le piccole corti dove le donne facevano il bucato e cucivano all'aperto.
Al suo arrivo a casa Capeto, il mercante lo apostrofò sgarbatamente, senza salutarlo con un inchino, come avrebbe fatto qualunque altro veneziano bene educato, e come pretendeva l'educazione: «Peàta, era ora che arrivassi, te la sei presa comoda? Non importa, ho un lavoro per te. Facendo onore alla tua fama, ti incarico di una missione pericolosa ma per la quale ti pagherò bene. Confido che sarai in grado di portarla a termine con ottimi risultati. Da te non mi aspetto altro che il meglio, naturalmente.»
«S'ciao (Ciao!) a te, Capeto! Questa volta, di che si tratta, di grazia?» rispose, guardingo, inchinandosi.
Non era la prima volta che i due facevano accordi, ma il capitano sapeva di doversi cautelare. Capeto non faceva mai niente per niente. Per questo, attendeva per capire e valutare la proposta.
«Devi salpare per Spalatum, portando a bordo della mia nave Solaris qualche mia merce di mediocre valore, da vendere a chiunque troverai interessato tra quei pezzenti. Sono cosette di poco conto, che se anche finissero tra le mani dei pirati non mi causerebbero gravi perdite. Sembrano pelli, abiti e armi di lusso ma in realtà non lo sono affatto. Anzi!» Aggiunse ridendo: «Le ho comperate io stesso a poco, perché è merce rubata o avariata. Le pellicce hanno perfino le pulci».
Vedendo l'espressione di schifo del capitano, si affrettò ad aggiungere: «Perciò, confido nella tua velocità e destrezza per venderle a buon prezzo, senza che i dalmati lo capiscano e prima che vi mangino vivi».
«Chi? I dalmati o gli insetti?»
«Come sei noioso... Mettiamola così, lascia che ti dia solo un consiglio: cerca di liberarti di tutte le merci e poi scappare via, prima che i tuoi clienti le controllino bene!»
Versò un buon vino rosso in due boccali e ne offrì uno a Peàta, continuando: «Ma non è l'unico incarico che ti affido. In verità, la vera missione è un'altra: devi ritornare da me con la nave a pieno carico. Intendo farti acquistare tanta merce pregiata. Voglio schiave, armi, preziosi, spezie. Sarai tu a decidere chi e che cosa, ma mi raccomando... Ti lascio libera scelta, ma stai attento a non farti imbrogliare! Ne renderesti conto a me, in persona!»
Il capitano rimase per qualche tempo in silenzio, indeciso se accettare o meno la proposta. Dopo un po', replicò con voce falsamente indignata: «Ti rendi conto che questi sono tempi difficili, Capeto? Mi aspetto di trovare tanti problemi, sia a terra che in acqua, e quello d'essere derubati dai pirati non è neanche il peggiore!»
«Lo so, lo so...»
Interrompendolo, Peàta aggiunse: «E poi, che denaro mi darai? Di che metallo stiamo parlando? Lo sai bene che a Spalatum accettano tutto. Da te, avrò lire? Denari? Oppure oro? Lo sai bene, che i prezzi possono cambiare molto, in bene o in peggio, a seconda di come si paga la merce».
In effetti, non aveva torto, perché il sistema monetario era vario: non più costruito solo sulla lira carolingia, d'argento. Era basato su molte valute: lira e denaro, solidus e nonisma bizantino. Infine, c'era anche il dinaro arabo, in oro. A Venetia, recentemente era stato coniato anche un denaro d'argento.
Capeto lo sapeva bene, ma non si aspettava una simile difficoltà dal capitano. Imbarazzato, cercò di rabbonirlo: «Lo so, lo so bene, amico mio! Vedo che la sai lunga! Ma stai tranquillo: ti darò una borsa con un misto di tutte le monete. Userai la tua testa, per pagare nel modo più opportuno, a seconda delle situazioni, con la valuta che ti darà più risultati». Con dolce cadenza veneta, con la sua voce più falsa e melliflua, aggiunse: «Per questo ti pagherò tanto, proprio perché tu sai usare la testa. Sei o non sei... il più astuto capitano che ci sia a Venetia?»
«Però,» ribatté brontolando Peàta, suo malgrado lusingato dal complimento, «non dovrebbe essere così pericoloso! Provo tanta rabbia, come marinaio e come mercante. Il Doge controlla un vasto impero commerciale ma poi non siamo in grado di navigare con tranquillità nel suo mare? Non va bene!»
«Hai ragione,» replicò Capeto, «come se non bastassero le navi dei carolingi e quelle degli ortodossi, ci sono anche quelle dei pirati! Per non parlare delle navi del Papa romano Stefano V...»
«E di quelle saracene.» Aggiunse Peàta.
Non aveva tutti i torti, perché la situazione in quelle acque salate era molto agitata. In realtà, in quei tempi, nessuno navigava l'Adriatico in tranquillità.
Solo pochi anni prima, nell'867, i Veneziani, guidati dal loro Doge, avevano sconfitto per mare i Saraceni, a Taranto.
Tre anni dopo, i vescovi di ritorno dal concilio di Costantinopoli erano stati catturati dai Narentani, pirati di origine slava che erano stati costretti dagli Avari in lotta con Costantinopolis a spostarsi fino alla Dalmatia, una zona ancora poco abitata. Quel territorio, però, era aspro, difficile da coltivare e non permetteva di ottenere grandi raccolti, il cibo scarseggiava e per questo i Narentani avevano scelto di dedicarsi alla pirateria.
Come se non bastasse, gli Arabi avevano attaccato anche Cumaculum e Gradus, per poi essere sconfitti dai Veneziani.
E quello con i pirati saraceni del nord Africa non era neanche l'unico dei problemi. Anche il rapporto con il papato era incrinato: nell'881, per un breve periodo, Venetia era stata addirittura scomunicata dal Papa romano.
Il futuro della spedizione commerciale di Peàta si prospettava, dunque, pericoloso e gravato da numerose incognite, soprattutto marittime.
Un qualsiasi marinaio poco intelligente avrebbe potuto anche pensare di riuscire a navigare senza problemi, ma Peàta non era certo un ingenuo.
Scelse una sedia e si versò altro buon vino. “Perché non approfittare della situazione?” disse a sé stesso. Bevve un sorso per prendere tempo e riflettere, poi si decise.
«Tutto chiaro!» disse al mercante, con tono amaro e ironico, «Dovrò solo guardarmi dai Bizantini, dal Papa, dagli Arabi, dai pirati Saraceni, nonché da quelli Narentani. Non credo che mi pagherai mai abbastanza per tutto questo, sai? Ma non ho scelta, oggi non ho ricevuto offerte migliori. Accetto l'incarico. Ma voglio la tua migliore nave, pronta a partire e ben rifornita.»
«Ottimo! Ti darò la Solaris!»
«Buona barca, va bene. Partirò con quella. Fammela trovare pronta, tra due settimane. Ma dovrai pagarmi metà in anticipo e il resto alla conclusione, se sarò di ritorno. Almeno, i miei marinai lasceranno qualche soldo alle loro famiglie, nel caso non tornassimo.»
Concluso l'accordo, fu pagato, gli furono consegnate le monete per il viaggio e altri documenti per gli affari mercantili.
Il mercante propose al capitano una buona rotta ma di anticipare la data di partenza. Attendere due settimane gli sembrava troppo. Disse che c'era una luna che, a suo parere, li avrebbe tenuti al sicuro.
Peàta chiese, sospettoso: «Perché hai tutta questa fretta?»
Per motivare la partenza quasi immediata, l'altro gli rispose: «Magari tu non eri a Venezia in quei giorni, ma avrai pur sentito raccontare che, nella concio dell'aprile 887 il nostro popolo ha eletto come suo Doge il Nobil Homo Pietro I Candiano, per acclamazione».
«Non c'ero, infatti. Come tu ben sai, non sono veneziano e cristiano, ma mi tengo aggiornato.» Nessuno sapeva la sua origine, e neanche il suo vero nome. A Venetia tutti gli stranieri erano i benvenuti, se potevano portare vantaggi alla Serenissima.
Capeto gli spiegò: «Non è stato facile, c'erano tre opposte fazioni. Siamo stati costretti a eleggere proprio lui, perché Giovanni II Partecipazio aveva appena abdicato, senza successori. Almeno, non della sua gente».
«Mi hanno detto che è stata una elezione molto difficile, non arrivavate mai a trovare un candidato che andasse bene a tutti.»
«Infatti, accade sempre così. Ma avevamo vinto. Eravamo riusciti a far eleggere Pietro I Candiano, poi tutto è andato male e siamo da capo.»
Dopo alcuni istanti il capitano chiese al mercante: «Ciò che non so, tuttavia, è come funzioni la concio e perché tu me lo stia raccontando proprio adesso. Che cosa cambia, per la mia partenza, se avete eletto un nuovo Doge?»
«La concio, la concione! Chiamala come preferisci! È l'assemblea generale degli uomini liberi di Venezia, cittadini e patrizi, a cui spetta l'elezione del Doge! Siamo in una democrazia, dei ceti abbienti. Avevamo appena eletto un uomo che personalmente trovavo vigliacco, ma tant'è, me l'ero fatto piacere, pur di finirla.»
In quella mirabile città, la concio era un esempio di democrazia, che rendeva la Repubblica un luogo diverso da tutte le altre corti europee. Per scegliere chi dovesse governarli, un ceto ristretto di vecchie e ricche famiglie patrizie nominava il Doge, con un complesso sistema che bilanciava la scelta tra gruppi opposti e concorrenti. Una volta eletto, il Doge sceglieva i suoi collaboratori tra i membri di quelle famiglie.
Con un‘espressione triste, il mercante proseguì: «Ma non sempre tutto questo sistema funziona, caro amico. Perchè sono passati soli cinque mesi e il nostro inetto Doge Pietro I Candiano è già defunto! Partito per una spedizione punitiva contro i Narentani, è morto nel loro entroterra. Ci ha lasciato un bel problema. Adesso arriverà di certo un Doge più aggressivo! La concio sta per essere di nuovo convocata, e questa volta... per noi mercanti saranno dolori! Per questo, per te non c'è momento migliore per salpare.»
«Pensi sia meglio partire prima della prossima concio?»
«Certo! Regna grande confusione, ovunque. La prematura scomparsa di Pietro I ha causato un vuoto di governo, che durerà almeno per qualche mese. Ci sarà grande scompiglio per le calli e in mare. Posso affermare con totale sicurezza che questo causerà disagi per i nostri interessi mercantili veneziani.»
«Immagino!» disse il capitano, seccamente. «Già ora Venetia non riesce a contrastare gli interessi delle altre potenze e senza un Doge al comando non potrà rispondere alle guerre o alle provocazioni.»
«Infatti, amico mio. Quindi, è meglio anticipare. Nella confusione che regna sovrana al porto, senza la luna, nessuno si accorgerà della tua partenza, se sarai accorto. Ma stai con gli occhi aperti e salpa di nascosto. Non desidero che il tuo viaggio sia documentato dai permessi delle autorità del porto. Salpa! In fretta, prima che sia troppo tardi.»
Al capitano non restò che annuire. Custodiva un segreto, che gli rendeva più facile collocare le informazioni che aveva appena ricevuto tra quelle che erano già a sua conoscenza. Non era solo un capitano di nave, era anche una spia al soldo di uno dei gran consiglieri, uno tra quelli più importanti del Doge. Per quel Nobil Homo e i suoi denari, da tempo e in gran segreto solcava i mari portando messaggi e segnali ai suoi sodali, oppure informazioni politiche che apprendeva nei porti dove attraccava.
Poco prima che uscisse dalla stanza, il mercante, gli lanciò un ultimo ammonimento: «Mi raccomando! Ti consegno parecchio denaro per acquistare le merci, ma ricordati che non è sempre necessario pagare... Non escludere la possibilità di ricorrere a metodi meno leciti per appropriarti dei beni, sfruttando il caos e la debolezza delle difese locali».
Il capitano si girò e gli rispose: «Stai tranquillo, so come comportarmi. Viaggio armato, come il mio equipaggio. Come sempre, non abbiamo alcun problema a difenderci con ogni mezzo, in caso di attacchi. A te, piuttosto, chiedo di mantenere il massimo riserbo sulla mia partenza e soprattutto sulla meta. Il molo del porto è pieno di spie, lo sai bene, per non parlare della zona attorno agli squeri».
Nella zona dei cantieri navali, infatti, molti vivevano di sotterfugi ed espedienti e non era raccomandabile aggirarsi nottetempo tra quei moli.
Tea Vergani
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