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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP, ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo già formattato che per la copertina.
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Cristina Castelluzzo
Titolo: Sbocceranno i fiori d'arancio
Genere romance
Lettori 600 2 2
Sbocceranno i fiori d'arancio
«Lei mi è sacra. Ogni desiderio tace alla sua presenza. Non posso dire quello che succede in me quando le sono vicino; mi pare che tutta l'anima si riversi nei miei nervi...»

Johann Wolfgang Goethe, I dolori del giovane Werther

24 aprile.

L'anima si riversi nei miei nervi... Che bella espressione! Ma è solo finzione o un amore può essere davvero così elettrizzante e totalizzante come quello di Werther per Lotte? E poverino, tanto sentimento riversato in un amore impossibile. È un'ingiustizia!
Me ne sto seduta, con il libro in mano, appoggiata al tavolo della cucina, e fisso dalla finestra aperta il mosaico di San Michele arcangelo, che dà il nome alla chiesa ben visibile da casa mia. Rifletto sul romanzo che sto leggendo e spero di non incappare anch'io in un amore non corrisposto. Soprattutto, non come prima esperienza!
Dopo questa considerazione pessimistica, decido di passare ai pensieri positivi e, di botto, vado in tilt. Mi perdo, completamente incantata!
Comincio a visualizzare per l'ennesima volta, sarà almeno la milionesima, la serata di cinque giorni fa, quella della festa del diciottesimo di Carlo in discoteca.
Quando qualche mese prima, festeggiando insieme alla sua famiglia e a lui il Natale, mi aveva detto della sua intenzione di organizzare lì, ero impazzita per l'emozione.
Finalmente sarei andata in discoteca!
A quindici anni, per la prima volta.
Ma meglio tardi che mai, in fin dei conti! Finora l'avevo vissuta solo attraverso i racconti delle mie compagne, che l'avevano frequentata diverse volte. Io sembravo l'unica sfigata, o quasi, che non sapeva nemmeno cosa fosse. Chiedere a mia madre di poterci andare era impensabile, mi avrebbe riempita di mille domande. Con chi vai? Che ci vai a fare? Vuoi andarci per bere? Speri di trovarci il principe azzurro?
Adesso invece era arrivato il momento giusto, senza dovere convincere qualcuno e giustificarmi. E senza aspettarmi un no secco come risposta. D'altronde sarei andata con Carlo e la mamma con lui mi manderebbe sulla luna. E anch'io ci andrei. Carlo è il mio porto sicuro.
Ma tornando alla disco, mi ero chiesta molte volte se mi sarebbe piaciuta o la musica a tutto volume, le luci e la confusione mi avrebbero infastidita. In tal caso, sarei stata un'adolescente anomala, senza ombra di dubbio!
Avevo cominciato così a contare i mesi, i giorni, forse anche le ore e i secondi. Ma in fondo ne era valsa la pena, adesso posso affermarlo a pieno titolo.
Per me era stato tutto perfetto. Mi rivedo. Mi sentivo molto attraente, probabilmente come mai prima di quel momento. Avevo smesso di tagliare i capelli, abbandonando poco alla volta l'odioso taglio a caschetto, che mi dava un'aria da mocciosetta, e finalmente erano diventati lunghissimi. Quella sera cadevano lisci e scuri su una camicia aderente bianca di seta, così luminosa da illuminare probabilmente anche il mio colorito, che di solito è bianco spento, quasi mozzarella. La zip terminava in un ciondolo d'argento a forma di luna, smaltato di giallo e rosso, che mi era stato regalato da poco e che sfoggiavo per la prima volta. E indossavo gli irrinunciabili pantaloni neri, perfetti per ogni occasione, probabilmente gli stessi che indosso anche oggi.
Quanti tutorial sul trucco avevo visto per cer- care quello perfetto per me? Quanti suggerimenti avevo chiesto alla mia amica Gioia e ad alcune altre compagne, che mi sembravano, e lo sono ov- viamente tuttora, sempre perfette e all'ultima moda? Ovviamente temevo un po' il loro giudizio. Alla fine, mi ero limitata a mettere un po' di fondotinta, l'eyeliner, il mascara e un lip gloss quasi trasparente sul rosa. Nonostante ciò, davanti a mia madre e il suo sguardo super indagatore, mi ero sentita terribilmente imbarazzata. Ma cosa stavo facendo di male? Perché dovevo sentirmi così? Mi pare normale crescere e i genitori dovrebbero accettare i cambiamenti senza guardarci in modo strano, quasi inopportuno direi. Suggerirei agli psicologi più in voga di tenere dei corsi sull'argomento!
Comunque, pure Carlo mi era sembrato colpito. Eravamo vestiti in modo simile. Anche lui, infatti, aveva una camicia bianca super attillata, lasciata parzialmente aperta per slanciare la figura e mettere in bella mostra la sua carnagione scura e la sua collana con tanto di ciondolo colorato, in linea con il suo estro artistico. I suoi ricci neri e lunghi quella sera lo erano ancora di più, a causa del gel o di qualche spuma.
Ma lo ammetto, più che sul festeggiato, ero concentrata su me stessa, imprigionata in una sorta di mania di protagonismo temporanea.
Carlo non aveva tardato a prendermi in giro, dicendomi che quella sera avrebbe fatto bene a controllare i suoi amici uno a uno per evitare che esagerassero con le attenzioni. E forse non aveva torto, perché, in effetti, mi era parso di ricevere più sguardi di quanti non ne avessi mai ricevuti prima.
E poi era arrivato il momento fatidico. Quello che torna e ritorna nella mia mente e non mi lascia più.
Mentre io e Carlo parlavamo, si era avvicinato un suo compagno di scuola: lo smanettone infor- matico e divoratore seriale di fumetti, Elia.
Mi aveva salutata dicendo qualcosa che non avevo capito, era davvero goffo.
Ogni volta che ci ripenso, sorrido nel tentativo di ricostruire mentalmente le varie possibilità:
1. «Ciao, sei tu Vicky, la super amica di Carlo di cui mi ha parlato fino allo sfinimento?»
2. «Ciao. Chi sei e dove sei stata finora? Nei miei sogni o in una realtà parallela?»
3. «Carlo mi aveva detto di avere un'amica sexy, ma non l'avevo preso in parola, altrimenti avrei insistito per conoscerti prima!» Quest'ultima ipotesi mi fa arrossire al solo pensiero.
In realtà, per essere onesta, penso che si sia limitato a salutarmi per cortesia e che abbia detto qualcosa tipo: «Dov'è il tavolo del buffet? Sto morendo di fame!»
Però era terribilmente carino...
Ripenso a lui, ai suoi modi un po' impacciati. È un bel castano, alto e robusto, una piccola mon- tagna. Quanto mi piacerebbe stringermi a lui, perdermi nel suo abbraccio!
Ma al solo pensiero sento le guance arrossarsi! Che sensazione proverei? Sarebbe un po' la prova del nove per capire se mi sono innamorata, o no?
E sarebbe capace di esprimere idee romantiche come quelle di Werther, magari con un linguaggio un po' più moderno?
Mentre sono avvolta in questi pensieri e fisso il vuoto, all'improvviso ho l'impressione di es- sere osservata. Ero così imbambolata da non essermi accorta che la nonna se la sta ridendo men- tre mi osserva, completamente sulle nuvole e
anche più su, e canticchia in tono ironico il ritornello di una vecchia canzone: “La strada nel bosco.”

Vieni, c'è una strada nel bosco il suo nome conosco vuoi conoscerlo tu? Vieni, è la strada del cuore dove nasce l'amore che non muore mai più.

Gino Bechi, La strada nel bosco

A questo punto non posso che tornare al presente.
«Nonna che c'è? Perché canti questa canzone e mi guardi ridendo? Ho fatto qualcosa?»
Poi penso: Speriamo che non sospetti niente. A volte sembra una maga!
Sorridendo con fare sornione mi risponde: «E lo chiedi a me? Io non posso saperlo, al massimo immaginarlo. Tu invece sì, e se vuoi puoi parlarmene, io sono tutta orecchie. Ho la vaga sensazione che stessi pensando all'amore ma, per carità, posso anche sbagliarmi. So per certo, però, che sembravi distante anni luce da qui.»
Sono molto imbarazzata, non mi sento pronta ad aprirmi con lei. In cuor mio, dubito che noi due possiamo parlare e comprendere lo stesso linguaggio delle emozioni.
Lei, con il suo intuito eccezionale, lo capisce e mi dice: «Pensi forse che abbia dimenticato cosa significa innamorarsi perché è passato troppo tempo o perché ai miei tempi si amava in modo diverso? Ricordati che l'amore è come un fuoco e la sua intensità non può cambiare nel tempo. Una fiamma è sempre una fiamma, in questi tempi come nei miei.»
Mi guarda e forse il mio sguardo esprime an- cora delle perplessità. Così continua: «Vicky, avrò dimenticato molte cose del mio passato, ma ce ne sono alcune che non si possono scordare. Ad esempio, visto che mi chiedevi della canzone, sai che a causa di questa hai rischiato di non nascere?» e poi tace, aspettando la mia reazione.
Capisco che non è possibile fuggire da questa conversazione e rispondo: «Addirittura non nascere per una canzone, di non so quanto tempo fa? Sembra antichissima! Non capisco, nonna. Cosa c'entra? Se volevi incuriosirmi, ci sei riuscita, lo confesso! Racconta pure, ti ascolterò con molta attenzione.»
«C'entra eccome! Devi sapere che una sera, verso le dieci, forse pochi giorni prima del Natale del '45, mi ero, come ogni giorno, preparata per andare a dormire, mettendo la camicia da notte. Ero al calduccio sotto le coperte, quando cominciai a sentire la voce di qualcuno che cantava giù in strada. Poi il terrore. Il canto proveniva da sotto la mia finestra. Sì, perché era una serenata. Ed era rivolta a me! A cantare era Salvatore, un ragazzo della mia stessa età, che nei mesi, e soprattutto nei giorni precedenti, aveva cercato inutilmente di at- tirare la mia attenzione.»
Non so se provo un po' d'invidia. La interrompo un attimo e le chiedo: «E tu come ti sei sentita all'idea che quel ragazzo fosse lì a cantare per te?»
«Non bene, come pensi. Anzi ero delusa, arrabbiata e furiosa. Mi veniva da piangere e in un primo momento soffocai le lacrime, ma quando finalmente andò via, magari frustrato per non es- sere riuscito nel suo intento, andai a dormire e inzuppai il cuscino di lacrime. Non era lui che volevo. Mai e poi mai!
«Ma la storia non finisce, qui perché la bisnonna Lucia il giorno successivo colse l'occasione per ricordarmi che la guerra era finita e che il mio Umberto non era tornato. Forse con un po' di crudeltà mascherata d'affetto mi disse: “Non capisci che disperso significa morto? Non tornerà mai più! Vuoi per caso rimanere zitella? Ma non pensi alla possibilità che hai? Salvatore è di buona famiglia e ti renderebbe di sicuro felice!” Io mi sentii incompresa, profondamente sola, e le risposi: “E tu non capisci che non me ne frega niente di lui, della sua famiglia, e di restare zitella?”»
Poi rivolgendosi a me, mi dice con il cuore in mano e lo sguardo carico di commozione: «Una cosa però non ho avuto il coraggio di mettere in chiaro una volta per tutte con mia madre...»
«Cosa, nonna? Sono curiosa.»
«Avrei tanto voluto dirle: Nel mio cuore c'è posto solo per il mio bel ricciolone! O lui o nessuno, a costo di aspettarlo per l'eternità.»
In un lampo ripenso alla foto in bianco e nero del nonno in divisa, a quanto era bello con i suoi folti capelli neri e il bel sorriso, e le rispondo: «Wow, nonna, che storia! Ma adesso mi è venuta voglia di saperne di più. Prima mi hai parlato del modo diverso di far scoccare la scintilla amorosa e uno di questi di sicuro è la serenata di Salvatore con la quale ha cercato di catturare il tuo cuore. Sicuramente c'erano altre strategie. Un giorno mi racconterai di come il nonno è riuscito ad accendere la tua fiamma?»
«È la prima volta che me lo chiedi. E anche se non hai risposto alla mia domanda, mi sa che l'amore è nell'aria, però, al momento non vuoi confidarmelo. Non è che per caso si tratta del nostro Carlo ed è per questo che non me lo vuoi confessare?» E mi rivolge uno sguardo indagatore un po' buffo.
«Ma nonna! Cosa ti viene in mente? Per me Carlo è uno di famiglia. Siamo cresciuti come cugini, o addirittura quasi fratelli. E adesso per quale motivo, all'improvviso, dovrei vederlo in maniera diversa? No, no. Stavo solo pensando, ispirata da un romanzo. Ma stai certa che, quando mi innamorerò, tu sarai tra le prime a saperlo!»
«Ci conto, Vickina mia!» e mi accarezza dolcemente la testa.
Finite le sue confidenze da giovane innamorata, rimango da sola e rifletto un po'. Giungo alla conclusione che l'amore totalizzante dei miei nonni è simile a quello descritto nella frase che mi ha colpito dei Dolori del giovane Werther di Goethe e penso: Vivrò mai anch'io un amore così? Magari con Elia?
Cristina Castelluzzo
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