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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Il ritorno in Sicilia rappresenta da sempre un momento di libertà, di vita fuori dai soliti schemi, ma anche di ricordi e trasgressioni. Qui ho scoperto la mia indole passionale, così diversa da quella gelida e apparentemente controllata, istigata dalla mia educazione a Kaliningrad. Sin dalla prima volta è come se il mio corpo si fosse accorto di possedere un diverso DNA, qualcosa che qui definiscono “sangue caldo” e di cui inizialmente ignoravo l'esistenza. Con gli anni ho imparato a controllarlo, eppure a ogni ritorno percepisco una sorta di agitazione interna che mi porta irrimediabilmente a evadere dalla prigione delle convenzioni. Mia madre mi accoglie ogni volta col solito interminabile abbraccio, mentre mi sussurra all'orecchio la solita frase: non mi mettere in imbarazzo coi parenti. Già... qui il curtigghiu è una pratica latente, una specie di diario giornaliero dove la gente si scambia i pettegolezzi più piccanti. Naturalmente, ogni estate, sono io la protagonista assoluta dei pettegolezzi della gente. Ad accogliermi, come sempre, c'è anche mio cugino Jaco che ormai non è più il picciriddu che mi spiava la mattina mentre mi rigiravo nuda dentro il letto. Appena restiamo soli, mi trascina in disparte e immediatamente mi dice che: «Tengo una proposta indecente!» Non voglio ricadere nel solito gioco di provocazioni e gli rispondo laconicamente che non mi interessa. «Haju farti canùsciri 'n omu.» insiste. «Non voglio conoscere nessun uomo.» gli rispondo con aria risoluta. «Avi 'na varca ranni e tene tutti i to' libri. Vinna apposta pi tia.» «E cosa vorrebbe quest'uomo con la barca che ha letto tutti i miei libri ed è venuto apposta per me?» «Iu criu chi ti voli futtiri!» lo dice candidamente, come se fosse normale che io vada a letto col primo arrivato. È il concetto imperante che alberga nell'immaginazione dei miei lettori e ancora di più nella testa degli abitanti di questo paese. Fingo di stare al gioco e lo lascio raccontare, pregandolo di parlare in italiano perché non voglio perdermi il senso completo della storia. «Viene da Palermo.» precisa «E con una barca così grande dev'essere ricco assai!» «Cosa ne sai di questo uomo?» «L'ho incontrato al bar del porto che cercava informazioni sul tuo conto. Gli ho raccontato che sei mia cugina e che ti conosco personalmente. Quello poi mi ha subito invitato sua barca, mi ha offerto una limonata e mi ha fatto tante domande.» Non so fino a che punto posso credergli, Jaco farebbe di tutto al fine di incasinarmi la vita, per poi formulare qualche ricatto a suo favore. Lo incito a continuare mentre cerco di comprendere cosa gli ha davvero raccontato. «Chi si na pocu arrusa!» Gli rifilo uno buffetto sulla guancia e subito mi pento. «Non ti devi permettere di fare queste considerazioni su di me con uno sconosciuto!» lo avverto «E poi questo coso, che nemmeno so come si chiama, che va cercando nella mia vita?» «Mi ha dato cento Euro per portarti il suo messaggio.» si affretta a spiegarmi, assumendo un'aria triste «E io questo ho fatto. Non te la devi pigliare con me.» «Il messaggio è una cosa, ma andare a dirgli che sono un po' puttana non lo dovevi fare!» «Solo un poco puttana... questo gli ho detto.» Faccio fatica a restare seria e gli chiedo quale messaggio mi doveva portare. «Ti vuole invitare sulla sua barca per una cena.» «Solo questo?» «Solo questo!» lo afferma con convinzione. «E allora perché mi hai detto che vuole fottermi?» «Forse ti vuole fottere.» sorride «È normale, chi non ti vuole fottere in questo posto?» «È solo sulla barca?» «Quannu ci stesi iu nun c'era nuddu» «Se la barca è grande, non la può governare da solo. È giovane o vecchio?» insisto. «Giovanotto nun jè.» «Ha anche un nome o lo devo chiamare coso?» «Iddu si chiama Antonio, il cognome non lo conosco.» Mi incuriosisce, mi lascio convincere a incontrarlo e mi accordo con Jaco affinché gli riporti la mia disponibilità per una sera dei prossimi giorni. «Ci puoi parlare tu direttamente.» mi mostra il numero di telefono scritto sulla mano. Non è normale che quest'uomo arrivi qui con la sua barca solo per conoscermi e la scusa che abbia letto tutti i miei libri mi risulta poco credibile. Sono tentata dal chiamarlo immediatamente, ma riesco a tenere a bada la mia insana agitazione. Solo un anno fa sarei rimasta eccitata da una simile proposta, ma negli scorsi mesi sono accadute molte cose e il sesso ha perso il suo posto in prima fila nei miei pensieri. Non riesco nemmeno a trovare una spiegazione a questa apatia. Forse ho esagerato troppo in passato e adesso è svanito quel morboso fermento che non riuscivo a controllare. A volte mi chiedo se la definizione di Jaco ha ancora un senso: sono davvero ancora un po' puttana? Il pranzo coi parenti è la solita manfrina a cui non mi abituerò mai. Tutti i maschi mi lanciano occhiate sensuali e le rispettive mogli mi giudicano negando la mia stessa esistenza. Solo i ragazzi mi corrono intorno fingendo di giocare con la palla, ma sistematicamente la lanciano sotto il tavolo per controllare se questa volta porto le mutande. Nel pomeriggio tutti dormono. Fa caldo e io cerco di abituarmi ancora una volta all'estate siciliana. Ho memorizzato il numero dello sconosciuto sul telefono e sono tentata di chiamarlo. Dopo qualche minuto di riflessione opto per un messaggio su Wahtsapp. Mi presento con tre parole e gli chiedo cosa vuole. Mi risponde dopo qualche secondo e immediatamente cattura la mia attenzione. «Dovresti ricordarti di me.» scrive, intervallando ogni frase con una lunga pausa «Prova a resuscitare dalla memoria il paese di Portella.» «Non ho idea di dove sia.» rispondo con un vuoto assoluto nella testa. «La valle dei templi.» mi suggerisce. Di colpo si accende un ricordo flebile nella mente e poi, lentamente, si dirama nei mille rivoli del passato: «Tu sei quell'uomo?» gli domando, con un brivido che mi scende tra le gambe. «Sono quell'uomo!» aggiunge un emoticom divertita «Ne hai fatta di strada da allora.» continua «Ho provato a contattarti su Facebook, però non hai mai risposto.» «Se dovessi considerare tutti i messaggi che ricevo sui social, non riuscirei neppure a scrivere o a lavorare... forse nemmeno a respirare.» «Allora di ricordi di me? Posso chiamarti?» Trovo come scusa la presenza di mia madre e gli assicuro che lo farò io più tardi. Chiudo la conversazione, chiudo gli occhi e mi sdraio sul letto; ho bisogno di pensare. Non leggo neppure la sua risposta, ora sento la necessità di tornare a quegli istanti che pian piano emergono dal profondo e mi confondono dentro. Non riesco a localizzare nel passato quella visita nella valle dei templi e cerco disperatamente di mettere nella giusta fila degli eventi le mie prime estati siciliane. Ci arrivo dopo aver consultato i diari e mi rendo conto che in quella occasione avevo addosso la t-shirt che mi avevano regalato alcuni mesi prima per i miei diciotto anni. Una fotografia sgualcita, incollata sulla pagina di quel giorno mi riporta esattamente nel contesto che per motivi ignoti avevo cancellato e soltanto ora ne comprendo il motivo. In quel periodo avevo discusso ferocemente con mia madre in seguito alla scoperta delle mie precoci abitudini sessuali e avevo il dubbio che potesse frugare i miei quaderni. Sembra assurdo, ma la mancanza di quegli appunti aveva creato una sorta di buco nero nella memoria, cancellando uno degli episodi che più mi aveva risvegliato i sensi. Non sapevo nemmeno che quell'uomo si chiamasse Antonio, non era importante. Mi aveva avvicinata con una scusa e incantata con la sua conoscenza della Grecia classica. Non era una guida. Era un semplice turista come lo ero io e riuscì a farmi perdere il contatto con le mie compagne, ammaliandomi con la sua dotta parlantina. Quando fu il momento di tornare a casa, mi ritrovai sola e l'unico modo per rientrare era quello di accettare un passaggio da lui. Si qualificò come un professore, ma per i miei canoni di allora era soltanto un anziano signore dai modi educati e dal fascino misterioso. Quando mi accompagnò alla sua jeep, si tolse persino il cappello e mi aprì la portiera. Subito dopo notai distintamente il suo sguardo tra le mie cosce che scivolavano sul sedile di pelle bollente, mentre sollevavo la gonna quanto bastava a mostrare il resto. I miei succinti slip candidi di cotone non riuscirono a proteggermi dal calore e dovetti alzare sistematicamente le natiche per non ustionarmi. Mi sorrise dal parabrezza mentre girava sull'altro lato, pregustando forse la mia sofferenza. «Per proteggersi dal sole occorre coprirsi.» sentenziò «Ogni millimetro di pelle esposta aumenta il disagio e tu sei bianca come la luna.» Avrebbe potuto raccontarmi qualsiasi cosa e per me sarebbe stato un complimento. Mi fidavo ciecamente di lui, anche quando mi consigliò di appoggiare i piedi sul cruscotto da dove, da lì a poco, sarebbe fuoriuscita l'aria fresca. E intanto la mia gonna, corta e leggera, svolazzava allegra sul mio ventre. Trafficò con la radio e ne sortì un brano di musica classica che non conoscevo. Il professore ne seguiva il ritmo agitando l'indice nell'aria, mentre canticchiava sommessamente con etereo trasporto. Quando meno me lo aspettavo, il dorso della mano con cui cambiava le marce mi sfiorò più volte, trasformando quell'azione meccanica in una carezza. Poi, quando la strada perse la tortuosità della curve, le sue dita raggiunsero furtivamente l'elastico sul fianco dei miei slip. |
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