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Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Mattia Marnini
Titolo: Cuori divisi
Genere Thriller Storico Drammatico
Lettori 12
Cuori divisi
Una rossa. Un nero. Un amore devastante negli anni di piombo.

Dentro di sé, il nome di Martina gli batteva in testa come un allarme.
Lei... che non parlava mai di politica.
Lei... che evitava certi argomenti con una grazia quasi sospetta.
Anche lui non le diceva mai nulla.
Perché sapevano, inconsciamente, che poteva bastare una parola per far crollare tutto.
Domenica pomeriggio, a una settimana dal corteo.
«Allora amore, il 25 aprile ci vediamo?»
Lo chiese Martina, nuda sotto il lenzuolo, le gambe intrecciate alle sue, le dita che disegnavano cerchi pigri sul petto nudo di lui.
Simone sorrise. Un sorriso tenero, ma già armato.
«Magari... ma il direttore dell'Excelsior mi ha fatto il regalino: doppio turno. Mi ha detto che quel weekend che mi ha lasciato libero, quando abbiamo fatto il picnic, me lo fa pagare tutto.»
Martina fece una smorfia.
«Che stronzo. E io che volevo portarti a Latina...»
«Latina??»
Chiese lui, sorpreso.
«Eh sì... da mia zia Antonietta. Grigliata di famiglia. Pomeriggio eterno. Carne bruciata. Cugini molesti. Mia madre che rompe le palle. Un incubo.»
Risero contemporaneamente.
Due bugie nude nello stesso letto.
Due amanti che si coprivano con veli di menzogne per non guardarsi davvero.
Nei giorni successivi, l'amore e la lotta si intrecciavano.
Simone tornò da Marco.
Birre, sigarette e cartine stradali di Roma sul tavolo.
Assegnarono zone, studiarono orari.
Evitarono le strade controllate, scelsero vie di fuga.
Volevano colpire e sparire.
O almeno... esserci. Farsi vedere e valere.
Anche Martina partecipava alle sue assemblee.
Una nella sala occupata del quartiere, l'altra nella comune.
Si discuteva di ordine del corteo, di sicurezza, di testi da cantare.
Martina fu scelta per guidare i cori.
Aveva una voce forte, trascinante, perfetta per rompere il silenzio.
Le diedero il megafono.
Sarebbe stata la voce del loro corteo.
E nel frattempo, si amavano. Sempre di più.
Ogni sera, quando possibile, un appuntamento.
Un panino allungando la passeggiata fino a Trastevere.
Un cinema d'essai al Pigneto, dove fingevano di interessarsi al film.
Una corsa sotto la pioggia con le mani intrecciate.
Una notte in stanza da Simone, con il letto sfatto e i sospiri veri.
Facevano l'amore come chi sa di non avere tempo.
Con urgenza.
Con fame.
Con una dolcezza quasi disperata.
Il suo corpo cercava il suo.
Le bocche si ritrovavano come isole.
Le mani tremavano, i respiri si rincorrevano.
E poi... restavano abbracciati a lungo.
A guardarsi. Ad annusarsi. A dormire.
A non dire tutto quello che avrebbero dovuto dire.
Finché nessuno gridava «compagno!» o «camerata!»... potevano ancora illudersi.
Potevano ancora amarsi.
Finché il 25 aprile non fosse arrivato.
Ma mancava poco.
Solo sette giorni.
E con esso...
Sarebbe arrivata forse la verità.
O la fine.
O forse entrambe.

25 aprile 1979

Roma, 25 aprile 1979 – Ore 6:03
La città era sveglia da un pezzo.
Ma non per la festa.
Per la paura.
Un elicottero della polizia sorvolava il cielo plumbeo sopra Termini.
Le pale tagliavano l'aria con un rumore secco, intermittente, militare.
Blindati, Defender, camionette della Celere erano già schierati lungo Via Cavour, davanti al Colosseo, al Campidoglio, a Piazza Venezia.
Sembrava una capitale sotto assedio.
Ma il nemico era interno. Invisibile. Ideologico. Rabbioso.
La Questura aveva fatto sapere che più di 7.000 uomini in divisa sarebbero stati mobilitati: polizia, finanzieri, carabinieri, DIGOS, persino reparti speciali.
Erano previste almeno sei manifestazioni separate, oltre a decine di presìdi spontanei, provocazioni, contromanifestazioni.
Le zone rosse erano ovunque: San Lorenzo, Esquilino, Trastevere, Testaccio, Centocelle.
Roma era una polveriera. Bastava una scintilla per farla brillare.
Ore 6:21
Martina si svegliò prima del sole.
Si era addormentata vestita, con i jeans e la maglietta con la stella rossa.
Sotto il letto, il megafono.
Accanto alla finestra, il giubbotto con le spille: “Contro il fascismo non si media”, “Antifa sempre”, “Potere operaio”.
Si lavò la faccia in fretta, legò i capelli in una coda e si strinse la kefiah al collo.
Nel cortile della comune c'erano già una ventina di ragazzi.
Chi con il termos del caffè, chi con le bandiere arrotolate, chi ancora con lo sguardo assonnato e rabbioso.
Giulio le sorrise e le porse un panino al formaggio.
«Oggi si fa la storia.»
«Oggi si fa casino.»
Rispose lei.
Alle 7:00 partirono a piedi verso Piazza Vittorio, punto di raduno del corteo organizzato da ANPI, partigiani storici, sindacati, collettivi studenteschi.
Martina sarebbe salita sul furgoncino col megafono.
Era lei la voce.
Quella che guidava i cori.
Ore 6:39
Anche Simone era sveglio.
Ma il suo risveglio sapeva di metallo e rabbia.
Indossò i jeans neri, la felpa nera con cappuccio e la giacca in pelle.
Nel cassetto, sotto i calzini, c'era il manganello telescopico.
Lo infilò nella fodera interna del giubbotto. Accanto, il tirapugni.
Si guardò allo specchio.
Il viso teso. Gli occhi scuri. Il cuore pesante.
Pensò a Martina. Per un attimo. Solo un secondo.
Poi chiuse tutto dentro.
Oggi non c'era spazio per i sentimenti.
Raggiunse Marco e gli altri davanti alla stazione Tiburtina.
Il piano era chiaro:
avvicinarsi ai presìdi CGIL in zona Ostiense.
Aspettare che si formassero i cordoni.
Colpire a sorpresa e sparire tra le viuzze di Garbatella.
Erano in diciotto.
Divisi in tre blocchi.
Preparati. Allenati. Decisi.
Ore 10:12 – Piazza Vittorio.
Il serpentone rosso era partito.
Martina era sul furgone.
Gridava cori che squarciavano l'aria:
«Siamo tutti antifascisti!»
«Fuori i fascisti dalle città!»
Intorno a lei, migliaia di persone.
Anziani con le medaglie partigiane, studenti con bandiere rosse, operai dei sindacati, femministe, autonomi.
Un fiume umano che avanzava lento verso il centro.
Lungo Via Merulana, in direzione del Colosseo.
Le voci erano alte, il battito dei tamburi continuo.
Ma la tensione si avvertiva ovunque.
Dietro ogni angolo, una camionetta delle forze dell'ordine.
Sui tetti, uomini in borghese con la radio.
Ore 11:27 – Via Ostiense
Il gruppo di Simone era pronto.
I sindacalisti si stavano radunando davanti alla sede della CGIL.
Casacche blu, bandiere rosse, striscioni.
Nessuno si aspettava l'attacco.
Scattò tutto in trenta secondi.
Una bottiglia lanciata.
Un fischio.
Poi una pioggia di colpi.
Manganelli contro bastoni da manifestazione.
Insulti, sangue, urla.
Ma la vera sorpresa... fu la carica improvvisa della Celere.
Contro tutti.
I poliziotti spuntarono da Via del Gazometro.
Manganelli alzati, scudi, idranti e lacrimogeni.
Colpirono a raffica.
Non distinsero tra neri e operai.
Simone sentì il tonfo di un casco sul fianco.
Cadde a terra, si rialzò.
Un calcio in pieno stomaco.
Poi una manata in faccia.
Era il caos più totale.
Uno dei loro fu trascinato via.
Due compagni della CGIL a terra, con la testa rotta.
Un autonomo ferito al volto urlava sputando alcuni denti.
Simone fuggì con Marco verso il ponte della Ferrovia.
Corsero senza voltarsi.
Marco si accorse di avere un grosso squarcio nel giubbotto in pelle nero, sul fianco destro.
Gli era andata bene... la coltellata aveva tagliato solo il giubbotto.
Ore 13:04 – Colosseo
Il corteo rosso era arrivato.
Davanti al monumento alla Resistenza, un palco improvvisato, cori, discorsi, applausi.
Martina non aveva più voce.
Aveva il viso arrossato. Un livido appena sotto lo zigomo sinistro.
Avevano incrociato un gruppo di fascisti nel sottopassaggio della metro a San Giovanni.
Uno scambio di insulti.
Poi uno schiaffo. Una spinta. Una corsa.
Erano riusciti a scappare.
Ma la tensione non era mai cessata.
Ore 18:22 – Roma Est
Gli scontri si erano diradati.
Ma la città era ancora nerbosa.
Il giornale radio parlava di 42 feriti:
12 agenti.
18 manifestanti rossi.
7 militanti neri.
9 arresti.
Due cortei interrotti.
Cinque mezzi delle forze dell'ordine vandalizzati e dati alle fiamme.
Ore 21:11 – Stanza di Simone
Simone si tolse la maglia.
Il petto era pieno di lividi.
Una costola gli faceva male.
Aveva una ferita sul sopracciglio.

Mattia Marnini
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