Writer Officina Blog
Ultimi articoli
Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP, ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo già formattato che per la copertina.
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
Home
Admin
Conc. Letterario
Magazine
Blog Autori
Biblioteca New
Biblioteca Gen.
Biblioteca Top
Autori

Recensioni
Inser. Estratti
@ contatti
Policy Privacy
Writer Officina
Autore: Francesco Marino
Titolo: La doce Aura del sud
Genere Romanzo
Lettori 752 1 1
La doce Aura del sud
La torre del borgo antico suonò poco dopo le dieci, i malati dell'ospedale li vicino, dormivano ancora nei loro letti. I medici, fermi nelle loro stanze a riposare, discorrendo sui nuovi arrivati.
In quella struttura, che sembrava essere una grande caserma, in un ala ben precisa c'era il manicomio, dove medici più o meno sani di mente seguivano i vari casi.
La nuova direttrice amministrativa, subentrata da poco tempo in sostituzione della precedente andata in pensione, era una donna veramente straordinaria, difficile da contraddire per la sua eccellente preparazione. Splendidi capelli castani legati a coda di cavallo, occhi celesti come il cielo e un portamento da far invidia, il suo nome era Maria Elisabetta.
I pazzi, reclusi in apposite stanze, dimoravano in reclusori scientifici e non era raro che qualcuno si proponeva nel fare la corte a Maria Elisabetta. Anche alcuni medici si proponevano alle grazie di lei, con la donna che accettava ogni piccolo approccio.
«Si metta seduto, signor dottore e si fumi un sigaro», disse Nicola, «li ho comperati all'Avana, quattro anni or sono, nell'ultimo viaggio fatto, prima di diventare pazzo», concluse. Un pazzo tranquillo, un pazzo formidabilmente logico, non un pazzo di quelli pericolosi.
«Le premetto, caro dottore, che non intendo già discutere il mio caso individuale di pazzia, perché le dichiaro subito che non ho mai avuto l'ambizione di rassomigliare a quella grande turba di persone che si dichiarano sane di mente. Adoro la mia follia, che mi salva dalla ressa dei tanti imbecilli borghesi, tant'è che no ho mai pensato di evadere dal suo manicomio, visto che qui mi trovo benissimo e dove penso di soggiornare a lungo, per riposare la mente», concluse l'uomo, con il medico che l'ascoltava attentamente prendendo nota dei suoi discorsi per nulla banali.
Nicola fece notare che fu un vero sopruso quello di internarlo come pazzo. Ragionava a modo suo e non aveva mai dato segni di squilibrio mentale, quel suo ricovero coatto fu un vero e proprio errore scientifico. Pur vero che non intendeva parlare in difesa della sua sanità mentale, di quel mondo che lo circondava che definiva malato e corrotto. La sua descrizione sulla pazzia dell'essere umano era definita un bel raggio di sole nel deserto arido.
Del resto quel manicomio lo aveva preso per un albergo in cui soggiornare a lungo. Impiegati modello, la cucina che meritava forse qualche ritocco e le stanze che non lasciavano nulla a desiderare. Riusciva nell'intento di restarci a lungo senza farsi espellere. Non sarebbe mai tornato in mezzo a quella turba di forsennati, apparentemente sani, che passavano il tempo a strapparsi dalle unghie qualche pugno di vile oro o a piantarsi nella schiena una pugnalata. Il manicomio era forse l'ultimo rifugio dell'uomo che tutto aveva conosciuto nel mondo e udire, dalla bocca dei pazzi, qualche parola sensata. Non si lagnava di certo di stare rinchiuso li dentro, nell'ala migliore dell'edificio, un immenso parco secolare che dava l'impressione di essere in paradiso.
Stanco di aver viaggiato in lungo e in largo, di aver fatto non so quante volte il giro del mondo, provava una vera pace e segregazione da quel grande mare di seccatori e imbecilli che formavano la società umana. Si lamentava solo di quel sistema malato che lo aveva rinchiuso in manicomio, fermo obbligato a non continuare il suo viaggio altrove .
Nel suo cuore di masnadiero e di depredatore di bellezze, nel suo cervello puro dalla contaminazione dei volgari pregiudizi, un sereno interesse filosofico a scoprire un senso d'idealità nei casi della vita.
Ma siccome la filosofia e l'alcool andavano insieme, si ritrovava spesso ad avere tra le mani un bicchiere di vecchissimo Cognac, poesia distillata con profumi di erbe misteriose.
«Lei sta divagando, dunque è un pazzo», disse il dottore guardando Nicola in viso, mentre con la mente, sorseggiava quell'amaro Cognac immaginario, con l'illusione del bicchiere stretto tra le mani.
«No, dottore. Non divago, ma ho ben compreso che nel mondo la bellezza consiste nel volere per sé una ghirlanda e un Cognac».
Poiché avesse una folle indole attiva, Nicola non poteva starsene con le mani in mano, ad osservare o contemplare quel che succedeva tra i fili dell'erba del parco. Era ben chiaro che avevano voluto sbarazzarsi di lui, perché dava noia alla Pubblica Sicurezza, al Governo, agli imbecilli. I fetenti borghesi volevano essere loro stessi e pretendevano che Nicola non li sminuzzasse, mettendo in dubbio la loro identità, dichiarandolo pazzo pericoloso. Il mistero che sempre l'aveva circondato, non era mai andato a genio verso i borghesi, che da un lato vedevano l'irregolarità della sua vita e dall'altro un pericolo costante. Dunque preferirono farlo arrestare dagli stessi medici del manicomio perché non avrebbero osato incaricare gli agenti preposti.
Il parco, cinto da una muraglia, dove si spegneva da un ombra di pinete il rumore del mondo, era colmo di leggere acque improvvise che tremavano sotto il muschio. Sembrava un paradiso in terra, tanto verde attorno che circondava la struttura, si sentiva soffocare dalla gioia di vivere.
Rientrò in stanza e fu riportato al cospetto del dottore per la terapia.
«Se volessi andarmene di qui, non sarebbe davvero tanto difficile. I guardiani, o si comprano o si ammazzano, ed i cancelli, per quanto alti, non sapranno mai impedire la fuga di un uomo agile. Ma non voglio uscire da qui, non è l'ora. Non saprei cosa farmene della libertà», disse Nicola al dottore che lo stava ascoltando con interesse e annotando quei suoi discorsi sul suo diario. Il dottore non aveva paura che l'uomo scappasse da quel posto, non fece nulla di allarmante per mettere sul chi va là i guardiani della struttura.
«Io, sono venuto al mondo in un tempo di meccanici e di elettricisti. Se dovessi dire che costoro mi disturbano, davvero mentirei. Nei loro congegni, tanto più infantili quanto più sorprendenti, c'è una vita nuova che merita di essere apprezzata. Certo questa vita moderna, tutta a base di motori, di eliche, di leve è piuttosto incomoda. Per servirsi della civiltà bisogna essere un mezzo ingegnere, ed a furia di andar presto, non si riesce mai a distanziare, nemmeno d'un passo, l'ombra del becchino», disse ancora Nicola, afferrando il braccio del dottore che l'ascoltava con ammirazione.
«Ma per divagarci da questo inconveniente abbiamo, la letteratura. I libri sono disperatamente vuoti e si rassomigliano tutti. La storia e la
letteratura, senza di loro, la vita sarebbe infinitamente più semplice e meno mediocre», concluse.
Il dottore restò ammutolito da quelle dichiarazioni, con l'uomo che si dimenava sulla sedia, guardando il soffitto.
In silenzio, accettava qualsiasi argomento che il suo assistito dicesse, non voleva contraddirlo per non innervosirlo ulteriormente. Quella sua ricostruzione della vita andava affrontato sentendolo parlare. Nicola si ispirava quale fosse un poeta, un divulgatore di letteratura, un uomo che aveva girato il mondo conoscendo tanti popoli e culture varie. Sembrava essere un divulgatore di filosofia morale, un divoratore di biblioteche, giungendo alla conclusione che i libri più divertenti e più istruttivi, potessero essere quelli che non si proponevano proprio, che non raccontano quasi nulla, mentre hanno per scopo essenziale quello di far splendere l'amore della vita.
Per suo conto adorava tutti quelli che dichiaravano di essere poco istruiti, poiché avevano solo il pudore di sapere quello che conoscevano, le loro conversazioni un poco addormentate rischiavano all'improvviso scintillare e le faville del loro spirito, incendiavano il braciere. Detestava quei personaggi che sempre erano pronti a far piovere qualche grammo del loro sapere che mai aprissero bocca se non per dire qualcosa di ponderato e di giusto. Uomini definiti macchine della sapienza, nelle quali introdurre due monete, perché il fatto dell'erudizione cadesse nella ciotola messa.
Nicola era un vocabolario aperto, tante esperienze aveva sulle spalle che non aveva nessuna intenzione di riformare la società umana.
Il suo passato non era per nulla considerato, quasi fosse un pugno di foglie secche, un'ondata di profumi dispersi, una musica lontana che si dileguava nelle morte primavere. Immagine di ciò che aveva visto e fatto nel mondo, un gran fascio di note sparse, che il vento di tutte le terre, come un pugno di foglie morte spazzate via. La brezza dell'alto mare aveva impregnato di ruggine le pagine della sua vita, spesso ritrovate scritte in lingue da lui non capite, di uno scolorito inchiostro che ora rappresentava il suo io interno.
Alcune di quelle pagine non erano più leggibili, bisognava che cercasse di poterle decifrare mettendole sotto il fuoco di una buona lente. Pagine scritte a matita che rappresentavano la sua mente offuscata negli anni e dalle mura luride di quel manicomio, quanto rimaneva della sua storia di uomo colto. La fatica maggiore era quella di rimanere sempre se stessi, ed impedire che un intruso, la sua coscienza, lo scacciasse dal suo profondo «io».
Sempre si era chiesto con terrore se fosse lui quello che nacque nella sua infanzia, che ebbe madre sua madre e le cui passioni e i ricordi, gli appartenessero. Spesso ebbe in vita la sensazione di aver smarrito un gran numero di altri “me stessi” nei dedali della sua vita lontana.
I suoi tanti “se stessi”, li vedeva camminare per strade confuse, perdendosi tra una folla di avvenimenti imprecisi, continuare in una vita irraggiungibile, che non era più la sua.
Iniziò dunque a narrare la storia della sua vita, nella speranza che i dottori potessero avere qualche diletto, come lui stesso ebbe quando visse le pagine della sua vita e sui cammini bianchi di polvere dove si alzavano le nuvole grigie delle mete lontane.
Un giorno, quando i suoi capelli saranno divenuti bianchi, forse avrebbe radunato in un solo fascio, quel gran numero di vecchie carte gialle, quell'enorme peso d'inutilità ove si chiudesse il rumore della vita, dando fuoco a tutto. Ed erano tutte le speranze, le fatiche gioiose della sua bruciante vita, i profumi delle donne che l'amarono, i pericoli dove si sentì stridere come una fune troppo attorcigliata. In quella fiamma vedere finire in turbini, tutto ciò che ebbe di bello e che fu pieno di sole nella sua cruda giovinezza. Un pugno di cenere bianca avrebbe rappresentato l'immagine funeraria del suo passato, che tutto bruciò in un secondo.
Continuava a raccontare la sua vita, il dottore era ora passato in secondo piano. Raccontava vivendo quelle emozioni come se stesse scrivendo un libro sulla sua vita, immedesimandosi nel racconto.
Immaginandosi in una baita nel bosco, dove tra pini e cielo stellato con stelle fredde come la solitudine, le fontane assiderate, la neve intatta, rendevano più grave il silenzio della notte risplendente.
«Sarò vecchio e solo, davanti a un focolare semi spento, avrò freddo, le mie dita scarne tremeranno di vecchiezza, il rumore dell'ascia che si abbatte sui tronchi degli alberi, per far cadere le asse del mio feretro nel gelo della buia pineta. Ed io vecchio, presso il fuoco spento, nella baita vuota, nella notte gelida, fra le pinete buie, crederò veramente, come un folle, di aver bruciato sulla cenere l'ultimo raggio di sole», disse con voce rauca e con una lacrima che scendeva sul suo viso.
«Viva i pazzi di questo manicomio», esclamò commosso. Quei pazzi a lui vicini, che lo facevano sentire ammirato e rispettato, uomini fragili che avevano da tempo bruciato le pagine gialle e scolorite della loro vita. Uomini e donne che avevano avuto momenti di gloria nella vita per poi scendere verso i baratri del loro destino.
Donne con le unghia e facce sporche, da sempre amanti di uomini impossibili, spiegare loro la vita e la morte, Dio e l'immortalità dell'anima. Donne quasi perfette, inaccessibili, incomprensibili e addormentate, che parlavano di astronomia, di romanze da camera o uscire nude sul balcone per descrivere il paesaggio che li circondava. E per cosa? La gloria? La gloria si comperava su tutti i banchi e la possedevano anche i ciarlatani. L'obbligo di farsi notare da tutti gli illustri cretini della nazione. Fare l'occhio di triglia ai buffoni di tutti i partiti e vivere sempre sul paletto come un pappagallo ammaestrato. Ricevere una folla di seccatori nel proprio letto, applaudire per quelle performance da condannare, sbottonarsi, accusare, smentire. Donne finite su quel patibolo per condanna e ritorsioni personali, segnalate come pericoli pubblici e per essere tolte come persone discutibili e vomitevoli. Persone false, meschine e ipocrite, vomito di una società malata che non li voleva tra i piedi.
Donne maritate che finirono sul “rogo” come Giovanna d'Arco, incapaci ti tenere chiusa la loro naturale “serratura”.
Francesco Marino
Votazione per
WriterGoldOfficina
Biblioteca
Acquista
Preferenze
Recensione
Contatto