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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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L'Ultimo Tocco
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Faceva più freddo del solito in quella camera ardente, dove la salma di Camille Waterman, donna dell'alta società londinese, era stata deposta in attesa delle esequie. Era morta il giorno prima, stroncata da un attacco di cuore. Nina spinse il carrello accanto alla bara e si fermò ad osservare l'incarnato, la linea della bocca, le palpebre socchiuse. Il silenzio era la sua prima condizione per lavorare; la solitudine e la notte, la seconda. Estrasse con gesti misurati la tavolozza dei colori, le creme, le pinzette per le sopracciglia, disponendole con ordine sul ripiano estraibile del carrello. Prima di iniziare, attese. Sapeva che le indicazioni sarebbero arrivate di lì a poco. E, come accadeva fin da quando aveva dieci anni, avvertì quel lieve sussurro nei timpani. Chi sei tu? Sono Nina, Camille. Voglio sapere come rendere il tuo viso più bello. Nina... È un nome dal significato meraviglioso, lo sai? Significa "bella e piena di grazia". Grazie, Camille, sei gentile. Dimmi, preferisci un trucco semplice o più marcato? Usa toni ambrati per gli occhi, una linea ben definita sulle labbra. Per il rossetto, un rosa tenue, quasi naturale. Sono morta con il dolore addosso e il mio aspetto non sarà dei migliori. Sono felice che tu possa esaudire il mio desiderio, per l'ultimo saluto ai miei cari. Ti farò bella come nelle fotografie. Grazie, tesoro. Dimmi... potrò ammirarmi un'ultima volta? Sì. Ti vedrai attraverso i miei pensieri, che si faranno immagine. Nina aprì il piccolo cofanetto di velluto nero dove conservava i pennelli migliori, quelli dalle setole morbide come piume. Sfiorò il manico di ognuno, quasi a sceglierli attraverso il tatto, poi ne selezionò tre: uno per la pelle, uno per gli occhi e l'ultimo per le labbra. Prese una garza e la imbevve di una lozione emolliente, passandola con delicatezza sulla pelle fredda e immobile della defunta. Il suo incarnato, spento dalla morte, necessitava di una preparazione accurata affinché il fondotinta si fondesse senza lasciare tracce sbiadite o innaturali. Dopo aver atteso che il liquido evaporasse, Nina prelevò una piccola quantità di primer neutro e lo applicò con i polpastrelli, scaldandolo con il calore delle sue dita prima di sfumarlo sulla fronte, lungo gli zigomi e sulle tempie. Era come ridare respiro a quella pelle che non ne aveva più. Scelse poi un fondotinta dalla tonalità avorio, arricchito da pigmenti leggermente dorati, e lo picchiettò con un pennello piatto, seguendo la naturale conformazione del viso. Con movimenti circolari e precisi, uniformò il tutto con una spugna di lattice, soffermandosi sulle ombre ai lati del naso e lungo la mascella, per cancellare i segni della rigidità cadaverica. Infine, con una cipria micronizzata, opacizzò la pelle, creando una base eterea e levigata. Poi fu il turno degli occhi. Nina si concentrò sulle palpebre socchiuse. Il leggero gonfiore della morte appesantiva lo sguardo, ma lei sapeva come donargli un'illusione di leggerezza. Con un pennello a setole morbide, sfumò sulla palpebra mobile un'ombra color ambra satinato, insistendo sull'angolo esterno per creare una profondità naturale, poi, con un pennellino più piccolo, delineò la rima ciliare con un marrone caldo, quasi bronzo, che accentuava la forma dell'occhio senza appesantirlo. Passò alle sopracciglia, sottili e perfettamente curate. Con una pinzetta eliminò qualche peletto fuori posto, poi con una polvere leggera le ridefinì, rendendole armoniose e simmetriche. Un velo di mascara trasparente le fissò in una forma perfetta. Per le ciglia, Nina usò una tecnica che conosceva bene: con un micro-scovolino, applicò un sottile strato di mascara waterproof sulle punte, giusto per donare profondità senza appesantire il viso. Infine, arrivò alle labbra. Nina prese il pennello più sottile e tracciò un contorno morbido e preciso con una matita rosa tenue, seguendo con cura la forma naturale delle labbra di Camille. Poi, con un pennellino piatto, applicò il rossetto richiesto: un rosa pallido, quasi impalpabile, che donava un aspetto sereno, come di un sorriso sospeso tra il sonno e la veglia. Per dare un tocco di freschezza, aggiunse una punta di gloss trasparente al centro del labbro inferiore, appena un accenno di luce. Si allontanò di qualche centimetro per osservare l'insieme. Il viso di Camille sembrò già trasformato: la pesantezza della morte era stata sostituita da una quiete luminosa, da un'eleganza senza tempo. Ma Nina non aveva ancora finito. Prese un pennello grande e rotondo, intinse le setole in una polvere illuminante color miele e sfiorò con movimenti leggerissimi la parte alta degli zigomi e l'arco di Cupido; infine, con un tocco appena percettibile, applicò un fard color pesca sugli zigomi, come se il sangue fosse tornato a scaldare per un istante quella pelle immobile. A quel punto si fermò. L'ultima fase era la più importante: rendere tutto armonico, perfetto, come se Camille si fosse semplicemente addormentata dopo una notte di festa. Nina inspirò profondamente, chiuse gli occhi per un momento e lasciò che il pensiero di Camille si sovrapponesse all'immagine che aveva nella sua mente. Quando li riaprì, sorrise piano. Oh...sono stupenda! «Sì, ora sei bellissima. Fai buon viaggio, Camille.» Uscì da quella misteriosa connessione come faceva sempre e prese un bel respiro, poi non ci furono più sussurri. Rimase ancora qualche istante a contemplare il volto della donna quindi, con gesti misurati, ripose gli strumenti nella valigetta di velluto nero. Chiuse il cofanetto con un piccolo scatto metallico, come a sancire la fine di quel compito. La sala si fece più silenziosa, come se persino la morte trattenesse il respiro. Il funerale si svolse la mattina seguente, sotto un cielo lattiginoso, gravido di pioggia. L'alta società londinese si riunì nella grande cattedrale, le voci smorzate dal peso del lutto, finché il feretro, adornato da gigli bianchi e rose color crema, venne deposto davanti all'altare mentre l'eco delle preghiere si levava tra le volte di pietra. Il prete parlò con voce grave di ricordi e virtù, dipingendo Camille Waterman come una donna devota alla famiglia, una presenza discreta e raffinata; gli ospiti annuirono, qualcuno trattenne una lacrima dietro il velo nero, ma Nina, seduta nelle ultime file, sapeva di aver visto un'altra Camille, quella che le aveva sussurrato nell'oscurità della camera ardente, rivelandole un desiderio tanto umano quanto effimero: essere ricordata bella, viva, per l'ultima volta. Dopo la cerimonia, quando la folla cominciò a disperdersi, Nina si allontanò dal sagrato e raggiunse un angolo appartato del cimitero. Sotto un vecchio tasso nodoso, lasciò che il vento gelido le accarezzasse il viso. Pensò al dono che aveva scoperto da bambina. Aveva dieci anni quando, per la prima volta, aveva udito quella voce. Una voce lieve, come un sussurro tra le foglie. Sua nonna giaceva nel letto di morte, e mentre tutti la piangevano, Nina l'aveva sentita chiamare il suo nome. Era stato un richiamo delicato, intimo, qualcosa che non aveva mai osato raccontare a nessuno. Da allora, ogni volta che si trovava accanto a un corpo senza vita, il fenomeno si ripeteva: le anime le parlavano, raccontandole ciò che desideravano per il loro ultimo saluto. Non aveva mai avuto paura, forse perché la morte, per lei, non era mai stata davvero silenziosa. Fin da bambina, Nina aveva percepito che nella sua famiglia c'era qualcosa di diverso, un legame con la morte che andava oltre la semplice professione funeraria. Non era solo un mestiere tramandato di generazione in generazione, ma una vera e propria vocazione, quasi un'arte sacra. La madre le raccontava spesso di come, secoli prima, i loro antenati fossero stati chiamati non solo a preparare i corpi per l'ultimo viaggio, ma anche a consolare le anime inquiete, offrendo loro un passaggio sereno verso l'aldilà. Nessuno, però, era al corrente del dono di Nina. Quando sfiorava il viso di un defunto e lo immaginava ancora pieno di vita, nella sua mente si materializzava qualcosa di inspiegabile: le guance riprendevano colore, i lineamenti si distendevano, quasi come se un ultimo riflesso della loro anima si rifugiasse in quella carne inanimata, rendendola di nuovo serena e familiare, ed era in quel momento che desiderava rendere reali le sue immagini. Ecco da dove era nato il desiderio di truccare i volti. Inoltre, dopo la morte della nonna, c'era stata solo una figura che l'aveva incoraggiata: suo nonno. Le diceva sempre di seguire la strada dell'estetica funebre, senza mai sapere fino a che punto arrivasse la sua abilità. Lui vedeva in lei un talento raro, una dedizione che andava oltre il semplice lavoro manuale. “Ricorda, Nina,” le diceva sempre, “noi non prepariamo solo i corpi. Noi restituiamo dignità, doniamo pace a chi se ne va e conforto a chi resta.” Ma Nina sapeva che il suo dono non si limitava solo a questo. Quando si trovava da sola nella sala di preparazione, sentiva un suono nei timpani, poi un sussurro nella notte, che col tempo si era trasformato in un vero e proprio dialogo. Erano voci vere e proprie, derivate da frammenti di pensieri, che sapevano interagire con lei. E ogni volta che posava le mani su un volto e restituiva a quella pelle spenta la bellezza di un tempo, sentiva che stava facendo esattamente ciò per cui era nata. |
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