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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Taverna Poesia
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La Taverna Poesia non ha un'insegna degna di questo nome: solo una tavola di legno sbiadita, appesa storta sopra la porta, come se avesse alzato un sopracciglio di fronte a chi si avvicina, con lettere irregolari dipinte in un blu che il sole e la salsedine hanno reso quasi grigio. Eppure, tutti in città sanno dov'è. È il cuore pulsante della Città Bassa, a due passi dal molo, incastonata tra due vecchi edifici, affacciata sulla Piazzetta del Custode, e le sue finestre, nelle sere d'inverno, emanano una luce calda che sembra promettere conforto a chiunque varchi la soglia.
Dentro invece è un altro mondo. L'aria profuma di luppolo, di legno vecchio e di sale marino portato dal vento. Bottiglie di birra, tutte con etichette diverse e stravaganti, occupano scaffali come trofei conquistati in spedizioni lontane. La luce è calda, filtrata da lampade ambrate che riflettono il colore della birra nei bicchieri.
Lì, dietro il bancone, c'è Osvaldo. Osvaldo è un omone alto, largo di spalle e con una barba color rame che scende come una cascata disordinata. È mastro birraio per vocazione, poeta per testardaggine. La birra che prepara, scura e cremosa, è considerata un nettare in città: «Ti rimette in piedi anche quando non hai più le gambe» dice Spino, facendo girare con orgoglio le ruote della sua turbinceppa.
Le poesie di Osvaldo, invece... beh, quelle sono un'altra storia. Lunghi versi traballanti, rime che inciampano come marinai ubriachi, metafore azzardate e paragoni che fanno sospirare o ridere, a seconda della serata e del grado alcolico dei presenti. Ma Osvaldo ci crede, e la sua passione è talmente autentica che nessuno avrebbe mai il coraggio di zittirlo.
Il bancone della taverna è più un confessionale che un piano d'appoggio. Qui si scambiano segreti, si stringono alleanze improbabili, nascono amori fugaci e rivalità feroci. La Taverna Poesia è il crocevia invisibile delle vite della città: se qualcosa di strano, curioso o degno di essere raccontato accade, in qualche modo finisce per passare di lì. E Osvaldo lo sa bene. Non fa domande, ma ascolta tutto. Tra una pinta di birra e un verso, immagazzina frammenti di storie che, come ingredienti segreti, un giorno potrebbe mescolare alla sua birra o infilare in una poesia improbabile.
Ogni sera, come accade quasi sempre, i tavoli sono pieni. Spino, che racconta per l'ennesima volta di quando aveva battuto in velocità un motorino con la sua sedia a rotelle truccata; Vinetta e Beppe, la solita coppia di battibecchi e risate che litiga su tutto, anche su come dividere un piatto di olive, ma sempre seduti – immancabilmente – fianco a fianco; Marta, la gatta della taverna, che sapeva scegliere sempre il grembo giusto su cui acciambellarsi, il professore Mandorlini, con il suo inseparabile ombrello, e un ventaglio di marinai, studenti, vecchi amici e sconosciuti di passaggio riempiono il locale.
Osvaldo, versando con lentezza una birra dal colore dell'ambra scura, si schiarisce la voce. I più attenti riconoscono il segnale: sta per declamare un'altra delle sue opere. Qualcuno mugugna, qualcuno sorride, e Spino alza il bicchiere come per dire “dai, facciamolo contento”. Osvaldo si pianta in mezzo alla sala, si mette le mani sui fianchi e, con un tono solenne da capitano che legge un proclama, inizia:
“Ode alla birra e al mare”.
Oh, birra mia, schiumosa e sincera, sei più bella di una serata leggera, passata a guardare il tramonto rosso (o forse era il vino... ne rimango un po' scosso).
Nel tuo sapore sento il sale del mare. Tu, bionda, scura, ambrata e dorata, sei la mia musa... seppure un po' salata.
E se la vita mi lascia all'asciutto, io vengo da te e bevo di brutto. Perché il mare è profondo e fa un po' paura, ma tu, birra mia... tu sei sempre sicura.
Un applauso incerto parte dal fondo, seguito da qualche fischio ironico e risate benevole. Osvaldo fa un inchino esagerato, soddisfatto come se avesse appena recitato al Teatro Nazionale di Londra. La serata riprende il suo corso tra brindisi, voci alte e il rumore deciso dei boccali che si urtano. Fuori, il mare continua a infrangersi contro il molo. Dentro, la Taverna Poesia continua ad essere quello che è sempre stata: il luogo dove tutto può iniziare.
MILONGA D'INVERNO La neve cadeva sospinta da un vento lento, sospesa nell'aria prima di posarsi discreta, quasi a non voler disturbare. La Città Bassa, quella notte, sembrava avvolta in un silenzio irreale, rotto solo dallo scricchiolio dei passi sulla neve fresca e dal suono distante di un bandoneón che filtrava da qualche porta socchiusa.
Achille tira su il bavero del cappotto. L'aria gli mordeva il viso, e il vento di mare – freddo e salmastro – tagliava ogni pensiero. Un sussurro gli attraversa la mente: «Sei sicuro che ne valga la pena?». «Non ne sono mai sicuro» risponde a bassa voce tra sé e sé, senza pensarci.
Una volta aperta la porta d'ingresso, una musica dolce e malinconica lo invade come un fiume in piena, accarezzando le sue orecchie e il suo cuore. Il capannone portuale di Via del Molo era stato trasformato per l'occasione: luci ambrate pendevano dal soffitto, creando pozze calde di colore sul pavimento di legno. Il bandoneón e il violino intrecciavano note pensierose, che sembravano ricordare amori passati.
Achille si ferma qualche secondo vicino all'ingresso, lasciando che gli occhi si abituino alle luci soffuse. Le coppie giravano sulla pista con movimenti misurati, in quell'abbraccio tipico del tango argentino che unisce più dei passi. Era come guardare due respiri diventare uno. E poi la vede. È seduta in un angolo, vicina a un tavolino rotondo coperto da una tovaglia color vinaccia. Il cappotto ancora sulle spalle, le mani attorno a una tazza fumante di tè, i capelli scuri raccolti in una treccia morbida che le cadeva di lato. Ride a qualcosa che Spino, in gran spolvero da ballerino, le sta raccontando. Peraltro, la ferma convinzione di Spino era che la sua carica sensuale da tanghero, espressa dal ciondolare ritmico della sua testa abbinata alle sue battute mordaci, potesse superare l'evidente impiccio della sua condizione.
«Ecco, Achille» gli suggerisce la sua vocina interiore, «questa è una di quelle persone che se ti guardano troppo, rischi di raccontargli tutta la vita. E tu non sei proprio il tipo che deve raccontarla a chiunque.» Achille fa un mezzo sorriso. «Non la racconterò. Magari la ascolto.» Come se il destino avesse deciso di aiutarlo, Spino viene richiamato in pista dal suono di una tanda di milonga veloce, un invito inequivocabile per la sua turbinceppa, da far roteare con l'aiuto di una gentile accompagnatrice, al suono di Milonga Sentimental.
Guai – anche se lui ancora non conosceva il suo nome – rimane sola. Achille fa due passi incerti verso il tavolo. «Disturbo?» chiese, con quella voce che usa quando non è certo di avere il diritto di stare lì. Lei lo guarda per un istante, e in quello sguardo c'è qualcosa di diretto ma non ostile. «Solo se ti siedi e non parli» disse con un mezzo sorriso. Lui ride, sedendosi. «Allora rischio di disturbarti parecchio.» «Sei qui per ballare o per guardare?» chiede lei, portando la tazza alle labbra. «Forse per entrambe le cose. Anche se guardare mi viene meglio.» Lei appoggia la tazza e lo fissa, come a scandagliare chi aveva davanti. Poi fa un cenno verso la pista. «Allora sarà il caso di provare a ballare. Altrimenti ti perdi metà del divertimento.»
Il bandoneón allunga un'ultima nota, e in quel momento Achille ha la netta sensazione che il tempo abbia smesso di passare, lì dentro.
Il musicalizador annunciò una tanda di tanghi lenti, con un accento nostalgico che sembrava fatto apposta per chi aveva bisogno di tempo per respirare. Guai si alza senza fretta, appoggia la tazza di tè e allunga una mano verso Achille. «Vieni?» Lui la guarda un istante, una mirada inversa, quasi per assicurarsi che fosse davvero lei a chiederlo, una richiesta poco convenzionale per i tangheri. Poi posa la mano nella sua. Era calda, ferma, sicura. Mentre attraversavano la sala verso la pista, Achille avvertì un leggero tremito nelle gambe. «Smettila di pensare come se stessi per affrontare un esame» commentò la sua solita vocina, con tono seccato. «È solo un ballo. Non stai andando a contrattare con un mercante persiano.» Si fermano sul bordo della pista. Guai si mette di fronte a lui, così vicina che Achille poteva sentire il profumo sottile della sua pelle: un misto di bergamotto e qualcosa di dolce, forse vaniglia. «Respira» disse lei con l'imperfezione del suo rotacismo, senza smettere di guardarlo negli occhi. |
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