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                          Writer Officina Blog   
                           
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       Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori 
      emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP, 
      ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo 
      articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da 
      seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo 
      già formattato che per la copertina.  | 
   
  
       
       Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto 
      di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da 
      un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, 
      dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere 
      derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie 
      capacità senza la necessità di un partner, identificato nella 
      figura di un Editore. | 
   
  
       
       Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, 
      arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel 
      DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti 
      di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli 
      della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle 
      favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. | 
   
 
						 
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                                          L'ordine verso l'assurdo   
                                           
                                       | 
                                     
                                   
								  
                                    
                                       
                                          
                                        Un dio tra gli uomini.  “Chi legge troppo, spesso dimentica di vivere. Ma chi non legge mai, non vive affatto.” Mi piace pensare che ogni volta che mi avvio per la biblioteca gli scrittori siano lì ad aspettarmi. Attendendo di essere letti, in fermento per raccontarmi il loro vissuto. Immaginare che tutte le volte che entro nelle sale archivio mi chiamino, ponendomi io come limite il fatto che forse non sono abbastanza concentrato per sentirli nella loro interezza, per cogliere i richiami dei filosofi greci dalla sala Letteratura Antica. Ogni uomo ha una storia da raccontare e molte di esse si perdono tra le pareti dei ricordi; chi invece le storie le ha scritte, lo ha fatto perché rimanessero sempre lì, indelebili, scolpite su pagine di carta. Il tempo passa e la gente con esso, ma l'eredità che gli scrittori, i pensatori, i filosofi ci hanno tramandato e continuano a tramandarci, cresce sempre. Ogni libro è lì con una storia da raccontare, che aspetta che tu sia in grado di leggerla. Abito vicino alla biblioteca civica Sabbadino, posso sentire quelle voci chiamarmi ogni giorno, ma non sempre rispondo. Non sempre mi sento pronto. Non c'è molta differenza tra il sapere e il non sapere, sono due facce della stessa medaglia; è scontato il fatto di non poter conoscere tutto nella vita, ma il sapere porta ad altre domande, e quell'eccitazione che hai in attesa d'una risposta è qualcosa di indescrivibile. Ma esistono situazioni in cui le cose ti vanno storte sin dall'inizio del giorno e l'unica cosa che concepisci è l'evasione: prepararti un rifugio in cui sfuggire al mondo. Quando si tenta di evadere da qualcosa, penso che lo si debba fare nel migliore dei modi. Tutte le volte che entro in sala consultazione (lo faccio di sera, o nelle ore pomeridiane) i posti sono più liberi: i ragazzi non hanno voglia di continuare a studiare fino a tardi se l'urgenza non lo richiede, tornano a casa molto prima delle sei e mezza di sera. Riposano, attendendo fiduciosi un nuovo giorno. Mi siedo di fronte a una bella ragazza, la biblioteca ne è piena, scelgo quella che più mi piace. C'è sempre il dubbio, o la paura, che sia per una volta sola, che possa guardare i suoi occhi, la sua bellezza, per poco; eppure mi sento meglio, leggo anch'io e, quando voglio staccare, osservo il suo splendore. Mi fa stare bene. Tutte le volte che sento il telegiornale la sera mi prende rabbia: è come se mi passasse dentro la sofferenza della gente. La mente si rifiuta, è allergica a queste cose. Cercare di evitarle non serve a nulla; i miei genitori accendono la TV sempre a quell'ora, tutti i santi giorni, per il TG delle diciassette. Ne ho visto metà; l'altra metà non la reggo. Entro in bagno, mi spoglio e faccio una doccia. Mi viene da cantare tutte le volte che mi lavo, non so perché lo faccio: è come un riflesso condizionato. Per un attimo credo che sia naturale lasciarsi andare. Il distacco. Finita la doccia torna in mente il sistema che non va. Mi incazzo di nuovo. Mi vesto come durante l'adunata militare e m'incammino. Tutto sembra sempre uguale in questo vialetto, dagli alberi agli aghi di pino secchi come sono io adesso. La mia incazzatura, a volte si ripercuote sulle cose che faccio, che dico. Evito di parlare, emetto quasi dei versi come gli uccellini, non ho voglia di litigare tutto il giorno. Afferro la maniglia con rabbia, come se volessi scaricare tutto il male del mio animo, e apro la porta con violenza. Dietro c'è lei. Mi ero seduto accanto a lei due giorni prima. Vedo che ride. I suoi occhi sono verdi, uno specchio, riflettono il cielo in una piccola luce che potrebbe somigliare alle nuvole. In un attimo tutta la tensione sparisce, sparisce l'incazzatura, sparisce il mondo e mi perdo nel suo sguardo. Ho trovato uno spiraglio e mi ci sono buttato. È una realtà abbastanza evidente: vorrei tanto trattenerti per non farti andare via, ma sei così fragile che ho paura di spezzarti un braccio. Ho paura che, se mi paro di fronte a te, possa spaventarti... Non so se domani ti rivedrò, ma non voglio che scappi. Tutto questo è immediato, ma sembra che non passi mai. È così bello che forse è lecito pensare di essere intrappolati in questo lasso di tempo; ma tutto passa, per quanto possa sembrare eterno un momento. Devo andare avanti. Entro nella biblioteca con le Massime di Epicuro, mi accingo a leggere la Lettera a Meneceo, i “testoni” sembrano allontanarsi. Percorro le scale e salgo al piano di sopra dove, quando passo, saluto Achille, che somiglia a mio zio, forse sono io che voglio vederlo in questo modo. Sono lontano da casa e qualcosa mi manca. Mentre salgo le scale mi sento chiamare da una voce fievole, ma nel contempo autoritaria. Non è questione di concentrazione, non è questione di attenzione: la sento come qualcosa di impossibile da evitare. «Segui i miei consigli e vivrai come un Dio tra gli uomini.» È tardi, mi presento sempre molto in ritardo. Sono uno di quegli uomini dell'ultimo momento; forse avrò quaranta minuti per leggere. Quello che mi piace della sala consultazione è il silenzio, è come un'eco di nulla che ritorna all'infinito in quel ridondare inutile delle parole. Perché non tutto è fatto di parole: alcune cose sono al di sopra delle parole, al di sopra di tutto. Nel momento in cui rimani senza parole non puoi descrivere il silenzio. Il silenzio non si ascolta, ma in quel silenzio avverto un vortice di pensieri: tutti sono attenti, lavorano, pensano e riflettono. Cammino tra i banchi ormai. Solo uno è occupato, il resto è vuoto. Vedo dei capelli, lunghi, neri come un frac del secolo scorso, come il cielo di notte. Il nero non è un vero e proprio colore, è mancanza di luce. So per certo che il buio non esiste, che la luce è un elemento e il buio è solo la sua assenza, così come non esiste il freddo, che è solo assenza di calore. Forse è questo il male di cui soffro: assenza di calore. La guardo. È bellissima. Sì, mi siederò qui, in questo posto, di fronte a te. La guardo negli occhi. Dico: «Posso sedermi? Posso farlo vicino a te?» Lei mi guarda in un modo strano. Non avverto tristezza nei suoi occhi, solo tanta speranza, voglia di darsi da fare. Mi sorridi, che bello è. Mi risponde: «Ma certamente, ci mancherebbe. Siediti pure.» La prima massima che leggo è come un segno, sembra costruita a tavolino. La persona serena procura serenità anche agli altri. Epicuro fa bella mostra di sé, come padre incontrastato del naturalismo. Non ho mai letto testi difficili per potermene vantare; per me leggere è una freccia che, se non mi colpisce, è inutile scoccare. Leggevo Piccole donne di Alcott indifferente al fatto che la gente mi rideva dietro. In Fahrenheit 451 di Ray Bradbury lessi che ogni libro è un uomo che vale la pena di essere ascoltato, valutato nella sua interezza. Si fa tardi e la ragazza che è seduta con me, va via. Quando mi incammino per uscire posso sentire la musica che mettono per farci capire che è ora di chiusura. Saluto Daniele e Francesca, che timbrano il cartellino. Uscendo trovo un portafoglio molto piccolo, lo apro, dentro c'è una patente. Con stupore vedo che la padrona è la ragazza di prima, lei che incontrai oltre la porta. Non so se portarlo alla reception, o darlo direttamente a lei, quando la rivedrò. Potrei parlarle almeno una volta, ma non so come potrebbe prenderla... Sono solo attimi. Sto per riportarlo alla reception. Francesca lo darà a Valentina. Aspetto un po', guardo la sua foto, riguardo i suoi occhi... sento delle persone passare vicino a me, ma non ci bado... Quando ritorno nel mondo reale, la vedo alla reception, un po' spaesata per aver perso il portafoglio. Vorrei fiondarmi, ma guardandola rimango imbambolato. Tutto intorno a me perde consistenza, le cose che tocco mi sembrano immateriali, tutto è un po' senza forma. Credo che sia la facoltà di sapersi concentrare e abbandonare i propri sensi. Vedo che si incammina delusa verso l'uscita. Non mi piace quello sguardo, non posso farglielo rimanere a lungo sul suo volto. Corro dietro di lei, mi vedo passare gli oggetti velocemente, quasi attraverso, riesco a capire la dimensione di ogni cosa. Ogni punto si definisce. Credo che sia la decisione presa. Perché non la vedo? Perché non c'è più? È sparita. Mi guardo avanti, poi indietro... Non c'è... L'ho persa... Perché ho aspettato tanto? Ormai l'ho cercata in tutto il corridoio, non so che altro fare. Esco dalla biblioteca, ho il portafoglio in tasca... La vedo, è lei. È appoggiata a una parete, chissà cosa pensa. È angosciata... Sta andando via, ha sempre quello sguardo triste... Adesso la chiamo. La voce non viene fuori, sarà per l'emozione, l'emozione di averla rivista. Prendo un bel respiro: «Valentina!» Lei si gira. Vado verso di lei. «Non credo di conoscerti... Come sai il mio nome? Comunque dimmi pure.» «Questo credo che sia tuo...» Lei mi sorride, mi dice: «Grazie.» Ritrovo quel volto che mi ha fatto dimenticare per un po' il mondo... Ti chiami Valentina. Spero di ritrovarti domani, il giorno dopo, e quello dopo ancora. Ho bisogno di rimettermi al centro di me stesso, ho bisogno che qualcosa mi faccia dimenticare la realtà in cui vivo. Nel mentre il mondo gira. In quei pochi secondi io cerco di afferrarle le mani... Mi scappa il libro di mano... Lei me lo raccoglie. In quel momento penso all'aforisma letto pochi minuti prima: La persona serena procura serenità anche agli altri, e io, in quel momento, la ritrovo. Valentina mi porge il libro, una folata di vento, un alito dopo un sospiro di sollievo, mi scompiglia i capelli, mi sfoglia il libro pagina per pagina, fermandosi come decisione inerte su di una... Lo sguardo che coglie la latitante parola, la Lettera a Meneceo, la frase dice... “Segui i miei consigli e vivrai sempre come un Dio tra gli uomini.”  | 
                                     
                                   
                                   
                                   
                                    
                                       
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                                Recensione  
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                                Contatto
                                    
                                 
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