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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP, ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo già formattato che per la copertina.
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Autore: Costanza F.
Titolo: Giallo come le rose
Genere Romanzo Formazione Noir
Lettori 127
Giallo come le rose
In data 23 ottobre 2001, alle ore sette e trenta del mattino, scoprii che proprio io, Bartolo Innocenti, ero sospettato dell'omicidio di mia moglie. Quando lessi la notizia in prima pagina, il quotidiano mi si sfaldò fra le mani madide di sudore. Pagai il caffè e corsi dal mio avvocato.
Con veemenza gli spiegai che amavo mia moglie e non l'avrei mai uccisa. Non capivo perché Il Gazzettino ipotizzasse un delitto passionale.
Il mio avvocato praticava lo yoga e serafico m'invitò a non preoccuparmi. Non bisogna confondere gli indizi con le prove. Non ero stato formalmente indagato per l'omicidio perché non c'erano prove della mia colpevolezza. Il Gazzettino riportava soltanto un indizio. Qualcuno aveva raccontato che mia moglie mi tradiva, così un giornalista insinuava, fra le righe, che l'avessi uccisa per gelosia.
Tuttavia l'avvocato mi ricordò che, nel mio interesse, dovevo collaborare alla scoperta della verità. Quasi fosse alla ricerca di prove schiaccianti della mia innocenza presunta, nell'occasione cominciò a tormentarmi di domande, a bruciapelo. Alzai la voce e con insistenza confermai che avevo già raccontato la verità, sia a lui, sia agli inquirenti.
Sempre impassibile, l'avvocato mi spiegò che voleva conoscere altri dettagli perché la verità si nasconde nelle piccole cose. Senza alcuna fretta, iniziai a raccontare daccapo chi era moglie, dalla prima volta che l'avevo vista sino al giorno della sua morte.
Correva l'anno 1996. La conobbi alle Casacce, quartiere dell'area metropolitana fitto di palazzi e botteghe, strade trafficate e fabbriche di tessuti. Nel quartiere, costeggiato dalla tangenziale di San Vito, c'erano poco verde e molto grigiume, ma almeno di vista si conoscevano tutti i vicini e ci si fermava ancora a chiacchierare a bottega. In Viale Bugigattoli c'erano quattro tigli rigogliosi, due panchine di ferro tinte di verde e la vecchia pasticceria elegante.
Da qualche tempo io ero stato affidato a una sorella di vent'anni, SERENA, con cui condividevo una casa popolare al quarto piano di un palazzo affacciato sulla tangenziale, blocco D. Quelli che chiamavamo blocchi erano quattro palazzi che, l'uno di fronte all'altro, si chiudevano attorno al giardino condominiale, lasciando scoperto solo un quadrato di cielo al centro.
Negli appartamenti dei blocchi, sparpagliati qua e là con famiglie più o meno normali, abitavano molti ragazzi della mia età, che diventarono i miei amici. Li conobbi a scuola finché ci andai e continuai a vederli nel giardino al centro dei palazzi. Noi ragazzi delle Casacce ci si trovava proprio lì, nel quadrato d'erba secca, arredato con una panchina di pietra e un tiglio stentato. Non avevamo l'età per la patente ed era uno dei principali motivi per cui la vita non ci sembrava facile.
Il primo con cui feci amicizia fu LUCIO, un biondino slavato con la faccia d'angelo e lo sguardo folle, che abitava al piano terra del blocco A. Trascorreva le giornate in giardino a strimpellare la chitarra e offriva da fumare a chi passava. Aveva lasciato la scuola e, in attesa di trovare un lavoro, prendeva lezioni di chitarra.
A me insegnò a suonare gratis e mi convinse a comprare a rate la sua chitarra. Con i miei soldi acquistò un basso elettrico, così potevamo suonare insieme. Con i Queen e i Guns N' Roses, diventammo amici.
Lucio mi portò al primo piano del suo blocco a conoscere il suo insegnante di chitarra, di professione docente di musica nella scuola media e metallaro nella vita. Tutti lo chiamavano zio Gaetano perché aveva un nipote della nostra età, che non passava certo inosservato.
Si faceva chiamare SATOMI come il personaggio di Kiss Me Licia e aveva i capelli viola, appena più corti del Satomi del cartone animato. Per il resto, non gli assomigliava per nulla. Era basso, mingherlino, con le gambe corte e il volto tormentato dai tic. In realtà si chiamava Pellegrino e un cognome lungo quanto il nome.
Satomi suonava il basso con lo zio e il batterista Accio, di professione fioraio presso il Cimitero di San Vito. Grazie a un innato talento, Satomi era in grado di accompagnarli con grande disinvoltura nei pezzi metal. Il suo sogno, però, era cantare e suonare grunge con la chitarra elettrica. A Lucio riuscì a vendere il basso donato dallo zio e di nascosto comprò una chitarra.
Gaetano e Accio si misero alla ricerca di un altro bassista, ma Satomi fu invitato a trovarsi un lavoro serio. Nell'attesa, stava con noi in giardino, che fu soprannominato Giardino del Fumo.
Allora si aggregò ARTURO, che abitava con la madre al blocco C e assomigliava in maniera incredibile a Jim Morrison. Quasi per magia, con il suo arrivo molte ragazze carine entrarono nell'orbita del giardino quadrato.
La prima fu una tipa interessante che, senza timore, si avvicinò alla panchina e ci chiese se avevamo della marijuana da vendere. Si faceva chiamare KAYA e, a parte i capelli completamente rasati, era una beatnik stile Janis Joplin, con i jeans a zampa d'elefante e un gilet di broccato variopinto. Il saffy rosa che portava al collo sembrava nuovo di zecca. Gli occhiali da sole rotondi erano firmati. A guardarla bene, era una hippie di lusso.
La invitammo a fumare e Kaya ci raccontò che si era trasferita nell'appartamento al nono piano del blocco A, da sola. Appena compiuti i diciotto anni, era diventata una figlia dei fiori che non pensa al domani. Scappava da casa e finiva in strane situazioni.
I genitori, noti industriali del settore tessile, avevano accettato di pagarle l'affitto, purché Kaya tornasse in sé e si diplomasse al liceo. Infatti, Kaya non scappava più. Si trovava bene nel nostro quartiere, nella scuola pubblica, con noi. Dev'essere facile non pensare al domani, se non hai bisogno di lavorare per vivere.
Notai subito che Kaya non aveva occhi che per Arturo. A me presentò una punk, che frequentava la sua classe al liceo, e propose di uscire in quattro. Arturo invitò Lucio e Satomi. Non sembrava che avesse intenzione di fare coppia con Kaya, almeno fino al 4 novembre 1996.
Quella sera Arturo propose di andare al Parlagio per comprare qualcosa di diverso dal fumo delle Casacce. La mia ragazza era una strana punk, odiava le droghe e rifiutò categoricamente di salire sulla mia Vespa. Non potevamo essere così incoscienti da attraversare i Viali in motorino nella notte buia e tempestosa.
Kaya invece era entusiasta dell'idea ed io le offrii un passaggio in Vespa. La punk mi fece una scenata di gelosia e mi augurò che sui Viali si scatenasse una seconda alluvione. Aveva sentito al telegiornale che erano trascorsi trent'anni esatti dall'alluvione di Firenze.
Sui Viali cominciò a piovere da tutte le parti, di sotto, di sopra e di traverso. Le ruote della Vespa galleggiavano sul selciato. Kaya mi stringeva tremando per il freddo e cantava a voce alta Piove di Jovanotti. Preoccupato per la nostra vita, feci cenno agli altri di accostare in una piazzola.
Lucio non spense il motore della Vespa perché voleva ripartire subito. Dato che pioveva, tanto valeva tornare alle Casacce. Arturo propose addirittura di tornare al Parlagio perché l'erba che avevamo comprato si era bagnata ed era da buttare. Arturo è sempre stato folle, ma mai come a diciassette anni.
Siccome volevano tutti ripartire, chiesi la cortesia di portare Kaya per alleggerire la mia Vespa, che non ce la faceva a viaggiare. La maledizione della punk mi aveva colpito più degli altri. La Vespa di Lucio, con Satomi a bordo, procedeva senza problemi sull'acqua.
Kaya salì sulla moto di Arturo. Da fanalino di coda, sotto l'acquazzone vedevo che gli stava avvinghiata e posava il capo sulla sua spalla. Lo scroscio del temporale copriva il suono della sua voce, ma sapevo che continuava a cantare Piove. Quando arrivammo alle Casacce, stremati e zuppi d'acqua grigia, Arturo la baciò appassionatamente. Kaya provò un'emozione grande e non dormì tutta la notte pensando a lui.
Il giorno dopo Arturo ricordava appena quel bacio. Al Giardino del Fumo si fermò MARY, una morettina con il broncio.
Costanza F.
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