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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Ladislao Il Figlio del Re
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L'Esilio e la Riconquista.
Una sgradita sorpresa.
Ladislao Domenica 16 settembre 1386 – Napoli, Piazza Mercato
La pioggia cadeva sottile e trasformava il selciato in uno specchio che rifletteva il cielo plumbeo. Al centro della piazza, un carretto trainato da un asino grigio attirava gli sguardi silenziosi della folla. Sul cassone, qualcosa giaceva coperto da un telo nero. Ladislao aveva dieci anni e in quel momento si sentiva il più piccolo principe della terra.
***
Poco prima – Castel Nuovo
«Chissà che non spunti una bella galea a vele spiegate da dietro Castel dell'Ovo.» Ladislao strizzò gli occhi per guardare meglio attraverso la finestra della sala del trono. Non pioveva ancora su Napoli, ma una nebbia grigia avvolgeva il Vesuvio, e la città, dall'alto del castello, sembrava sospesa in un sogno. «Una galea che riporta a casa mio padre dall'Ungheria!» Insistette, e guardò di nascosto sua madre, seduta a un tavolo al centro della sala con quel vescovo ungherese, Paolo Horvati. Margherita sfogliava alcuni documenti con dita tremanti. Il suo volto era pallido, smagrito, la figura intristita dall'abito nero che indossava. Ascoltava in silenzio quell'uomo grosso con la barba che confabulava con lei. Chissà se aveva smesso di dirle bugie. Mentiva da mesi, Ladislao ne era convinto. Nessuno dei due sembrava lo avesse ascoltato. Ladislao ne aveva abbastanza di quei discorsi sussurrati, delle occhiate cariche di pietà, dei sospiri. Nessuno a corte conosceva suo padre bene come lui. Re Carlo non sarebbe morto senza dirgli nulla! Altre nubi arrivavano ad avvolgere il mare, sempre più cupo. Al largo un fulmine squarciò il grigiore e si precipitò tra le onde con un bagliore accecante. Strinse i pugni e si avvicinò al tavolo intarsiato, la bocca secca. «Madre, è possibile venire dall'Ungheria fino a Napoli per mare?» Margherita alzò gli occhi, come se avesse dimenticato che lui fosse ancora lì. Allungò un braccio, gli prese la mano e lo attirò a sé con un gesto dolce ma stanco. «Piccolo mio, ancora con questa storia? Stai pensando che tuo padre stia tornando via mare?» I suoi occhi, cerchiati di scuro, tradivano notti insonni. «Per mare può tornare. Lo ha già fatto. Si sarà fermato per dare la caccia ai saraceni.» Sua madre continuava a fissarlo e scuoteva la testa. Gli occhi le si fecero lucidi. «Madre, ormai ho dieci anni. Quando dico che mio padre ritorna, ritorna.» «Mio principe,» la voce grave del vescovo lo fece girare, «ancora non vi siete convinto? Sono giorni che ormai...» «Zitto! Basta così!» Ladislao si divincolò e fece un passo indietro, il respiro corto. «Non è vero! Non può essere morto! Siete uno stupido!» La gola gli bruciava. «Non avete alcuna prova!» «Ladislao, smettila...» Margherita allungò il braccio. «Maledetto! Siete maledetto, voi e tutti gli ungheresi!» Margherita scattò in piedi. «Adesso basta! Chiedi scusa a Paolo!» Horvati fece segno di stare calmi. «Mia regina, lasciate stare. Il ragazzo è sotto pressione da mesi. Forse... se è una prova che vuole...» Margherita sospirò, scambiò un'occhiata con Horvati. «Voi dite...» «Ma certo!» Margherita si avvicinò e lo accarezzò. «Va bene, figlio mio. Andiamo, voglio farti vedere una cosa.»
***
Seduto nella carrozza che usciva da Castel Nuovo, Ladislao chiuse gli occhi cercando di calmare il respiro. Aveva paura che lo mettessero di fronte a qualcosa che avrebbe spazzato via ogni sua certezza. La carrozza sobbalzava sul selciato. Superò il polveroso Largo delle Corregge ed entrò in città per la Porta Pietruccia. La città gli sembrava più cupa, triste. Cominciò a piovere. I volti lungo le strade sembravano rimproverargli qualcosa. Allungò una mano cercando quella di sua madre. Margherita gliela strinse forte. Nel suo sguardo c'era una consapevolezza che lo spaventava. Lei già lo sapeva. La carrozza si fermò a Piazza Mercato. I cavalieri della scorta si disposero intorno, mani sulle spade, occhi vigili. Al centro dello spiazzo, nonostante la pioggia, si era radunata una folla silenziosa. Un brivido gli percorse la schiena che non aveva nulla a che vedere con l'umidità. Quando scese con sua madre, seguiti da Horvati, tutti si girarono. Chi si inchinava, chi si toglieva il cappello, ma tutti gli occhi erano su di lui. Il piccolo principe. O il piccolo orfano? Era un carretto quello al centro della piazza. Un semplice carretto di legno trainato da un asino grigio. E sopra, un telo scuro copriva qualcosa Si avvicinarono. Gocce fredde gli scivolavano sul collo. La folla si aprì, poi si strinse intorno a loro. Ladislao aveva il cuore che batteva così forte da fargli male. Persino l'asino, con le sue orecchie dritte e gli occhi tristi, lo stava fissando, immobile. Cosa sto per vedere? Margherita fece un cenno. Qualcuno sollevò il telo con gesto lento. Un mormorio di disgusto si sollevò dalla folla. Tre teste mozzate. Allineate sul ripiano di legno. Tre volti lividi, stravolti dal tormento subito e strapazzati dalla putrefazione. Capelli e barbe intrisi di sangue rappreso e brandelli di carne. Lo spettacolo era orrendo, il fetore penetrante. Margherita si coprì gli occhi con una mano. Provò a tirarlo via, ma Ladislao la allontanò con gesto deciso. «Chi sono?» Si rivolse a Horvati. «Gli assassini di vostro padre. Uomini della corte ungherese. Mio fratello li ha catturati e giustiziati.» Non si sentiva turbato come avrebbe dovuto. Dentro aveva un miscuglio di rabbia, rancore, odio. Si asciugò il volto dalla pioggia che si confondeva con le lacrime. Esaminò quei volti, uno alla volta, per imprimerseli nella memoria. «Dov'è mio padre ora?» «È sepolto nel monastero di S. Andrea di Visegrád, dove è spirato dopo giorni di agonia.» Gli occhi di Ladislao cercarono quelli della madre. Ora vi scorgeva una disperazione profonda, un dolore che lui, piccolo presuntuoso, non aveva voluto comprendere. Come aveva potuto pensare che sua madre fingesse? Margherita per mesi aveva negato con tutti che il marito fosse morto, ma lo aveva fatto per proteggerli. Per evitare che qualcuno potesse approfittare di quella povera vedova e del suo figlio ancora fanciullo. Per mantenere uniti amici e alleati e fronteggiare i nemici. Per proteggere quel regno che ora spettava a lui. Si avvicinò al carretto con passi lenti. Si fermò accanto all'asino e lo accarezzò. Le dita affondarono nel pelo ruvido fra le orecchie fino al muso. La bestia scosse la testa e gli sembrò che annuisse. Poi si pose di fronte a quei tristi trofei. Li fissò di nuovo, percependo il silenzio della folla. Si fece il segno della croce. «Padre! Vedo che la tua morte è stata vendicata. Ma il tuo onore no. Toccherà a me farlo. Sono io adesso il re di Napoli e sarò re d'Ungheria!» Ogni traccia di fanciullezza si stava sgretolando sotto il peso di quella verità. La sua voce si spezzò appena, ma era ferma, decisa, molto più adulta di quanto chiunque si poteva aspettare. «E guai a chi mi impedirà di farlo!» Ma troppi lupi erano già in cammino per divorare quella corona. Si voltò verso sua madre, negli occhi una domanda che non osava formulare. Sono solo un fanciullo. Ce la farò? Margherita lo raggiunse e lo strinse a sé. «Ladislao, sei tu il mio re, adesso!» In lontananza un tuono rimbombò verso nord. Tutto il resto intorno era silenzio, neanche la pioggia faceva rumore. La folla si inginocchiò lentamente. Ma nei volti di quella gente, oltre il rispetto, qualcosa gelò Ladislao più della tempesta: la pietà. Pietà per un principe che fin dalla nascita era destinato a una corona forse troppo pesante per lui.
Il figlio del re
*** Circa dieci anni prima Margherita Lunedì, 16 febbraio 1377 - Napoli, Castel Nuovo
L'aria gelida di febbraio la risvegliò che nella stanza era ancora buio. Margherita tenne gli occhi chiusi e si rannicchiò su un fianco, stringendosi nelle coperte. Ma il dolore sordo tra le gambe le ricordò tutto: il travaglio della notte, le ore di sofferenza, e poi quel grido. Il primo di suo figlio, che aveva spazzato via ogni tormento. La testa le girava ancora, le sembrava di galleggiare tra sonno e veglia. Come aveva fatto a stendersi in quel letto? Non certo da sola. Dopo due ore di travaglio su quella sedia che le avevano preparato, ricordava bene come il vagito forte del bambino le aveva fatto tirar fuori un sospiro di sollievo. Non solo perchè si era sentita finalmente svuotata di quel peso, ma soprattutto perchè la levatrice aveva quasi gridato “è un maschio!” Grazie a Dio, un erede maschio! Il pensiero l'aveva attraversata come un lampo di luce in una notte di tempesta. Sotto le coperte le arrivò un profumo che sapeva di fresco. Dava un piacevole senso di benessere. Un misto di lavanda e rosmarino che si sentiva ancora addosso, che avvolgeva la sua pelle come un velo invisibile. Per un istante, sola con i suoi pensieri, Margherita chiuse gli occhi. Carlo era lontano. Il futuro era incerto. E lei era solo una donna sfinita che aveva appena partorito. Una lacrima le scivolò sulla guancia. Poi si asciugò il viso. Basta. Doveva essere forte. Le avevano anche attaccato il piccolo al seno per la prima poppata, ma era tale la spossatezza che al lume delle candele non era neanche riuscita a vedere bene in viso suo figlio, Ladislao. E dopo un po', nonostante le mani esperte della levatrice, si era abbandonata a un sonno profondo. Ladislao. Dov'era Ladislao? Margherita si tirò su di scatto, gli occhi che frugavano nella penombra della stanza. Silenzio. Troppo silenzio. Quel silenzio che ogni madre teme. La stanza era piccola ma calda. Il camino proiettava ombre danzanti sulle pareti. Dalla finestra entrava un po' di luce. Doveva essere già mattino. Vicino al letto, accovacciata su una poltroncina, con le gambe sotto di lei e avvolta in una coperta, Letizia la fissava con apprensione. Anche lei doveva essersi addormentata, gli occhi ancora pesanti di sonno ma vigili. «Ben svegliata, mia signora!» Letizia le sorrise e si alzò. «Tutto bene? Mena! Mena!» Sussurrò verso l'altra parte della stanza. «Si è svegliata!» Le altre donne che l'avevano assistita erano ancora lì e trafficavano in un angolo. Margherita non le vedeva distintamente, ma ne avvertiva la presenza discreta, mentre si scambiavano parole sottovoce. Cercò di tirarsi su. «Dov'è Ladislao?» La voce uscì più debole di quanto volesse. Letizia le si avvicinò. «State tranquilla. Il bimbo sta dormendo.» Margherita ricadde giù. Si sentiva fiacca e indolenzita, ma sollevata. Carlo avrebbe dovuto essere lì. Ma era in Ungheria a inseguire quella maledetta corona, e le aveva scritto che non poteva tornare. Pazienza. L'importante era che fosse un maschio, nato a Napoli. Lei aveva fatto la sua parte. Gli aveva dato l'erede che serviva ai Durazzo. Doveva scrivergli subito, dirglielo prima che lo sapesse da altri. Letizia le toccò il braccio con delicatezza. «Avete dormito! Finalmente.» Sembrava sollevata quanto Margherita. Le sistemò le coperte intorno con gesti misurati e familiari. Le sue mani tiepide come un ricordo d'estate. Margherita cercò di alzarsi a sedere, ma il dolore alla schiena era più intenso di quanto immaginasse. Una fitta che la attraversò come una lama. Strinse gli occhi. Le pareti della stanza la cinsero in un abbraccio caldo, mentre il fuoco continuava a consumare lento e incessante la legna nel camino. «Chiama la levatrice,» con un filo di voce, «vorrei vedere mio figlio.» Letizia annuì, si voltò verso una figura che si muoveva dall'altro lato della stanza. «Mena!» Margherita alzò gli occhi verso la levatrice. Mani nodose, sguardo fermo. Una donna che aveva visto nascere centinaia di bambini. Le si avvicinò decisa, avvolta in uno scialle di lana. «Che vi dicevo, io?» Mena le accarezzò i capelli scomposti con mani ruvide ma dolci. «Non c'era di che preoccuparsi. Il principino è un angelo e voi mi sembrate una rosa! Ma quando avete intenzione di imparare? Oramai siete al secondo figlio. Chissà quanti ne dovete fare.» Margherita sorrise, un bagliore di ironia negli occhi. «Volete la mia morte?» Le altre due inservienti si avvicinarono. Si muovevano leggere e silenziose, come falene attratte dalla luce. Margherita si sollevò un poco, spostò le coperte e sporse le gambe dal letto. «Vorrei sedermi su quella seggiola. Datemi una mano.» Le due donne scossero la testa, si scambiarono occhiate divertite, ma sapevano bene quanto fosse determinata e non discussero. Sollevarono le sue braccia sulle loro spalle e quasi di peso l'aiutarono a sedersi sulla stessa sedia sulla quale aveva partorito. «Appena si sveglia portatemelo.» Mena le mise una coperta sulle spalle. «Non credo ci sia molto da aspettare.» Infatti il piccolo era sveglio. I suoi gorgoglii dall'altra parte della stanza risuonarono chiari come note di un flauto. Mena aprì le tende e un tiepido sole invase la stanza. La polvere danzava nei raggi di luce. Prese delicatamente il bambino dalla culla, tutto infagottato, avvolto in una calda coperta di pelliccia. Finalmente glielo porse, come il più prezioso dei tesori. Margherita se lo sistemò tra le braccia. Un nido perfetto. Il neonato chiuse il pugno. Aprì gli occhi e la fissò con un'intensità che la sorprese. Come se la riconoscesse già. «Quanto sei bello!» mormorò, sfiorandogli una ciocca di capelli che spuntava dalla cuffia. «La-di-sla-o! Il nome di un re, e tu sarai un grande re! Degno della stirpe dei Durazzo.» Margherita trattenne il respiro. Quegli occhi. Scuri come quelli di Carlo. Gli sfiorò le labbra con un dito. Lui cercò di afferrarlo con le labbra, la bocca tesa per succhiare, si agitò tra le sue braccia. Aveva fame! Era decisamente sveglio, il bimbo, e per niente incline alla pazienza. Come suo padre. Margherita sorrise. Si rivolse a Mena. «Avete trovato la nutrice?» «Sì, mia signora. Pasqua di S. Angelo, è moglie di un fornaio. Ha perso il suo bimbo la settimana scorsa ma ha ancora latte abbondante. È donna sana e di buoni costumi.» Mena abbassò la voce. «Il parroco mi ha assicurato della sua moralità.» Margherita annuì. Sapeva che era necessario, ma una parte di lei si ribellava all'idea di affidare suo figlio a un'altra donna. «Che almeno per oggi resti qui con me. Domani inizierà il suo servizio.» «Come desiderate, mia signora. Ma il bambino cresce forte solo se mangia regolare.» La seconda poppata sembrò rinvigorire il bambino. Succhiava con voracità. Margherita lo guardò, il piccolo corpo caldo contro il suo. Non aveva mai provato nulla di simile. Gli aveva dato la vita. Ora doveva dargli la forza per difenderla. «Ci sarò sempre per te,» gli sussurrò mentre lui succhiava avidamente. «Nessuno ci dividerà mai. Te lo prometto.» Ma il miracolo durò poco. C'era sempre qualcuno disposto a turbarla. Questa volta fu la regina Giovanna in persona che, con la piccola Giovannella che le correva dietro, entrò nella stanza. «Ecco qua tuo fratello! Te l'ho detto che era già sveglio.» Vestita con un abito rosso scuro bordato d'oro, la regina lasciò spazio alla piccola che si avvicinò alla seggiola e osservò il fratello con silenzioso interesse, gli occhi spalancati dalla meraviglia. Margherita sospese l'allattamento, dette un carezza a sua figlia e le mostrò il bambino. «Eccolo qui. Ladislao, questa è tua sorella Giovanna. Giovanna, questo è tuo fratello Ladislao. Mi raccomando, tu sei più grande, ma vorrai sempre bene a Ladislao, vero?» La bambina annuì, sembrava rapita da quella minuscola creatura. «La-di-di?» Mormorò. Zia Giovanna rise, un suono che riempì la stanza. Fece un cenno vero la porta. «E' tutto pronto per il battesimo. Stanotte non era il caso, troppo freddo. Il neonato sta bene, l'inferno può aspettare.» Che maniera di parlare è questa! Margherita tacque, ma fulminò con gli occhi la zia. La regina fece finta di nulla. «Ladislao? Quindi avete deciso di chiamarlo così? Non ti sembra un po' troppo... magiaro?» Alcune persone entrarono intanto nella stanza. I loro passi risuonarono sul pavimento di pietra. Margherita riconobbe fra loro il cappellano del castello, con la sua veste nera e l'espressione solenne, e il protonotario apostolico, con delle carte in mano. Poi guardò la zia, raddrizzando le spalle nonostante il dolore alla schiena. «Mio figlio si chiama Ladislao d'Angiò Durazzo.» Il suo tono era calmo, fermo. Lo disse ad alta voce per farsi ascoltare dai nuovi arrivati. Non voleva lasciare dubbi sulla sua determinazione. «Con Carlo, già da quando ero in Ungheria, abbiano deciso che se fosse stato un maschio il suo nome sarebbe stato quello del più grande re ungherese. Non solo perchè Carlo ha un suo ruolo nei confronti della corona d'Ungheria, ma soprattutto perchè è un nome che è simbolo di fierezza, di una grandezza eroica espressa con un alto senso della giustizia fino ad essere ricordato e celebrato per la sua santità.» Margherita scorse lo sguardo su quei volti che la ascoltavano in silenzio. «Il mio Ladislao sarà un grande re! Giusto, valoroso e amato dal popolo!» «Come invidio la vostra determinazione.» Riuscì a dire zia Giovanna, nel momento in cui la nutrice tendeva le braccia per avvolgere il bambino in un panno morbido a scacchi rossi e celesti, i colori dei Durazzo. In quel momento, un'ombra inattesa si proiettò nella stanza, attirando l'attenzione di tutti verso l'alta finestra: i pesanti tendaggi, scostati di lato, lasciavano filtrare i raggi di un sole ormai alto, che inondavano la stanza di una luce dorata, calda e vibrante. Un grido acuto squarciò l'aria e un grosso falco, con le ali color ardesia spiegate, atterrò preciso in cima alla sporgenza di pietra. I suoi artigli afferrarono la superficie ruvida mentre i suoi occhi esaminarono l'interno della stanza con curiosità quasi umana. La testa grigia si mosse rapida, il becco si aprì due, tre volte lanciando il suo acuto richiamo. Uno dei presenti, un uomo dai capelli grigi e dalla barba curata, fece un passo avanti, lentamente per non spaventare l'uccello. Margherita sapeva che era un astrologo, un lettore di segni e destini. L'uomo allungò il collo. «Che magnifico esemplare! Questo è uno straordinario presagio, un segno che annuncia grandezza per il nuovo nato!» Tenne la sua voce bassa e si girò verso Margherita e la regina Giovanna. L'uccello, con un ultimo grido, dispiegò le sue ali e con un salto deciso, si librò nell'aria a riprendere il suo volo. Una macchia scura contro il cielo azzurro. L'astrologo si avvicinò alla finestra e lo segui con lo sguardo, un'espressione di stupore sul volto segnato dagli anni. «E' come una freccia scoccata verso il cielo!» Esclamò, emozionato. Margherita istintivamente abbracciò Ladislao, come per proteggerlo ma anche per infondergli quella forza che il presagio annunciava. Persino la regina Giovanna sembrò turbata, immobile come una statua nel suo abito sontuoso. Tutti gli occhi erano rimasti fissi sul maestoso uccello, lasciando la corte sospesa in un momento di silenziosa attesa. Margherita guardò di nuovo suo figlio. Quegli occhi scuri. Troppo intensi per un neonato. Il falco era solo un uccello. Ma aveva cambiato qualcosa dentro di lei. Ladislao non era solo suo figlio. Era il futuro re di Napoli. Lo strinse più forte al petto. Sentiva il calore del suo corpicino attraverso la coperta. «Un giorno sarai re,» sussurrò. «E io farò in modo che tu sia pronto.» |
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