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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Simone Ruggerini
Titolo: Tutto è scritto
Genere Horror Thriller
Lettori 3779 42 61
Tutto è scritto
Francesco non poteva credere ai suoi occhi. L'autobus su cui stava viaggiando era strapieno, non c'era nemmeno un metro quadrato di spazio libero, eppure il sedile vicino alla ragazza dai lunghi capelli mossi e dorati era vuoto. Forse aveva la vista appannata dal caldo, era troppo strano. Si fece comunque strada tra i passeggeri, cercando di spingere il meno possibile per non irritarli più di quanto già lo fossero data l'afa terrificante.
Qualcosa che occupava il posto, a dire il vero, c'era: uno zaino. E non poteva che essere della ragazza a fianco, così assorta nella contemplazione della città che scorreva al di là dello sporco finestrino.
Francesco decise di farsi coraggio. Non voleva disturbarla, ma aveva una gran voglia di riposarsi almeno per qualche minuto.
- Scusa... è libero quel posto? -
- Sì, certo - . La ragazza spostò lo zaino e lo appoggiò sulle gambe.
Francesco si sedette, mentre si congratulava silenziosamente con se stesso per non essersi fatto prendere dalla sua solita e patologica timidezza.
Il rilassarsi del corpo gli permise di iniziare a viaggiare con la mente e dimenticarsi per un attimo di quella bella ragazza che aveva accanto. Questo era infatti un giorno molto importante per lui, un giorno che rappresentava un cambiamento fondamentale per la sua vita. C'era qualcosa di nuovo e misterioso ad attenderlo da lì a breve: il mondo universitario.
Aveva passato le ultime settimane immerso in pensieri grandiosi e in sogni di gloria, com'era solito fare nei giorni che precedevano i passi importanti. Finalmente ora non doveva più attendere, perché il grande momento era giunto. Era stato poi fortunato: non aveva dovuto subire imposizioni dai suoi genitori, forse perché, nel periodo di una scelta così importante per il loro unico figlio, si erano dedicati a cercare una nuova casa, o forse perché avevano pensato bene di lasciarlo libero di coltivare i suoi interessi.
L'ago della bilancia era allora caduto su Psicologia. Era stato l'unico della sua classe a volersi iscrivere a quella facoltà, mentre molti suoi compagni ne avevano preferite altre: Economia, Ingegneria e Giurisprudenza. Francesco però serbava parecchi dubbi sul reale desiderio dei suoi amici di intraprendere percorsi del genere; riteneva che fosse stato più l'istinto di sopravvivenza a consigliare loro una via simile, se non maledettamente identica, a quella dei loro genitori; assai più comoda, quindi, rispetto a una più stimolante e meno scontata.
Era pur vero che Psicologia era guardata con molto scetticismo, probabilmente perché a Parma costituiva una novità, e ciò che era poco conosciuto veniva inevitabilmente percepito come ostile.
Il suo vagabondare tra i pensieri fu disturbato però da un dolcissimo profumo alla pesca. Si girò e la rivide: così da vicino quella ragazza dai lunghi capelli biondi era ancora più bella. Non era una bellezza canonica, con quelle labbra appena pronunciate e il viso tondo e un po' infantile, ma Francesco ne era fortemente attratto. Una sensazione rapida, diretta come un pugno ben assestato allo stomaco.
La ragazza si accorse dello sguardo penetrante del suo vicino e, come per sfidarlo, lo fissò dritto negli occhi, con un'espressione che Francesco tradusse inevitabilmente come fastidio.
- Stai andando anche tu alla facoltà di Psicologia? -
Francesco rimase spiazzato da quella domanda, ma, allo stesso tempo, fu invaso da una sconfinata esaltazione. Gli aveva rivolto la parola. Trovò incredibile che stesse cercando di instaurare una normale conversazione proprio con lui. - Ehm... sì, sto andando proprio lì - . Aveva tanti di quei garbugli nella testa che riuscì a spiccicare solo quella banalissima frase. Una lampadina si accese però nel suo cervello congelato dall'agitazione.
- Ma... come fai a saperlo? -
- Hai in mano il libretto universitario. E c'è scritto Psicologia - .
Seguì una risatina, di compassione con molta probabilità. Francesco si era dimenticato di tenere tra le dita quel maledetto libretto. Si sentì uno stupido idiota. - Ah già, è vero - .
- Non preoccuparti, anch'io faccio fatica a starci con la testa. C'è un caldo assurdo... e poi devo stare attenta a non perdere la fermata giusta. È la prima volta che vado in facoltà da sola e di questa città non ci ho ancora capito molto. Però, dai, la fortuna ha voluto che ti incontrassi - .

Sullo stesso autobus, nascosto alla vista di Francesco e della sua nuova conoscenza, un uomo non stava vivendo momenti altrettanto piacevoli. Soffriva infatti di ciò che lui chiamava Impellenza. Una voglia intensa e penetrante che in alcuni momenti prendeva una forma molto concreta: una voce quasi dirompente, chiassosa, che gli diceva cosa fare e lo spingeva ad agire come un drogato dopo un'astinenza di giorni e giorni.
Nei giorni precedenti quest'uomo aveva cercato di essere il solito vecchio Alfredo, ma con scarsissimi risultati. Era convinto che quello fosse ancora il suo nome, ma tutto ciò che lo contraddistingueva come l'essere-Alfredo stava progressivamente svanendo, confinato in un passato che gli appariva lontano anni luce.
In mezzo a tutta quella gente, nello spazio ristrettissimo di un infame mezzo pubblico, l'Impellenza gli stava bombardando il cervello, di conseguenza sudava freddo e allo stesso tempo salivava come un cane rabbioso. Sentiva gli occhi esplodergli, e ogni volta che posava lo sguardo su una di loro, su una di quelle, sentiva le mani serrarsi violentemente e il pisello indurirsi come una lastra di marmo.
Ce n'erano tante, troppe. Molte per fortuna erano ragazzine, di quelle che stavano entrando voracemente nella pubertà. Gran bel periodo quello, si scoprivano tante cose nuove e interessanti; la sua, di pubertà, non era però che un vago ricordo immerso in un presente soffocante e impellente. Quelle così giovani però non gli interessavano. Le riteneva acerbe, poco appetitose.
C'erano anche delle anziane signore, che gli apparivano però schifose, mummie incancrenite dalla vita, tutte falso sorriso e gambe rattrappite. Nemmeno quelle erano di suo gradimento.
Ed ecco tutte le altre. La maggior parte non era in realtà così affascinante; quelle, a un uomo comune, non lo avrebbero fatto rizzare neanche se fossero state le ultime donne sul pianeta. Ma lui non era un uomo comune. Non più. Non ci poteva fare nulla, le percepiva succose.
La migliore stava in fondo, in un angolo di quel maledetto autobus di merda. Aveva dei capelli biondi, lunghissimi (Afferrali!), e una camicetta bianca stretta stretta (Strappala!).
Colui che un tempo si faceva chiamare Alfredo ordinò a se stesso di resistere. Era fottuto se perdeva il controllo lì dentro. Doveva smettere subito di fissarla. Si rese conto poi di aver attirato l'attenzione dell'amichetto della ragazza, un tipo occhialuto e insignificante che però non gli diede grande importanza e tornò a parlare con lei come se nulla fosse.
L'autobus iniziò a rallentare e i due si alzarono. Doveva essere la loro fermata. Ma che fermata era? Alfredo cercò di capirlo, ma i suoi occhi e le sue orecchie, assieme a tutto il sistema nervoso, iniziarono a vacillare: le strade, i negozi, le persone non c'erano più. Era solo. La sua Impellenza rimaneva l'unica cosa: pulsante, scorticante, insopportabilmente tenace.
Alfredo tornò in sé. Gli attacchi di vera e totale confusione fortunatamente duravano pochi secondi. Gli fu così possibile adocchiare una bella brunetta appena salita sul mezzo. La bionda di prima era già un vago ricordo.

- A proposito, mi chiamo Valentina - .
L'autobus si era fermato a pochi metri da piazza Garibaldi, il centro della città. Da quel punto l'Università non era molto distante.
Francesco conosceva benissimo la zona e sapeva che, prendendo le viuzze giuste, sarebbero potuti arrivare a destinazione in non più di dieci minuti. Decise allora che quella era la situazione più adatta per sfoderare una delle sue carte migliori, anche se non le riteneva di certo granché affidabili. Incontri di questo tipo però gli capitavano molto raramente, doveva quindi cercare di sfruttare l'occasione e farsi perlomeno amica una così bella ragazza.
- Io sono Francesco. Vieni, andiamo di qua che è più breve, così intanto ti faccio vedere uno dei posti più belli che ci sono da queste parti, visto che mi hai detto che non conosci ancora bene la città - .
- Ok, va bene - .
I due ragazzi entrarono in un vicoletto così stretto che il passaggio, per qualsiasi automobile, era impossibile.
Francesco notò come Valentina fosse molto incuriosita da tutto quello su cui le cadeva lo sguardo: negozi, portoni antichi, scorci di altre stradine che incrociavano la loro. Si soffermava anche sui passanti, scrutando alcuni di loro come se fossero di un altro pianeta. E lui invece osservava lei: era bella da morire.
- Sembra tutto così tranquillo rispetto a dove stavo io, è la prima cosa che ho notato quando mi sono trasferita qui - .
- Già, è vero. A volte lo è fin troppo, ma in realtà è solo apparenza. Te ne renderai conto presto, fidati - .
- Dici? Beh, spero di no. Ho deciso di andarmene da Milano proprio perché non ce la facevo più a sopportare quel caos infernale. La vita della grande metropoli non fa per me - .
- A Milano ci sono stato un paio di volte e in effetti c'è una bella differenza rispetto a qui. Però ha i suoi lati positivi - .
Il viottolo si apriva in un largo spiazzo rettangolare, pavimentato con sassi allungati e lisci. Alla sinistra di Francesco e Valentina si ergeva il Battistero e, dall'altro lato a distanza di pochi metri, il Duomo: erano due dei monumenti più noti di Parma, nonché emblemi di quell'arte romanica che tanto affascinava i turisti. Per un momento, nel punto in cui la stradina si stringeva ulteriormente, poteva quasi sembrare di essere abbracciati da quei prodigi dell'architettura antica.
- Ovviamente questa piazza l'ho già vista. È la prima cosa che ti obbligano a visitare i parmigiani - . Il tono della voce di Valentina faceva trasparire un filo di delusione. Forse sperava che Francesco fosse leggermente più originale.
- Anche noi di Milano abbiamo un Duomo, direi anche molto più bello - .
- Beh, non credo si possano paragonare, sono due stili totalmente diversi. Questo è grezzo e spoglio, se vogliamo metterla così, quello di Milano invece è più complesso e tutto sparato verso l'alto - .
- Ecco, a me piace proprio per quello - .
- Ok... però ti consiglio di visitare questo anche all'interno. Magari ti ricrederai, un pochino - .
- Va bene... lo farò - .
Dove aveva tirato fuori tutta quella saccenteria? Era forse impazzito? Francesco, l'impedito allontana-ragazze per eccellenza, stava tornando all'attacco. Valentina non sembrava però turbata dal discorso; aveva infatti già ripreso a guardarsi intorno.
Dopo un paio di minuti, superati altri borghetti, i due arrivarono a una seconda piazza, questa volta più piccola ma impreziosita da un prato ben curato e da alcune aiuole colorate da fiori di diverso genere e dimensione. Al centro della piazzetta si trovava una statua raffigurante una donna e un uomo, uniti a formare un solo blocco di pietra molto evocativo. Se fossero state persone in carne e ossa, quelle statue avrebbero potuto iniziare da un momento all'altro a ballare al ritmo di un appassionato valzer.
- Ormai siamo arrivati... -
Francesco cercava disperatamente di capire se ciò che si presentava davanti a loro fosse di suo gradimento.
- Ma è bellissima! -
I nervi di Francesco si sciolsero e un senso di sollievo lo fece diventare leggero come l'aria.
- Ci sono dei fiori stupendi qui! Cavolo, se avessi la macchina fotografica... -
Francesco amava quel luogo, a cui erano legati tanti suoi bei ricordi. E in quel momento la lista si allungò di un'unità. Sorrise a quel pensiero: la sua nuova vita era davvero iniziata con il piede giusto.
2



Matteo parcheggiò la sua Golf senza preoccuparsi troppo dei dettagli. Era mostruosamente in ritardo. La testa gli rimbombava ancora parecchio per colpa dei bagordi della sera precedente e delle poche ore di sonno godute. Un angolino remoto della testa gli aveva suggerito che forse era meglio non restare fino a tardi a quella festa, ma i litri di birra che aveva ingurgitato avevano prontamente annegato quel saggio consiglio.
E poi c'era stata anche Simona: difficile dirle di no.
Afferrò la borsa a tracolla, sbatté la portiera dell'auto e si precipitò verso la facoltà. Dopo alcuni passi gli venne il dubbio di non aver chiuso a chiave la macchina, ma non aveva né il tempo né la voglia per tornare indietro. Decise che lo avrebbe scoperto al ritorno.
Trascorsa una manciata di minuti, Matteo fu davanti alla suggestiva scalinata d'entrata del dipartimento di Psicologia, formata da due rampe che partivano perpendicolarmente l'una accanto all'altra, occupando un intero angolo del palazzo per poi riunirsi in cima prima di una moderna porta scorrevole.
L'interno dell'edificio, più che a una sede universitaria, assomigliava al reparto di un ospedale: corridoi lunghi raccolti da pareti bianche e prive di ogni tipo di decorazione, porte tutte uguali tra loro e distanziate sempre allo stesso modo, odore di ammoniaca. Fortunatamente Matteo trovò con facilità la sua destinazione: aula 3 H.
La stanza era invasa da un'orda dalle dimensioni indecifrabili di studenti. I posti a sedere erano tutti occupati e la stessa cosa valeva per ogni centimetro quadrato del pavimento; stentava a credere che vi fossero così tanti iscritti a Psicologia. Probabilmente molti di loro erano come lui, giunti a una simile decisione in parte per mancanza di idee concrete sul proprio futuro e in parte perché sembrava una delle strade più semplici da praticare.
Doveva assolutamente trovare uno spazio dove sedersi: già detestava stare in piedi in condizioni normali, figurarsi poi con un mal di testa così opprimente. Guardandosi attorno, però, le sue speranze sembrarono svanire.
Quando stava per arrendersi all'evidenza, vide la sua salvezza: era un piccolo spazio alla fine di un lato corto della stanza, vicino a una ragazza bionda che parlottava con un tipo mingherlino e con gli occhiali. Senza pensarci due volte, si diresse verso quel punto e si mise finalmente comodo. Sospirò quindi soddisfatto, potendosi concentrare sulla lezione.
Quello che il professore di turno stava spiegando gli sembrò addirittura quasi interessante.
- ... per migliaia di anni si è cercato di penetrare i misteri del comportamento umano, si è tentato di comprendere se stessi e gli altri. Tuttavia, i risultati più importanti, almeno dal punto di vista scientifico, sono stati conseguiti solo negli ultimi cent'anni... -
Matteo si rivolse alla ragazza al suo fianco, additando il professore.
- Scusa, ha iniziato da molto? -
La ragazza parve come risvegliarsi da un bel sogno.
- Eh? No, ha iniziato da cinque minuti più o meno - .
- Ah, ok. Mi è andata bene allora. Grazie - .
La ragazza gli sorrise. Era molto carina, ma non il suo tipo: troppo ‘normale' infatti, e poi sembrava anche piuttosto seria, almeno dall'interesse con cui seguiva il discorso del professore. Lui odiava le persone troppo serie, gli facevano venire una strana tristezza.
Con quella dolce espressione della bocca, la ragazza aveva comunque sprigionato una discreta forza magnetica, tanto da spingere Matteo a presentarsi.
- Ciao, io sono Matteo. Piacere - .
- Valentina - .
- Senti, ti andrebbe un caffè dopo la lezione? Purtroppo non conosco nessuno qui dentro e mi sento ancora leggermente sperduto, oltre che con il cervello prossimo all'esplosione, ma questa è un'altra storia - .
- Se mi prometti che adesso stai zitto, accetto - .
Però, era una tipa tosta quella ragazza.

La giornata era ormai giunta al termine; la luce del sole stava lentamente lasciando il posto all'oscurità e per le vie di Parma iniziavano ad accendersi i lampioncini in vago stile ottocentesco che le delimitavano.
Valentina aveva quasi raggiunto il suo piccolo appartamento che da pochi giorni divideva con altre due ragazze. Era stata per lei un'enorme fortuna trovare Barbara e Silvia: sin dalla sua decisione di cambiare aria e andarsene da Milano, Valentina aveva avuto un leggero ma persistente timore su come sarebbe stato il vivere da sola, lontano da famiglia e amici, e le prime settimane a Parma avevano confermato la sua preoccupazione. Fino a quando passeggiava per la città stava infatti bene, ma spesso di notte, circondata dal silenzio, l'assaliva una sensazione poco piacevole, un vuoto. Una voragine che si infiltrava subdolamente dentro di lei e la logorava lentamente.
Valentina aveva bisogno della presenza di qualcuno, qualcuno di cui fidarsi, soprattutto dopo quello che le era successo nel maledetto Marzo di quell'anno.
Entrò finalmente a casa. Nello stanzone principale, adibito a salotto, trovò Silvia che stava ingurgitando avidamente un gelato in scatola, mentre guardava una di quelle orribili trasmissioni a premi che venivano propinate dalla televisione appena prima l'ora di cena.
- Ciao Vale - .
- Ciao. Tutto bene oggi? -
Silvia appoggiò per un momento il gelato e si concentrò sull'amica.
- Poteva andare peggio, però è stata una palla mortale a lezione. Sai, penso proprio di aver fatto una cagata a iscrivermi a Economia - .
- Ecco, brava. Se la pensi così già adesso... -
- Il fatto è che non sono stata io a deciderlo. Maledetti commercialisti! Non potevo avere dei pasticceri come genitori? Quella sì sarebbe stata una gran cosa! -
Valentina considerava Silvia una ragazza dolcissima e con un grande bisogno di affetto. Anche per questo le si stava già tanto affezionando.
- Barbara è in casa? - Valentina non percepiva la sua presenza ma le sembrava strano che non fosse lì a quell'ora.
- Sì, è di là in camera sua a smanettare con il pc. Vieni a vedere un po' di televisione? -
- Un attimo. Prima voglio farmi una doccia e mettere qualcosa sotto i denti. Poi sono da te - .
Silvia allora si ributtò senza pietà sul gelato. Valentina raggiunse invece la stanza di Barbara. La porta era socchiusa e filtrava l'inconfondibile luce bluastra dello schermo del portatile.
- Ciao secchiona. Riesci a staccarti ogni tanto da quell'affare? -
Barbara si girò: - Ah, ah, ah... divertente. Sai, qualcuno in questa casa dovrà pur far qualcosa di utile, no? -
- Eh, già. Dovresti dirlo anche a Silvia, però, non solo a me - .
- Secondo te non gliel'ho già detto duecento volte? Oggi però ha conosciuto un nuovo ragazzo ed è un po' su di giri. Hai notato il gelato formato famiglia, vero? -
Un sottile sorriso incurvò all'insù le labbra di Valentina.
- Direi proprio di sì. Beh, io vado a fare una doccia - .
- Ok... a proposito, il tuo primo giorno com'è andato? -
Valentina stava già prendendo la strada per il bagno, ma si fermò per rispondere: - Come immaginavo è stato molto interessante. Il professor Gerri, quello di cui ti avevo parlato, ci sa proprio fare. È un mezzo matto, e scherza continuamente. Però sa come colpire l'attenzione - .
- Bene. Nuove conoscenze? -
- A dir la verità sì. Ho conosciuto due ragazzi, uno di qui e l'altro come me, di Milano - .
- Però! Ti sei già data da fare. Brava - .
- Ma non dire stronzate. Sono state le classiche conoscenze casuali da primo giorno di scuola - .
- E come sono? -
Barbara, mentre parlava, aveva l'abitudine di prendersi una ciocca dei suoi capelli neri e arricciarsela attorno all'indice della mano sinistra. Valentina lo trovava un vezzo molto carino, anche se non si poteva certo dire che, nel complesso, la sua amica fosse Miss Attrazione; anzi, pensava spesso che fosse proprio la tipica ragazza che passava il più delle volte inosservata: occhialoni, sempre in jeans e maglietta, poco trucco, nessun segno particolare in viso, fisico magro e piatto. L'esatto opposto di Silvia, tutta curve, mèches bionde, matita nera attorno agli occhi e rossetto da combattimento.
- Beh quello di Parma è un po' nerd... non è certo il ragazzo più sveglio che conosca, però non è antipatico. E poi mi è sembrato un tipo molto a posto, gentile. Ma sì, promosso. L'altro invece è il classico sportivo figlio di papà, capelli a spazzola e muscoli. Ma anche lui è una persona piacevole, in fondo - .
- Qualche cotta in vista? -
- Assolutamente no. Che maliziosa che sei, mamma mia! -
- Dai che scherzo. Va' a farti la doccia che è meglio, così raffreddi i bollenti spiriti della passione - .
- E piantala! -
- Acqua bella fredda, mi raccomando - .
- Un'altra battuta del genere e a raffreddare i bollenti spiriti ci porto anche il tuo computer. Ti va? -
- Direi di no. Ok, la chiudo qui... buona doccia, cara - .
Valentina aveva trascorso pochi giorni insieme a Silvia e Barbara, ma erano già stati sufficienti per farle diventare sue buone amiche, cosa che forse non le era mai capitato con una tale velocità.

La notte era tutta un'altra musica, per Alfredo. I motivi di questa diversa condizione erano due: prima di tutto quell'incredibile schiarimento nel suo cervello. Era come se, durante il giorno, i suoi pensieri fossero stretti da una morsa di granito, compressi, mescolati; arrivava poi il buio e lentamente, l'oppressione si allentava. Alfredo riusciva così a ragionare con maggiore facilità, a percepire ciò che gli stava attorno con un ritrovato senso di realtà.
L'Impellenza, però, non lo abbandonava mai. Era lì, anche di notte. Diventava semplicemente più chiara quale fosse la sua meta.
Il secondo motivo era proprio che la notte era il momento ideale per ascoltare, lasciar libera e soddisfare la sua nuova compagna di vita.

Al suo risveglio, la mattina seguente, Francesco si sentì ben riposato. Non ricordava di cosa trattasse, ma era sicuro di aver fatto anche un bel sogno. La sua impressione era che c'entrassero prati fioriti e una bella ragazza bionda.
Giunto in cucina, si preparò un tè caldo e qualche fetta biscottata con la marmellata. Mentre stava per addentare la sua colazione, suo padre entrò nella stanza. Stava discutendo con qualcuno a una certa distanza, quando si accorse della presenza del figlio.
- Oh... buongiorno Fran - .
- Ciao papà - .
- Potresti dire a tua madre che non ho tempo per guardare cosa non va nel lavandino? Sembra non capire che devo andare al lavoro prima, oggi. Ho una riunione con il grande capo... c'è aria di cambiamenti, in società - .
- Va bene, glielo dirò. Magari do un'occhiata io - .
- Ecco bravo, non fare danni, però - .
- Sono commosso dalla tua fiducia nei miei confronti - .
L'uomo prese una delle fette biscottate del figlio e si dileguò.
Poco dopo comparve nella stanza sua madre, visibilmente irritata.
- Ma dov'è finito? -
- È appena uscito - .
- Maledetto... -
Mentre la donna tornava da dov'era venuta, a Francesco scappò una breve risata. Amava profondamente i suoi genitori. Erano molto protettivi con lui e non gli avevano fatto mancare mai niente. I rapporti con loro erano sempre stati buoni, a parte il terribile periodo adolescenziale.
Anche tra suo padre e sua madre vigeva una certa serenità. Erano una coppia solida e, almeno ai suoi occhi, avevano un legame ben saldo. Erano giovani, non avendo ancora raggiunto i cinquanta, molto piacevoli come persone; possedevano anche una discreta stabilità economica e lavorativa: Paolo era un pubblicitario e Laura una dentista.
Finita la colazione, Francesco cercò di intercettare qualche suono che potesse fargli capire dove si trovasse sua madre. Fallendo nell'impresa, decise di alzare la voce, sperando che ciò fosse sufficiente per farsi sentire.
- Ciao mamma, vado in facoltà! Oggi torno un po' prima, così do un'occhiata al rubinetto, ok? -
- Va bene, grazie! Ciao! -
Uscendo di casa, vide con la coda dell'occhio la prima pagina della Gazzetta di Parma, il giornale che ogni mattina veniva infilato nella cassetta della posta. In primo piano c'era la foto di una ragazza che non conosceva e a cui non diede grande importanza.
3



Era una città molto apprezzata, Parma, non solo in Italia, anche all'estero. D'altronde vantava una storia importante: nella prima metà del diciannovesimo secolo era stata governata da Maria Luigia d'Asburgo, la moglie del grande Napoleone Bonaparte. Era per merito suo che poteva sfoggiare molte delle sue bellezze artistiche, tra cui il Parco Ducale e il Teatro Regio.
Altri grandi nomi erano legati a questa terra, come Giuseppe Verdi, compositore di fine Ottocento, o il Correggio, pittore che aveva realizzato, tra le altre cose, i bellissimi affreschi all'interno del Duomo.
Anche la sua tradizione culinaria era rinomata in tutto il mondo, e ogni anno in molti facevano tappa in città per assaggiare prelibatezze come i tortelli di erbetta, la torta fritta, il prosciutto crudo e altri salumi tipici.
Pure gli abitanti erano persone molto interessanti: si poteva dire che fossero il frutto di un incrocio tra due influenze molto diverse fra loro, quasi contrastanti. La prima era incarnata nel senso di grandezza, tipico della metropoli, che soffiava da Milano, non troppo distante da Parma; questo faceva sentire la popolazione importante, autorevole, per qualcosa che in realtà era solamente il riflesso stagnante di un mucchio di palazzoni moderni e luccicanti. L'altra influenza invece era stata ereditata dalla semplicità delle campagne circostanti; il tipico dialetto della zona, che per certi versi ricordava il francese, in città era ormai quasi dimenticato, ma ciò che rappresentava era ancora lì, dietro ogni cancello.
Il risultato era che la gente si mostrava per quello che in realtà non era. Tutto ciò che faceva parte del guscio esterno veniva pompato all'inverosimile, ma la contraddizione con ciò che si presentava all'interno, nell'anima ingenua delle persone, non poteva che far sorridere o storcere il naso, a seconda dei casi e della disposizione mentale di chi la constatava. Era per questo che, quando si verificavano situazioni estreme, Parma faticava a digerirle. La ragione e l'organizzazione, fondamentali in questi frangenti, lasciavano spazio agli umori viscerali e agli impulsi.
Nonostante questo Parma era sempre riuscita a cavarsela, in un modo o nell'altro.
La buona sorte stava però per esaurirsi.
Presto Parma avrebbe dovuto affrontare qualcosa che nessuno dei suoi abitanti aveva mai osato nemmeno lontanamente immaginare.

L'appuntamento con Valentina e Matteo era per le nove.
Francesco in realtà avrebbe preferito incontrare solo Valentina; gli premeva infatti che lei lo conoscesse per come realmente era e non per l'idea che dava quando era in presenza di più persone, quando tendeva infatti a scomparire. Si bloccava: non riusciva più a parlare. E il peggio era che più si impegnava per cercare di uscirne, più si ritrovava ingabbiato psicologicamente. Negli ultimi tempi aveva quasi alzato bandiera bianca; l'unica speranza che aveva era quella di incappare in una situazione che l'avrebbe spinto a forza a mostrarsi sicuro di sé e superare tale impasse. Sapeva benissimo che il suo problema risiedeva nell'insicurezza; ammetterlo, però, gli costava una fatica enorme.
La suoneria del suo cellulare interruppe i suoi pensieri. Smise allora di passeggiare e prese in mano l'apparecchio. Numero sconosciuto.
- Pronto? -
- Prontissimo, vecchio mio - .
Era Andrea, il suo migliore amico, compagno di disavventure sin dalla prima liceo.
- Ohi... ciao - .
- Sei in giro per caso? Dovrei andare da Pedro a vedere se è uscito il nuovo Silent Hill. Non sto più nella pelle, cazzo - .
Pedro era il nome che i due davano al commesso di Tetris, il negozio di videogiochi a cui facevano affidamento per la loro passione. L'origine del soprannome stava nel fatto che questo strano personaggio era un inestinguibile bevitore di Estathè: che si ricordasse, non c'era stata nemmeno una volta nella quale Francesco l'avesse visto senza la cannuccia di quella bevanda in bocca.
- Eh no, non posso accompagnarti, ho già un altro impegno. Guarda però che l'uscita di Silent Hill dovrebbe essere la prossima settimana. Fai un giro a vuoto, mi sa - .
- Ma che cazzo dici... aspetta... ma porca troia! È vero, hai ragione - .
- Dai su, nel frattempo ti puoi consolare facendoti delle seghe - .
- Certo, certo. Anche se non arriverò mai a quante te ne fai tu, questo è sicuro - .
- Ma se sei il campione regionale... dai senti, ti va se ci vediamo oggi pomeriggio? Così ti racconto dell'università e della sua fauna - .
- Hai conosciuto delle fighe? -
Francesco stava per consegnare all'amico dell'ottimo materiale per il suo futuro sesso fai da te.
- Beh, una sì. Bionda. Alta, magra, bellissima. Un po' tipo Ilary Blasi - .
Aveva esagerato, ma si divertiva a prenderlo in giro. La verità gliel'avrebbe raccontata più tardi.
- Aiuto, sto male! Maledetto, mi fai venire voglia di iscrivermi all'università - .
- Allora, ci si vede dopo? -
- Può darsi... ci risentiamo. Au revoir, mon ami - .
- Va bene. Ciao idiota - .
Francesco rimise il cellulare in tasca mentre arrivò a destinazione. Davanti alla scalinata del dipartimento universitario vide Matteo insieme ad altri due ragazzi che non conosceva. Uno era tozzo e con un orribile ciuffo di capelli a coprirgli l'occhio destro; l'altro pareva il classico surfista californiano, capelli biondi e lunghi fino alle spalle, petto in fuori e sorriso impostato a trecento denti. Iniziò subito a sentire un vago fastidio crescergli dentro. Si avvicinò comunque ai tre; Matteo lo vide e lo salutò sbandierando la mano sinistra.
- Ciao Francesco! Sono subito da te - .
Francesco non fu dispiaciuto di rimanere lontano da quella cricca. Si sedette così sul primo gradino, cercando di disinteressarsi di tutto ciò che gli stava attorno, ma non riuscì ad evitare di ascoltare l'ultimo scorcio di quella conversazione.
- Dai Matte', non tirartela! Stasera vieni e senza fare storie. Facciamo baldoria e poi a nanna presto, promesso! -
Era Ciuffetto.
- C'è anche Simona. Ieri l'ho sentita ed era piuttosto esaltata all'idea di rivederti - .
Matteo sembrava ricoperto da una sottile patina di irritazione.
- Ve l'ho detto, ho la partitella stasera. Sarò stanco morto, facciamo un'altra volta, ok? -
- Che noia che sei, mamma mia. Beh, vorrà dire che ci divertiremo noi assieme a quelle gnocche. Domani ti racconteremo tutto e ti pentirai di aver fatto il cagacazzo - .
- Immagino... va beh, dai, ci sentiamo domani. Fate i bravi - .
- Non ci contare troppo. Ciao noioso, alla prossima - .
Mentre i due si allontanavano, Matteo si appoggiò sul corrimano della scalinata, vicino a Francesco. - Scusa, ma non riuscivo proprio a staccarmeli. Tu sei di qui, giusto? Ieri ci siamo praticamente solo presentati, poi te ne sei andato subito - .
- Già. Avevo un impegno - . Una piccola bugia.
- Comunque sì, sono di qua. E tu come mai sei venuto a studiare Psicologia a Parma? A Milano ci sono delle università molto più rinomate di questa. Volevi cambiare aria anche tu? -
Sul volto di Matteo si disegnò un'espressione divertita, che però scomparve subito. Mise a guardarsi intorno: - A proposito... Valentina non è ancora arrivata? Non la vedo - .
- Mi sa di no - .
- Beh l'appuntamento era qui anche per lei, quindi... aspettiamo. Eh, le donne si fanno sempre attendere, mentre quei rompicoglioni dei miei amici ci tengono alla puntualità, per fracassarmi i coglioni. Anche davanti all'università me li trovo, adesso... -
Matteo stava simpatico a Francesco. Forse era presto per dirlo, ma gli sembrava una persona spontanea, non dava assolutamente l'idea del tipo che, cerebroleso per le abitudini nullificanti di quel periodo storico, si sforzasse di sembrare il Re di Zelig, tanto per farsi notare da qualche povero cristo. Era realmente un ragazzo divertente. Un punto a favore per lui.
- Volevano a tutti i costi portarmi a una festa, stasera. Ma, purtroppo per loro, non ne ho proprio voglia. Sai, una di quelle feste tutto alcool e ragazze. Hai presente che palle? -
Francesco annuì con il capo. Anche una seconda bugia non faceva di certo male. Matteo intanto si stancò di stare in piedi, decidendo di sedersi.
- Ad ogni modo, per rispondere alla domanda che mi avevi fatto prima, ho deciso di venire qui per una ragazza, Chiara. Ci stavo insieme da un annetto; lei aveva avuto l'idea di seguire alcune sue amiche, così io ho seguito lei. Ognuno di noi si è iscritto all'università a cui era interessato e intanto ci siamo presi un monolocale insieme - .
Francesco fu sorpreso da quella rivelazione. Il ragazzo che aveva davanti a sé, un ragazzo della sua stessa età, gli stava parlando di convivenza, mentre lui non sapeva nemmeno cosa volesse dire stare insieme a una ragazza. Pensò a quanto il mondo fosse curioso, nonché bastardo, per la sua varietà.
- Il bello arriva adesso. Dopo una settimana abbiamo iniziato a odiarci profondamente; eravamo troppo diversi, e sia io sia lei non eravamo assolutamente pronti per un passo del genere... forse avremmo dovuto capirlo prima. A quel punto però non avevo la minima voglia di dover rifare tutto e cambiare di nuovo città, così eccomi qua - .
- Che storia. Allora adesso sei da solo in quell'appartamento? -
- No, quello l'ho lasciato a lei. Io sono andato ad abitare da alcune persone che conoscevo. E per ora mi va bene così - .
- Io invece abito ancora con i miei. Non mi pesa perché non sto affatto male, però ogni tanto penso alla possibilità di andare ad abitare da solo... l'idea mi stuzzica. Come ci si sente? -
- Dipende. In certi momenti vivi una solitudine molto piacevole: puoi fare quello che vuoi, senza che nessuno ti urli dietro che bisogna fare il bucato o di smettere di far casino, per esempio. Ma a volte senti un silenzio, come dire, invadente. Ti soffoca, quasi. E vorresti che ci fosse qualcuno che te lo ammorbidisse... ma come sono profondo oggi! Mi sorprendo da solo - .
- Sembri diverso dagli altri fighetti... scusa, non ti voglio offendere, intendo dagli altri ragazzi del genere. Sono sempre stato fuori da quei giri, vuoi per mia scelta, vuoi per le loro. Però guardandovi... guardandovi da lontano, magari mi sono sempre sbagliato - .
- Mah, direi che non ti sei sbagliato. E grazie del complimento, anche se un po' contorto. Non mi sbaciucchiare però adesso, eh? Che poi arrossisco... certe cose in pubblico non le faccio - .
Francesco scoppiò in una fragorosissima risata, tanto che due passanti si fermarono a guardare incuriositi verso di lui. Anche Matteo si mise a sghignazzare.
Su una spalla di ciascuno si posò poi una mano. - Eccovi! Dove vi eravate cacciati, colleghi? È già da un bel pezzo che vi aspetto dentro - .
Era Valentina.

Quella notte, come previsto, Matteo non andò alla festa e, con sua sorpresa e altrettanto piacere, non lo fece nemmeno Simona.
Nonostante non vi fosse alcuna pretesa sentimentale, il sesso tra di loro fu tanto dolce quanto intenso e coinvolgente.
Dopo aver lasciato passare qualche minuto per assaporare il piacere che aveva appena ricevuto, Matteo si alzò dal letto per prendere una sigaretta. Non era un fumatore accanito; una Marlboro ogni tanto, però, non gli dispiaceva affatto.
Tornò poi a coricarsi accanto a Simona. Fece un paio di tiri, per poi posare la sigaretta sul posacenere che si trovava sopra al piccolo comodino vicino al letto.
La ragazza gli mise un braccio attorno al petto nudo: - È stato molto bello - .
- Sì, anche per me - .
- Ricapiterà? -
Matteo la baciò. - Credo proprio di sì, stupenda - .
Simona aveva degli incredibili occhi azzurri che risaltavano ancora di più grazie alla lunga e curata frangetta dei suoi capelli scuri. Aveva un viso simmetrico dalle linee morbide, e labbra carnose al punto giusto. Il corpo era perfetto, una scultura.
Matteo fece altre due boccate.
Simona strinse forte il corpo di Matteo un'ultima volta, per poi abbandonarlo. - Adesso devo proprio andare. Non posso restare a dormire qui - .
- Va bene - .
Si sedette delicatamente sul bordo del letto e iniziò a rivestirsi. Mentre la guardava, Matteo ripensò alla sua ex, Chiara. Gli mancava.
Quello che stava provando non era tanto un senso di perdita, quanto una sorta di malinconia per i bei momenti passati insieme, forse i più belli che aveva mai vissuto insieme a una ragazza; viveva un forte dispiacere per com'erano andate a finire le cose, nonostante la consapevolezza di quanto fosse stato inevitabile.
- Hai sentito cos'è successo a quella povera ragazza? -
Matteo ritornò al presente, richiamato dalla strana domanda di Simona.
- Di cosa stai parlando? -
- Hanno trovato una ragazza uccisa e violentata, l'altra notte - .

Valentina era al pub con le sue due amiche-coinquiline, e quando sentì uscire dalla bocca di Silvia le stesse parole che non tanto lontano da lì Simona aveva appena condiviso con Matteo, si sentì paralizzare.
- L'ho ascoltato al telegiornale prima di venire qui al pub. È stata ritrovata nel parco... come si chiama? Beh, non ricordo. Per fortuna non hanno spiegato i particolari. Mi fanno impressione queste cose qui - .
Valentina non la stava più ascoltando. Era stata trasportata violentemente in un altro luogo: nella macchina di lui.
Stava lottando. E urlando. Dio, quanto stava gridando.
Poi il dolore.
- Vale? Ci sei? -
Questa volta a chiamarla era Barbara.
Valentina riaprì gli occhi e l'orrore si dissolse rapidamente dalla sua mente, sostituito dal frastuono del pub e dalla vista delle sue due compagne di bevuta.
Silvia era perplessa: - Stai male? Sei pallida come un morto! -
I muscoli di Valentina tornarono a funzionare, così come i suoi pensieri a scorrere.
- Scusate... non è niente. Ogni tanto mi succede - .
- È per quello che ha detto Silvia? Ha fatto lo stesso effetto anche a me. Soprattutto quando ho saputo che aveva più o meno la nostra età - .
Lo stesso effetto. A Valentina sembrava impossibile.
- Sì... non me lo aspettavo, ci sono un po' rimasta. Pensavo che queste cose non succedessero qui - .
Barbara bevve fino in fondo il suo cocktail analcolico.
- Sì, magari... purtroppo c'è poco da fare, i figli di puttana li trovi dappertutto - .
- Che schifo! E c'è qualcuno che ha il coraggio di dire che adesso il sesso forte siamo noi. Invece stiamo peggio di prima, ve lo dico io - .
Silvia aveva ragione, ma Valentina sapeva che, messa giù così, la questione diventava tremendamente superficiale.
Dopo quello che le era successo a Marzo, Valentina si era informata. Aveva fatto molte ricerche che, inizialmente, avevano avuto il solo scopo di aiutarla a esorcizzare il trauma, a superare le resistenze che le erano nate persino a uscire di casa. Approfondendo l'argomento, però, tutto ciò si era progressivamente trasformato quasi in ossessione, catturando in pieno la sua attenzione, fino a portarla alla decisione di studiare Psicologia per poi spianare la strada alla Criminologia.
Valentina si guardò attorno. Era ancora leggermente scossa, ma sentiva il desiderio di rivelare alle sua amiche una parte, seppur piccola, di quello che sapeva. Era più forte di lei.
- Non è così semplice, Silvia. Il fatto è che l'emancipazione femminile ha messo in crisi l'uomo e la sua maledetta virilità. La donna ha cioè imparato a dire di no e a essere consapevole di avere tutti gli stessi diritti del maschio. Diritti umani, per lo più, quindi non dovrebbe esserci proprio niente di strano. Diciamo che si è resa conto di non essere stata creata solamente per essere una valvola di sfogo per il godimento altrui, una sforna-figli o una domestica... ma l'uomo, probabilmente, non era ancora pronto per questo. Ci stava proprio bene nel suo bel brodino coercitivo. E quindi adesso è leggermente frustrato. E se non puoi più ottenere così facilmente e così silenziosamente una cosa che fino al giorno prima era tua di diritto... allora cosa fai? La distruggi - .
- Com'è vero, Vale - .
- Già, Barby. Tutto ciò diventa chiaro come la luce del sole quando vieni a sapere che la maggior parte delle violenze alle donne capita all'interno delle mura domestiche. Padri, mariti, conviventi, fidanzati... quasi mai sono persone sconosciute - .
A Valentina sudavano le mani.
- Purtroppo, le merde che ci considerano tutte delle puttane ci sono sempre state e temo che sempre ci saranno - .
- Beh, se noi siamo tutte puttane, loro non sono certo dei santi. Stronzi e puttanieri, ecco cosa sono! -
Silvia sputò con forza quella frase; forse era un pochino brilla, e nel parlare così concitato, fece un movimento maldestro con il braccio sinistro, che finì per sbattere sul bicchiere dove l'ultimo goccio del suo drink aspettava solo di essere inghiottito. L'oggetto cadde sul pavimento del locale, rompendosi fragorosamente e catturando l'attenzione di tutti i presenti che tra fischi e applausi ironizzarono sull'accaduto. Le tre ragazze si scrutarono l'un l'altra e iniziarono poi a sghignazzare, felici che qualcosa avesse stemperato l'atmosfera.
Sotto sotto, però, Valentina non era per niente tranquilla.

- La conoscevi, Fran? -
Sua madre era molto preoccupata. Francesco lo percepiva dal tono serioso e rallentato della sua voce. Stava seduta lì sul divano con il giornale appoggiato sulle ginocchia, a guardare con scarso interesse il vuoto.
Da quando era tornato a casa, dopo il pomeriggio passato a smanettare con la Playstation a casa di Andrea, non si faceva che parlare di quel caso. Dello stupro con omicidio.
- No, non la conoscevo. Non penso neanche di averla mai vista - .
Poteva solo immaginare come si sarebbe sentito se fosse morta una sua amica. Se, ad esempio, fosse stata uccisa Valentina, che aveva incontrato per la prima volta il giorno prima, ma a cui già si sentiva legato. Un piccolo brivido gli corse lungo la schiena.
Raggiunse poi la cucina; lì bevve un lungo sorso di Coca Cola, per poi ruttare soddisfatto. Quando tornò in salotto sua madre non c'era più. Decise allora di dare un'occhiata alla Tv per capire se trasmettevano qualche film decente.
Lo schermò si illuminò su TV Parma, il principale canale cittadino, dove era in onda il telegiornale.

Il corpo senza vita di Giulia Mainardi era stato ritrovato verso le 22:30 della sera precedente.
Furono due fratelli, uno di sedici anni, l'altro di quattordici, a incappare per primi nel cadavere. Stavano tornando a casa dopo una serata trascorsa al cinema a vedere il nuovo film d'azione con Nicolas Cage; per fare prima, avevano deciso di tagliare per il parco Ferrari, nonostante i genitori avessero detto loro più volte di non farlo perché era un luogo particolarmente amato da spacciatori e drogati. Ma i due ragazzi non avevano paura di quella gente, o semplicemente erano ancora troppo ingenui. Finirono così con lo sbattere la faccia sui resti di quella ragazza.
Ne avevano visti di film dell'orrore nella loro vita e di solito, di fronte a scene simili, si mettevano a ridere a crepapelle, ma in quel momento si resero conto di quanto fosse diversa la realtà. Tornati di corsa a casa, raccontarono poi tutto alla madre, che non esitò nemmeno un secondo prima di chiamare il Comando di Polizia.
Il capitano Dotti fu il prescelto per quell'ingrato compito. Ai pochi giornalisti che si erano radunati davanti al parco raccontò che era stato ritrovato il cadavere di una ragazza e che il corpo portava segni evidenti di lotta e, con grande probabilità, anche di violenza sessuale. Decise però di non diffondere ulteriori dettagli; era meglio non turbare più del necessario i cittadini. Non rivelò che i vestiti erano stati strappati di dosso alla vittima, per poi essere accuratamente piegati e riposti vicino al suo corpo. Per non sporcarli, probabilmente. Non parlò nemmeno del fatto che una delle gambe, la sinistra, era stata spezzata. La rottura dell'osso femorale era esattamente a metà della coscia, trasformando l'intero arto in una grottesca Z.
Era stata poi rilevata una lunga e profonda ferita che partiva dal clitoride per arrivare all'ombelico, come se qualcuno avesse voluto rovistare nei più interni segreti femminili per cercare di rivelarne i dettagli più sconosciuti. Ma la cosa peggiore di tutte era un'altra: i morsi. Dappertutto.
Inutile dire che per quei due fratelli, che per la loro temerarietà avevano avuto uno spiacevole e prematuro incontro con la morte, dovette passare molto tempo prima di riuscire a ridere nuovamente durante un film dell'orrore.

Alfredo spense la televisione. Quella sì che era stata una giornata speciale. Per la prima volta da settimane stava alla grande. Si sentiva rinato. Anche le voci erano scomparse. Non si faceva però illusioni, sapeva che sarebbero tornate presto. E allora sarebbe dovuto tornare ad agire.
Stava seduto a gambe incrociate, in mezzo a una stanza vuota. Tutto quello che prima faceva parte dell'arredamento era stato distrutto e portato via, a parte la vecchia Tv. Ormai quegli oggetti per lui erano inutili, persino fastidiosi. Gli facevano scoppiare il cervello, lo facevano incazzare.
All'improvviso un'intensa luce rossa, proveniente da un'altra zona della casa, si accese: l'uomo si alzò e, saltellando come un bambino felice, si diresse verso quel bagliore.
4



- Nel 1923 Freud definì i concetti di Es, Io e Super Io, riferendosi a essi come a differenti aspetti della struttura della personalità di un individuo. Tra questi, l'Es avrebbe dovuto rappresentare la fonte di tutta quella energia pulsionale che l'autore identificava nella Libido, l'istinto sessuale e di vita, e nell'Aggressività, l'istinto di morte e annullamento. Attingendo dalla mitologia greca, diede loro rispettivamente il nome di Eros e di Thanatos. Vedrete in seguito come la specificità concettuale di queste istanze psichiche venne ampiamente dibattuta, e come attualmente esse vengano considerate solo una parte dell'insieme più ampio delle spinte motivazionali dell'organismo umano. Per ora però rimaniamo concentrati su Freud e sul suo vedere dappertutto sesso e violenza - .
La classe si lasciò andare a qualche risatina. Valentina purtroppo non se la sentiva di scherzare su quell'argomento. La ferita le si era riaperta solamente due sere prima e nessun ipotetico chirurgo dell'anima si era ancora fatto avanti per ricucirgliela. Si sorprese allora a sognare a occhi aperti una grossa e buia aula di tribunale.
Era in corso un processo e lei era l'imputata; stava arrivando il momento dell'arringa del suo avvocato difensore.
- Signore e signori della giuria, la ragazza non è così forte come cerca di far credere - .
La fantasia svanì rapidamente, per far posto all'incubo di realtà passata che non voleva lasciarla libera. Risentì così le sue urla.
(Mi fai male. Non voglio.)
Ci aveva provato, a urlare più forte.
(Bastaaa...)
- Basta! -
- Signorina, tutto bene? -
Il professor Gerri aveva interrotto il discorso per concentrare con disappunto l'attenzione su Valentina.
- La sto forse tediando oltremodo con le mie parole? -
Valentina era ancora troppo scossa per sentirsi un'idiota. La bocca era serrata dall'agitazione. Vide poi i volti preoccupati di Francesco e Matteo. La loro presenza l'aiutò a sbloccarsi.
- Mi scusi, professore. Ho avuto un attimo di... ma ora sto bene - .
- Perfetto. Allora sto bene anch'io. E spero che nessun altro abbia un attacco di angoscia, se proseguo il discorso sull'Es - .
Il divertimento della folla fu più contenuto rispetto a qualche minuto prima.
Mentre il vecchio professore riprese la lezione, Matteo avvicinò le sue labbra all'orecchio sinistro di Valentina.
- Ma che cazzo ti è successo? Sembravi posseduta! Mi è venuto un colpo, te lo giuro - .
- Niente... niente di importante. Ogni tanto mi vengono delle brutte immagini in testa, tutto qui. Non preoccuparti - .
- Un po' mi preoccupo, invece. Sei sicura di star bene? -
Anche Francesco viveva lo stesso stato d'animo di Matteo, forse con ancora più agitazione.
- Vuoi che ti vada a prendere un bicchiere d'acqua? -
Ancor prima di sentire la risposta si era già alzato in piedi, pronto a scattare.
- No, grazie, ho solo bisogno di rilassarmi. Sto già meglio, davvero - .
Francesco tornò seduto e Matteo si allontanò da lei.
- Avvertici la prossima volta, ok? Così mi preparo il defibrillatore. Ci sono andato proprio vicino, all'infarto, stavolta - .
Valentina e Francesco sorrisero.
La ragazza sperava ardentemente che il peggio fosse passato.

- Porca puttana, che scena! -
Francesco e il suo amico Andrea si erano da poco seduti sopra una delle panche in pietra alla base del Battistero. Nonostante fosse fine Settembre il caldo si faceva ancora sentire e i due si erano già stancati di girovagare senza meta per la città.
Andrea era rimasto sorpreso, ma anche divertito, da quello che il suo amico gli stava raccontando.
- Già. Alla fine della lezione volevo parlarle per capire bene cosa le fosse successo, ma si è volatilizzata nel nulla - .
Non era andata proprio così. In realtà Francesco aveva provato a chiederle se avesse voluto compagnia nel tragitto verso l'autobus, ma Valentina preferiva stare da sola. Glielo aveva fatto capire gentilmente, ma anche in modo da non lasciare spazio ad altre possibilità.
In un certo senso Francesco la capiva, ma ciò non gli aveva evitato di rimanere deluso.
- Secondo te potevano essere mestruazioni? Da qualche parte ho letto che certe ragazze durante il ciclo diventano delle indemoniate - .
Francesco tirò un'occhiataccia ad Andrea.
- Ma che cazzo dici? E soprattutto dove l'hai letta 'sta cagata? Nella Bibbia? -
- Boh, non ricordo, può darsi comunque - .
Andrea emise uno di quei suoi orribili grugniti di divertimento.
Francesco sospirò: - Parlare con te seriamente è come sentire la sveglia quando hai ancora un sonno della madonna, lo sai? -
- Sì, come no - .
Improvvisamente Andrea mise il braccio attorno al collo di Francesco e strinse: - Sei preoccupato per la tua principessina, vero? Di' la verità, romanticone! -
- Ma va' a cagare! -
Francesco si liberò con non poca difficoltà dalla morsa. Andrea, a prima vista, poteva sembrare la persona più debole del pianeta, invece era l'esatto opposto, quando voleva. In particolar modo quando voleva fare il buffone.
- Sei un coglione, lo sai? -
- Certo che lo so. E ti assicuro che non è affatto male esserlo, dovresti farlo di più anche tu - .
- I videogiochi ti stanno fottendo il cervello - .
Francesco si massaggiò il collo. Gli doleva ancora. Tornò a pensare a Valentina e a cosa la potesse far stare così male. Poi notò che Andrea lo stava guardando.
- Mi riaccompagni verso casa? È tardi e devo passare al supermercato per prendere un paio di cose a mia madre - .
Francesco si ricordò della povera madre del suo amico. La donna aveva avuto un brutto incidente stradale sei o sette settimane prima: stava tornando dal lavoro quando fu investita da una Fiat bianca, guidata da un fattorino mezzo ubriaco che non aveva rispettato uno stop. Aveva riportato diversi traumi, la maggior parte dei quali, per fortuna, di lieve entità. L'unico infortunio serio era una lussazione del bacino; per questo le attendeva un periodo di riposo discretamente lungo. Le faccende di casa e gli acquisti erano così stati affidati ad Andrea, visto che del padre non si avevano notizie da quando era scappato.
- Va bene, dai. Anch'io ho voglia di tornare a casa. A proposito, come sta tua madre? Sta recuperando? -
- E che cacchio ne so? Sta tutto il giorno chiusa nella sua stanza, senza dire una parola. La settimana prossima viene il dottore, magari lo scoprirò - .
- Fai il duro, ma sei uno sfigato. Si vede lontano un chilometro che sei preoccupato anche tu. Dai, forse non sei tutto da buttare, in fondo - .
- Ma per piacere! È solo una gran rottura di coglioni, questa storia. Non vedo l'ora che finisca - .
- Certo, certo. Dai, andiamo - .

Il telefono squillò. Valentina, che stava rileggendo i pochi appunti presi a lezione, sentì Silvia fiondarvisi sopra come un'aquila.
- Pronto? -
Poteva quasi respirare l'eccitazione dell'amica, sembrava come se stesse aspettando la telefonata più importante della sua vita. La delusione si fece però subito spazio nella voce di Silvia.
- Ah, ciao... sì, te la passo subito. Vale, è per te - .
- Arrivo - .
- È uno di quei tuoi nuovi amici, Matteo. Non starci però troppo, che ho bisogno anch'io del telefono - .
Valentina non riusciva proprio a immaginarsi cosa avrebbe potuto volere Matteo. Sperava solo che non le avesse telefonato per chiederle spiegazioni sullo strano comportamento di quella mattina. Non aveva assolutamente voglia di parlarne.
- Pronto... ciao, Matteo - .
- Ciao carissima. Tutto bene? -
Valentina sentiva che il pericolo di addentrarsi nel suo campo minato era più di una possibilità; Matteo doveva avere il buon senso di fermarsi in tempo, prima di mettere il piede nel punto sbagliato.
- Sì... grazie. Avevi bisogno di qualcosa? -
- Volevo farti una proposta. Ho appena sentito che questo weekend ci sarà un tempo bellissimo, una vera e propria coda di estate. Così mi è venuta una mezza idea di andare a fare un salto al mare, in Liguria, dove i miei hanno un appartamentino. Ti andrebbe di venirci? -
Un brivido gelido partì dalla testa di Valentina e scese giù per la sua schiena, fino alla mano che stava stringendo il telefono.
Non voleva più stare da sola con un uomo, nessun ripensamento dell'ultima ora.
- Volevo sentire anche Francesco. Non mi sembra un tipo da spiaggia, però mi sarebbe piaciuto passare qualche giorno con voi che non fosse all'università... così, per conoscerci meglio e intanto goderci il sole e il mare. Cosa ne dici? -
Valentina si sentì stupida. Aveva pensato subito male, e invece le intenzioni di Matteo erano lontane anni luce da ciò che aveva immaginato. Non se l'aspettava, ma l'idea le piacque, non appena iniziò a rilassarsi.
- Perché no? Va bene, dai, ci sto. Però senti prima Francesco, per vedere cosa ne pensa anche lui - .
- D'accordo. Adesso lo chiamo. In caso ti mando la conferma, ok? -
- Ok - .
- Bene... buonanotte, allora - .
- Buonanotte anche a te. Ciao - .
Trattenne il telefono ancora per qualche secondo. Non se ne rendeva conto, ma era sul punto di mettersi a piangere. Che idiota. Credeva di avere bisogno di stare da sola, di isolarsi e di nascondere le sue stramaledette angosce. E invece no. Doveva parlarne con qualcuno, quella era la sua vera necessità. Per la prima volta voleva parlarne.
- Metti giù quella cornetta, dai! -
Era Silvia, più che mai insofferente.
5



Già da alcuni giorni Laura, la madre di Francesco, stava pensando di passare in agenzia immobiliare per avere un'idea di come stessero procedendo le cose, e quel mattino era il momento perfetto per farlo: aveva in agenda solo due piccole otturazioni da fare, doveva approfittarne.
Negli ultimi mesi la ricerca della nuova casa aveva catturato quasi tutta l'attenzione sua e di suo marito Paolo. Grazie ai loro guadagni, i due potevano finalmente permettersi quello che era stato da sempre un loro sogno, ovvero una villetta fuori città, con un bel giardino dove rilassarsi nei momenti liberi, circondati dal verde e dal profumo della natura.
Per concretizzare il loro desiderio avevano deciso di affidarsi a Isabella, una conoscenza di vecchia data che prestava servizio per un'importante agenzia immobiliare. Non avevano però sospettato quanto la ricerca potesse essere estenuante: le case visionate non erano mai adeguate alle loro richieste, costavano cifre esorbitanti oppure si trovavano a distanze troppo scomode da Parma. Laura e Paolo sentivano la fiducia scemare di giorno in giorno; ma non per questo si sarebbero arresi tanto facilmente.
Giunta davanti all'agenzia, Laura entrò e vide la sua amica dietro la scrivania in fondo alla stanza.
- Laura! -
Isabella appoggiò gli occhiali e si alzò dalla sedia per stringerle la mano.
- Ciao, Isabella... sono passata per vedere se hai qualche novità - .
- Te lo dico subito. Se non sbaglio, però, non dovrebbero essercene - .
- Fa niente, non ti preoccupare - .
Mentre Laura si accomodava davanti a lei, l'amica iniziò a digitare sul computer. Sullo schermo iniziarono a comparire le schede di alcune case. Si succedevano con rapidità, alimentando la sfiducia di Laura.
Improvvisamente Isabella interruppe la ricerca, irrigidendosi come se stesse vedendo sul monitor qualcosa che non si aspettava e che la spaventava. Riprese poi il suo lavoro, come se nulla fosse.
Lo sguardo non era però lo stesso di pochi istanti prima. Era diventato assente, spento.
Laura percepiva qualcosa di strano. Si guardò intorno, ma non trovò niente che potesse giustificare la sua sensazione, né tra i colleghi di Isabella, né in ciò che le circondava. Eppure qualcosa d'insolito c'era. Lo sentiva. Finché lo schermo del computer si spense.
Qualcuno, dietro di lei, imprecò.
- Ma che diavolo... -
- Ma no! Non adesso! -
Tutti i pc cessarono di funzionare. Ecco il motivo di tanta frustrazione.
Non per Isabella, però. Lei continuava a premere i tasti, schiacciandoli sempre più forte.
Laura iniziò ad avere paura: avrebbe voluto alzarsi, andarsene, uscire da quel posto che all'improvviso era diventato insopportabile, asfissiante; ma non ci riusciva. Era come se la sedia non volesse farla alzare. O era solo la sua immaginazione?
Voleva dire qualcosa, ma le parole le morirono in gola.
Vide gli occhi di Isabella sciogliersi e colare lungo le guance, assumendo la forma di un liquido nerastro e vischioso, lento, rumoroso.
Isabella aprì poi la bocca. I suoi denti erano spariti, così come la lingua. La sua voce non fu raccolta dai timpani delle orecchie di Laura, ma direttamente dal suo cervello, come se fosse un'intensa scossa elettrica. Fu un suono che non avrebbe mai immaginato di poter sentire nella sua vita, e che si rese conto sarebbe stato impossibile da descrivere.
- La casa è ormai pronta, puttana... l'avrai presto, così come essa avrà te... si nutrirà di te e della carne della tua carne... vedrai la luce rossa, vedrai la luce rossa, vveddrraaai llaaa lluuccceee! -
A quelle tremende parole sentite internamente seguì un violento getto di sangue scuro e denso vomitato da Isabella sul volto di Laura, che fece solo in tempo a chiudere gli occhi.
In preda all'orrore gridò.
Due mani forti le strinsero poi le spalle.
- Che succede? Ma che cos'ha... si calmi, per dio! -
Laura alzò lentamente le palpebre, andando contro a quello che le suggeriva l'istinto. Davanti a lei vide Isabella, in tutta la sua normalità, come se avesse immaginato tutto.
Smise allora di urlare, non c'era più alcun motivo per continuare a farlo. Era però confusa. Non capiva cosa le fosse successo.
L'uomo dietro di lei, vedendola tranquillizzarsi, lasciò la presa. Isabella, invece, era visibilmente tesa.
- Laura, stai bene? Mi senti? -
- Sì... sì. Scusa, non so cosa mi abbia preso - .
Laura sentiva il corpo congelato. Si mise una mano sulla fronte. Stava sudando freddo.
- Non preoccuparti... stai ancora un po' lì seduta, finché non te la senti di alzarti. Può capitare, devi aver avuto una crisi di un qualche tipo... di nervi forse. Sapessi quante ne ho avute io di simili - .
- Grazie... -
Laura sentiva già tornarle progressivamente le forze.
Non si ricordò più nulla di quello che era appena accaduto.
Simone Ruggerini
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