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Writer Officina Blog
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Quaranta Giorni
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Giorno zero.
Villa degli Incanti.
La luce non entrava: sembrava colare, lenta, fioca, indolente. Scivolava tra le foglie dei salici, si arrampicava sui muri screpolati della villa, e infine si posava sull'erba come una pelle trasparente. L'alba in Toscana aveva un odore pieno: la terra bagnata, il glicine appassito, il legno umido. Stefano iniziò a camminare piano, con i piedi nudi sul cotto della loggia, vestito soltanto di una camicia larga, sbottonata, e un paio di jeans sbiaditi che teneva sempre con sé, e un desiderio che gli pulsava costantemente nella testa, ossia quello di ricominciare a sentire. Non dormiva da ore, ma non era stanchezza, era una sorta di... allerta, come se il corpo, dopo mesi di assenza, stesse ricominciando ad ascoltare la mente. Ad un tratto lo vide nel giardino più in basso. Un uomo, a torso nudo, curvo su un tornio di legno, era concentrato sul proprio lavoro. Il sole gli sfiorava le scapole ampie, le spalle erano larghe segnate da vene sottili e i muscoli, parevano disegnati con precisione naturale, senza esibizione. Le mani si muovevano con fermezza, scolpendo il legno con gesti che sembravano danzare, piegare la materia al silenzio, non alla forza. I capelli corti, biondo cenere, brillavano leggermente di sudore; il profilo del viso, quasi scultoreo, si mostrava solo a tratti, quando si voltava appena. La mascella era marcata, forte, le labbra concentrate in una linea decisa; non era attraente nel senso comune, era di più, un essere ipnotico, vivo e magnetico. Stefano si sentì mozzare il fiato. Una scossa lieve, ma netta, gli attraversò lo stomaco, il cuore accelerò, ma senza ansia. Poi, quello che iniziò a sentire fu qualcos'altro, quasi un'irrequietezza liquida, un calore improvviso sotto la pelle, e la sua mente liberò un ricordo, un ricordo che lo catapultò negli anni dell'adolescenza, quando per la prima volta s'infatuò del suo compagno di liceo al primo sguardo, senza motivo né ragione, come un vero e proprio colpo di fulmine. Stefano non distolse lo sguardo, anzi, rimase immobile, ipnotizzato da quella visione. Non era tanto il modo in cui compiva quei gesti, né tantomeno il corpo ammaliante che sembrava attrarlo come una calamita, era piuttosto la sensazione di sentire quella presenza come qualcosa di sublime, che l'aveva quasi portato ad eccitarsi. Era come se in quel piccolo istante, della durata di un battito di ciglia, ci fosse stata una sorta di strana energia che l'aveva trapassato, perché di fatto non stava provando solo attrazione, era una sorta di riconoscimento, come una chiamata viscerale, una vertigine nuova, e il corpo, il suo corpo, dopo mesi di silenzio e torpore, reagì. Dopo un lungo periodo di gelo, di apatia, di vuoto, all'improvviso si risvegliò. Le mani tremarono appena, l'erezione inattesa arrivò con una rapidità sconosciuta e le ginocchia, senza motivo, sembrarono cedere. Era come se l'aria stessa avesse cambiato consistenza, modificando la realtà, la natura, come stesse vivendo un sogno ad occhi aperti.. Lui non lo guardò, ma smise per un attimo di scolpire. Una pausa, lunga, consapevole, voluta. Poi si riscosse dalla sua immobilità e riprese, ma... Stefano capì che, anche se non l'aveva visto, lui l'aveva sentito. Rientrò piano, quasi indietreggiando, con le labbra asciutte e un cuore pieno, pulsante, e per la prima volta da molto, molto tempo...avvertì il desiderio di scrivere.
Due giorni prima – Milano
La pioggia cadeva dritta, una pioggia verticale, fastidiosa, nervosa. Milano era un rettangolo di cemento bagnato visto dalla finestra; le foglie degli alberi in cortile erano intrise di acqua, pesanti e stanche, come lo era anche lui. Stefano sedeva al tavolo della cucina da due ore con davanti una tazza vuota e lo sguardo fisso sul portatile, non scriveva da settimane, ogni frase gli sembrava un plagio di sé stesso, ogni gesto, una replica. Il corpo, il suo corpo, un oggetto dimenticato, che si muoveva solo per inerzia. Quando arrivò l'e-mail, non la aprì subito, restò solo a fissare il nome: Irene Vassari. Era come vedere apparire un fantasma, una leggenda vivente della danza, ritiratasi anni prima in una villa sperduta tra le colline toscane, dove, si diceva, amava accogliere artisti in crisi. Ma Irene Vassari non spediva inviti, le sue erano chiamate, ed erano rarissime. Stefano aprì il messaggio con dita incerte, poi mise a fuoco le parole col cuore in gola. «Ciao Stefano. Ti ho visto una volta, su quel palco a presentare il tuo libro. C'era in te qualcosa di feroce, autentico, originale che ora sembra sopito. Io so che quel qualcosa non si è spento, è solo in attesa di risvegliarsi. Ti faccio una proposta: vieni da me, basteranno quaranta giorni. Nessuna produzione obbligata, solo la tua presenza: corpo, mente e... silenzio. Ti ho tenuto un posto, se vuoi, è tuo; rispondimi entro domani, e se accetti vieni subito.» Stefano chiuse il portatile di scatto, senza rispondere. Non era in grado di prendere decisioni in quel momento, perché da mesi viveva a scatti: doccia o no, uscire o rimanere, leggere o fissare il muro. Tutte le sue scelte si erano trasformate in ostacoli. Passò la giornata come se fosse spento, camminò in casa come un'ombra, provò ad aprire un libro, ma lo richiuse, infine mise su un disco, ma lo spense dopo pochi secondi. Fuori, la città continuava a vivere, ma dentro le mura del suo appartamento, tutto sembrava ovattato, grigio, privo di consistenza. Verso sera uscì, senza sapere perché, o forse sì, aveva bisogno di aria, di ossigenare il cervello e di prendere una decisione. I Navigli erano deserti, e mentre una brezza fredda gli sollevò il colletto del cappotto, decise di fermarsi davanti alla vetrina di una libreria chiusa. In mezzo alle offerte delle vecchie pubblicazioni, una foto in bianco e nero catturò la sua attenzione: Irene Vassari, giovane, con il volto teso in un'espressione dura; sotto, una frase incisa su un cartoncino gli fece venire i brividi: “Il corpo non mente. È la prima cosa che smette di parlare quando ci perdiamo.” Tornò a casa con un groppo alla gola, perché quella non poteva essere solo una coincidenza, sembrava più un disegno, un disegno del destino. Alle 23:47, seduto al tavolo con la finestra aperta sul temporale, scrisse solo due parole: «Accetto. Stefano.» Poi spense tutto. E nel silenzio rotto dalla pioggia, il corpo, il suo corpo, si distese piano, come se stesse tornando a occupare lo spazio che aveva abbandonato da troppo tempo. Il giorno dopo partì per la Toscana, la sua destinazione: Villa degli Incanti. Avvisò i suoi genitori con una breve telefonata, poi mandò solo un messaggio al suo agente, Marco, che lo rappresentava quando si trattava di scegliere una Casa Editrice, “Sarò assente per quaranta giorni, ti chiamerò io” scrisse velocemente, poi chiuse il suo appartamento. Prese il treno, quindi si organizzò per prenotare un taxi con il telefono. Percorse il tragitto ascoltando una musica jazz che l'autista aveva messo guardando fuori dal finestrino le colline verdeggianti, fino a quando l'automobile si era fermata davanti a un cancello vecchio, ricoperto da tracce di ruggine, e nascosto da una massa informe di edera. Non vide nessun cartello indicativo, nessuna direzione, solo un simbolo inciso nella pietra accanto: una spirale scolpita a mano. Stefano scese, tirandosi dietro il trolley, il portabagagli si chiuse con un tonfo secco, e il taxi si allontanò, lasciandogli in bocca un sapore acre di benzina e polvere. Appoggiò le dita al ferro freddo del cancello, poi lo spinse e questo si aprì con un forte cigolio. Il sentiero, sterrato, scendeva appena tra alberi deformi e terra smossa, ai lati crescevano piante selvatiche a cui non sapeva dare un nome semplicemente perché non le aveva mai viste. Il silenzio era denso, assoluto, nessun rumore umano, solo un lieve fruscio degli alberi, un verso di un uccello nascosto e qualcosa che sembrò provenire dal sentiero adiacente. La villa gli si parò innanzi dopo una curva, all'improvviso, come se fosse stata sempre lì ad aspettarlo, era antica, color ocra, con imposte verdi e muri pieni di crepe. Il tetto era in ardesia scura, e i muri macchiati mostravano l'assoluta trascuratezza dettata del tempo, come se la casa avesse avuto malattie e le portasse in faccia senza tanti fronzoli. Le piante rampicanti la stavano lentamente inghiottendo: rovi, glicine, buganvillea erano dappertutto. Stefano scosse la testa per un pensiero che gli si materializzò all'istante, e questo si tradusse nel fatto che tutto, lì, sembrava voler crescere addosso alle cose, ai corpi, e se uno si fosse fermato troppo a lungo...avrebbe corso il rischio di esserne inghiottito. Stefano avvertì una stanchezza nel punto più interno del suo corpo, era un luogo senza nome che non riusciva a spiegare neanche a sé stesso. Dopo qualche minuto, attraversò la soglia, il portone era socchiuso, non udì nessun suono e non vide nessuno. All'interno c'era solo la penombra, le pareti affrescate e sbiadite mostravano figure antiche; mani tese, occhi chiusi, animali stilizzati. Il pavimento era in cotto irregolare, segno che era molto vecchio, mentre le finestre alte, parevano velate, a causa dei vetri logorati dal tempo e non più perfettamente trasparenti. Un profumo forte di cera e pietra umida lo invase all'istante, fu come se la casa avesse un proprio odore, poi più in là vide un tavolo. Era situato al centro della sala, lungo, coperto da un telo grezzo, non c'erano sedie intorno e nessun oggetto posizionato sopra. Ad un tratto, la vide, in fondo alla stanza, ferma, appoggiata al muro come una figura incisa nel legno; Irene Vassari lo stava aspettando e lo stava osservando. Non disse niente per un lungo istante, Stefano avrebbe voluto parlare, o almeno sorridere, ma non ci riuscì. Poi, finalmente la sua voce riempì la stanza, «Sei arrivato» disse solo, asciutta, senza nessun benvenuto né frivole parole di spiegazione per averlo invitato. Stefano annuì, non era sicuro di riuscire a dire qualcosa che non sembrasse fuori posto, così rimase in religioso silenzio. Irene fece un passo avanti, era una donna minuta, eppure sembrò riempire tutto lo spazio di quella stanza. I capelli erano corti, grigi, tagliati in modo netto, e il suo viso sembrava non chiedere alcuna approvazione. I suoi occhi scuri, invece, lo guardarono come se già sapessero tutto, come se avessero intuito ciò che albergava in lei. «Hai dormito nel viaggio? Sei riuscito a riposare?» «No.» «Meglio. Arrivare stanchi è utile, ma sono sicura che presto le tue notti saranno serene» disse in tono secco, Stefano si accorse di stringere lo spallaccio dello zaino come se fosse stata una presa di sicurezza, «Hai portato qualcosa da mostrare?» rincalzò Irene, «No, ho con me solo un taccuino.» «Le pagine sono bianche, immagino...» «Sì.» Irene fece un cenno con la testa, come se quella risposta fosse esattamente quella che si aspettava. «Molto bene, Stefano. Ti elenco poche regole basilari; qui non c'è nessun confort, non ci sono connessioni a Internet e da domani mattina a partire dalle ore sei iniziamo il percorso con tutti gli altri sette ospiti. Alle sei e un quarto apriamo il giardino, e quello sarà l'unico spazio in comune.», poi fece una pausa; quindi, si voltò verso una delle pareti, dove un affresco incompleto mostrava due corpi inarcati, intrecciati, ma mai del tutto uniti. «Ti ho visto anni fa, ti muovevi come se il corpo volesse sputarti fuori, ora, sembri trattenerlo dentro, come se avessi paura di romperlo. O peggio: di farlo parlare.» Stefano non disse nulla, sentì solo qualcosa nel petto, ma era una sensazione troppo confusa per avere un nome, sembrò quasi un impasto di rabbia, pudore e desiderio. «Ti ho invitato perché non hai più voglia di scrivere, ma il talento e la voglia dentro di te non sono morti. Tu stai lì, nel mezzo, e il mezzo, Stefano, è la zona più pericolosa.» Fece un passo avanti, e gli si avvicinò «Io ti ho scelto perché sono una donna che guarda, che studia e che osserva. Voglio che tu guarisca da quell'apatia che, da mesi, ti perseguita, e desidero toglierti tutto quello che ti tiene in piedi, ma ti impedisce di camminare. Sono sicura che riuscirai a superarlo.» Poi si voltò, ma appena prima di varcare la soglia della stanza successiva, aggiunse: «Spero che tu resista, e spero anche che tu ceda, perché entrambe le cose vanno bene. Basta che tu smetta di fingere che vada tutto bene.» E dopo quelle parole, dure, dirette e schiette, Irene gli voltò le spalle, Stefano rimase lì, immobile, con la schiena dritta e le mani sudate, e finalmente trovò il coraggio di parlare «Irene...» Non era pronto ancora, lo sentiva, ma qualcosa dentro si era mosso. La donna si voltò «Hai qualcosa da dirmi che sia importante?» chiese in uno strano tono, «Vorrei dirle...grazie. Questo invito è arrivato in un momento buio della mia vita, e io farò di tutto per uscirne. Non voglio deluderla, Irene.» «Aspetta a ringraziarmi, Stefano. La prova che ti aspetta non sarà una passeggiata e io non posso essere sicura che ritornerai quello di prima, perché la sfida è quella di ricominciare ad essere meglio di prima, e questo spetta solo a te dimostrarlo. E poi...non amo i formalismi, d'ora in poi togli questa distanza e rivolgiti a me come se fossi un'amica, è chiaro?» «Cristallino.» replicò Stefano, stupito da quella confidenza che Irene si era presa e che lui non avrebbe disdegnato. Non sapeva se quella sensazione appena provata l'avrebbe proiettato in avanti, ma era certo che nello stesso momento in cui l'aveva percepita si era sentito spinto in una direzione sconosciuta. |
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