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Writer Officina Blog
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Il pokerista
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Quale sarà la prossima carta?
Che il gioco abbia inizio. Era l'ora delle 6:43 del mattino. L'oscurità, densa come inchiostro rovesciato, avvolgeva ancora via Enrico Fermi. La Centrale Operativa ricevette la chiamata: una voce anziana, tremante, scandiva parole con fatica. Un passante mattiniero, un nonnino dal passo incerto, trascinato dal guinzaglio di un cane affannato, aveva fatto una scoperta macabra. Un motorino giaceva abbattuto sul fianco, come un insetto schiacciato, incastrato tra il freddo metallo di un cassonetto e il ruvido cemento del muro. Accanto, sull'asfalto umido e gelido, una donna immobile. Abbandonata in una posa innaturale. Nessun grido, nessuno stridio di pneumatici, e di vetro infranto neanche l'ombra. Solo un silenzio pesante, pesante come piombo fuso, incombeva. Persino il cane, di solito così vivace, era ammutolito. Fiutava l'aria con diffidenza, il pelo irto sul dorso. Un ringhio sordo gli vibrava in gola. Via Enrico Fermi, una via secondaria, poco trafficata all'alba. L'ambulanza arrivò come un urlo disumano. I paramedici capirono subito: qualcosa non tornava. La donna era riversa a terra, come una bambola di porcellana gettata via. Ma la scena era strana, ordinata. Quasi meticolosa. Nessun segno di impatto violento, nessuna ferita significativa. Solo un piccolo sfregio sul parafango anteriore del veicolo. Quella donna potrebbe avere quarant'anni, forse. Capelli castani, lunghi e lucidi, che le incorniciavano il volto. Un trench beige abbottonato e jeans scuri aderivano a una figura esile. Le mani sottili, unghie curate, erano rigidamente composte accanto al corpo, dita piegate artigliate come se fossero state piegate dall'impatto. Non c'erano tagli, non si intravedevano ferite aperte. Solo quiete sinistra. Un'assenza di vita. Il suo sguardo era fisso nel vuoto. Occhi spalancati in un terrore perenne, le labbra leggermente dischiuse, aveva urlato prima di morire? Un rivolo di sangue scuro, quasi nero, le colava da una narice, una macchia sinistra, fredda come marmo. Il capo della scientifica si chinò sul corpo. Un sospiro rassegnato. I guanti di lattice scricchiolavano mentre tastava il polso esile. Scosse la testa, lento, grave. -Deceduta, confermo la vostra diagnosi- mormorò con voce roca. -Morta da poco.- L'agente di polizia prese appunti, mano ferma, volto serio. Ma gli occhi tradivano un'inquietudine. L'assenza di violenza, la posizione composta, il terrore congelato sul volto... una macabra messa in scena. Mentre gli altri agenti delimitavano l'area, l'ispettore capo Luca Mancini arrivò. Uomo di mezza età, con un'aria stanca e lo sguardo intenso. Mancini si avvicinò lentamente al corpo, osservando la scena con attenzione meticolosa. I suoi occhi saettavano da un dettaglio all'altro: il motorino abbattuto, la posizione del corpo, il casco rosso slacciato, l'espressione della donna. Tutto registrato e archiviato nella sua mente. Si chinò sul corpo, ignorando il brivido di freddo. Osservò il volto. Gli occhi spalancati sembravano fissarlo. Un nodo alla gola, una tragedia difficile da spiegare. -Fotografa tutto,- ordinò con voce ferma. -Ogni singolo dettaglio. Non voglio che ci sfugga nulla.- Poi si avvicinò al motorino. Tastò la carrozzeria, osservò il piccolo sfregio: qualcosa non quadrava, un'anomalia? Un brivido lo percorse. Mancini si raddrizzò lentamente, espressione pensierosa. Senza voltarsi, sfiorò il taschino del cappotto, un'ombra d'inquietudine, sempre la solita sensazione che gli pesava sul cuore: era la stessa sensazione che fece gelare il sangue all'infermiere: Marco, un uomo sui quarant'anni dalla corporatura robusta, con i capelli corti e brizzolati e un'espressione perennemente stanca incisa sul volto, si era chinato con la consueta professionalità per controllare i parametri vitali. La sua mano, abituata a tastare polsi affievoliti e a cercare segni di vita, si mosse rapida. La pelle della donna era fredda, già di un pallore cereo che non lasciava dubbi. Stava per rialzarsi, un sospiro già pronto a sfuggirgli, quando un bagliore insolito catturò la sua attenzione. Infilata con cura sotto la cintura della donna, quasi nascosta ma allo stesso tempo ostentata, sporgeva una carta da gioco: il Due di Fiori. Il suo bordo era appena visibile, un sottile rettangolo bianco che stonava con il trench beige e i jeans scuri. Marco esitò, la fronte corrugata, un'ombra di perplessità gli attraversò lo sguardo. Il suo istinto, temprato da anni di emergenze e drammi, gli urlò che non era un caso. Non una banale caduta dal portafoglio. Posizionata con cura, quasi rituale, quella carta era un messaggio in codice. Un brivido freddo, più gelido dell'asfalto, gli corse lungo la schiena. Marco si rialzò lentamente, gli occhi fissi sul simbolo. Si scambiò uno sguardo eloquente con il collega, un giovane paramedico dal viso ancora troppo ingenuo per la durezza di certe scene. Un cenno all'autista dell'ambulanza, che si era avvicinato con un'espressione interrogativa. Non c'era più nulla da fare. La donna era morta. Ma quel Due di Fiori... quello era solo l'inizio. Alle 7:28, una Fiat Bravo grigio antracite si fermò accanto all'ambulanza. Ne scese l'ispettrice Viola Santamaria. Alta, slanciata. Cappotto scuro aperto su un elegante tailleur blu. Capelli neri raccolti. Sguardo affilato. Passo sicuro. Da due anni seguiva tutti gli omicidi irrisolti, misteriosi, con un dettaglio in comune: simboli lasciati sulla scena come firma. Dietro di lei, qualche minuto dopo, arrivò Danilo Grassi, suo collega e braccio destro. Più vecchio di qualche anno, barba corta, occhi intelligenti. Calma apparente, mente tagliente. Giacca di pelle logora e sciarpa grigia. Una squadra affiatata: lei, impetuosa e analitica; lui, riflessivo e metodico, a volte un po' troppo sarcastico. -Che abbiamo?- chiese Viola, avvicinandosi al corpo senza toccare nulla. -La chiamata è arrivata alle 6:43,- rispose il tenente, passandole un tablet. -Nessun testimone oculare. Nessun suono. Solo un passante col cane ha trovato il corpo.- Viola si inginocchiò. Studiò il viso della donna, la posa, la posizione del motorino. Poi la carta. -Fammi subito controllare il contenuto della borsa. Con attenzione,- ordinò a Danilo, che già indossava i guanti. Lui annuì e si avvicinò, aprendo con cura la borsa. Un portafoglio, un telefono, le chiavi di casa, un pacchetto di gomme e un flacone di ansiolitici. -Carla Rossi,- disse, estraendo la carta d'identità. -Residente in zona Portuense. Nessun precedente. Impiegata in uno studio notarile.- Viola prese appunti rapidi su un taccuino nero. Poi si alzò, osservando la scena da una nuova prospettiva. Si strinse nel cappotto. -Non c'è sangue, né escoriazioni gravi. E guarda com'è caduta,- disse a bassa voce, indicando la posizione composta del corpo. -Sembra che sia stata adagiata. Non è una caduta naturale.- Danilo studiò la carta: Il Due di fiori. -Il Due di fiori,- mormorò. -Una carta bassa. Ma doppia. Il numero due, la dualità. Può essere un indizio sul prossimo passo.- Viola lo guardò, pensierosa. -Se qualcuno l'ha messa lì... allora non è una coincidenza. È una firma. Un messaggio chiaro.- Pochi minuti dopo, Viola parlò con il capo della scientifica, che confermò i suoi sospetti. -Non c'è trauma compatibile con la morte da impatto. Il corpo è intatto, a parte qualche graffio superficiale. Però ci sono segni sottili di sofferenza cardiocircolatoria,- disse il dottore. -Veleno?- chiese Viola. -Forse. Oppure qualcosa inalato. Serve l'autopsia. Ma non è morta per la caduta, questo è sicuro. Qualcuno o qualcosa l'ha uccisa. Di sicuro non l'incidente.- Viola strinse la mascella. La tensione cresceva. -Questo, quindi, non è un incidente,- disse, guardando Danilo negli occhi. -È un messaggio. Un avvertimento.- -Pensi che, se veramente c'è un assassino, continuerà?- chiese lui. Viola si avvicinò, lo sguardo che passava dal volto immobile della vittima alla carta, poi al motorino abbattuto. |
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