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Autore: Carlo Amodei
Titolo: La notte di Bagdad
Genere Romanzo Storico
Lettori 3435 38 60
La notte di Bagdad
Introduzione.

L'attacco delle forze della coalizione di Stati sotto l'egida dell'ONU, con la risoluzione n. 678, dove viene autorizzato l'uso della forza contro l'Iraq, viene da lontano.
Iran e Iraq erano impegnati in una guerra decennale per la supremazia nel golfo Persico, e Bagdad veniva anche foraggiata dall'occidente per contrastare il regime khomeinista[1] persiano.
Ma la guerra stava sfiancando le due nazioni, tanto che l'Iraq era pieno di debiti sia verso il Kuwait, che verso l'Arabia Saudita.
Il dittatore Saddam Hussein aveva cominciato a fare proclami ora contro l'una, ora contro l'altra nazione, accusandole di essere asservite all' occidente.
D' altra parte fin dal 1980 l'America si era ancorata alla cosiddetta - dottrina Carter - (l'allora presidente degli Stati Uniti), secondo cui il tentativo di una forza esterna di controllare la regione del golfo Persico veniva considerato un assalto contro gli interessi vitali degli U.S.A.

[1] Integralista islamico.

Allora navi da guerra americane continuavano a incrociare nel golfo Persico e, a difesa di non tanto velate minacce di Saddam contro l'Arabia Saudita, furono dispiegate delle truppe sul suo territorio.
Comunque sia, verso fine luglio 1990 l'Iraq accusa il Kuwait di avere aumentato la produzione di petrolio, facendone crollare il prezzo e di essersi impadronito di parte di petrolio iracheno.
A questo punto dopo le minacce arrivano i fatti e il 2 agosto l'Iraq invade il piccolo Kuwait, che subito capitola.
La comunità internazionale è sdegnata dall'atteggiamento di Saddam, che, oltre a questo, impedisce ai cittadini occidentali di abbandonare i due paesi, e li tiene in ostaggio.
Le trattative diplomatiche fervono: sanzioni per l'Iraq, che poi, dopo qualche mese di proteste in tutto il mondo, rilascia tutti gli ostaggi.
E con la partecipazione a vario titolo, militare e non, di una coalizione di 34 paesi di tutto il mondo ci si avvia verso un intervento armato.
Intanto già dal 15 agosto 1990 l'Iraq aveva firmato la pace con l'Iran, in modo da assicurarsi la sua neutralità.
Con la risoluzione n. 678 dell'ONU viene dato un ultimatum che scade alle 8 del mattino, orario di Bagdad, del 16 gennaio 1991, pena l'intervento armato.
Che arriva puntualmente il 17 gennaio alle ore 2,38.
Fu la prima guerra combattuta in diretta, con tutte le televisioni mondiali che in tempo reale davano le immagini con i bombardamenti, la contraerea, ecc.
Una guerra anche televisiva!

17 GENNAIO 1991

Quella notte di Gennaio del 1991 Vicenzo Spatola se ne dormiva, come spesso gli capitava, sul divano della cucina: un dormiveglia leggero che gli riposava la mente più che il rigirarsi nel letto.
I piedi vicino alla stufa e la testa sul cuscino: la sua posizione preferita ora che erano andati tutti a letto.
- È iniziato il bombardamento, sentite... sentite la contraerea... - diceva la televisione, e Vicenzo si svegliò seduto come gli era capitato solo nel ‘68, quando ci fu il terremoto[2].
Sentiva, sentiva e pensava, sentiva e si guardava i piedi, senza pantofole. - C'è la guerra... come hanno detto? Polizia internazionale. -
Vicenzo sentì freddo e si riempì una borsa d'acqua calda; puzzava di gomma, era nuova, ma sentiva freddo e se la strinse lo stesso sullo stomaco.

[2] Il terremoto del Belice, del gennaio 1968.

Rimase così alla televisione ad ascoltare, per tanti minuti, poi cercò con gli occhi la notte, dietro i vetri, si alzò e aprì la finestra: la aprì per
sentire anche lì fuori quei botti lontani...
Niente, silenzio e cielo stellato e le luci fisse della piazza e tiepida notte come solo da noi sa essere anche d'inverno.
E pensò a Gina, sua figlia, già quasi troppo grande per trovare lavoro, e al bambino e a sua moglie che dormiva.
E pensò a Nino, suo fratello, che era morto in un cortile, quando andavano a raccogliere le bombe e gli elmetti lasciati dai soldati in fuga, e lo sentiva ancora che gridava: - Cavaleri, cavaleri, Voscenza sulu mi pò sarvari[3]! - Ma il cavaliere, poveretto, non poté far niente; gli teneva la mano, ed il ragazzo ripeteva con fede: - Cavaleri, cavaleri, Voscenza sulu mi pò sarvari! - Non si rivolgeva al dottore, all'infermiere, ma solo al cavaliere, buonanima, che era l'unico che non poteva dargli aiuto.

[3] - Cavaliere, cavaliere solo Vossignoria mi può salvare! -

Commosso gli diceva: - Stai tranquillo, andrà tutto bene, non ti preoccupare. Il dottore Geraci ti metterà a posto, e poi un giovanotto come te...
Ancora ti pago mezza giornata, ma vedrai che ti riprenderai e lavorerai come un operaio grande. -
- Cavale', ma io la gamba non me la sento più! -
- Non ti preoccupare, correrai come un cavallo da corsa appena starai bene. Vero, dottore? - - Certamente, cavaliere; e tu coraggio, Nino, che uomo sei, gli uomini devono avere coraggio. Fatti forza. -
- Cavaleri, voscenza sulu mi pò sarvari... -
- Ninù, non ti lascio, stai tranquillo. -
Ma Ninuzzo morì, mentre il cavaliere gli teneva la mano.

Vicenzo sentì ancora più freddo.
E guardò il cielo per cercare... un rumore: - Li tammurinara[4], li tammurinara, corri Vicenzo - , gli aveva gridato la signora Lina.

[4] I tamburini.

Ma quella volta Vicenzo si fermò: - Marsala non esiste più - si diceva nelle campagne - tutti morti - , e li volle vedere: guardava il cielo e aspettava, e - li tammurinara - suonavano sempre più forte; infine li vide in lontananza, poi sempre più vicino: le fortezze volanti, e cominciarono a versare bombe sul paese e il cielo si fece scuro come quando gli storni scappano dai mandorleti.

- Santo Dio, la guerra - disse Vicenzo tra i denti, - E ora - pensava - ...ci vogliono soldi. Sì, domani vado in banca: i soldi non avranno più valore. Devo trovare cento chili di farina, domani; poi zucchero e olio: non dobbiamo avere fame. Domani... domani pensa Dio! -
Spense la televisione, girò per casa a controllare che tutto fosse chiuso. Era chiuso anche il cassetto dei soldi: lo aprì e controllò il libretto - Forse è meglio prenderli tutti i soldi; se c'è da scappare è meglio avere tutti i soldi appresso! - Richiuse. - Certo ci sono tanti tunisini a Mazara e anche da noi: dobbiamo stare attenti! E poi quel lazzarone di Gheddafi è qua vicino e una volta ci sparò i missili a Lampedusa. Meglio stare pronti a scappare. -
Fece la solita capatina in bagno e poi si guardò allo specchio, forse cercando qualcosa di diverso... ma vide la solita faccia piena di rughe, che ne aveva viste tante. Si raddrizzò ed alzò il mento fino a raggiungere la sua normale fisionomia da vecchio capo indiano.
Infine si coricò vicino a sua moglie che dormiva e la guardò: era di spalle e le vide solo il collo e i capelli. Era stata bella da giovane, o almeno per lui lo era stata, ma ora aveva mani grosse più delle sue, e fianchi pesanti e il seno stanco; aveva fatto tre figli e lavorato tutta la vita per un poco di pane e quei quattro soldi che erano riusciti a salvare.
- E ora se ne andrà tutto a mare? Sei diventata vecchia per niente? E la casa? Se non era per il cavaliere, buonanima, saremmo a casa affittata, ma ora se ce la bombardano chi ci può aiutare? -
Mentre pensava così volse gli occhi verso un vecchio quadretto della Madonna delle Lacrime di Siracusa - Ave Maria, piena di grazia... - pregò Vicenzo, e continuava pregando - Ave Maria... -

I sogni della notte furono quieti e Vicenzo fu svegliato, come al solito, prima dell'alba dai rimondatori che si riunivano a parlare sotto casa sua, prima di andare al lavoro nei campi.
La discussione era animata e Vicenzo, dopo un buon caffè, scese subito in piazza.
- Che abbiamo, picciotti? -
- ‘Ossa benedica, zù Vicè! - disse uno - Bongiorno, parlavamo di ‘sti tunisini che sono qua e che ci levano il pane. La giornata se la fanno pagare a 40.000 lire e noialtri lavoriamo sempre di meno. -
- Sì, ma questo si sapeva. - rispose Vicenzo.
- Zù Vicè, ma ora che dobbiamo fare? Se ci fanno pure la guerra vi giuro che ne prendo uno per il collo e l'ammazzo con queste mani - disse Benito, che tanto per fare onore al suo nome era il più focoso di tutti. Mentre diceva così passò davanti a loro la carcassa di una vecchia Peugeot, cadente e arrugginita, con tappeti che uscivano da tutte le parti.
- Eccone due. - fece Benito, - Alì, Alì, veni ccà[5]! -
- Amico, tu vuoi accendini, tappeti? -
- L'accendini te li infilo in culo a uno a uno; te ne devi andare da casa mia - gridava Benito con gli occhi rossi e le vene che gli uscivano dal collo, - ve ne dovete andare e se c'è la guerra sono cazzi vostri! -

[5] Vieni qua.

- Basta, Benito! - interruppe zù Vicenzo - Alì, meglio che ve ne andate. -
- Io no guerra, io mangiare, zappare, cogliere olive: siciliano amico mio. -
- Sì, va be', vattinni[6]... - concluse Vicenzo.
- Picciotti, è brutta la guerra, noi la passammo, e io per fame fui costretto pure a mangiarmi le bucce delle patate. Speriamo a Dio che non succeda niente. -
- Noi ce ne scendiamo, rimondiamo olivi a Seggio[7], zù Vicè, vossia chi fa? -
- Niente, mi annaco[8] un altro poco e poi più tardi ho cose da sbrigare; e poi c'è il trasporto di B. -
- È morto, mih; da tanto tempo non si vedeva! -
- Sì, stava molto male. - – disse zù Vicè.
- Regghia materna[9]! Ma una volta non si disse che la moglie... -


[6] Vattene.
[7] Ex feudo di Seggio: una delle zone agricole più importanti di Castelvetrano.
[8] Perdo un altro po' di tempo.
[9] Requiem aeternam – riposo eterno (riposi in pace).

Vicenzo lo fulminò con due occhi di fuoco - Bestia, voi giovani non rispettate manco i morti! -
- Ha ragione, zù Vicè, ormai è al mondo della verità[10]. -
- Già, l'hai capito? -
- Va a pigliare la pensione, zù Vicè? - – disse Benito ridendo e cambiando discorso – - ...E ‘ncozza sempre[11]! -
- Lu curnutu chi sì! -
- ‘Ossa benedica. -
- Salutamu. -

[10] - A lu munnu di la virità - .
[11] Accumula sempre soldi.

IL CAPITANO

Il capitano era un giovane alto, ben piantato. La divisa gli stava bene addosso e poi, quegli occhi chiari, chissà a quante donne aveva fatto battere il cuore.
Era un torinese, Vicenzo non aveva ben capito il nome della sua città, o non se lo ricordava, ma comunque era torinese; solo che non era un polentone: diciamo che non era come gli altri polentoni che tu li potevi prendere in giro, lui aveva un sorriso furbo, anzi intelligente, che capiva tutto. Insomma era uno con cui si poteva parlare francamente ed a Vicenzo gli era piaciuto subito, gli si era subito affezionato.
Era arrivato qui per la guerra, era dell'artiglieria, ma Vicenzo era convinto in cuor suo che guerra o non guerra, il capitano comunque, prima o poi, ci sarebbe arrivato a Castelvetrano.
Aveva lasciato a Torino, o lì vicino, la madre e una sorella più grande. E lui se n'era andato a fare l'Accademia; poi era scoppiata la guerra...
Comunque queste cose di solito si passano di padre in figlio, e difatti anche suo padre era militare di carriera ed era morto nella guerra del '15-‘18.
Il capitano era molto legato alla famiglia, e anche se non si vedevano tanto, scriveva spesso a casa; e la mamma, che era una di Chiesa, gli mandava un sacco di benedizioni.
Il capitano era nato nel 1915, quindi suo padre nemmeno se lo ricordava, però, quando andava crescendo, si ricordava la tristezza della sorella più grande, soprattutto quando si parlava di papà o quando passava davanti alla sua foto sul tavolino.
E si ricordava le notti che sentiva piangere sua madre, e a volte andava nella sua stanza e se l'abbracciava. Altre volte, già da bambino, sapeva cos'era il rispetto della sofferenza, e rimaneva nella sua stanza a pensare.
Lui aveva una venerazione per suo padre, e vedendolo sempre nelle foto in divisa, se ne era innamorato ed aveva deciso che un giorno si sarebbe messo in divisa anche lui.
Poi, quand'era più grandicello, sua madre aveva cominciato a spiegargli tante cose del padre. Come si erano conosciuti, quanto voleva bene alla famiglia; anche quando era costretto a partire per servizio, scriveva sempre delle belle lettere. E lui pensava che se non fosse morto così presto sarebbero stati veramente felici.
Ma la mamma gli diceva che il Signore se l'era voluto prendere con sé forse per una missione più importante e che lui li proteggeva sempre da lassù.
E poi parlando del papà gli ripeteva sempre che lui non voleva la guerra, ma che si era fatto militare per difendere le persone e le famiglie, perché in Italia erano troppi quelli che erano venuti per conquistarla ed abusarne. Lui allora voleva che ci fosse un buon esercito in grado di controbattere gli invasori e poter vivere in pace.
E, cresciuto in quest'ambiente, fu quasi naturale che un giorno dicesse alla mamma: - Voglio fare il militare anch'io, come papà, per difendere la pace degli italiani. -
E furono quasi naturali anche le lacrime di sua madre; ma poi si riprese e gli disse: - Figlio mio, tu devi seguire la tua strada, non ti preoccupare, io ti starò sempre vicino con la preghiera. Vivi la tua vita e sii onesto con te stesso e con gli altri. - E lo abbracciò forte forte.
La mamma era devota di Don Bosco e sapeva come i ragazzi bisogna aiutarli a crescere, dandogli buon esempio e buoni principi, ma poi devono essere pronti per andare nel mondo, anche accompagnati dalla preghiera. E fu così anche questa volta.
Il capitano fece i suoi studi e la sua carriera nell'artiglieria; poi, scoppiata la guerra, fu destinato a Castelvetrano, dove c'era uno dei più grossi ed importanti aeroporti militari dell'Italia meridionale, quasi testa di ponte con la Libia. Quindi un aeroporto strategicamente importantissimo, da difendere per bene con un'artiglieria contraerea adeguata.
E poi Castelvetrano era anche lo snodo ferroviario più importante della zona, che metteva in comunicazione le tre provincie occidentali della Sicilia: Palermo, Trapani ed Agrigento. Inoltre c'era il deposito di locomotori, vagoni ed altro e vi si effettuavano anche le riparazioni. Quindi anche lì era importante difendersi bene.
Il capitano arrivò a Castelvetrano nel periodo di Carnevale, e gli fece una certa impressione vedere i mandorli fioriti in pieno inverno. E camminando lungo la stradella verso l'aeroporto vedeva i petali bianchi di mandorlo ed il vento che se li portava via come fossero coriandoli per le strade.
E poi la natura non sembrava addormentata, come al nord, per la prevalenza di sempreverdi, come l'ulivo, che si vedeva ovunque, e gli agrumi, di cui la città era un'ottima produttrice. E poi tanta erba verde!
- Capitano, qui vi troverete bene, non foss' altro per il clima: rare gelate e la neve qui la vedono ogni trent'anni. Diciamo che è quasi un'eterna primavera. Se non fosse per il vento, che spesso si fa sentire... Ma fiori tutto l'anno, come dice una loro canzone popolare. Cosa volete di più? E poi la gente è accogliente. Vedrete che starete bene! Se non fossimo in guerra sembrerebbe quasi di stare in vacanza. -
Con queste parole l'accolse il Colonnello, mettendolo poi pian piano a corrente di tutte le questioni di carattere militare che potevano interessarlo.
- Per ora c'è un po' di movimento di carabinieri, perché ci hanno fatto trovare vicino all'aeroporto un soldato ammazzato, legato, con una patata in bocca. Chissà cosa avrà combinato; se volete il mio parere non lo sapremo mai. Avrà pestato i calli a qualcuno, non so. Di solito qui hanno la mania di firmare gli omicidi. Con la patata... chissà che mai significherà! Comunque di una cosa sono sicuro: non caveranno un ragno dal buco. Con l'omertà che c'è questo resterà come tutti gli altri delitti di Sicilia: impunito. -
Il capitano uscì dalla casermetta, e andò a fare un giretto a piedi, lungo i viottoli attorno all'aeroporto. All'interno c'era un gran movimento, ma fuori era come se il tempo si fosse fermato a centinaia di anni fa: casolari di pietra, contadini che zappavano, greggi di pecore in lontananza a pascolare, e mentre passeggiava il capitano rimuginava le cose che gli aveva detto il colonnello.
Ad un tratto si sentì salutare con un grido: - Buongiorno, signor tenente! -
E vide un contadino più o meno della sua età, che si avvicinava, togliendosi la coppola.
- Buon giorno a te! - rispose, - però hai sbagliato grado; non sono tenente, ma capitano. -
- Mi scusi, da lontano non avevo visto bene; ma che è nuovo? Perché io, si può dire, conosco tutti. -
- Sì, sono arrivato ieri. -
- Lo dicevo! Io sono Vicenzo, per servirla, e sono curatolo nei terreni del cavaliere; ecco, qua ce n'è uno che arriva fino in fondo alla strada, dove comincia la curva. Ci sono un trecento piedi d'olivo ed io seguo i lavori di quelli che li stanno rimondando, e bruciamo pure la legna. -
- Per questo vedevo del fumo... -
- Sì, conviene bruciarla la legna e lasciare il terreno pulito. Io ogni tanto mi faccio un giro per vedere cosa succede attorno. -
- Già, lo faccio anch'io. -
- Allora può darsi che ci rivediamo; comunque sempre a disposizione! Se ha bisogno di qualcosa mi cerchi pure: Vicenzo Spatola, il curatolo del cavaliere. Qui tutti mi conoscono. Ripeto, non faccia complimenti, soprattutto che è nuovo può avere bisogno di qualcosa. Se mi chiama io sono ben contento di servirla, per qualunque cosa; si ricordi: Vicenzo Spatola. -
Carlo Amodei
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