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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Herbert Zambelli
Titolo: Game over
Genere Thriller Noir
Lettori 3547 34 57
Game over
- L'unica mossa vincente è non giocare - WarGames – Giochi di guerra, 1983.

La camera era poco illuminata, un leggero bagliore proveniva dal display del pc sopra la scrivania, la parola - eliminato - lampeggiava davanti alla giungla tropicale. Gettato sul letto, un pacchetto aperto lasciava intravedere una custodia per DVD con sopra un simbolo rosso: un fucile avvolto da filo spinato con sotto le sole lettere - M.A. - .
Sulla poltrona davanti allo schermo, il corpo di un ragazzo tremava in preda agli spasmi. Il viso era madido di sudore, grosse gocce perlate cadevano dalla fronte bagnandogli le gambe nude; le pupille e l'iride, sbiancandosi, avevano lasciato il posto alla sclera striata di rosso.
All'improvviso, il silenzio della stanza fu interrotto da un quasi impercettibile splat. Dalle orecchie del ragazzo, così come da naso e bocca, rivoli di sangue nero cominciarono a scendere copiosi, il disegno sulla maglietta venne completamente coperto da una inquietante macchia scura. Smise di fremere, rimase fermo sulla sedia in modo innaturale, la testa cadde in avanti, mentre le mani scivolarono dai braccioli. Il sangue, seguendo il percorso delle dita, iniziò a gocciolare sul tappeto.
La stanza ritornò a essere silenziosa.
Un uomo aveva osservato tutto quello che era successo. Cominciò ad accarezzarsi il pizzetto; il ghigno di soddisfazione, che fino a poco prima aveva disegnato la sua bocca, si stava tramutando in una smorfia d'ira. Smise di toccarsi il viso e batté violentemente i palmi sulla scrivania di fronte a lui.
- No, no, no! - urlò. - E questo ragazzo – che si professava uno dei migliori player in circolazione – non ha retto nemmeno cinque fottuti round? Pier, quanta sostanza gli hai somministrato? -
L'uomo calvo di fronte a lui, con la testa china in segno di rispetto, rispose con voce titubante: - l-la stessa dose che somministriamo a tutti, signore, probabilmente non abbiamo tenuto conto del peso... - .
- Che vi pago a fare, allora? Non possono morire così velocemente! - disse l'uomo, scandendo ogni singola parola con rabbia. - Così non mi diverto, dobbiamo trovare un'altra soluzione - . Si alzò dalla poltrona, spense lo schermo di fronte a lui e cominciò a camminare verso l'ometto impaurito, che non staccava gli occhi da terra: - Quando è prevista la pausa per la compensazione? - .
- Al quinto livello, signore. Non penso che sia solo... - .
Pier vide avvicinarsi il suo capo che si pose a un palmo dal suo viso, con gli occhi carichi di odio in mezzo a una faccia tonda, morbida e in netto contrasto con la sua indole violenta: - Tu non devi pensare - , gli disse. - Tu fai solo quello che dico io! Abbassatela al terzo livello e la prossima volta considerate il peso. Siamo intesi? -
Pier sussurrò: - Tutto chiaro, signore - . Poi avvertì le mani sulle sue spalle, le sentì stringere violentemente fino a che, per il dolore, dovette mettersi in ginocchio.
L'uomo lo guardò, lì davanti a lui, e sorrise: - Vedi, Pier, questo è il simbolo della mia potenza: io in piedi e tu in ginocchio... Tra non molto, altri si chineranno al mio cospetto - .
Lasciò la presa e Pier si rimise in piedi, massaggiandosi le spalle.
- Ragguagliami su come stanno andando i giocatori - , lo incalzò il capo, abbracciandolo con tanta veemenza che lo fece incespicare, dirigendosi verso l'uscita della stanza.
Pier cercò di riprendere il contegno, ma la sua voce continuava a tremare: - Il... il ragazzo è la seconda vittima questo mese, l'altro si chiamava Lican82, napoletano, secondo in graduatoria nazionale; gli altri due giocatori sono arrivati all'ottavo livello con più della metà delle vite - .
- Chi sono quei due? -
- Jghid e Joker, persone molto vicine all'obiettivo - .
L'uomo lasciò finalmente le spalle di Pier, e si diresse nuovamente verso la poltrona: - Bisogna forzare la morte di uno di loro; fai in modo che non possano terminare il gioco, hai ventiquattr'ore; interfaccia le due console e falli giocare uno contro l'altro all'ultimo livello; aumenta la stimolazione neurologica e l'assunzione del siero - .
- Penso che ci servirà più di un giorno, si-signore, dobbiamo entrare in casa loro e lavorare sia alle cuffie che alla console... - .
- Basta contraddirmi! - urlò rivolto a Pier, che abbassò ancora lo sguardo. - Abbiamo le persone che possono farlo, ventiquattr'ore e non di più - .
- Come vuole, signore, mi attivo subito - , disse l'ometto avviandosi verso la porta.
- Un'ultima cosa, Pier... - , si girò di scatto il capo. - Il pacco speciale è partito? -
- La consegna è prevista per domani, signore - .
- Aspettate la morte di uno dei due player prima della consegna - .
- Come desidera, signore - .
- La vendetta deve essere servita fredda, ritardiamo un po'... Adesso lasciami solo, puoi andare - .
Pier non disse nulla. Veloce, aprì la porta e la richiuse alle sue spalle, con l'immagine del suo padrone che sedeva sulla poltrona come un re sul trono. Cominciava ad avere paura. Era grato a quell'uomo che lo aveva salvato a un passo dal baratro, tanto quanto era terrorizzato dalla sua follia, che aumentava di giorno in giorno. Si appoggiò alla porta per qualche istante, trasse un profondo respiro per cercare di calmarsi e quando si sentì più tranquillo riprese a camminare per il corridoio verso l'uscita dello stabile. Pier prese il cellulare: - Dobbiamo rivedere il programma e la consegna... Non ribattere, stronzo, è chi ti paga che ordina e tu esegui senza fiatare... Perfetto, avvisa gli uomini che ci vediamo tra due ore al solito posto, così vi ragguaglio sul nuovo progetto - . Non attese la risposta, chiuse il telefonino e fece gli ultimi passi verso l'uscita correndo, aveva bisogno di riprendere fiato.
Poco importava come gli altri lo vedevano, Maverik si sentiva un dio. Nel momento in cui la porta si chiuse davanti a Pier, il rumore, come in un sogno, lo catapultò ai tempi della scuola militare. Non riusciva ad addormentarsi, aspettava solo che i primi bagliori del giorno portassero con loro la libertà. Mentre Morfeo finalmente pareva arrivare, la porta della camerata violentemente chiusa e lo strisciare di piedi nudi sul pavimento lo ridestarono. Non ebbe il tempo di fare nulla, fu bloccato dai compagni di camera sul letto, gli legarono gambe e braccia e gli misero un bavaglio per non farlo urlare. Uno dei ragazzi gli si avvicinò: - Questo è il nostro saluto prima della tua partenza, cazzone - . Cominciarono a picchiarlo, con saponette coperte da asciugamani umidi. Rimase muto, cercò di inarcare per quanto possibile il bacino per assecondare il dolore, grosse lacrime gli scesero lungo le guance, mentre nella sua testa la rabbia montava sempre più forte. L'indomani, quando le porte della sua nuova vita si aprirono, rimase in lui la consapevolezza che quella notte era un altro centimetro di miccia aggiunta alla bomba che presto sarebbe esplosa.

- Fermati, Paolo! Rimettiti in posizione - .
- Vado a prenderli dove rinascono, Bio, non ho fatto ancora nessuna uccisione stasera - .
Il viso di Bio si fece serio. Sul suo monitor vedeva il puntino azzurro del giocatore che stava lasciando il reticolato a lui assegnato. Immaginava Paolo che sghignazzava mentre muoveva il suo soldato virtuale verso una zona che non era quella indicata.
Erano a Roma, durante il Master Games 2017, stavano giocando la finale nazionale del videogioco di guerra più famoso, Total War Two. La vittoria li avrebbe portati dritti a Las Vegas per disputare la finale mondiale come portabandiera dell'Italia nella competizione più seguita al mondo.
- Paolo, ritorna in posizione, smettila di fare di testa tua - . La voce era calma, cercava di rimediare a un errore grossolano, non poteva permettersi che i giocatori agissero da soli.
- No, Bio, adesso faccio ciò che voglio - .
Aspettò qualche secondo e poi disse: - Chri, uccidi Paolo - .
Non ci fu risposta verbale, non ne aveva bisogno: sentì un lieve fruscio nelle cuffie poi vide il puntino con scritto - Paolo - lampeggiare per qualche secondo, sullo schermo, per poi scomparire.
- Che fai, Bio? - chiese Paolo amareggiato. - Così abbiamo perso un ticket... - .
Bio non gli lasciò finire la frase: - Meglio perdere un ticket che la partita; da adesso, per un minuto, non darò più direttive. Tutti facciano quello che vogliono, così capirete che da soli non valete un cazzo - .
Spense appositamente il microfono, per non dare più direttive, inforcò gli occhiali per la visione aumentata e la piccola mappa sullo schermo diventò un ologramma di fronte a lui.
Palazzi distrutti da un bombardamento aereo, le macerie che delimitavano i percorsi dei soldati virtuali verso le zone da conquistare... Poteva vedere i punti azzurri che identificavano i suoi uomini e quelli rossi dei suoi nemici. Vide il caos che si allargava: i punti azzurri scomposero il disegno a triangolo che aveva creato e andarono a disporsi in altri luoghi non designati. L'unico puntino a rimanere fisso era quello di Chri. Sopra l'ologramma due scritte lampeggiavano, stavano a indicare quanti ticket rimanevano a entrambe le squadre. Prima del caos creato da Paolo, avevano conquistato due bandiere su tre, questo gli avrebbe permesso di gestire il risultato, i ticket scendevano più velocemente per la squadra con meno bandiere.
Ma ora stava cambiando tutto.
Attese ancora qualche secondo, controllò il risultato: - URC 50 ticket, FAM 100 - , sbuffando tolse gli occhiali e riaccese il microfono, sentì il brusio delle voci che urlavano.
Guardò fuori dalla sua cabina e li vide, la sua squadra seduta nelle poltroncine sul palco di fronte allo schermo gigante che proiettava la partita. Davanti al palco diecimila persone erano in silenzio attente a guardare lo svolgimento delle azioni, lui era dietro in una cabina insonorizzata, costruita apposta per gli allenatori.
Accese una sigaretta e ne aspirò una lunga boccata. - Visto? Avete perso in un minuto 85 ticket e tutte le postazioni; io posso farvi ribaltare la situazione, ma dovete fare ciò che vi dico - .
- Scusami, Bio, non volevo mettere in difficoltà la squadra... - , disse Paolo con un filo di voce.
- Ormai è fatta - , replicò Bio, - adesso riprendiamoci la vittoria... - .
Finì la sigaretta e si avviò all'epilogo della partita.
- Nessuno deve parlare - , disse Bio con voce ferma e decisa. - Ascoltate le mie indicazioni ed eseguite gli ordini. Fra due minuti la partita finisce e noi dobbiamo vincere! -
Non era più così sicuro di farcela, con tutte le zone occupate dagli avversari doveva essere furbo e perdere meno ticket possibili.
Guardò lo schermo in alto a destra. Grosse scritte bicolore indicavano i ticket rimasti alle due squadre: - URC 35 ticket, FAM 86 ticket - .
Chiuse gli occhi e si immaginò di vedere i suoi giocatori intenti a schiacciare i tasti del controller a ogni sua indicazione: - Chri, gira il tuo soldato a sinistra, fra pochi secondi cominceranno ad arrivare... Franz, con il tuo conquista le zone della fontana distrutta e del Bazar, fatti aiutare da Spider, avete trenta secondi di tempo, poi insieme a Principessa e Parsuviano difendetele. Paolo, resta con il soldato dove rinascono gli avversari. Volevi fare uccisioni? Ti servo subito - .
Riaprì gli occhi. Vide i puntini azzurri prendere le giuste posizioni, le zone di conquista da rosse tornare azzurre, sentì i colpi delle armi nelle cuffie. I puntini rossi dei nemici si accendevano e si spegnevano come luci sull'albero di natale. - URC 22 ticket, FAM 48 ticket - . Erano più vicini, adesso doveva fare l'ultima mossa.
- Marcosv, imbottisci di esplosivo il nostro carro, poi mettiti nella via che porta alla fontana. Gelty, porta il carro vicino alla fontana e resta fermo fino al mio ordine, diciamo tra C6 e C7. Franz, Campo e Spider, andate nella strada dietro il Bazar e posizionate le mine anticarro. Principessa, tu ti metti dietro il carro - .
Il triangolo si stava ricomponendo. Aveva però una variante: in un lato mancava un punto azzurro, il soldato di Paolo non serviva più, era troppo agitato e avrebbe sbagliato posizione. La mappa ora evidenziava un solo passaggio per i nemici, verso la fontana. Bio guardò il punteggio: - URC 12 ticket, FAM 14 ticket - .
- Paolo, uccidine tre e poi basta, resta fermo lì; tutti gli altri devono uccidere non più di un nemico. Quelli che rimangono devono essere portati verso la fontana. Chri, abbatti i due vicini al carro, poi, Gelty, il carro lo porti proprio davanti alla fontana - .
I puntini rossi stavano entrando nello spazio designato, dietro di loro il carro.
- Formazione Due! - disse, alzando un po' la voce, e il triangolo diventò un cerchio che pian piano andava stringendosi. - Marcosv, al mio segnale, pigia il bottone e fai saltare l'esplosivo - . Vedeva i ticket scendere: - 10,12... 9,8... 6,5... 3,4... - . Attese forse il più lungo secondo della sua carriera e poi urlò: - Ora! - .

- Poi cosa è successo, papà? -
Roberto guardava suo figlio che attendeva con ansia la fine del racconto; il ragazzino aveva sei anni. Nonostante fosse più basso dei suoi coetanei, gli occhi dietro le lenti lo guardavano da adulto. Roberto, Biofreak74, Bio per gli amici. Era l'allenatore e lo stratega del clan URC, la compagine più forte in Italia, decima a livello internazionale. Era diventato il miglior allenatore di clan a livello nazionale, lo volevano tutti, ma non aveva mai lasciato il suo clan, dove da pessimo giocatore era diventato ottimo allenatore, portando il suo gruppo a vertici inaspettati. Un assioma li rendeva insieme unici: il rispetto e l'amicizia alla base di tutto.
- Papà, allora come poi avete vinto? -
- Andò a finire che l'esplosivo non scoppiò e perdemmo la partita, giocandoci così la finale del torneo - , disse Paolo anticipando Roberto che, sorridendo al figlio, disse: - Quella fu l'ultima partita che perdemmo, da allora allenandoci duramente e soprattutto divertendoci insieme, in due anni siamo diventati il clan più forte d'Italia - .
- ...E il mio papà divenne il più bravo allenatore di tutti, vero? - disse il bimbo pieno d'orgoglio.
- Più o meno fu così, tesoro, adesso, da bravo, rimettiti a sedere e mangia la pasta, se no si fredda - .
Il ragazzino diede un bacio al padre, ritornò al suo posto e riprese a mangiare.
- Bio, cosa hai? - gli chiese Paolo seduto vicino a lui.
- Stavo guardandoci - , disse sorridendo, - siamo seduti qui per il secondo anno consecutivo, tutti insieme: chi ha partecipato al torneo e chi invece fa parte del clan per amicizia e svago. Non riesco a credere che abbiamo fatto tutto questo - .
- Se Carletto cinque anni fa non avesse creato il clan, probabilmente adesso non saremmo nemmeno qui - , disse Chri, entrando nella conversazione. - Siamo amici, è quello che conta, no? -
- Parole sagge, mio bel pelatone, parole sagge - , rispose Paolo, sogghignando mentre picchiettava la testa calva di Chri. Scoppiarono in una fragorosa risata.
- Sai una cosa, Chri? Saremo vecchi e un po' rincoglioniti... come qualcuno ci ricorda sempre – vero Paolo? – ma abbiamo sempre voglia di metterci in gioco. Forse è questo il motivo per cui siamo ancora qui - .
In realtà erano ancora tutti sorpresi da come il gioco potesse legare così tutti loro. Bio si guardò intorno con aria compiaciuta. A capotavola, come sempre, Carlo, il fondatore del clan. A fianco la sua dolce metà. Vicino a lui, i capelli riccioluti di Emanuele spiccavano in mezzo alle teste rasate di Campo e Tio. Più defilati lui, Chri e Paolo sempre vicini, oramai inseparabili e via via tutti gli altri con le rispettive fidanzate, mogli capaci di sopportare con pazienza la convivenza con eterni bambini che avevano fatto del loro svago e della loro innocua evasione dalla realtà quotidiana un lavoro. Solo ora stava portando dei frutti, anche economici, perché, da quando i videogame tre anni prima per il volere di Microsoft e Sony erano diventati una sorta di sport mondiale, chi giocava ad alti livelli come loro veniva pagato. Poi c'erano i figli, tutti vicini. Bio vide suo figlio più grande intento a parlare di tattiche con gli altri ragazzini. Aveva iniziato da poco a seguire le sue orme. L'altro, invece, fingeva di mangiare sotto gli occhi della madre, approfittando della sua distrazione, mentre accudiva la figlia più piccola, per trasferire il cibo dal suo piatto a quello del suo vicino.
Carlo si alzò dal tavolo con in mano un calice di vino: - Vorrei proporre un brindisi a tutti noi che, nonostante le diverse provenienze territoriali, siamo riusciti a far crescere l'amicizia che ci unisce. Inoltre vorrei ringraziare Bio, perché ancora una volta ci ha portato alla vittoria in finale. Andremo a Las Vegas, ragazzi! Ci pensate? Fra tre settimane saremo nella città che non dorme mai, portabandiera dell'Italia al torneo internazionale - . Un applauso rimbombò nella sala del ristorante, i calici si alzarono e il cameriere entrò con la torta. In quell'istante, Bio ricevette una telefonata.
- Pronto? -
Il fruscio che usciva dal ricevitore venne interrotto da una voce profonda: - Ciao Biofreak74 - .
- Chi parla? - disse, allontanandosi dalla confusione con la mano all'orecchio per sentire meglio.
- Non importa chi, ma cosa ti devo dire, mi sto avvicinando a te, avrò la mia vendetta, ti farò terra bruciata intorno e poi ti annienterò. Ricordati, Bio, nulla resta impunito - .
La telefonata si interruppe. Bio rimase fermo per un istante, senza riuscire a capire chi potesse essere e quale fosse il motivo della telefonata. Era abituato alle minacce amichevoli prima di un torneo importante, ma quella voce era tutt'altro che scherzosa, gli aveva messo terrore in corpo.
Chri lo raggiunse fuori dal ristorante, lo toccò sulla spalla riportandolo alla realtà: - Bio, tutto bene? Chi era? - .
Finse un sorriso, poi rispose: - Nessuno, il solito cretino che si diverte a minacciarmi, oramai ci ho fatto l'abitudine - . Rimise il cellulare in tasca. - Torniamo alla festa ora, siamo qui per divertici, no? -

La cena era stata una fuga piacevole dai doveri. Dopo aver messo a letto i suoi figli, Bio si chiuse nel suo studio; doveva preparare le strategie per il torneo di Las Vegas: anche se mancavano ancora tre settimane, aveva bisogno di sistemare alcuni punti deboli delle sue tecniche. Si sarebbero trovati davanti i migliori giocatori del mondo, decisi a non farsi fregare da un gruppetto di italiani che, fino a poco tempo prima, non riuscivano a tenere in mano un controller per il verso giusto. Era una questione di principio. Non potevano fare brutta figura. Accese la console e il disco del gioco prese a girare, accese il videoproiettore e, nella stanza, un ologramma, che sembrava volteggiare nell'aria, scrisse a lettere tridimensionali il titolo del gioco: - TOTAL WAR THREE - . Ogni capitano aveva un disco di gioco particolare; non solo poteva giocare come gli altri, ma poteva entrare fisicamente in ogni mappa durante le partite registrate, per avere un quadro generale dei movimenti di ogni singolo giocatore e studiare le mosse. Inoltre, creava partite fittizie impostando i parametri dei suoi giocatori, posizionandoli dove voleva.
Era da anni che non giocava; veramente, ogni tanto ci aveva provato, ma era rimasto scarso, non riusciva mai a mettere in pratica per se stesso quello che aveva insegnato agli altri.
Mise gli occhiali per la realtà aumentata e si ritrovò dentro l'ologramma. Davanti a lui campeggiava il titolo del gioco: - TOTAL WAR THREE - . Posizionò le cuffie in testa e disse: - Aprire pagina impostazioni allenatore - .
Il logo del gioco fece posto a un sommario a tendina con tutte le impostazioni. La Cavalcata delle Valchirie, musica del gioco, risuonò nelle sue orecchie, prima a pieno volume poi di sottofondo a ogni azione che compiva sullo schermo. Muoveva le mani dentro il menu, cliccava sulle parole e si aprivano nuovi menu. I suoi gesti esperti spostavano virtualmente nella stanza i sottomenu alla ricerca di ciò che gli serviva.
Bio disse: - Aprire mappa n. 10, gara 27542 Italia-Usa, 12/08/2011 - . Le parole lasciarono posto alla mappa, lettere tridimensionali formavano la frase - Oltre il Danubio - . Quando queste si spensero, Bio si ritrovò davanti a un ponte semidistrutto, sotto di lui scorreva, agitato da gommoni militari, il fiume Danubio.
- Pausa... - , disse Bio posto in mezzo all'ologramma della mappa.
Intorno al lui tutto si fermò, le piante agitate dal vento si bloccarono di colpo, un gommone sul fiume si fermò a mezz'aria, dalla mitragliatrice leggera posizionata a prua, lunghe lingue di fuoco uscivano avvolgendo i proiettili che avrebbero ricercato il bersaglio.
- Porta gioco al minuto 15.18 Ita 46-Usa 35... - . Le immagini ripresero a correre intorno a lui: soldati e mezzi si spostavano velocemente, passandogli intorno. Un contatore posto in alto all'ologramma portò l'azione al minuto richiesto, le immagini virtuali ripresero a scorrere normalmente. Era il momento in cui gli americani avevano quasi ribaltato la situazione, la sua squadra era avanti di 11 ticket e aveva conquistato tutti e tre i punti, ma, nel giro di un paio di minuti, gli avversari erano riusciti a pareggiare portandosi a cinque lunghezze.
Mentre intorno a lui la battaglia era all'apice, tolse gli occhiali e guardò la mappa bidimensionale proiettata sul muro. La sua squadra era posizionata come l'aveva preparata, ma a un certo punto vide gli avversari cambiare posizione, si erano suddivisi in due gruppi da sei giocatori e si erano mossi verso la bandiera centrale, posizionata dopo la via laterale. I suoi non si erano mossi, ma trovandosi in inferiorità numerica avevano purtroppo dovuto arrendersi, regalando la bandiera centrale agli avversari. Alla fine gli spostamenti da lui effettuati in corsa li avevano portati alla vittoria, ma qualcosa non aveva comunque funzionato. Gli americani erano più forti nell'uccidere gli avversari, ad attaccare erano i migliori in assoluto e i giocatori erano impressionanti, ma lui giocando sulla difesa riusciva a mettere in difficoltà l'avversario, e una volta che i suoi prendevano le zone destinate, gli avversari faticavano a riconquistarle. Sapeva che quella mappa di gioco era la migliore per i cecchini, ed era riuscito a trovare dei luoghi in cui un singolo uomo avrebbe potuto coprire quasi metà della mappa, andando a difendere gli obiettivi.
Era stata solo un'amichevole ma non dovevano esserci più errori, doveva trovare al più presto una soluzione, anche perché la prima partita del torneo di Las Vegas sarebbe stata proprio contro di loro, su quella mappa. Cercò di impostare un nuovo attacco e delineare una difesa meno accanita. Spense tutto. Aveva bisogno di un taccuino e una penna: quando organizzava le tattiche, preferiva usare i vecchi strumenti. Si mise seduto alla scrivania e cominciò a riempire le pagine.
Sentì dietro di lui dei passi, girandosi vide sua moglie che lo guardava con aria interrogativa: - Sei preso con il torneo, ti ho disturbato? - .
- Non mi disturbi, tesoro, solo che non me l'aspettavo, che ore sono? -
- È l'una di notte, non ti ho visto nel letto e mi sono preoccupata - . Dietro di lui un'ombra si stava allungando. Gli si avvicinò, gli cinse il collo con le braccia e gli diede un bacio sulla guancia; lui si girò verso di lei, le sorrise e la baciò sulla bocca.
- Devo preparare delle nuove tattiche per Las Vegas e poi una partita di presentazione per domani sera - .
- Vero, è domani la presentazione ufficiale della squadra! Ma dove la fanno? -
- Al Lazzaretto... Ci saranno anche i ragazzi della 34th Street Band a suonare, sono riuscito ad avere loro, sai che ci tengo, devo farmi perdonare per essermene andato - .
- Non hai nulla da farti perdonare; stavo pensando di venire anche io insieme ai bimbi... - .
- Mi farebbe piacere che veniste, ma non voglio che poi diventi un peso portarti dietro tutti e tre - .
Lei lo baciò un'altra volta, sulla bocca. - A quello penso io, i maschietti si divertiranno sicuramente, Elisa farà come al solito, passeggino, biberon e non la senti più... Ho voglia di te, vieni a letto che sento freddo - .
- Ancora un attimo e poi arrivo - .
Lei non disse nulla e, silenziosamente, com'era arrivata sparì dietro la porta. Lui riprese a scrivere.
Herbert Zambelli
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