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Autore: Manuela Stangoni
Titolo: Come per la luna il sole
Genere Romanzo di Formazione
Lettori 3764 52 63
Come per la luna il sole
A ognuno di noi in questo mondo è dato vivere. Spesso, però, si sopravvive; o per lo più, semplicemente, si esiste.

La vita è buio spettrale o luce abbacinante, feroce carnefice o mite medicamento. Ti sputa addosso: ostile, deforme, arcigna; poi, si veste di fresco e ti alita contro una gioia quieta. Ti spia in silenzio, e in silenzio attende; un fremito o un'inquietudine le dirà che sei pronto a viverla, affinché non resti solo un sogno ciò che può e potremmo essere. L'azzardo è l'essenza del vivere, l'inciampo la sua vertigine; col tempo, s'impara a rimettersi in piedi, sempre più in fretta.

La vita è cadere
viverla è rialzarsi.


Manuela Stangoni

Genova, oggi.


Frugandomi dentro, scrutandone le varie parti, osservavo un'esistenza trascorsa sui libri di scuola; e a ragion veduta, compresi che non mi sarebbe stato possibile avere una vita felice senza l'amore. Riguardo alla saggezza attraverso il quale regolarlo, avevo ben diciannove anni di riflessioni e attese. Adesso sentivo il mio sangue ribollire dal desiderio di farmi travolgere dalla vita con passione ostinata e gioia indomabile, dalla necessità di sradicare quel peso mortale che non mi faceva vivere.
Avvertivo la bramosia di cercare, tra le pieghe della mia anima e nei meandri più reconditi del mio cuore, quell'armonia intrinseca e invisibile: l'amore.
E per farlo, ero pronta a scavare nei luoghi più oscuri del mio essere: stanarlo e permettergli di riemergere.
Avrei sciolto i ghiacci che incastonavano come dentro un'ametista il mio cuore; cosicché il mio pragmatismo, fosse riuscito a lasciare il posto ad azioni dettate dall'animo.
Il mio tempo era giunto. Nulla sarebbe stato in grado di fermarmi.
Per questo partii; per smetterla di esistere.
Dopo sei anni sarei tornata nell'unico luogo dove mi ero sentita viva: Badesi. E avrei cercato l'unica persona che mi aveva fatto percepire come un essere completo: Leonardo.
Quanti ricordi si riaffacciarono alla mia mente durante il viaggio, che, sembrò interminabile. 

Candida luna imbrigliata nel sangue

Badesi (Sardegna), sei anni prima.

Come per chiunque l'adolescenza arrivò anche per me. Si fece largo tra la pubertà e l'età adulta, facendomi intuire che qualsiasi cosa poteva accadere. Tutto era nuovo, e tutto era possibile. Il pericolo lo percepivo come qualcosa che non era in grado di ostacolarmi; e forse, proprio per questo fu il periodo più intenso della mia esistenza.
Qualunque cosa mi mettessi in testa di fare, la attuavo impavida, senza pensare troppo alle conseguenze. La cosa importante era soltanto una, non farlo desumere, a mamma e papà.
Dividevo questi anni di assoluta spensieratezza, tra Genova: dove mio padre lavorava, io studiavo e mia madre ci accudiva, e la Sardegna.
In quest'ultima trascorrevamo il periodo estivo, dove raggiungevo il culmine della felicità.
Ancor prima di nascere, i miei genitori avevano acquistato in un piccolo paesino situato sulla costa a nord, due ettari di terreno. Su questo, oltre alla costruzione di una casa, fecero impiantare una vigna che crebbe rigogliosa; poi alberi d'olivo, fichi, piante ornamentali e fiori. Pertanto, da che ero nata, ogni estate lasciavamo Genova per trascorrere lì, a Badesi, tre mesi di spensieratezza, acqua cristallina, sabbia dorata e sole cocente.
Di tutte le estati trascorse in quel luogo, fu la tredicesima quella che marchiò in modo indelebile la mia vita; a tal punto, da determinarne in seguito scelte fondamentali. La causa fu una in particolare, ma i fatti cagionanti l'evento, svariati.
Quell'anno i miei genitori erano finalmente meno apprensivi, forse per la maggior fiducia riposta in me; e mi permettevano di avviarmi verso la spiaggia da sola. Loro sapevano dove mi avrebbero trovata.
Frequentando ogni estate il solito tratto di spiaggia, avevo fatto amicizia con i figli di alcune famiglie del luogo. Queste, possedevano da generazioni gli appezzamenti di terra fiancheggianti lo sterrato percorribile solo a piedi; il quale, portava fino al mare.
Congiuntamente a loro, nonostante la distanza, ero cresciuta ogni estate di più. Alcuni erano più piccoli, altri più grandi di me; ma il legame che ci annodava era intenso; come se ci si frequentasse regolarmente e non unicamente nel periodo estivo.

Loro erano: Giorgia, Gianni, Lucia, Sandra, Pierluigi, Leonardo e infine io, Luna.
Luna Parodi.
Come accade per chiunque, avevo una predilezione per uno in particolare: Leonardo. Un'intesa esclusiva mi ancorava a lui, il quale, mi contraccambiava con la stessa affabilità. Era più grande di me di quattro anni, ma il divario, fu per me lampante unicamente quell'estate. Era il più alto di tutti, e più alto di me di almeno venti centimetri. La muscolatura iniziava a forgiarsi e quando si muoveva, era possibile osservare attraverso la pelle bronzo-ramata: muscoli, legamenti e tendini in movimento all'unisono. Era asciutto e tonico, e dalla sua figura traspariva una virilità non più da adolescente. Il volto, sembrava scolpito, tanta era la precisione dei suoi lineamenti, sui quali spiccavano due occhi neri, a tratti per me, imperscrutabili. A incorniciare il tutto, capelli corvini che lunghi e dritti gli scendevano giù, fino alle spalle.
Ero rimasta sorpresa nell'osservare il cambiamento che nel suo aspetto era avvenuto nel periodo in cui eravamo stati separati. E fu per me inevitabile osservare, quanto al contrario, la mia fisionomia sembrasse inalterata, come cristallizzata all'anno precedente.
Il paragone non reggeva. Io continuavo a essere e a vedermi una piccola e insignificante ragazzina: pallida, smilza, con capelli castani chiari e occhi verdi. Fortunatamente, nei tre mesi di permanenza a Badesi, riuscivo a prendere un po' di colore e anche qualche chilo. Tuttavia, la percezione di me restava la solita, quella di una persona del tutto anonima.
Un pomeriggio, in cui un sole inclemente ci picchiava addosso, Leo e io, ci ritrovammo inaspettatamente da soli: sulla spiaggia.
Gli altri, o non erano venuti, o stavano rientrando a casa in anticipo. E così anche i miei.
- Luna! Luna! - La voce di mia mamma si levò dalla spiaggia sovrastando il fragore dei cavalloni che increspavano e sconvolgevano la superficie del mare.
- Dimmi! - risposi scocciata. Temevo volessero tornare a casa.
- Noi rientriamo - disse riferendosi a lei e a mio papà. - ...tu che fai? -
- Se posso resterei ancora un po'! -
- Mm... d'accordo - proferì mia mamma irresoluta consultando lo sguardo indulgente di mio padre. Poi si rivolse a Leonardo che poco più distante ci osservava: - Possiamo contare su di te Leonardo? -
- Certamente! - rispose lui compiaciuto.
- Non fate tardi però. E per favore Luna, nulla di stupidamente pericoloso. - Fu perentorio il tono di voce nel proferirmi le ultime parole e non potei fare altro che annuire col capo e risponderle la solita cantilena: - Sta' tranquilla mamma. Sarò prudente. Come al solito. -
I miei ci salutarono, e, appena imboccarono lo sterrato, giusto per essere di parola, ci tuffammo in mare. La loro presenza fino a qual momento ci aveva impedito di raggiungere il punto in cui le onde formavano dei cavalloni. Eravamo rimasti sempre a riva accontentandoci di fare il bagno con prudenza.
Dopo aver nuotato fino allo sfinimento uscimmo dall'acqua e ci sdraiammo al sole. L'unico rumore percettibile, oltre all'infrangersi delle onde sull'arenile, era quello dei nostri respiri ansimanti. Il mio, persino troppo rumoroso, era alternato da qualche colpo di tosse.
Gocce d'acqua mi scivolavano lungo il corpo e a mano a mano che mi asciugavo, avvertivo con piacere la pelle scaldarsi e avvizzire, come se stesse inaridendo sotto la morsa del calore.
- Uhm... - Leonardo aveva emesso un mormorio sommesso di piacere. Il suo respiro era già più regolare.
Mentre sistemavo la sabbia sotto l'asciugamano, pressandola con la schiena per renderla più comoda, avvertii un senso di compiacimento.
Lui e io. Da soli.
Ne approfittai per osservare meglio e... Sì! Non c'è proprio nessuno, pensai.
Scrutando attorno a noi, fu inevitabile per me, sfiorare con lo sguardo Leonardo. Era disteso al sole: sorrideva. Chissà a cosa stava pensando per avere un'espressione così gioviale. Tornai in posizione supina sul mio asciugamano, dovevo ancora recuperare le forze.
Inaspettatamente percepii che Leo si era alzato di scatto. Aprii gli occhi, ma essendo sdraiata, dovetti ripararmi dal sole con una mano. Intravidi a fatica la sua sagoma in piedi.
- Che succede? - esclamai. - Perché ti sei alzato? -
Mi sedetti per guardare meglio attorno a me e capire cosa poteva averlo fatto alzare così repentinamente.
- Nulla - rispose con un sorriso beffardo abbozzato sulle labbra.
A quel punto le sue intenzioni furono chiare. Si era riposato abbastanza e adesso sarebbe ricominciata la zuffa. Questa volta sulla spiaggia.
- Ti conviene iniziare a scappare se non vuoi diventare una torta di sabbia. - Leo non dovette terminare la frase; ero già in piedi e mi stavo slanciavo in una corsa il più rapidamente possibile.
- Cavolo Leo non avevo ancora ripreso fiato. Sei sleale - gli urlai mentre correvo. Nulla da fare, non manifestò alcun interesse per ciò che dicevo. Continuava a rincorrermi. - Potevi farmi riposare ancora un po'. -
Manuela Stangoni
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