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Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
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Writer Officina
Autore: Rocco Luccisano
Titolo: Pericolo all'Avana
Genere Thriller Poliziesco
Lettori 9069 182 214
Pericolo all'Avana
Il virus al servizio del nemico.

L'Avana, Aeroporto Internazionale José Marti, 22/10/2022, ore 16.34, quattordici giorni dalla morte di Olivier

Dal giorno in cui gli comunicarono la morte di Neuber a oggi, Alexander aveva lavorato quasi ininterrottamente, salvo poche pause e poche ore di sonno. Si era prefisso di riposare qualche ora durante il volo e così fece nonostante l'ininterrotto chiacchierio di Luca, il Capo del reparto della Polizia Scientifica, con Oscar, eccitato per il fatto di andare sull'isola che aveva sempre sognato di conoscere. I due lo accompagnavano in veste ufficiale.
Per Keeric oggi iniziava la seconda fase delle indagini. Alle 16.34, dopo poco più di dieci ore di volo, l'aereo atterrò sull'isola caraibica e lui si sentì già più fresco con la mente e il corpo. Per recuperarmi del tutto adesso ho bisogno solo di una bella doccia fredda, pensò.
Ad attenderli nella sala antistante agli sportelli per il controllo dei passaporti, oltre all'Ambasciatore italiano a Cuba, c'erano diverse autorità locali, tra cui il ministro della Sanità cubano, agenti del DTI, Departamento Técnico de Investigaciones, omologo cubano della Polizia Investigativa italiana, e due ufficiali degli organi di sicurezza cubana.
Dopo le presentazioni di rito, saltando le code di passeggeri che già si erano formate davanti ai cheek-in per i passaporti, i tre furono accompagnati attraverso una corsia preferenziale affinché venissero velocemente sbrigate le procedure essenziali e inevitabili di controllo per il rispetto delle misure di sicurezza del Paese. In meno di dieci minuti si trovarono all'esterno dell'aeroporto immersi nell'afa che contrastava con il freddo dell'autunno romano.
Da lì vennero scortati con una datata auto di produzione russa fino all'Hotel Trip Habana Libre, nel cuore del Vedado, il centrale e moderno quartiere animato di giorno e di notte.
L'Ambasciatore italiano, un uomo gioviale, invitò a cena tutti i presenti la sera stessa, ma i cubani declinarono l'invito probabilmente per evitare commistioni tra i rapporti personali e quelli lavorativi e diedero appuntamento ai tre per le nove della mattina seguente nella hall dell'hotel.
Senza perdere tempo i tre italiani con i loro piccoli bagagli a mano salirono fino al ventunesimo piano dove li attendevano le tre camere contigue assegnategli per tutto il loro soggiorno sull'isola.
Oscar e Luca rimasero meravigliati dalla vista sulla città che offrivano le loro stanze situate pochi piani sotto l'elegante roof discoteca cabaret “El Turquino”, curiosi di conoscere. Il loro capo gli aveva descritto che l'ampia sala da ballo dove ogni sera venivano presentati spettacoli di musica e danze era famosa per le vetrate panoramiche e il tetto che intorno alla mezzanotte veniva aperto nella sua totalità per dare spazio a cielo e stelle.
Un'ora dopo, verso le diciannove e trenta, dopo essersi fatto una doccia fresca e aver indossato abiti più leggeri, Keeric era già nell'ampia hall dell'hotel dove l'Ambasciatore rimase a sorseggiare un paio di mojito in attesa che gli altri si preparassero.
I quattro italiani montarono sulla Toyota Land Cruiser nera in dotazione al corpo diplomatico italiano, imboccarono il lungomare e si diressero alla paladar San Cristóbal, uno dei più rinomati ristoranti dell'Avana.
Quella sera nel locale c'erano pochi clienti. Soprattutto non erano previste visite come quelle di vip, attori, artisti del calibro di Mick Jagger o personalità come Barack Obama, che negli ultimi anni avevano contribuito a rendere ancor più celebre il ristorante. Poterono così conversare in tutta tranquillità. Durante quasi tutta la cena affrontarono questioni collegate al caso. Perciò decisero di abbandonare il tema e di rilassarsi proseguendo la serata nel panoramico giardino dell'Hotel Nacional che per dimensioni somigliava un po' a quello del Tempio di Vladimir Popovic. A metà serata Keeric decise di lasciare i tre impegnati a chiacchierare, bere daiquiri e rhum selezionato fra le migliori etichette e fumare sigari cubani Cohiba. Per rispolverare qualche bel vecchio ricordo del luogo volle farsi una nostalgica passeggiata da solo lungo il Malecón habanero, il pittoresco e fatiscente lungomare della capitale.
In realtà Keeric non era un particolare amante dell'Avana. Nonostante i pochi veicoli circolanti rispetto ad altre capitali, la trovava caotica. Il rumore assordante dei potenti motori delle automobili americane degli anni '50 si confondeva con la confusione creata dalla moltitudine di pedoni cubani, ugualmente rumorosi. A ciò si aggiungeva la presenza dei numerosi turisti attorniati ed eccitati dalla musica e dal ballo cui non erano avvezzi. Nemmeno le case e le vie più sgargianti di colori e festaiole come il caratteristico Callejon de Hamel, carico di contenuti artistici, lo attiravano. Piuttosto preferiva le spiagge e le campagne dell'isola.
Assorto nei ricordi dei precedenti soggiorni trascorsi a Cuba risalenti ormai ad anni prima, stava passeggiando nel punto in cui aveva conosciuto Yadira, una sensuale mulatta, allora poco più che ventenne, occhi verdi dal taglio all'orientale. Era una delle poche donne che con la sua passione era riuscita a scalfire le barriere sentimentali dietro le quali Alexander si blindava. In effetti i suoi obiettivi di carriera e la natura di questa gli consentivano solamente di avere relazioni sfuggenti e non impegnative. E lui era soddisfatto così, la vita da latin lover gli piaceva e la sua traiettoria professionale procedeva con soddisfazione come lui voleva.
Magari si sarà già fatta una famiglia e avrà dei bei bambini. Meglio così, concluse tra sé.
D'altronde io non avrei avuto né il tempo né le condizioni di vita per potermi dedicare a lei. Le nostre vite sono troppo differenti, per questo non l'ho mai più richiamata, si giustificò.
All'improvviso una sensazione strana lo avvolse accorgendosi di essere stato travolto troppo a lungo dai ricordi. Una sensazione di minaccia. In quel preciso istante una mano da dietro lo afferrò per la spalla.
Alexander si voltò di scatto e vide davanti a sé un uomo della sua stessa altezza, con berretto in testa, camicia a maniche corte attillata e pantaloni lunghi.
- Hermano, come va? - gli si rivolse l'uomo sorridendo.
- Eduardo! -
Keeric rimase sorpreso.
- Sono contento di vederti mujeriego. -
I due si salutarono abbracciandosi affettuosamente.
- Che succede? Non ti riconosco più. Stai invecchiando o sbaglio? Un tempo non ti saresti fatto inseguire e sorprendere così facilmente. -
- Stavo pensando a qualche vecchio ricordo. -
Si sedettero sull'inconfondibile muro del Malecón. Keeric parlava lo spagnolo perfettamente e così almeno altre cinque lingue: inglese, italiano, francese, portoghese, tedesco oltre a conoscere il russo. Paradossalmente conosceva appena il greco.
- Ho capito. Non hai ancora dimenticato quella chica, vero? - disse l'uomo.
- In realtà non avevo più pensato a Yadira, ma il luogo mi ha aiutato a tornare per un momento al passato, per questo non avevo notato la tua presenza. E tu che ci fai qui? -
- E tu cosa ci fai qui a Cuba? - l'altro finse di non sapere.
- Sono qui per lavoro, stavolta - disse Keeric.
- Lo so, compadre, sono al corrente di tutto. -
Keeric lo ascoltava sempre con ammirazione, sapendo di avere davanti un esperto e un maestro delle investigazioni.
Eduardo Machado Ortega, così si chiamava quell'uomo, era un ex collega che aveva collaborato per mesi con Keeric anni prima, quando ancora l'italiano lavorava sotto copertura per l'Interpol. Si conobbero in occasione di una missione compiuta fra la Repubblica Dominicana, Colombia e Cuba per scoprire una rete di narcotraffico. Con i mesi tra loro era cresciuta la stima e la fiducia reciproci fino a instaurarsi un forte e sincero rapporto di amicizia extra lavorativo.
Erano passati tre anni dall'ultima volta che si erano incontrati, un giorno di primavera a Parigi dove adesso risiedevano sua figlia, il genero e i nipoti. Era un ex ufficiale del DTI e degli apparati di sicurezza cubani. Anch'egli aveva lavorato a casi internazionali. Aveva superato da un po' i sessant'anni, ben portati, corpo atletico, mente lucida e disponibile con amici, familiari e colleghi, ma con il difetto di essere testardo. Le sue origini europee erano facilmente percepibili dai suoi tratti somatici; i suoi nonni, provenienti dalle Isole Canarie, erano emigrati a Cuba negli anni Venti in cerca di miglior fortuna.
- Sei super informato come sempre, ma non sei in pensione? -
- Sì, ma lo sai che qui non si può mai gettare la spugna - disse Eduardo.
- Da quanto tempo mi stai pedinando, viejo? - questionò Keeric incuriosito.
- Dalle 16.34 circa, da quando l'aereo su cui volavi ha toccato la mia terra. -
La risposta era quasi scontata per il cubano.
Dopo aver ricordato insieme qualche aneddoto che li aveva visti protagonisti e aver raccontato a vicenda i principali eventi e la propria vita dei loro ultimi anni da quando non si erano più incontrati, Eduardo passò al tema che gli stava a cuore.
- Sono stato io a telefonare e a comunicare per primo a Pablo la morte di Neuber e che la causa del decesso era stata l'ultimo vaccino sperimentato da lui. -
- Il dottor Pablo Rodriguez? -
- Esatto. Gli ho spiegato che quasi certamente sarebbe stato oggetto d'indagini come persona sospettata o quantomeno informata dei fatti e il tuo arrivo questo pomeriggio l'ha confermato. -
- Ma tu lo conosci bene, questo dottor Rodriguez? -
- Come le mie tasche. Pablo è un mio vecchio amico, uno dei miei migliori amici fin da ragazzini, anzi bambini, da quando eravamo vicini di casa. Non potevo nascondergli un fatto così grave. E meno male che sei arrivato tu. -
Keeric lo ascoltava e si fidava dell'amico cubano.
- L'ho già incontrato e ho parlato con lui di persona per rassicurarlo. Lui non sarebbe mai capace di invischiarsi in una vicenda così torbida. -
- Non hai riscontrato nulla di differente in lui? - chiese l'italiano.
- No. Sono sicuro che non dorme la notte per il fatto di essere in qualche modo coinvolto. -
- Lui è l'opposto di quelli come Neuber; è sempre stata una persona pacifica e incorruttibile. È un tipo leale, forse troppo scrupoloso. -
- Spero che non ti sbagli perché ti voglio credere sulla parola. -
- Posso mettere la mano sul fuoco e lasciarcela perché lui non c'entra assolutamente niente con questa storia; non farebbe un torto nemmeno al suo peggior nemico. -
- Anche tu sai della loro rivalità? -
Con una calma caraibica, Eduardo cominciò a spiegargli tutta l'evoluzione dei rapporti interpersonali e professionali tra Pablo e Olivier.
Cominciò a raccontargli dei primi screzi, contrasti, diversità di vedute nel loro campo professionale su temi tecnici e commerciali in materia di farmaceutica e d'ingegneria genetica. Poi gli descrisse la crisi isterica durante la conferenza tenutasi a Parigi così come gliel'aveva raccontata il collega Luca.
Gli illustrò come l'amico aveva dovuto subire le provocazioni, le offese, lo scontro fisico e le minacce pubbliche da parte del magnate svizzero.
Eduardo si avvicinò ad Alexander, gli pose una mano sulla spalla e con lo sguardo serio lo guardò negli occhi prima di rivolgersi confidenzialmente a lui.
- Hermano, stavolta ho davvero bisogno del tuo aiuto. Voglio aiutare il mio amico a tirarsi fuori da questa brutta storia il più presto possibile perché non so se saprà resistere al dolore che sta vivendo. -
In effetti il dottor Rodriguez era una persona tanto acuta e intelligente quanto fragile psicologicamente, estremamente legato alle regole e ai principi morali. Per lui questa vicenda era un duro colpo al cuore, alla sua etica e al suo onore. Alexander lo guardò e in un attimo, senza esitare, prese una decisione e in tono altrettanto serio gli rispose.
- Sai?! Forse mi hai convinto. Anch'io ho bisogno di te. Se credi che il tuo amico sia innocente ed estraneo ai fatti come tu dici, ho bisogno della tua collaborazione per dimostrarlo nel più breve tempo possibile. -
L'intesa tra i due era forte e il discorso si chiuse con una vigorosa stretta di mano a mo' di accordo, non avendo bisogno di ulteriori precisazioni.
- Sto già morendo dalla voglia di iniziare... - disse euforico l'ex collega cubano il quale non svolgeva attività investigative da quando era stato obbligato ad andare in pensione per raggiunti limiti di età.
Nostalgico dei vecchi tempi, proprio quell'inattività, quell'astinenza, gli fece salire l'adrenalina. Il solo pensiero che avrebbe cominciato a collaborare alle indagini di quel caso, che gli stava tanto a cuore per via dell'amico, con un professionista della caratura del rispettato investigatore italiano, lo eccitava.
Era già l'una e mezzo del mattino e le persone cominciavano a scemare sul pur trafficato e vivace lungomare della capitale.
Nel buio della notte, il Malecón era illuminato solo dai lampioni che si trovavano dall'altro lato dell'ampia carreggiata. Keeric, catapultato in un altro mondo per via dei vivi ricordi, non si era accorto che un uomo a piedi e con un abito nero lo stava seguendo in lontananza dall'altro lato dal momento in cui Keeric aveva iniziato a passeggiare.
Mentre i due si salutarono e se ne andavano in direzioni opposte ognuno per la sua strada, quell'uomo continuava a osservarli a distanza di un centinaio di metri. Poi entrò nell'auto nera parcheggiata nel piazzale del distributore di carburante all'angolo tra il lungomare e Calle 23, meglio conosciuta come La Rampa, e si allontanò per non destare sospetti.
Rocco Luccisano
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