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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: A.S. Twinblack
Titolo: La maschera. Il lato oscuro di Clara
Genere Erotico
Lettori 3562 34 57
La maschera. Il lato oscuro di Clara
Tump... tump... tump tump...
Il rumore riecheggia nell'aria accompagnando il magma di pensieri dolorosi che non vogliono abbandonarmi. C'è solo una domanda che si ripete, scandita come il ticchettio delle lancette di un orologio: “Perché... perché... perché...?”
Saltello sui piedi e giro intorno a questo sacco sospeso, tenendo le mani chiuse a pugno, come se dovessi difendermi da qualcuno, ma il mio avversario è solo nella mia mente. Poi scatto in avanti e sferro una scarica di colpi, uno dietro l'altro, con talmente tanta forza da sentire dolore alle nocche delle mani. Sono così arrabbiata che sento il sapore della bile in bocca.
Dio, come vorrei che al posto di questo sacco ci fosse la sua faccia di merda! Invece devo accontentarmi solo di scaricare la tensione che mi attanaglia le viscere.
Ormai sono quasi tre mesi che mi sfogo su questo povero sacco da boxe. All'inizio mi sentivo ridicola a sferrare attacchi violenti a qualcosa d'inanimato; mi muovevo con l'agilità di un elefante, ora, invece, sembro Hilary Swank in Million Dollar Baby: potrei essere pronta per il match del secolo. Bel film, l'avrò visto almeno cinque volte e ogni volta ho faticato a trattenere le lacrime.
Il sudore m'imperla la fronte colandomi giù per il viso; anche la maglietta è completamente fradicia. Ogni tanto mi passo il braccio sulla faccia per evitare che le gocce salate mi vadano a finire negli occhi, irritandoli e impedendomi, così, di vedere.
Sento le mani doloranti, quindi decido di farle riposare e, senza smettere, passo di nuovo ai calci muovendomi in cerchio e colpendo sempre lo stesso punto con forza. Con tutta l'adrenalina che mi circola in corpo, non sento né fatica né dolore. Sicuramente domani avrò pesanti lividi all'altezza della tibia ma non m'importa, indosserò i pantaloni per coprirli.
Vado avanti così per qualche minuto sino a che torno di nuovo ad alternare pugni e calci. Ogni volta che immagino la faccia di quel bastardo, i miei colpi sono più forti e precisi: lo vorrei pestare a sangue, lui e quella stupida puttanella.
“Brutto stronzo bastardo!”
La collera che mi pervade pompa i miei muscoli: sono piena di energia, forte come mai avrei pensato di poter essere. Tump... tump tump tump...
Nonostante i guanti spessi, comincio a sentire un bruciore intenso alle nocche, ma non me ne curo; continuo con forza, digrignando i denti a causa del dolore, perché più i colpi sferrati sono energici, più l'incazzatura diminuisce.
Mi piacerebbe fermarmi almeno un'altra ora, ma tra un po' devo andare a casa a prepararmi per l'appuntamento di oggi pomeriggio. Da quando mia sorella Sabrina si è ammalata, ogni anno mi sottopongo a un check up completo, di prevenzione. Fortunatamente lei ha superato tutto, ma i dottori l'hanno avvisata di tenere sempre alta la guardia e hanno raccomandato anche a me di fare controlli periodici.
“Sa signora, queste malattie hanno una forte componente genetica” mi disse il primario il giorno in cui la dimisero dal reparto dove era stata operata.
Chissà se poi è vera questa storia della genetica o se, invece, non è la frase d'effetto pronunciata per tapparti la bocca e impedirti di sollecitare ulteriori chiarimenti.
Avrei potuto chiedere un permesso a lavoro ma ho preferito prendermi il giorno libero. Volevo approfittare per fare il cambio di stagione: inizia a fare freddo e ho bisogno di avere a portata di mano maglie e pantaloni pesanti.
E proprio questa mattina, mentre trafficavo con gli indumenti estivi nella cabina armadio, mi sono imbattuta in una camicia di Gianni, la sua preferita, quella che gli aveva regalato la madre al suo ultimo compleanno. Improvvisamente i ricordi sono riaffiorati e le lacrime insieme con essi.
Dopo dieci minuti di pianto ininterrotto mi sono cambiata e, afferrato il borsone che tengo sempre pronto dietro la porta, sono venuta di corsa in palestra.
Non capisco come qualcosa di suo, si trovi ancora tra la mia roba; la dottoressa Corelli lo giustificherebbe come un “atto mancato” e forse avrebbe ragione.
È inutile che giustifichi me stessa dicendo che anch'io, qualche volta, indosso delle camicie di taglio maschile sotto i completi austeri che uso al lavoro e, quindi, quella posso averla riposta tra i miei vestiti per sbaglio. Non farei che prendermi in giro da sola. La verità è che forse ho voluto trattenere qualcosa di suo, qualcosa che è stato a diretto contatto col suo bel torace, ampio e forte, sul quale tante notti mi sono addormentata sentendomi al sicuro.
Tump... Tump.
Quando se n'è andato, quello stronzo mi ha svuotata completamente, portandosi via anche la mia voglia di vivere e lasciandomi solo tanta rabbia dentro, una rabbia violenta da cui ho rischiato di farmi annientare.
Tump... tump... tump.
“Vaffanculo, Gianni. Vaffanculo te e la tua stupida troietta”.
L'ho detto a voce alta tanto nessuno può sentirmi. A quest'ora la palestra è spesso vuota, la maggior parte degli iscritti si concentra nelle ore serali oppure dopo cena.
Giulia, il personal trainer, è in fondo all'enorme sala. La vedo con la coda dell'occhio: è assorta nel conversare con un uomo che non mi soffermo a guardare. Ogni tanto la sento emettere dei risolini divertiti, forse come risposta a qualcosa che lui le sta dicendo, ma che io non comprendo. Sono troppo lontana e, in realtà, non me ne frega niente. Sono venuta solo per scaricare il nervosismo e non m'interessa socializzare.
Quando sono entrata in palestra, l'ho salutata frettolosamente e sono subito andata verso il tapis roulant, per fare una mezz'ora di riscaldamento. Non mi sono neppure accorta che ci fosse qualcun altro. Forse l'uomo è arrivato dopo, ma io non l'ho notato perché, in genere, non alzo mai gli occhi dal display della macchina. Preferisco controllare i miei battiti, la velocità e il tempo, piuttosto che prestare attenzione a tutti quegli stronzi che cercano di farsi bicipiti e tartarughe da esibire in giro, come fa il pavone quando sventaglia la propria coda davanti alle femmine. Sicuramente qualcuno di questi è pure sposato e tutta la cura che riserva ai propri muscoli, non è per far felice la moglie, bensì per confondere e circuire qualche poveraccia, illusa di essere unica e insostituibile. E poi, si rendono conto di quanto siano ridicoli con quei gemiti gutturali, ripetuti ritmicamente - “aah... aah... aah” - che emettono ad alta voce, quando cercano di sollevare pesi troppo al di sopra delle loro possibilità? Sembra quasi che stiano affondando con forza il loro misero uccello dentro qualcuna e non possono esimersi dal far sentire la loro potenza... che schifo!
Non so se si capisce, ma in questo periodo detesto i rappresentanti del sesso maschile: degli stronzi egoisti, sempre a prendere senza dare un cazzo in cambio, o comunque non quanto noi donne; solo concentrati su se stessi; figli di mamme chiocce che non li hanno fatti crescere e li hanno resi degli eterni Peter Pan. Mi verrebbe voglia di buttarli fuori dalla finestra, solo per vedere se almeno sanno volare, visto che per il resto non sanno fare un cazzo!
Abbandono il sacco e mi avvicino alla zona delle macchine isotoniche, dove passo a svolgere le mie sessioni di esercizi per la tonificazione muscolare, dimenticandomi totalmente degli altri due. Solo quando Giulia va via salutandomi, do un'occhiata in giro, per controllare se sono rimasta sola.
Riflesso negli specchi che rivestono le pareti, vedo l'uomo con cui lei parlava poco prima. Si sta avviando verso lo spogliatoio asciugandosi il sudore con la maglia che si è appena tolto. Non mi soffermo a osservarlo: sono troppo presa dallo sforzo di alzare trenta chili con la lat machine e poi, ripeto, gli uomini in questo periodo preferisco tenerli a distanza.
Sono quasi giunta alla fine della mia sessione di allenamento. Mi manca solo la leg extension, la più tosta: con questa compio uno sforzo immane, anche soltanto ad alzare i due rulli senza il peso annesso. Mi manca l'ultima serie da dodici; i muscoli delle cosce mi bruciano per la produzione di acido lattico e strizzo forte gli occhi per lo sforzo e il dolore.
Quando li riapro, come attratta da un fluido magnetico, quasi ci fosse qualcuno che mi stia chiamando silenziosamente, giro lo sguardo verso la mia destra.
La porta dello spogliatoio maschile, che dà direttamente sulla palestra, è aperta per metà e per qualche secondo lui riempie quello spazio con il suo corpo. È completamente nudo, deve essere appena uscito dalla doccia. Anche da qui posso vedere l'acqua che gli accarezza i muscoli tonici e duri, tipici di chi sottopone il proprio fisico a un allenamento costante.
All'improvviso avverto un gran bisogno di bere: la mia gola è secca e deglutisco silenziosamente. Mi piacerebbe passare la lingua su quella pelle tesa e provare a fermare quelle gocce d'acqua che, lentamente, scivolano a terra indisturbate.
Il profilo perfetto dei suoi glutei polarizza tutta la mia attenzione. Il respiro si fa corto e superficiale, anzi, credo proprio di aver messo i miei polmoni in standby. Avverto una leggera e improvvisa contrazione in mezzo alle cosce che mi sorprende e mi fa sussultare. Lui gira lo sguardo verso di me, quasi mi avesse sentito ma, anziché coprirsi o chiudere la porta, indugia in quella posizione frizionandosi i capelli con l'asciugamano, in tutta tranquillità, incurante del fatto che io lo stia osservando.
Il fatto che si sia accorto di me non mi fa desistere dal continuare a guardarlo. Le pulsazioni tra le gambe aumentano, portando con sé una forte sensazione di eccitazione. Dovrei distogliere gli occhi, come la buona educazione e il senso del pudore mi suggeriscono, ma non riesco a non guardare quel fisico così virile che mi blocca il respiro e mi fa sentire sopraffatta.
In verità, non è tanto la potenza fisica a dominarmi quanto il magnetismo dei suoi occhi. Solo per un attimo si sono agganciati ai miei, ma è bastato per percepire il potere di quello sguardo che sarebbe capace di metterti a tappeto senza neppure sfiorarti. Sì, perché da uno con degli occhi così intensi e penetranti ti faresti fare di tutto e gli faresti di tutto.
Lui deve essere consapevole del suo potere di seduzione perché mi rivolge un sorrisetto insolente e subito dopo scompare dalla mia vista, lasciandomi a fissare quello spazio di luce con un senso di delusione, ma non dura molto perché subito riappare, ed è ancora nudo, con l'asciugamano arrotolato sulle spalle. Ora mi offre lo spettacolo del suo didietro strepitoso, a trecentosessanta gradi: alto e tondo come se ne vedono pochi in giro e talmente sodo da sembrare di marmo.
Più volte passa e ripassa, davanti a quella porta mezza aperta, senza fare il minimo accenno a coprirsi.
Sono certa che si sia accorto che lo sto osservando spudoratamente e credo che la cosa gli piaccia, altrimenti la avrebbe già accostata oppure si sarebbe nascosto ai miei occhi curiosi e avidi.
Come in preda a un ordine impartitomi da qualche essere superiore e misterioso, mi alzo e mi avvio verso lo spogliatoio. Mi rendo conto che sto muovendo i piedi per andare incontro alla tentazione, ma non so perché lo stia facendo. È un impulso impossibile da reprimere, così naturale... quasi come respirare.
Rimango ferma sull'uscio, mentre lo osservo rapita; mi dà le spalle e ora posso ammirare più da vicino quei glutei granitici e perfetti. La fantasia vola e con essa la mia voglia di vederlo mentre li contrae spingendosi dentro il corpo di una donna: sarebbero magnifici quei muscoli che guizzano seguendo il movimento dell'eccitazione e del piacere.
L'idea che possa essere io quella donna mi fa bagnare all'istante e la cosa mi meraviglia. Non sono mai stata una femmina calda e non ho mai trovato il sesso una pratica entusiasmante. L'educazione cattolica e rigida impartitami dalla mia famiglia e il fatto di essere vissuta in un piccolo paesino del profondo sud, in mezzo a gente con la mentalità chiusa e bigotta, hanno sortito il loro effetto.
Ero vergine quando conobbi Gianni, al primo anno di università, ma non lo rimasi per molto. Lui era un uomo dai grandi appetiti - lo è sempre stato - cosa che spesso trovavo fastidiosa: io, che ero in cerca di dolcezza e tenerezze. Dovette faticare un po' per convincermi ma poi stremata dalla sua insistenza gli cedetti. Non fu un'esperienza piacevole, ma dicono che sia normale la prima volta; solo col tempo ci furono dei miglioramenti, ma non così eclatanti.
Per me fare l'amore non è stato mai eccezionale, non come, a volte, lo descrivono le mie amiche: amplessi travolgenti, appassionati, senza freni, senza limiti.
Tra me e mio marito c'era stato sempre e solo sesso di routine: classico, monotono, noioso, quasi doveroso e con un'enorme difficoltà, da parte mia, a raggiungere l'orgasmo. All'inizio lui se ne faceva un cruccio e cercava in tutti i modi di darmi piacere, anche dopo essere venuto, ma col passar degli anni, i rapporti si erano diradati e, quando facevamo l'amore, dopo, non si chiedeva più se avessi provato soddisfazione: si girava nel letto dandomi le spalle e io mi mettevo a leggere, cercando di prendere sonno.
Costatare che in questo momento mi sto bagnando, semplicemente guardando un uomo, per di più sconosciuto, senza che mi abbia sfiorato neppure con un dito, mi meraviglia.
Sono una donna difficile da ‘scaldare': ho bisogno di lunghi preliminari e a volte neppure bastano. Non ho mai capito che cosa scateni la mia eccitazione e mi mandi su di giri, ma ho la sensazione che quest'uomo potrebbe farmelo scoprire.
Stringo le cosce per trovare sollievo da questa dolce tensione che non mi abbandona, anzi, cresce ogni minuto di più, e sposto lo sguardo verso l'alto. I muscoli delle sue spalle si contraggono, mentre muove le braccia per frizionarsi di nuovo i capelli con l'asciugamano.
È davanti a un grosso specchio a parete che lo riflette nella sua interezza, perciò, ora posso bearmi anche della parte anteriore del suo corpo. I pettorali massicci guizzano sotto il movimento frenetico delle braccia. Anche l'addome scolpito si alza e si abbassa in uno spostamento ritmico che m'ipnotizza e... mio Dio!
Mi porto la mano davanti alla bocca per attutire il gemito di sorpresa. Il suo...
Cazzooo! È eccitato, non ho dubbi. Anche da questa distanza posso vedere come il suo uccello svetti fiero e duro come l'acciaio, con la punta che raggiunge quasi l'ombelico.
A meno che non soffra di priapismo, devo essere io la causa della sua magnifica erezione e questo pensiero mi lusinga e mi agita allo stesso tempo. È come se mi stesse tacitamente invitando ad agire, a fare...
Mi sento di nuovo la gola secca, deglutisco e mi passo più volte la lingua sulle labbra come se stessi pregustando il sapore del mio piatto preferito.
Sollevo lo sguardo e lo vedo che mi osserva attraverso lo specchio. Emana una totale sicurezza di sé, tanto da apparire arrogante e altezzoso. Ha il classico atteggiamento di quegli uomini che non hanno la necessità di tessere la ragnatela della seduzione per portarsi a letto una donna, perché sono essi stessi seducenti come il peccato e le poverine cadono ai loro piedi volontariamente e con estrema facilità. Basta guardarli e già capisci che conoscono molto bene il corpo femminile e sanno come farti godere fino alla pazzia. I suoi occhi sono così profondi e penetranti da risucchiarti come in un vortice e farti desiderare di precipitare in un abisso di desideri proibiti.
Non dice nulla, non ce n'è bisogno.
Mentre mi avvicino, un passo dietro l'altro, come se fossi una sonnambula nel cuore della notte, lui lentamente si volta mettendosi di profilo.
Mi sembra di essere preda di un sortilegio, una sorta di corda invisibile mi tiene legata a quest'uomo che incarna la potenza mascolina. Sono in trance mentre attendo che il mago compia la sua magia.
Debole al suo cospetto, desidero che mi dica cosa vuole che faccia, che mi tolga dalla responsabilità di mostrarmi una puttana, una viziosa svergognata.
Sì, perché è così che mi sento in questo momento; perché, in effetti, voglio toccarlo con tutta me stessa, desidero che mi tocchi a sua volta e non teneramente, ma in maniera bruta. Voglio che mi sbatta contro il muro e si avventi sulle mie labbra con ferocia, costringendomi a ricevere la sua lingua prepotente e dispotica. Voglio che mi strappi di dosso questi insulsi calzoncini e mi sollevi, avvolgendosi le mie gambe attorno ai fianchi, per poi scoparmi con urgenza e foga, come un animale. Voglio sentirlo entrare e uscire dal mio corpo con affondi potenti e brutali, via via sempre più rapidi, fino a farmi dimenticare il dolore e la mia severa coscienza. Voglio che mi faccia venire con un urlo di soddisfazione, così potente da far tremare i vetri di questa stanza satura di profumo e sudore maschile, cosicché, chiunque mi senta, capisca che finalmente sono appagata se non nello spirito almeno nel corpo.
Lui continua a guardarmi. I suoi occhi mi rendono inquieta e smaniosa, mi comunicano mille emozioni, quelle che io voglio leggere e per le quali non servono le parole.
Poi, quando penso che nulla accadrà, perché dovrò essere io, come sempre, a decidere della mia vita e di quella degli altri, mi poggia una mano sulla spalla e, con una pressione delicata ma decisa, mi fa inginocchiare dinanzi a sé, in una perfetta posa remissiva e arrendevole.
Con una docilità che mi è sconosciuta, obbedisco e lentamente piego le ginocchia fino a poggiarle sul pavimento freddo, mantenendo il contatto visivo mentre lo faccio.
Mi ritrovo con la faccia all'altezza del suo inguine. Il suo grosso cazzo ha un guizzo di eccitazione e io mi lecco le labbra... di nuovo.
Ho fatto sesso orale con Gianni solo quando me lo chiedeva esplicitamente e ho sempre avvertito un senso di disgusto, soprattutto quando mi chiedeva d'ingoiare.
In questo momento, invece, muoio dalla voglia di prendere in bocca quest'asta grossa e dura, succhiarla fino a farmi scorrere giù per la gola il liquido denso che ne uscirà. E anche questo mi stupisce.
Non dovrei farlo, non secondo i canoni della noiosa e banale normalità, ma un impulso fortissimo mi spinge a continuare quello che mi sembra un gioco perverso ed estremamente erotico.
Alzo lo sguardo verso il suo viso, in attesa...
Lui è lì, in piedi, mi sta fissando con gli occhi socchiusi e le labbra serrate, in un'espressione seria e indecifrabile. Che sia eccitato è evidente, non mi posso sbagliare, anche il suo respiro è leggermente ansimante, però la sua faccia è severa, sembra arrabbiato.
Presa da un momento di vergogna abbasso lo sguardo e poso le mani in grembo, come farebbe una bambina che sa di aver combinato qualche guaio ed è in attesa di una punizione.
Vedo, con la coda dell'occhio, la sua mano destra sollevarsi e avvolgere il cazzo eretto in una stretta forte e decisa. Con calma inizia a farla scivolare su e giù, in lunghe e sensuali carezze, mentre l'altra mano rimane abbandonata lungo il fianco.
Vorrei alzare gli occhi per ammirarlo mentre si tocca, ma l'imbarazzo mi rende confusa: non so cosa fare, come comportarmi. Alla fine, sopraffatta dal desiderio, riporto lo sguardo verso quei movimenti erotici, come ipnotizzata, e continuo a fissarlo passandomi ogni tanto la lingua sulle labbra. Vederlo toccarsi mi fa avvertire un vuoto doloroso nel ventre. Sento un bisogno lacerante di essere riempita; un calore incontrollabile si sta diffondendo dentro di me inducendomi ad abbandonare anche l'ultimo barlume di ragionevolezza.
Risalgo il suo corpo con lo sguardo. Ha i muscoli tesi sulla pancia, continua a fissarmi con i suoi impenetrabili occhi di ghiaccio ma la sua bocca ora è socchiusa. Lo scruto con maggior attenzione: forse sta per dirmi qualcosa... invece no, nulla è cambiato, il suo atteggiamento è sempre impassibile, nulla a che vedere con il terremoto di emozioni che si sta scatenando dentro di me.
Mi guarda, continuando a toccarsi. Sono totalmente affascinata da quest'uomo eccitato che incombe su di me. Continuo a guardarlo negli occhi e, ripetutamente, mi passo la lingua sulle labbra per inumidirle.
Finalmente è lui a interrompere questa situazione di stallo. Con la mano libera mi afferra il mento e lo stringe forte, obbligandomi a dischiudere le labbra. Pur sentendo dolore, non mi ribello; mi sento come un vaso di creta tra le sue mani, può fare di me quello che vuole e trasformarmi come meglio crede: non gli dirò di no.
Poi la fa scivolare dietro la nuca e mi afferra la testa, tenendola ferma, mentre con l'altra spinge il cazzo nella mia bocca.
Ahhh! La penetrazione è rude, brutale; sento la sua carne impaziente e infuocata al pari della mia fica che lo reclama, ormai affamata di lui.
Lo tira di nuovo fuori e mi fa scorrere la punta umida sul labbro inferiore con una lenta carezza sensuale e la mia lingua scatta fuori per leccare la goccia densa che ne sfugge, per poi afferrarlo con le labbra. Cerco di prenderglielo in bocca, ma, con la mano stretta sulla testa, m'immobilizza. Sono confusa... credevo che lo volesse anche lui.
L'umiliazione mi fa contrarre lo stomaco e il respiro si blocca, ma quando lui arretra per poi spingersi in avanti, infilandomelo con forza tra le labbra, i miei polmoni ritornano alla vita e con essi tutto il corpo.
Vorrei afferrare quei glutei marmorei per avvicinarlo ancora di più, ma ho la sensazione che non approverebbe. So che lui vuole il comando e io devo solo obbedire.
Chiudo gli occhi e comincio a roteare la lingua attorno alla sua punta bollente e poi prendo a succhiarlo con forza. Provo a scendere più giù con la bocca, ma ha ancora il pugno avvolto attorno alla base e non mi è possibile arrivare fino alla fine.
Riapro gli occhi e li alzo verso il suo viso per capire che cosa vuole che faccia. Il suo respiro mi sembra regolare, ma lo sguardo è torbido e incandescente e la mascella è contratta, come se stesse facendo fatica a trattenersi. Lentamente toglie la mano dal suo sesso caldo e la intreccia all'altra, dietro la mia nuca.
Con le sue mani che mi afferrano come se fossi in suo possesso, la mia testa riprende a muoversi avanti e indietro, mentre mi faccio scivolare il suo uccello fino alla gola. Lo sento sfregarmi il fondo del palato e mi occorre tutta la forza di cui dispongo per trattenere i conati di vomito: è così grosso per la mia piccola bocca!
Inizio ad arretrare, ma lui mi mozza il respiro, affondando di nuovo con forza, e svuotandomi i polmoni. Chiudo gli occhi e subisco l'assalto, realizzando, in quel momento, che agli occhi di un osservatore la scena potrebbe sembrare erotica e brutale insieme.
Guardo di nuovo in su: ha la testa abbassata e mi osserva con desiderio. Non appena i nostri occhi s'incrociano mi prende una mano e la guida verso la base del membro. Lo afferro con decisione e me lo porto quasi del tutto fuori, fino a fargli scorre la lingua sulla punta e poi comincio a leccarlo in tutta la sua lunghezza. Sono completamente presa da quello che sto facendo, ma non distolgo lo sguardo dal suo viso. Lui, d'altra parte, non è da meno. Nonostante i rapidi sospiri strozzati che ora gli sfuggono tra i denti, mi guarda, rifiutandosi di chiudere gli occhi e lasciarsi andare ad assaporare il piacere che sicuramente gli sto dando. È deciso a osservarmi mentre lo tocco, mentre vado su e giù con la bocca, spingendo la punta della lingua nella fessura una volta raggiunta per poi farlo scivolare di nuovo dentro, sempre più in profondità, fino in gola.
Si aggrappa ai miei capelli, tirandoli; arretra e affonda di nuovo, digrignando i denti. Avevo appena pensato di averlo in mio potere ma non è così. Lui sa cosa vuole e come lo vuole. Ha lui il controllo totale.
Di nuovo si spinge in avanti, tenendomi ferma con le mani forti, massaggiandomi e accarezzandomi i capelli allo stesso tempo.
Dopo qualche altro affondo deciso, lo sento gonfiarsi e pulsare nella mia bocca: credo che stia per venire. Impaziente, sposta una mano dalla mia testa verso la base del suo uccello ed esce un po', fino ad avere una presa sicura, e sfrega con urgenza avanti e indietro. Lo assecondo docile chiudendo le labbra attorno all'erezione fremente, leccando e succhiando la cappella; con la mia mano copro la sua, mentre mi schizza uno spruzzo bollente e cremoso dritto in gola e ingoio... tutto... fino all'ultima goccia.
Guardo in su per vedere se l'appagamento finale abbia addolcito la sua espressione cupa e dominatrice, invece quello che vedo sono i suoi occhi di ghiaccio che brillano maliziosi mentre mi osserva con un sorrisetto compiaciuto e soddisfatto.
Rallenta i movimenti del bacino fino a seguire un ritmo più pigro e regolare, man mano che si calma l'eccitazione. Poi, con il pollice prende una goccia del suo seme che sta colando all'angolo della mia bocca e me lo riporta sulle labbra, strofinandolo con forza come se volesse marchiare quella parte di me.
Non dice una parola; dal suo viso, ora totalmente imperscrutabile, nulla traspare mentre si volta per allontanarsi.
Rimango in ginocchio, seduta sui talloni, a osservare i suoi movimenti lenti e precisi mentre si riveste. Solo quando sento sbattere la porta d'uscita, allora mi risollevo da terra e prendo coscienza di ciò che è appena accaduto.
Mio Dio! Ho appena fatto un pompino a uno sconosciuto nello spogliatoio maschile di una palestra, col rischio che qualcuno entrasse da un momento all'altro, sorprendendoci.
Mi volto verso lo specchio e mi osservo attentamente. Dopo un primo momento di smarrimento, vedo allargarsi sul mio viso un ghigno perverso e soddisfatto: i miei capelli sono scompigliati come se mi fossi appena alzata dal letto, le labbra sono gonfie e arrossate, gli occhi lucidi e vogliosi. Faccio fatica a riconoscermi e, tuttavia, mi sento viva e soddisfatta.
Inizio a pensare che Gianni, abbia distrutto la stima di me stessa oltre ai sentimenti che provavo per lui. Sì, perché io lo amavo davvero.
Non ricordo, però, di averglielo mai detto, forse neppure quando eravamo giovani universitari.
“Ti amo”, due parole così semplici da pronunciare ma che per me presuppongono la resa dell'anima oltre che del cuore, ma forse, io, la mia anima non l'ho mai ceduta a nessuno, neppure a mio marito.
Be', ora che ci penso, non ricordo neppure quando è stata l'ultima volta che ho permesso al suo uccello di accarezzarmi le tonsille. Eppure, ho appena permesso a uno sconosciuto di scoparmi la bocca, in un posto pubblico, e la cosa mi ha anche eccitato molto, tuttavia, l'appagamento è stato solo mentale, perché per il resto mi è rimasta addosso la smania di una gatta in calore.
Continuo a specchiarmi, a scrutare il mio volto, i miei occhi, in cerca di qualche indizio di pazzia improvvisa; dovrei vergognarmi di quello che ho appena fatto e invece, pur scavando dentro la mia coscienza, non riesco a trovare l'ombra del rimorso.
A.S. Twinblack
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