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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
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Writer Officina
Autore: E.C.Cann
Titolo: L'inganno del serpente
Genere Mistero
Lettori 3666 42 60
L'inganno del serpente
Il sole stava calando inesorabilmente mentre mani callose posavano le ultime tessere colorate sul freddo cemento. La luce che filtrava dal grande portone in legno era sempre più scarsa e nel tagliare l'aria sollevava quel fastidioso pulviscolo che dava l'impressione di fare male agli occhi. Cosicché il monaco Pantaleone doveva osservare quel minuzioso lavoro di dita con gli occhi semichiusi, cercando di cogliere i dettagli che il tramonto avrebbe oscurato. Dopo la realizzazione di quell'enorme mosaico, gli sarebbe piaciuto far costruire un grande rosone sulla facciata dell'edificio per metterlo ancora più in risalto. Ma per il momento aveva altro cui pensare.
I suoi severi occhi castani si alternavano tra lo schizzo consunto tra le mani e il pavimento in costruzione, mentre gli operai iniziavano a levarsi da terra, stiracchiando le braccia dolenti e muovendosi adagio sulle gambe malferme, intorpidite dalle lunghe ore passate in ginocchio.
Che opera incredibile avrebbe realizzato! Più passavano i giorni e più si rendeva conto che era venuto al mondo per lasciare quel messaggio formato da piccole pietre colorate, poste ai suoi piedi. I suoi polmoni si riempirono d'aria e lo stomaco si gonfiò d'orgoglio sotto la tunica troppo larga per i suoi sessantacinque chili. Ma non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce e la parte di lui più rigida schiacciava l'altra sotto il peso della colpa: l'orgoglio era un peccato mortale.
- Ci siamo. Per oggi può andare! - , disse, inarcando lievemente le labbra in segno di assenso verso gli operai e i monaci che si erano offerti di dare una mano. Pantaleone era particolarmente fiero di questi ultimi, era sempre partito dall'assunto che anche un uomo di Chiesa dovesse lavorare come tutti gli altri.
Si voltò verso alcuni uomini in fondo alla cattedrale, intenti a mischiare la malta per posare le ultime tessere.
- Ehi, dico a voi - , disse alzando un po' di più la voce. - Forza, uscite. Altrimenti domani sarete stanchi. Questo mosaico ha un bisogno estremo della vostra abilità. -
I quattro risero, cercando di non farsi vedere. Ognuno di loro voleva bene al monaco, ma guai a minare la sua autorità. Si guardarono l'un l'altro scambiandosi cenni d'intesa, poi, sfregandosi le mani sporche, si avviarono verso l'uscita insieme agli altri aiutanti sparsi per la chiesa, lasciando secchi e bacinelle incrostate di calce accanto alla parete e alle ultime tessere stese. Il monaco seguì gli operai con un sorriso bonario, dando a ognuno una pacca sulla spalla, che era il suo miglior modo per dire: “Grazie, anche oggi hai fatto un ottimo lavoro”.
Pantaleone osservò i suoi uomini uscire dal grande portone in legno e lentamente si rabbuiò. Nessuno parve notare questo cambiamento nella sua espressione, tranne un uomo ancora intento a controllare il procedere dei lavori dietro di lui.
Uno dei due uomini rimasti si avvicinò cauto. Era grande e grosso, probabilmente più alto di un metro e ottanta, e aveva muscoli così massicci da poter sollevare da solo quattro secchi di malta in una volta sola. Si chiamava Angelo ed era il migliore nella sua arte. Era conosciuto in tutto il paese per la precisione con cui realizzava i mosaici e per la ricchezza di dettaglio dei suoi tasselli. Pantaleone si sentiva onorato ad averlo nella sua squadra e la collaborazione sembrava andare a gonfie vele.
- Siete insoddisfatto? - , chiese Angelo, vedendo il monaco così titubante.
- No, affatto - , rispose lui in fretta.
- Allora cosa vi turba? - , chiese il giovane, che nonostante la sua esperienza, non doveva avere più di venticinque anni.
Pantaleone sembrò riflettere sulla domanda, incerto su cosa dire. Non voleva offenderlo, ma aveva bisogno di sapere. In fondo il progetto era sotto la sua responsabilità.
- Caro Angelo, potresti dirmi in quanto tempo sarà terminato il lavoro? Ho l'impressione che i lavori vadano più a rilento del previsto. -
Pantaleone pensò all'arcivescovo Gionata.
Come gestore terreno del monastero di San Nicola di Casole a Otranto, il monaco aveva ricevuto da lui il compito di creare il più grande mosaico di sempre. Avrebbe dovuto riprodurre con immagini quanto lui e i suoi confratelli insegnavano quotidianamente.
- Un'immagine entra nel cuore più delle parole - , gli ripeteva sempre l'arcivescovo latino.
Così, con il supporto di diversi artisti e operai, aveva dato inizio a quell'imponente opera che si sarebbe snodata lungo tutta la navata centrale, le seminavate laterali e il presbiterio. Si trattava di rappresentare le gesta della Bibbia in un unico grande disegno, in grado di portare ogni visitatore in un viaggio dentro se stesso. Ma lui sapeva che c'era di più e che quelle tessere, interpretate correttamente, potevano essere un'esplosione di vita e di sapere. Potevano comunicare segreti che la stessa Chiesa voleva tenere sottochiave. Neppure Gionata era al corrente di questo suo messaggio segreto. Come l'avrebbe presa? Non doveva scoprirlo.
- Dobbiamo sbrigarci, i lavori sono iniziati da parecchio e non siamo neppure a metà - , disse ad alta voce stringendo inconsapevolmente il pugno verso il suo interlocutore.
Il giovane si passò una mano sulla fronte sudata e sporca di grigio. Serrò le labbra secche e guardò la data, 1163, impressa sul papiro nella mano del monaco. Era passato quasi un anno. Poi fece scivolare lo sguardo a terra, vergognandosi.
- Purtroppo ci sono stati dei ritardi nel trovare i materiali e molti operai hanno iniziato a lavorare da poco. Credo ci vorranno altri dieci o dodici mesi almeno - , alzò gli occhi verso il monaco, grattandosi la testa a disagio, mentre lui osservava le tessere disposte da poco.
Pantaleone alzò il viso di scatto: - Cosa? - .
Angelo aprì la bocca, ma la richiuse immediatamente quando vide il monaco camminare verso il presbiterio sulle gambe malferme, fermandosi alcuni metri prima. Lì, osservò le figure ai suoi piedi.
Due corpi umani nudi sembravano in movimento all'interno di due cerchi marroni. Erano un uomo e una donna, il maschile e il femminile a confronto. Tra i due corpi un albero con rami attorcigliati faceva da appoggio a un lungo serpente proteso verso di lei, Eva. Era impossibile non riconoscere in questa rappresentazione la genesi, l'origine dell'Uomo. Rappresentava la donna tentata dal serpente-demonio e il peccato originale che ne scaturiva.
Pantaleone scosse la testa: quello che era stato raccontato per secoli era tutto sbagliato. Per alcuni secondi il viso smunto e pallido del monaco rimase fisso sull'animale posto davanti agli occhi della progenitrice, con le fauci aperte e la lunga lingua rossa in evidenza.
Menzogne, solo menzogne.
Poi, con passo lento, si avviò verso disegni già terminati da tempo e osservò le immagini incasellate, rappresentanti animali differenti tra loro. Il giovane Angelo lo seguì, senza fare rumore, mentre il monaco continuava a camminare. Si sentiva impotente e frustrato.
- Se volete, possiamo assumere più manovali - , propose agitato l'uomo. - Forse possiamo ridurre i tempi. -
- Di quanto? - , domandò subito Pantaleone. Ma la domanda principale avrebbe dovuto essere: “Con quali soldi?”. Le casse del monastero piangevano.
- Sei mesi... - , abbozzò Angelo.
- Sei mesi - , ripeté il monaco.
Il suo cuore fu stretto in una morsa. I tempi erano troppo lunghi. Sapeva che erano arrivate alcune voci a Roma, voci pericolose, che avrebbero potuto rovinarlo. Si chiacchierava troppo di quel progetto così simbolico, così difficilmente interpretabile. Qualcuno prima o poi avrebbe capito e avrebbe provato a bloccarlo. Cosa poteva fare? Sapeva che sarebbero venuti a controllarlo a breve e per allora avrebbe dovuto mostrare un mosaico splendido e soprattutto terminato. Nessuno avrebbe avuto il coraggio di fare a pezzi un'opera perfetta, ma in quel momento era ancora una bozza a metà.
E se lo avessero distrutto dando l'incarico a un altro monaco? In quel caso sarebbe andato tutto perduto. Il suo cuore prese a battere più veloce.
- Potrei chiedere ad altri monaci di dedicare qualche ora al mosaico - , propose. - Quanto tempo potremmo guadagnare? -
Il manovale alzò gli occhi al cielo riflettendo. Le prime rughe iniziavano a solcare la fronte spaziosa.
- Quattro mesi? È il meglio che posso fare. -
Pantaleone gli posò una mano sulla spalla, sorridendo: - Andata! - .
L'uomo se ne andò, lasciando socchiusa la pesante porta dalla quale entrava ormai solo un corto cono di luce. Il silenzio calò all'interno della cattedrale. Tutto ciò contribuiva a incupire i pensieri del monaco che si accovacciò sui tasselli colorati. La mano corse al crocifisso dorato sul petto: - Dio, aiutaci. Se ci scopriranno, diranno che questa è opera del diavolo, ma tu sai che non è così - .
Lui lo sapeva, le sue conoscenze e i suoi studi non sarebbero stati sufficienti a placare quell'onda distruttiva nata secoli prima. Quello non era ancora il tempo per agire, ma per nascondere e trovare una via per tramandare il suo sapere.
Ma prima che potesse sollevarsi, il legno dell'uscio scricchiolò di nuovo e una nuova persona sbucò dall'anta.
- Pantaleone, Pantaleone - , gridò l'omone agitando le mani grassocce. Iniziò a correre verso di lui incespicando nella lunga tunica. Il suo respiro pesante e irregolare sembrava amplificato.
- Bernardo - , esclamò Pantaleone scattando in piedi, spaventato da quella visita improvvisa. - Che ci fai qui a quest'ora? È quasi il momento della preghiera. -
Bernardo lo guardò fisso con gli occhi spalancati. Aveva il fiatone ed era sudato: - Stanno arrivando, saranno qui a momenti - , disse, scosso dai brividi e dalla paura.
Pantaleone sentì lo stesso fremito scorrergli lungo la schiena. Le gambe ossute sembrarono appesantirsi in un istante.
- Chi sta arrivando? - , chiese, ma dentro di sé conosceva la risposta. Girò lo sguardo d'istinto verso il fondo della cattedrale. Il vecchio altare di legno, spostato per i lavori imminenti, nascondeva lo scrigno dal quale tutto era iniziato.
- Quelli da Roma, ho visto lo stemma papale. Ero di ritorno dal faro per controllare la lampada quando ho visto degli uomini a cavallo vicino a una taverna. Alcuni di loro stavano abbeverando le bestie, mentre altri erano già pronti davanti a una carrozza dorata. Sono venuto di corsa - , disse Bernardo, sempre più in agitazione. Continuava a muoversi freneticamente, spostando il peso da un piede all'altro.
Pantaleone si mise le mani tra i capelli, inorridito: - Presto, dobbiamo nasconderlo - , disse correndo verso il pesante tavolo in noce.
Bernardo era l'unico con cui si era confidato poco tempo prima. Tra i monaci era il più bonaccione e appariva spesso come il più sciocco e pauroso, ma era anche una persona aperta e onesta, di cui potersi fidare.
L'ideatore del mosaico aprì l'anta segreta e prese lo scrigno, insieme ad alcuni suoi scritti e progetti relativi al mosaico. C'erano così tante cose e nessuna idea su dove nascondere i papiri più pericolosi.
- Dio, dove sei? - , si lasciò sfuggire guardandosi intorno come un dannato in cerca di un'idea illuminata. - Se trovano il cofanetto lo nasconderanno per sempre, strapperanno i miei documenti e mi faranno bruciare vivo per eresia! -
Bernardo gridò spaventato, si mosse ancora più velocemente girando su se stesso in cerchi concentrici senza senso: - Dove? Dove? - , ripeté anche lui.
Nello stesso istante entrambi si voltarono verso lo stesso punto e si scambiarono uno sguardo d'intesa. Il giovane fece segno a Pantaleone di seguirlo e quest'ultimo alzò il passo sollevando la lunga tunica.
- Facciamo presto - , disse Bernardo. - Potrebbero arrivare a momenti. -
Ma Pantaleone si bloccò tendendo l'orecchio verso il grosso portone d'ingresso.
- Lo senti anche tu? - , chiese, cercando di contenere il respiro per non fare rumore.
Bernardo fece lo stesso. Da lontano arrivava il rumore di zoccoli e le grida di uomini che sembravano incitare i cavalli.
L'orrore si dipinse sul volto del più giovane: - Ho lasciato il portone aperto - , piagnucolò, muovendosi verso l'entrata.
- No, non c'è più tempo - , disse Pantaleone, sbarrandogli il passo. - Muoviamoci! -


***

Un'elegante carrozza dorata si fermò bruscamente al centro della piazza, fuori dalla cattedrale. I due purosangue che trainavano il pesante mezzo in legno nitrirono rumorosamente sollevandosi sulle zampe posteriori, ancora sovraeccitati per la corsa.
- Buoni, buoni! - , esclamò uno dei due uomini in sella, il cui viso era nascosto da un pesante elmo che ne attutiva in parte la voce profonda e roca. Insieme al compagno smontò da cavallo stiracchiandosi a fatica a causa della rigida armatura. Si tolse il copricapo di metallo e sputò a terra con una smorfia di disgusto. Poi fece un fischio ai due compagni dietro la carrozza, intenti a chiudere la fila assicurando maggiore protezione al potente uomo nascosto dietro le tende di velluto verdi.
- Via tutti da qui - , sbraitò, protendendosi di colpo in avanti per spaventare e mandare via le poche persone ancora presenti. Una donna di circa vent'anni con indosso un abito logoro e una sacca di cotone sulle spalle affrettò il passo e se ne andò, subito imitata da due bambini, che corsero via piangendo.
L'uomo scoppiò in una cupa risata malefica che turbò persino gli altri soldati.
- Dovete essere pronti a tutto - , questo l'ordine arrivato dall'uomo seduto nella carrozza, a pochi passi da loro. Non importava che quelli che stavano per affrontare fossero uomini di Chiesa. Dovevano portare a termine il loro compito fino in fondo.
I quattro si avvicinarono l'un l'altro. Era quasi impossibile distinguerli sotto quell'ammasso di metallo. I due uomini a capo della fila, i più vecchi, erano aggressivi e convinti di agire per il bene. Il leader, Tommaso, aveva i capelli biondo scuro, striati di bianco sulle tempie e una grossa cicatrice trasversale sulla fronte.
- Siete pronti? - , chiese quasi ruggendo. S'inarcò in avanti e mostrò i bicipiti possenti, ricoperti di ferro.
Tutti e tre risposero di sì, ma uno dei ragazzi, sceso da dietro, sembrava più tentennante.
- Antonio, sei pronto? - , ripeté l'uomo parandoglisi davanti e scrutandolo con i suoi piccoli occhi azzurri, quasi acquosi.
- C... certo - , replicò il ragazzo, balbettando.
Tommaso lo guardò torvo e sputò di nuovo per terra, questa volta accanto ai suoi piedi.
- Sai chi c'è lì dentro? - , disse indicando la carrozza. Poi si passò un dito sul collo, da sinistra verso destra, muovendo la testa in direzione opposta. - Questo ti farò, se fallirai. -
Antonio si zittì. Aveva il terrore di Tommaso e a differenza degli altri sapeva che uccidere un uomo era peccato, anche se quei futuri peccati gli erano già stati perdonati da un personaggio molto influente nella Chiesa.
- Ti perdono e ti assolvo - , gli aveva detto l'uomo porporato quando Antonio, in ginocchio al suo cospetto, aveva raccontato cosa avrebbe potuto fare qualche sera dopo a Otranto.
- Quindi non andrò all'inferno? - , aveva chiesto fissando con i suoi grandi occhi scuri le scarpe lucide dell'uomo.
In tutta risposta lui gli aveva accarezzato i cortissimi capelli neri e aveva risposto: - No, affatto. Per te saranno aperte le porte dei Cieli. In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti, Amen - .
Con quella formula i timori di Antonio sembravano essere spariti e il ragazzo aveva smesso di pensarci per il resto del giorno. Ma ora, davanti ai fatti concreti e a quella cattedrale così vicina, sentiva il cuore pulsargli nelle tempie e il senso di colpa riempire come un virus tutto il suo corpo.
Guardò la carrozza un'ultima volta, immaginando uno dei due uomini al suo interno. Se lo figurò seduto, con quelle sue mani venose e piene d'anelli posate una sull'altra, in attesa che sbrigassero quel compito fastidioso. Dell'altro invece non sapeva nulla, ma era quasi certo fosse del luogo.
- Andiamo - , disse Tommaso, voltandosi verso la cattedrale.
La grossa porta era aperta ed egli si girò indicandola agli altri, con un sogghigno. Con un colpo della mano la spalancò facendo riecheggiare il cigolio dei cardini nel grosso ambiente vuoto. Tutti e quattro entrarono spavaldi osservando il grosso albero che partiva pochi metri oltre l'entrata, sorretto da due elefanti e circondato da figure mistiche e animali alati. Tommaso fece segno ai due giovani di dividersi nelle due navate laterali, dove non vi era ancora alcuna tessera, mentre i più anziani procedevano lungo la navata centrale arrivando vicino al presbiterio. Entrambi avevano bene in mente le parole dell'uomo nella carrozza: “Fate attenzione, può aver nascosto ciò che cerchiamo ovunque”, aveva detto con occhi ardenti. E forse aveva ragione, dovevano passare al vaglio ogni centimetro di quella cattedrale.
- Qui non c'è anima viva - , disse Alfredo, il secondo ragazzo.
- Andate a controllare nella cripta - , ordinò Tommaso.
Fece alcuni passi avanti verso una zona circondata da paletti uniti tra loro da una corda logora. All'interno dell'area, non più grande di un metro quadro, le tessere sembravano essere state posate quello stesso giorno. Tommaso dovette piegarsi sulle ginocchia per ispezionare meglio, l'oscurità della cattedrale era ormai malamente rischiarata da poche piccole candele sparse nell'edificio. Sfiorò con le grosse dita alcuni tasselli e sentì la pelle appiccicosa.
- Sono qui - , gridò Alfredo.
I tre uomini si voltarono verso l'ingresso della cripta. Il giovane in armatura era in piedi, alla base della scala, e impugnava un lungo coltello puntato dritto davanti a sé. Un istante dopo, dalle scale emersero i due monaci. Bernardo stringeva una sacca e il suo sguardo terrorizzato era rivolto al terreno nudo.
- Ma guarda un po' - , disse Tommaso sollevandosi e avvicinandosi ai due. Camminava a gambe larghe, tronfio, come se avesse appena catturato due grasse prede. - Chi abbiamo qui? -
Fu il più anziano a rispondere, apparentemente più sereno del primo: - Io sono Pantaleone e lui è Bernardo. Siamo qui per lavorare al progetto del mosaico - , disse vedendo tutti e quattro avvicinarsi.
- A quest'ora? Dovreste essere già tornati al monastero - , domandò il soldato più anziano, Sabino, sputando per terra a pochi centimetri dai piedi del monaco.
- Abbiamo molto da fare - , rispose Bernardo con voce tremante. - I lavori iniziano sempre molto presto e finiscono troppo tardi. -
- E poi che farete? Tornerete nella vostra cella a pregare il vostro Dio? - , chiese Tommaso con un sorrisetto.
- No, secondo me si divertono più di quanto crediamo - , aggiunse Sabino, dando una gomitata al primo.
I due soldati anziani risero e Alfredo dopo di loro. Ma Tommaso lo fulminò con lo sguardo e gli fece un cenno con la testa.
In un secondo Alfredo fu addosso a Bernardo e gli mise il coltello al collo: - Ci stai nascondendo qualcosa - , disse minaccioso.
- Ma chi siete e cosa volete? - , domandò Pantaleone, con gli occhi ora pieni di terrore.
Tommaso gli arrivò davanti, era più alto di lui di almeno quindici centimetri e lo guardava dall'alto in basso: - Qui le domande le facciamo noi e comunque chi ci manda sta molto più in alto di te, monaco - .
Si voltò verso Alfredo e gridò: - Prendi quella sacca. Subito! - .
Il giovane la afferrò e la passò ad Antonio, che a sua volta la consegnò a Tommaso, il quale attendeva con la mano aperta.
- È stato più facile del previsto - , disse sogghignando. - Ci avevano detto che avreste provato a nasconderlo - . Fece passare il suo sguardo furioso da Pantaleone a Bernardo, per poi tornare sul più anziano dei due.
Facendo un passo indietro mise la mano dentro la grossa sacca ed estrasse uno scrigno sorreggendolo con entrambe le mani. Era di legno grezzo, per niente lucido. Sembrava un oggetto come tanti. I due monaci iniziarono a sudare e Bernardo si schiarì la gola secca. Nonostante si sforzasse di deglutire, faceva fatica a idratarla. Tommaso mise mano alla piccola chiavetta di ferro inserita nella toppa e iniziò a girare.
- Fermo - , disse Alfredo squarciando il silenzio, mentre quella parola iniziava a rimbombare.
Tommaso si voltò guardandolo in cagnesco: - Che c'è? - , chiese furibondo.
Il giovane tentennò prima di dire, quasi sottovoce: - Non dovremmo guardare il contenuto, forse - .
L'omone si fermò valutando la situazione: - Hai ragione. Vai a portarlo fuori - , ringhiò al giovane. - Anzi, no. Vacci tu - , disse al più anziano dei tre.
Quest'ultimo uscì, mentre i due più giovani avvicinavano le spade ai due monaci, come da precisi ordini.
- Pregate sia ciò che cerca, altrimenti vi ammazzo, monaci - , gridò Tommaso.
- Ma... - , protestò debolmente Bernardo.
La spada di Antonio si avvicinò maggiormente al suo collo, barcollando. Entrambi avevano paura: sia la vittima, che il carnefice.
Passarono diversi minuti nei quali si sentì solo il respiro pesante del soldato più grosso. Fissava Pantaleone e Bernardo, gettando di tanto in tanto fugaci occhiate su quelle tessere appena posate.
Il quarto uomo entrò di corsa, spalancando il portone: - Non c'è - , gridò.
Tutti si misero sull'attenti e Tommaso balzò in avanti verso i due monaci sovrastando i giovani e le loro armi: - Dove avete messo i documenti? Ditemelo! - , urlò a squarciagola afferrando per la tunica un impietrito Bernardo.
I due giovani fecero un passo indietro sbalorditi, mentre il più vecchio, ancora in fondo all'entrata della cattedrale, avanzava gettando lo scrigno vuoto per terra.
- So dove devo cercare - , sussurrò Tommaso all'orecchio di Bernardo. - L'avevo capito subito - , poi lo lasciò cadere a terra e, percorrendo pochi metri verso l'altare e le tessere appena posate, gridò: - Distruggerò la tua cattedrale, Pantaleone - .
A quelle parole il vecchio monaco scattò verso di lui, scalciando i giovani che impauriti indietreggiarono. Sentirsi perdonati i loro peccati ancora prima di commetterli non era comunque sufficiente a portare fino in fondo due omicidi ai danni di uomini di fede.
Bernardo seguì immediatamente Pantaleone, che si parò davanti a Tommaso, davanti alle tessere circondate dalla corda: - Questa è la mia chiesa! Tu non puoi fare ciò che vuoi dentro il regno di Dio - , sbraitò facendo fermare tutti immediatamente.
Tommaso lo fissò incredulo, poi rise per alcuni secondi prima di scansarlo spingendolo via. Pantaleone cadde a terra come un fuscello secco, sbattendo il fianco contro il cemento ancora da ricoprire. Al suo posto si parò Bernardo, tremante: - Dovrai abbattere anche me, allora - .
Il soldato ricominciò a ridacchiare e provò a spingere anche lui, che però, a causa della sua stazza, non si mosse di un centimetro. Il sorriso dell'omone si trasformò in un ghigno malefico, estrasse la spada e tentò di affondarla nel petto del monaco, che però fu più svelto e si spostò. Tommaso provò ad attaccarlo di nuovo, ma Bernardo rispose con un calcio facendogli cadere l'arma troppo lontano per poterla riprendere.
- Tu, piccolo... come osi? -
Il soldato si fermò, guardando le tessere. Nell'edificio cadde un silenzio che durò pochi istanti. Quindi si avventò a mani nude sul giovane, facendolo cadere per terra. Entrambi rotolarono nella direzione del muro che separava la navata centrale da quella di sinistra. Tommaso riuscì a mettersi a cavalcioni sul monaco stringendogli le mani intorno al collo grassoccio, mentre Bernardo tentava invano di spingerlo via, con il viso sempre più paonazzo. Il soldato fissò intensamente gli occhi del monaco riempirsi di piccole venule rossastre e fu proprio a causa di questa sua disattenzione che non vide Bernardo portare la mano dietro di sé, tastando tra il materiale da costruzione posto vicino al muro. Il monaco afferrò un martello e lo tirò con forza sulla testa del soldato una volta, poi due volte. Schizzi di sangue gli inondarono il viso, mentre gli altri soldati si avvicinavano impugnando l'arma. Nel momento in cui Tommaso si accasciò mollando la presa, Alfredo trovò il coraggio di trafiggere la testa di Bernardo, attraverso un bulbo oculare, lasciandosi poi cadere a terra, dopo un ringhio selvaggio.
Il silenzio sembrò tornare a sopraffare tutto, mentre il sangue fiottava tra le tessere colorate e gli altri due soldati, insieme a Pantaleone, seguivano la scena, incapaci di muoversi.
In quel momento, l'ombra di una figura avvolta in una larga veste si stagliò in fondo alla cattedrale, attirando l'attenzione. L'uomo, che non aveva ancora varcato la soglia, disse tuonando: - Ora basta! - .
Entrò con fare solenne, con una mano sull'altra, entrambe appoggiate sul grembo. Il viso sollevato era sovrastato da un galero rosso, abbinato al color sangue della sua veste riccamente decorata e merlettata di bianco. Gli occhi saettavano ostili in tutte le direzioni, nonostante il viso e le guance flaccide fossero immobilizzate in una smorfia disgustata.
Si addentrò verso il centro della cattedrale ignorando i due cadaveri in lontananza.
- Che cosa succede qui? - , chiese con voce bassa e roca.
Pantaleone fece un passo avanti e si piegò in un inchino forzato.
- Sua Eminenza - , disse sottovoce fissando le tessere sotto i suoi piedi.
Il cardinal Ottavio Petroni, uno degli uomini di fede più influenti e vicini al papa, era lì, davanti a lui. Pantaleone aveva sottovalutato la pericolosità delle voci che aveva sentito.
Deglutì con forza e si obbligò ad alzare lo sguardo per non mostrarsi colpevole. In fondo, sapeva che stava facendo la cosa giusta.
- Sua Eminenza, non capisco cosa stia succedendo. Un mio confratello è stato barbaramente ucciso. Vi chiedo piet... -
- Sta mentendo - , gridò il giovane Alfredo, facendosi avanti con la spada ancora insanguinata. - Lui lo ha nascosto! - . Raggiunse Pantaleone con poche lunghe falcate e lo prese in ostaggio puntandogli nuovamente la lama alla gola.
Il metallo inumidito dal sangue di Bernardo gli sfiorò la pelle rinsecchita dall'età. Pantaleone fu costretto a trattenere il bisogno di mandare giù la saliva sempre più abbondante in bocca. Gli veniva da vomitare.
- Sua Emin... - , provò a dire di nuovo, non restava che negare.
- Parla - , urlò nuovamente Alfredo, rosso in viso.
- Calmatevi - , replicò il cardinale fissando intensamente il giovane, che spostò l'arma.
- Credo che questo giovanotto dica la verità - , aggiunse, fissando Pantaleone. - Avanti, dove si trova? Lo scrigno era vuoto. -
Il monaco iniziò a sentire caldo. Un senso di vertigine lo avvolse ma doveva tenere duro: - Non ho niente, non so davvero di cosa stia parlando, Sua Eminenza. Sono un umile uomo di fede che costruisce un mosaico per i posteri. Per rappresentare la parola del Signore - . Si portò le mani al petto incrociandole: - La prego di credermi. Sua Eccellenza il vescovo Gionata mi ha incaricato di questo compito che porto avanti con diligenza. Lui lo sa, le può spiegare tutto - .
Stava per iniziare a parlare nuovamente quando nuovi passi alle spalle del cardinale lo bloccarono. Le labbra serrate di Pantaleone si rilassarono. Sentiva che non c'era più niente da fare.
Il vescovo Gionata si trovava a pochi passi da lui, seminascosto dalla veste porporata. Il volto squadrato era basso e coperto da una folta barba nera, scura come l'abito talare che portava.
Quest'ultimo non disse nulla e Pantaleone capì che era inutile chiedere. Aveva scelto di stare dalla parte dei forti solo sulla base di alcune voci. Voci che forse era stato lui stesso a spargere. L'ideatore del mosaico non aveva voluto ascoltare i suoi confratelli quando gli dicevano che stava sorgendo in lui una specie di invidia per quello che stava facendo. Per fortuna le confidenze di Pantaleone si erano limitate al fedele Bernardo.
- Parla Pantaleone - , disse il cardinale, questa volta diretto a lui.
Tutti gli sguardi erano rivolti verso il monaco. I respiri sembravano non avere suono.
- Non so niente - , ripeté ancora una volta.
- Ebbene sia - , replicò il cardinale, duro. Poi si rivolse ai tre uomini rimasti: - Cercate in lungo e in largo, non deve rimanere neppure un centimetro non controllato - . Guardando di nuovo il monaco, aggiunse: - Se lo troverò, tu morirai - .
Pantaleone fissò le pietre colorate sotto di lui. Le sopracciglia inclinate ai lati lo facevano apparire triste e senza speranza. Ma non le sue parole. Mentre gli uomini setacciavano la cattedrale, disse: - Ma se non troverete niente, mi lascerete continuare. Giuratelo davanti a Dio - .
- E sia - , replicò Sua Eminenza.
Le ore passarono mentre gli scagnozzi del cardinale mettevano a soqquadro quel tempio di Dio, concentrando i loro sforzi sulla cripta, il luogo dove al momento venivano celebrate le messe e vi erano più oggetti e decorazioni. Al piano superiore l'odore pungente del sangue si faceva più forte e la macchia sul mosaico divenne sempre più larga, danneggiando un numero sempre più numeroso di tessere già incollate. Ma ormai non aveva più importanza, tutto si sarebbe giocato quella notte.
Pantaleone, ancora sotto tiro, recitò mentalmente una rapida preghiera per il povero Bernardo. Poi una seconda per quell'orrenda situazione.
- Non c'è niente - , dissero i due giovani salendo le scale, esausti.
Il monaco ringraziò Dio, incrociando lo sguardo truce del cardinale. Gionata invece guardava altrove.
Tutti si avvicinarono a lui, al seguito di Sua Eminenza. Erano così vicini alla recinzione che Pantaleone temette potessero capire che il tesoro era appena stato nascosto sotto alcune tessere spostate sul momento. Era stata un'impresa quasi impossibile in soli dieci minuti, eppure lui e Bernardo ce l'avevano fatta.
- E così hai vinto - , disse Sua Eminenza, non nascondendo l'espressione di disgusto.
Pantaleone alzò gli occhi al cielo: - Io non ho vinto. Ha vinto la trasparenza, la verità. Ha vinto Dio - .
Il cardinale fece segno ai suoi uomini e a Gionata di uscire. Quando restò solo con Pantaleone, si avvicinò all'area circoscritta per guardare le tessere.
Il cuore del monaco sussultò.
- Hai vinto, è vero - , ammise l'uomo. Strinse gli occhi sporgendosi verso le tessere posate più di recente. Stava guardando la pietra storta? Pantaleone non riusciva a smettere di fissarla, come se potesse spostarsi da un momento all'altro e rivelare il suo segreto.
Ti prego Dio..., pensò il monaco. L'aria intorno a lui si fece più calda.
- Sarebbe un peccato se scoprissi che avevo ragione e mi stai nascondendo qualcosa - , il cardinale continuava a parlare lentamente e serenamente, senza guardarlo.
L'aveva vista?
Si piegò sulle ginocchia e ignorando la corda ai suoi piedi andò oltre e sfiorò alcune tessere.
Una goccia di sudore scese lungo la fronte di Pantaleone e mille pensieri distruttivi attraversarono la sua mente spaventata. Scacciò tutto con il dorso della mano. Guardò quella di Sua Eminenza, ancora tra le pietre appena stese. Finché non arrivarono a quella piegata. Il dito paffuto la toccò e gli occhi dell'uomo di Roma si socchiusero.
Pantaleone chiuse i suoi, disperato. All'improvviso sentì una mano cingergli la spalla stringendo forte. Li aprì di scatto. L'uomo era in piedi accanto a lui e mollò la presa, muovendosi per andare via.
- Non è finita qui, tornerò. Troverò ciò che hai nascosto. -
Se ne andò così, senza sapere che ciò che cercava era sotto le sue dita, intatto e al sicuro. Pantaleone si accasciò a terra, tra le lacrime.
- Grazie Signore, ti ringrazio dal più profondo del cuore. Hai vinto Tu e vincerà la verità! Loro non scopriranno niente, ma un giorno lontano, un cuore aperto e una mente illuminata vedranno la verità tra le tessere e il mondo cambierà. È solo questione di tempo. -




Capitolo 1

Aveva l'impressione di essere chiuso dentro una piccola scatola a tenuta stagna; oppure di essere tornato in quel cilindro bianco dove all'età di otto anni, a causa di un guasto, aveva passato più di cinque ore temendo di morire asfissiato per una stupida risonanza magnetica. Eppure lì dentro c'era tutto, seppure in versione ridotta: un piccolo bagno, un corridoio dal pavimento ricoperto di moquette blu sul quale sgranchirsi le gambe, quattro comodi sedili in pelle nera intorno a un tavolo in noce e persino un minibar, incastonato in un piccolo cucinino. Ciò nonostante non riusciva a stare fermo. Aveva provato a contenersi e a rilassarsi, ma le gambe sembravano diventare sempre più pesanti. Alla fine il desiderio di scaricare l'ansia aveva preso il sopravvento e si era alzato per la sesta volta da quando erano partiti.
“Smettila di camminare avanti e indietro!”, era ciò che sembrava dire lo sguardo truce di Anthony, il suo unico compagno di viaggio, nonché superiore.
Paul rallentò, alzando gli occhi neri come la pece sull'uomo.
- Ne ho bisogno - , spiegò alzando le spalle muscolose. - Odio stare seduto a lungo! -
Ma Anthony lo afferrò per il maglione consunto e lo costrinse a sedere di fronte a lui, senza proferire parola. Poi gli passò una Bud in lattina. Paul la prese al volo e ne bevve un lungo sorso prima di soffermarsi a guardare il bicchiere appoggiato pochi centimetri oltre il suo, pieno fino all'orlo di scotch e ghiaccio.
- Scordatelo - , disse l'uomo. - Io sono il capo. Tu accontentati di quella! -
Era incredibile come davanti a una stessa situazione ci fossero reazioni completamente differenti: mentre il più giovane continuava a muovere le gambe e a masticare gomma, il boss sorseggiava alcolici da più di un'ora osservando il cielo nero dal piccolo finestrino accanto a sé.
Da quante ore erano in viaggio? Il tempo sembrava dilatarsi là dentro.
Il vecchio caravan cominciò a sobbalzare nuovamente. Gli ammortizzatori erano andati da un pezzo.
- Che succede ancora? - , gridò spazientito Anthony in direzione dell'uomo alla guida.
- La strada è sterrata, mi dispiace. Passerà presto, ma state seduti! -
Come no, Cristo!, pensò Paul. Un'ondata di nausea lo accolse all'improvviso, ma non poteva andare in bagno. La testa iniziò a girargli di nuovo per la lunga astinenza. Mise in bocca una nuova gomma e alzò la testa al soffitto, pensando a chi gliel'avesse fatto fare di imbarcarsi in quell'avventura. In quel momento poteva essere sulla branda sgangherata della sua tana. Così chiamava quel buco di casa abbandonato, ai margini del paese, nel quale era entrato rompendo una finestra. L'aveva osservato per mesi e, quando aveva avuto la quasi certezza che il locale fosse abbandonato, vi aveva preso possesso per dormire e farsi l'ennesima dose. Già, ma come l'avrebbe pagata? Ci aveva quasi rimesso la pelle per l'ultimo grammo a credito. Per fortuna il suo spacciatore era stato trovato accoltellato in un campo, ma lui non ne sapeva niente.
Gli occhi gelidi di Anthony misero fine a ogni pensiero, fulminandolo. Erano di un verde strano, quasi acido. Paul era convinto che fosse arrivato in alto a causa del suo carattere dispotico e freddo, ma a volte il pensiero che avesse un qualcosa di demoniaco prendeva il sopravvento.
Per un attimo il camper sembrò riprendere stabilità, ma durò poco. Una nuova scossa fece muovere dal suo alloggiamento la grossa scatola di cartone alla destra dei due passeggeri. Era annodata con della corda robusta a due ganci d'acciaio che sporgevano dalla parete interna del mezzo.
I due si voltarono di scatto verso quel carico. Paul si avvicinò per controllare che tutto fosse a posto. Passò le dita sulla scritta “Fragile”, ripetuta più volte sul nastro che circondava il cartone, accanto a un grosso teschio rosso sangue. Ritrasse la mano di scatto, come se il solo toccare quella scatola potesse provocare la fine del mondo e della razza umana.
- Se succede qualcosa al suo contenuto o se il pacco si rompe, sei finito - , ringhiò Anthony, osservandolo con le grosse sopracciglia brizzolate, quasi unite tra loro.
Paul lo guardò interrogativo, mentre il boss a passi pesanti si avviava verso il bagno. Quando era stato ingaggiato per quella missione, l'uomo si era posto in tutt'altra maniera, persuadendolo al volo. Gli aveva promesso la possibilità di fare un mucchio di soldi facili, attraverso un'operazione della massima segretezza. Avrebbe dovuto solamente consegnare un carico e stare zitto attenendosi ai suoi ordini. Niente domande, niente ripensamenti. Il tutto sarebbe durato poche ore.
Per Paul era stato facile scegliere, l'alternativa era morire di fame e di astinenza. Quando quel tipo dalle grosse spalle e dal collo tozzo si era presentato sfoggiando i suoi vestiti costosi, non aveva fatto storie. L'importante era la grana. Così tanta da permettergli di passare la vita a spassarsela. Forse gli avrebbe anche permesso di trovare finalmente una donna.
Si sedette sulla poltrona di pelle nera, al posto del boss. Nonostante Anthony si fosse appena alzato, era quasi fredda. Da quando erano saliti su quel camper avevano scambiato pochissime parole e il troppo silenzio stava facendo irrimediabilmente crescere la tensione.
- Dio, Dio, Dio! In cosa cazzo mi sono infilato? - , domandò a se stesso con un filo di voce. Le tempie tenute premute dalle dita continuavano a pulsare come tamburi. - Chissà cosa ci sarà là dentro? - , si chiese, sporgendosi verso il pacco per osservarlo più da vicino. La paura, su quel viso smunto e scavato dagli acidi, lo faceva sembrare quasi grottesco. - E se fosse una bomba? Oh cazzo! - , piagnucolò in un dialogo con la propria mente.
Si voltò verso il bagno, asciugandosi la fronte bagnata di sudore. La porta era ancora chiusa.
- E ora che cosa faccio? -
Paul si alzò di scatto e iniziò a guardarsi intorno. Doveva pur esserci qualcosa, un documento che identificasse il contenuto di quel cartone.
- Ok, calmati, forse non è come credi - , disse ancora, ma una vocina nella sua testa sembrava rispondere: “E com'è allora? Ragiona: sei un disperato che deve trasportare qualcosa di segreto e potenzialmente pericoloso. Cazzo, potrebbe scoppiarti in mano!”.
No, Paul non voleva morire. Né saltare in aria per una bomba che nemmeno lo riguardava. Una nuova vampata di calore salì in fretta verso il cervello, paralizzandolo. Davanti a lui tutto divenne confuso.
Anthony, chiuso nel piccolo bagno con le mani ancora bagnate, era rimasto a fissare la sua figura massiccia. Una profonda ruga solcava la fronte color latte, mentre altre più piccole andavano via via formandosi accanto agli occhi. Per avere solo quarant'anni, sembrava dimostrarne molti di più ed era già fuori forma. Per un attimo pensò ai rimproveri di sua moglie: - Passi troppo tempo a lavoro, devi riposare di più! E di noi, poi, ti sei dimenticato? - .
A volte non riusciva a sopportarla.
Ma il volere del suo capo veniva prima di tutto e proprio in quel momento, per quella missione così importante, era stato costretto a lavorare con uno smidollato da due soldi.
- Serve un disperato, un tipo pronto a tutto - , gli aveva spiegato il boss. - Dovrai portare pazienza e dovrai essere fermo al tempo stesso, affinché tutto vada per il verso giusto. -
Prima di rendersene conto, si ritrovò a tirare un pugno contro il muro, ma si costrinse immediatamente a riprendere il controllo. Il compito che gli era stato affidato avrebbe potuto cambiare le sorti dell'umanità.
- Certe cose prima o poi vengono a galla se non fatte nel modo giusto, dobbiamo fare attenzione - , gli aveva detto ancora.
Anthony fu scosso da un brivido, ripensandoci. Ma mancava poco ormai, erano quasi arrivati.
Un rumore improvviso, come un click dall'esterno, attirò la sua attenzione.
Uscì cercando con gli occhi Paul, il quale stava rapidamente tornando al suo sedile. La voce dell'autista annunciò che erano quasi arrivati a destinazione. Il giovane cercò di controllare il suo respiro, mentre Anthony lo fissava con diffidenza.
- Che è successo qui? - , grugnì.
- Niente - , si affrettò a rispondere Paul, improvvisamente immobile sulla poltrona.
Il mezzo frenò con delicatezza, quasi a volersi scusare di quel tragitto burrascoso. Anthony buttò giù le ultime gocce di liquore rimaste, frantumando con i denti i cubetti di ghiaccio ormai mezzi sciolti. Poi si alzò, facendo segno al compagno di slegare il carico.
Quando il motore fu spento, l'autista scese e aprì la grossa portiera posteriore. Un'aria gelida entrò nell'abitacolo. Là fuori un manto d'erba luccicante di rugiada sembrava estendersi per diverse centinaia di metri, delimitato da una lunga fila di ulivi che segnava il passaggio a un altro terreno, decisamente più curato.
Paul si avvicinò tentennante alla cassa. Mentre Anthony era stato via, si era accostato furtivo alla sua borsa da lavoro e aveva sbirciato i documenti chiusi in una cartellina. Non ci poteva credere, per un attimo si era sentito svenire.
- Che aspetti? - , domandò l'uomo, facendogli segno di afferrarla.
Paul slegò la cassa e la prese con le braccia tremanti, cercando di mantenere un certo contegno. Non sapeva più che fare: se si fosse opposto sarebbe morto, ma se non lo avesse fatto...
Una gocciolina di sudore gli scese lungo la tempia. Fingendo di non vedere il teschio rosso appoggiato al suo petto e cercando di mostrarsi calmo e nel pieno controllo di sé, iniziò a scendere i tre gradini della scaletta che portava a terra. Una raffica di vento lo colpì in pieno viso. Le gambe secche del tossicodipendente sembravano ondeggiare a ogni gradino. Il pensiero di dover aprire quella cassa triplicava i suoi battiti cardiaci. Tremava e stringeva più che poteva quel cartone. Il pericolo di vederlo cadere ai suoi piedi gli toglieva il fiato.
Le sue scarpe di tela affondarono nell'erba alta. Paul fece qualche passo in avanti nella radura, poi si fermò voltandosi in cerca di Anthony. Non riusciva a scorgerlo nel buio. In compenso un grosso leccio frondoso dalle foglie cupe e spente aumentò il suo senso di inquietudine dondolando pericolosamente.
- Avanti, devi arrivare a quel cespuglio - , gridò il capo. La voce sembrava lontana. Il boss non doveva neppure essere sceso dal camper.
Paul pensò che poteva iniziare a correre con il carico tra le mani per portarlo via da quell'uomo, il più lontano possibile. Ma le prime abitazioni erano ad almeno sette o otto chilometri di distanza. Fuori dalla portata persino di un corridore. E se la scatola fosse cascata per terra? No, non poteva accadere.
Continuò a camminare tra i rovi che ora gli sfioravano la vita. Una volta vicino al punto indicato, si fermò, accorgendosi che aveva fatto quel tragitto trattenendo il respiro. Non arrivò nessun altro ordine. La confezione era leggera, ma il vento continuava a scuoterla, spaventandolo terribilmente. Lui non aveva speranze, ormai ne era certo, e non sarebbe neppure riuscito a bloccare ciò che stava per accadere. Ma forse avrebbe ancora potuto fare qualcosa. L'unica possibilità era il cellulare. La foto che aveva fatto ai documenti. L'avrebbe spedita a qualcuno ma... a chi? Era solo come un cane.
- Cosa devo fare? - , chiese disperato, non riuscendo a controllare l'incrinatura della voce.
Nessuna risposta.
Paul, seminascosto nell'erba, spostò il peso della confezione su una sola mano mentre con l'altra cercò il cellulare nella tasca. Accese il display cercando di non farsi vedere e lo schermo illuminò l'erba sotto di lui. Avrebbe mandato il messaggio a qualunque numero in rubrica.
- Dove lo metto? -
Fu in quel momento che, muovendo di poco la testa, Paul notò una specie di cavità naturale nel terreno, larga abbastanza da poter accogliere la scatola senza farla rovesciare.
- Posso metterla qui? - , chiese voltandosi.
Anthony era finalmente sceso dal caravan e indossava un paio di guanti neri. Si diresse rapido e sicuro verso di lui. Stringeva una pistola e lo guardava da lontano con due occhi totalmente inespressivi che pietrificarono il giovane.
Paul fece un passo indietro, sconvolto. Comprese immediatamente cosa sarebbe successo di lì a poco. Doveva mandare la foto a qualcuno. Ma quando premette i tasti per inserire il codice personale, l'altra mano sembrò perdere il carico e si ritrovò a dover gettare il telefono per terra.
Il cuore di Paul iniziò a battere all'impazzata e le mani diventarono improvvisamente umide, mentre Anthony osservava la distesa erbosa. Non sembrava aver visto nulla di quel telefono.
- Dove ti pare, basta che ti muovi, coglione - , disse il boss gelido. - Aprila! -
Paul guardò il telefono, la tenue luce che attraversava i sottili fili d'erba all'improvviso si spense. Strinse gli occhi impercettibilmente, per il dispiacere. Quell'unica possibilità era stata bruciata.
Si girò lentamente e iniziò a camminare, con la testa appoggiata sulla grossa scatola. Non si accorse però del masso posizionato sul suo percorso e vi inciampò, facendo volare il cartone. Come in una rappresentazione in slow motion, la guardò librarsi in aria mentre un grido usciva lentamente dalla sua gola. Allungò le mani per recuperarla, ma la scatola cadde con un tonfo per terra, direttamente nella cavità, prima che lui potesse anche solo sfiorarla.
Nel panico, il giovane si avvicinò al cartone mentre Anthony gridò: - Che stai combinando? - .
Prima che potesse arrivargli vicino, Paul si piegò per tirare su la scatola. Sembrava così leggera, anche più di prima. Solo quando la sollevò totalmente si accorse che nell'impatto si era aperta facendo fuoriuscire ciò che conteneva. Fece immediatamente un passo indietro.
- Dio - , si lasciò sfuggire piagnucolando, mentre Anthony lo fissava da sopra la buca.
- Eh, allora? - , ringhiò l'uomo puntando l'arma contro il giovane. - Ti avevo detto che sarebbe stato breve, non che ti sarebbe piaciuto, coglione. Ora muoviti, abbiamo altro da fare! -
- Mi... mi ucciderai? - , chiese, con gli occhi pieni di lacrime. Cercò una pietà che non c'era mai stata. - Ti prego, non dirò nulla. Lasciami andare, non posso continuare. Ok, mi va bene anche solo una piccola parte di quanto promesso... per poter sopravvivere finché non trovo altro, sai... qualche spicciolo. -
Anthony lo fissò senza muovere un singolo muscolo. Sorrideva leggermente. Era difficile capire se le sue labbra appena contratte rappresentassero comprensione oppure derisione. Guardò Paul dondolare avanti e indietro, con il volto rigato di lacrime. No, aveva visto troppo, il carico era arrivato, ma lui non sarebbe tornato a casa. Senza esitare sparò un colpo che mancò il bersaglio. Voleva terrorizzarlo. Paul provò a scappare ma le sue gambe erano troppo deboli per permettergli di arrivare illeso al caravan, o chissà dove.
- Cosa pensi di fare, stronzo? - , disse infine Anthony, senza muoversi di un passo. - Puoi aiutarmi e goderti le tue ultime ore di vita oppure passare all'altro mondo subito. Ma una cosa è certa: non tornerai mai a casa. Non dopo quello che hai visto! -
E.C.Cann
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