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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Irina Boicova
Titolo: La Maledizione dello Spirito Immortale
Genere Fantasy Romantico
Lettori 3613 37 56
La Maledizione dello Spirito Immortale
Più Potente Di Tutti i tempi.

Il primo battito.

In quella notte buia le grida furono strazianti. I piedi battevano forte sul suolo, inciampavano, i corpi cadevano per terra. Lo scricchiolio di ossa frantumate era seguito da urla di agonia. Il sangue schizzava sulle pareti di legno, sui tronchi degli alberi, sull'erba nera. E oltre quelle urla, ossa frantumate, grida, richiami disperati e lamenti di agonia, si udiva sovrastare un ruggito basso: il ringhio della bestia. Un sibilo che pareva propagarsi dentro la mente, penetrare fino all'anima.
Nella fuga, la bambina inciampò e, come tanti altri prima di lei, si ritrovò per terra. Nonostante il terrore cieco che l'attanagliava, osò voltarsi. Sua madre cadde poco più indietro, alzò la testa verso di lei, con il viso imbrattato di fango e sangue. I suoi capelli, sempre lucidi prima, erano adesso arruffati e incrostati. La sua mano si allungò, ma era troppo lontana. La bambina tremò al pensiero di fare un solo passo da lei, verso il mostro. Nell'aria, l'ennesimo urlo straziante, la fece sussultare, ma subito dopo piombò il silenzio.
Durò un battito di cuore, ma a lei parve infinito.
TUM.
I lamenti cessarono.
TUM.
Quel ringhio, quel respiro pesante, vibrante, che solo un mostro ancestrale poteva produrre, si fece più forte.
TUM.
L'energia nera della bestia si propagò sopra il corpo di sua madre. Lei lo vide. Ciò che pareva avere sembianze umane, con due gambe e due braccia, avanzò. Era il triplo di un uomo. Era avvolto dalle nubi nere che si dilatavano dal suo corpo, rendendo i suoi contorni sfocati e indefiniti. Gli occhi, ciascuno grosso quanto la sua testa, rossi come brace, ardevano nelle fessure della maschera nera che celava le sue fattezze. Una maschera di ossidiana levigata che si interrompeva appena sotto il naso, per lasciare la sua bocca dai denti aguzzi, la libertà di divorare.
TUM.
Il braccio del demone si schiantò contro il corpo di sua madre. Le ossa si sfracellarono all'istante. Il sangue spruzzò sulla maschera lucida. Lui si leccò la goccia che gli era finita sulle labbra nere. E gli occhi rossi puntarono sulla sua ultima preda.
TUM.
Il silenzio calò giù come a portarle pace, ma il cuore della bambina batteva così forte che sentiva un rombo continuo alle orecchie. Percepiva il calore invaderle la faccia, le lacrime le pizzicavano gli angoli degli occhi e il terrore le impediva di fare alcun movimento.
TUM.
La bestia, adesso con estrema lentezza, come se sapesse di aver quasi finito il suo lavoro, si scostò da ciò che era il corpo di sua madre. Si alzò in piedi. Avanzò. I passi fecero vibrare la terra, come se pure quella ne fosse terrorizzata. Alzò la mano avvolta dal fumo nero contro la bambina. Un ghigno di pura malvagità e soddisfazione si disegnò sotto la maschera della bestia, creando uno strano contrasto tra le zanne bianche come neve e le labbra nere come la notte più buia. L'energia demoniaca si formò nel suo palmo aperto.
La bambina, quella notte, aveva visto gli effetti di quel gesto. Boblin, lo stalliere del villaggio, era stato colpito in pieno. Il suo corpo si era strappato come una vecchia stoffa logora. Il suo sangue era schizzato così lontano da imbrattare la finestra della sua cameretta, dall'altra parte della strada. La bambina aveva visto oltre il vetro, cosa faceva quella bestia.
TUM.
Non avrebbe saputo spiegare come o perché, proprio in quel momento, il terrore l'abbandonò all'improvviso, lasciandole fare un lungo respiro. Il cuore smise di battere all'impazzata e una strana sensazione di sollievo la pervase, essendosi liberata da tutta quella tensione. Rimase la rabbia. Forse fu quella, forse fu la tipica incoscienza dei bambini o la consapevolezza che tutto fosse ormai perduto. Fatto sta che la bambina si alzò in piedi. La bestia, a quel movimento, abbassò di poco la mano. Gli occhi ardenti la scrutarono tra il curioso e il divertito.
- Tu non mi ucciderai! - gridò con furia.
Una risata maligna sbottò dalla bocca della bestia. Il fumo intorno a lui si contrasse. La mano tornò al suo posto, pronta a colpire.
- E perché mai non dovrei ucciderti? - fu la risposta del Demone, dalla voce così profonda da farle vibrare le ossa, come se le penetrasse dentro, l'attraversasse. Era seguita da mille sussurri delle anime che aveva divorato per millenni.
- Perché sarò io a uccidere te! Quando sarò più grande e più forte, io ti troverò e ti ucciderò! - sbottò con tono la bambina, ora non più sorpresa, ma ben convinta delle sue parole.
Di nuovo la bestia rise di lei, ancora più forte.
- Allora va' - le fece con ghigno.
TUM.
E disse, in tono abbastanza serio da farle tornare la paura:
- Vattene per diventare grande. Quando sarai forte, mi verrai a cercare, per uccidermi - .
Si erse in tutta la sua statura e il tempo di farsi avvolgere dal suo fumo nero, scomparve nella notte, lasciandosi dietro un'unica sopravvissuta nel silenzio dei suoi morti.
TUM.

Il suo nome

Quel mostro che aveva sembianze di un bruco gigante verde acido e tutto coperto di bava, era talmente insulso che lui, conosciuto come lo Spirito Immortale Più Potente Di Tutti I Tempi, non avrebbe nemmeno degnato di uno sguardo. Invece era lì, a guardare la lotta in cui il bruco era impegnato e che, a veder bene, stava pure perdendo.
Si batteva contro una ragazzina dai lunghi capelli corvini e riflessi violacei. Gli occhi, viola come prugne, seguivano i movimenti del mostro, tranne quando diedero il segnale al lupo nero. Quello balzò sul fianco del nemico immergendo le zanne nel collo del bruco. Allora la ragazzina fece schioccare la sua energia magica. La scia violacea sfrecciò dalle sue mani abbattendosi sul corpo del mostro. La bava sporcò il prato. Il bruco si contrasse, sibilò per il dolore e la rabbia. Poi si afflosciò sull'erba e smise di respirare.
- Bravo Koko! - la ragazzina si gettò sul pelo sbavato del lupo. Quello, tutto contento per aver svolto bene il suo lavoro, le leccò il viso. Lei provò a ripararsi, ma così facendo ottenne una bella linguata sui capelli.
- Bah - sbottò Ragdad schifato, ma non si mosse fin tanto che la ragazzina e il suo lupo non se ne furono andati. Quindi scese volteggiando dalla cima dell'albero su cui si era appostato. Girò intorno al bruco. Era classificato come creatura di classe B+, uno di quei mostri che Ragdad non avrebbe osato nemmeno divorare, tanto li considerava insignificanti.
- Fino all'anno scorso non era capace di toccare un classe C - pensò a voce alta. Gli sfuggì un sogghigno. - Sta proprio migliorando - .

Era raro che la ragazzina e il suo lupo nero si avvicinassero ai centri abitati. Ma di tanto in tanto ne facevano tappa per acquistare il necessario per il viaggio, scambiare il bottino con il denaro e assumere missioni per scovare altri mostri. Ragdad, nella sua forma di Spirito, li seguì nel villaggio chiamato Siron, un piccolo sobborgo di pietra sulla riva del fiume Acquagrigia. Era la stagione del vento, gli alberi si erano tinti di arancione e quando tutte le foglie sarebbero cadute, il gelo avrebbe ghiacciato il fiume. Per cui era il periodo dei mercati, un'occasione per fare provviste per i prossimi giorni di neve.
- Cosa ne dici Koko? Andrà bene questo mantello? - diceva la ragazzina rigirandosi tra le mani incrostate di bava, una mantella di un nero scolorito. Il lupo piegò la testa, ma come sempre accadeva quando lo Spirito era nei paraggi, il pelo sul dorso si rizzò.
- Ragazzina, andrà benissimo! - canticchiò il mercante. - Pensa che costa solo due monete. Tiene tanto, tanto caldo. Ed è solo di terza mano! -
Un ringhio soffocato venne in risposta dal lupo di nome Koko. La ragazza si voltò a guardarlo.
- Azzardati a ringhiare ancora, sacco di pulci - minacciò Ragdad dal Mondo degli Spiriti, - e vi squarto a tutti e due qui stesso! - .
A quelle parole il lupo guaì. La ragazzina lo guardò curiosa prima di riportare la sua attenzione al mercante.
- Due monete per un manto di terza mano? -
Ragdad lanciò un'occhiataccia al lupo. Quello, se pur avesse ancora il pelo teso e le orecchie tirate all'indietro, non lo ricambiò.
Sacco di pulci, pensò il Demone tra sé. Se Koko fosse stato un lupo normale, non avrebbe percepito la presenza dello Spirito invisibile. Koko, appunto, normale non era. Era una Creatura Divina, il cucciolo di una lupa indemoniata che la ragazzina dagli occhi viola era riuscita a sconfiggere l'anno precedente. In realtà, ragionò Ragdad, se non fosse stato per lui, sarebbe finita sbranata. Ma non poteva permettere che accadesse. Così era stato costretto a intervenire. Aveva lanciato la sua energia un istante prima che arrivasse quella magica di lei, giusto per non farsi scoprire. La lupa era crollata a terra e il suo cucciolo aveva così deciso che quella ragazza sarebbe stata la sua padrona.
- Ragazza, mia cara, da questa parte - una vecchia vestita di stracci si aggrappò al suo braccio. - Sei una Magica, vedo. Vieni nel nostro emporio, abbiamo fantastici amuleti della tua terra natia! Vieni, mia cara, non avere paura - .
La ragazzina la guardò con dubbio. Ragdad seguì il suo sguardo sull'insegna dell'emporio. “L'Occhio del Futuro”, recitava la scritta incisa a fuoco nel legno. L'ingresso era una porta malandata e la vetrata era rattoppata da assi di legno inchiodati.
- Guardi, avrei da fare - protestò la ragazza.
- Ma cosa mai avrai da fare? - piagnucolò la vecchia.
Non è il genere di posto in cui andrebbe, pensò Ragdad.
- Non vuoi conoscere il tuo futuro, mia cara? - non si lasciò sconfiggere la vecchia.
- Conosco già il mio futuro - rispose seria la ragazza.
- Allora vieni a vedere se è vero - .
Detto ciò la vecchia la spinse verso la porta. Lei roteò gli occhi esasperata, però fissò l'insegna e infine fece segno al lupo di seguirla. Ragdad sbruffò, ma li seguì di rimando.
- Da questa parte, vieni mia cara, vieni - canticchiava la vecchia facendosi largo in un corridoio stretto tra scaffali stracolmi di robaccia. - Ecco qui, c'è mia sorella Osmelia dietro questa porta, è famosa in tutta Gorengrud, mia cara. Per una sola moneta leggerà il tuo futuro! -
- Conosco già il mio futuro - ripeté la ragazzina, ma le porse una moneta.
La sorella che leggeva il futuro fu una donna non troppo avanti con l'età. Teneva le mani intrecciate e gli occhi chiusi. Una massa di capelli corvini ricci le incrociava il viso pallido. Sedeva dietro un tavolone di legno massiccio, abbastanza grosso da invadere l'intera stanza e ricoperto di oggetti di ogni tipo: dalle sfere bianche a quelle nere, da carte che leggevano il futuro a talismani divinatori. Filtrava poca luce dalla finestra rattoppata e questo contribuiva a creare un'atmosfera soffocante e l'aria viziata.
La ragazza si sedette sullo sgabello. Il lupo poggiò il sedere per terra. Ragdad incrociò le braccia al petto, poggiando le spalle al muro. La Divinatrice Osmelia aprì le palpebre.
- Le- - e si bloccò sbarrando gli occhi. Le unghie verde smeraldo si conficcarono nelle nocche. Pareva le si fosse gelato il sangue. A quella strana reazione la ragazza si girò a guardarsi le spalle, ma non vedendo nulla tornò a guardare dritto.
- C'è qualcosa che non va? - soffiò.
- Di' solo una parola sulla mia presenza - ringhiò Ragdad, - e ti sgozzo qui, adesso - .
Il pelo di Koko si rizzò fino alla punta della coda, ma il lupo sapeva bene come rispettare la presenza dello Spirito. La Divinatrice, che non lo aveva mai visto, lo capì a sua volta, perché deglutì nervosa e distolse subito lo sguardo dal Demone.
- Perdonami, mia cara, delle volte percepisco il futuro senza volerlo e il tuo mi ha, decisamente, colta di sorpresa - e nel dirlo lo sguardo le sfuggì su Ragdad. Il Demone approvò quell'uscita.
- Allora - cercò di ricomporsi Osmelia. - Ti dirò del tuo futuro - .
- Conosco già il mio futuro - disse per la terza volta la ragazza.
- Ah, lo conosci? Di solito mi capita l'esatto contrario - cinguettò la donna. - Sono curiosa adesso. Perché non me lo racconti? -
La ragazza disse:
- Io sono destinata ad affrontare Gradrisar, lo Spirito Immortale Più Potente Di Tutti I Tempi - .
A quelle parole la Divinatrice esalò un sospiro carico di tensione, ma di nuovo provò a ricomporsi. Si aprì in un sorriso di sconcerto.
- Ma mia cara, perché mai ti sei convinta di una cosa simile? -
- Perché io sono l'unica sopravvissuta. Gradrisar mi ha risparmiata affinché io possa ucciderlo in futuro - .
- Hai promesso a Gradrisar di ucciderlo e lui ha accettato? -
- Esatto - .
Osmelia boccheggiò. Ragdad le mandò un sogghigno soddisfatto. Sì, era tutto vero.
- Mia cara - disse a quel punto la Divinatrice facendosi seria, tanto che s'inclinò in avanti. - Hai perfettamente ragione. Non potrai sottrarti al destino che ti sei scelta. Arriverà davvero il giorno in cui tu e lo Spirito Immortale Più Potente Di Tutti I Tempi v'incontrerete. Capisci, adesso, il perché del mio stupore poco prima? -
- Certo lo capisco - rispose la ragazza per nulla turbata. - Come le avevo detto: conosco già il mio futuro - e si alzò dallo sgabello scricchiolante.
- Ti prego, cara, di' a mia sorella Lisia di tornarti la moneta. Non voglio essere pagata per un lavoro non svolto - .
La ragazza fece un cenno con la testa e andò via chiudendosi la porta alle spalle, seguita dal suo lupo con il pelo rizzato.
A quel punto Osmelia piantò gli occhi sullo Spirito invisibile che la guardava beffardo.
- Segui quella ragazzina da quel giorno? -
- Da quindici anni, per la precisione - rispose Ragdad.
- Perché mai? -
- Perché quella lì sarebbe morta esattamente tre giorni dopo. Come potrebbe mai affrontarmi se rischia di crepare un giorno sì e l'altro pure? -
- Ma non riuscirebbe mai a ucciderti - soffiò la Divinatrice.
A Ragdad venne da ridere.
- Certo che no! -
- Allora perché? Perché le hai risparmiato la vita, per poi condannarla a una morte ben peggiore? -
- Perché mi annoiavo - fece spallucce. Poi si stiracchiò aprendo le braccia e disse:
- Le vado dietro, prima che si faccia uccidere da un verme di classe B - .
Stava per sparire oltre il muro quando Osmelia trovò il coraggio di gridargli contro:
- Come si chiama? Il nome della ragazza, come si chiama lei? -
Ragdad si bloccò con un piede dentro e uno fuori dal muro. Inarcò il sopracciglio.
- Non lo so - .
- La segue da quindici anni e non conosce il suo nome? -
Lo Spirito Immortale rimise entrambi i piedi nella stanza. Portò la mano al mento con aria pensierosa. Si grattò dietro la nuca e tornò a fissare il soffitto.
- Non ne ho proprio idea - ammise. - Sta sempre sola. Il lupo si chiama Koko, che nome da imbecille. Però non gli ha mai detto il suo nome. I mercanti la chiamano “ragazzina, bambina, signorina". Quindi, credo di non averlo mai saputo - .
La Divinatrice era rimasta a bocca aperta, tutta intontita. Nella sua stanza delle divinazioni stava un vero Spirito Immortale, lo Spirito Immortale. Per la precisione, era conosciuto con il nome di Gradrisar, lo stesso Demone che, in quel momento, stava conquistando tutte le terre del sud, con l'appoggio d'innumerevoli casate della peggiore specie. Ma, prima di fare guerra nelle terre del sud, esattamente quindici anni fa, aveva scorrazzato per le terre del nord. All'epoca il suo unico scopo pareva essere la distruzione fine a se stessa. Vagava senza una direzione stabilita e non lasciava alcun sopravvissuto dietro.
- Insomma, tu ignori il nome della ragazzina che proteggi da quindici anni - sentenziò Osmelia. Ragdad non parve apprezzarlo perché incrociò le mani sul petto e la guardò torvo.
- E allora? - sbottò.
- Beh, sembra una cosa così stupida - buttò lì la Divinatrice chiedendosi intanto perché mai non si tappasse la bocca.
Gli occhi neri dello Spirito si accesero di rosso. Osmelia trattenne il respiro.
L'indice pallido di Ragdad puntò la Divinatrice.
- Ebbene, lo scoprirò - .
Sparì in uno sbuffo di fumo nero.

La tappa al villaggio Siron per lei e Koko era obbligatoria. Non tanto per il pesce fresco pescato nelle Acquagrigia o i mantelli svenduti al mercato, sfilati da qualche cadavere nelle terre del sud. No, era per la quantità di missioni disponibili da quelle parti. Oltre il fiume, infatti, si apriva una landa di terre collinari, pochi residui di foreste e nulla di caratteristico ad attirare gli avventurieri. Per questo i mostri di bassa categoria prosperavano da quelle parti indisturbati, tra le terre di nessuno. Lei aveva bisogno di batterli per diventare più forte. Fu per quello che, lasciandosi alle spalle l'emporio dell'Occhio del Futuro e la piazza del mercato, s'inoltrò nel villaggio.
Il Centro Missioni era stato allestito all'interno di un pub che puzzava di pesce marcio e vomito fresco. Dovette farsi strada a gomitate tra i marinai ubriachi e zozzoni di ogni tipo, scavalcare un Demone svenuto per terra e raggiungere così il tabellone. Prese a scorrere con attenzione le pergamene ingiallite.
Classe A+, addirittura un classe SS erano i mostri cui si chiedeva di dare la caccia. C'era un classe F, il più basso della categoria, talmente basso che sarebbe stato uno spreco di tempo. Il suo livello era cresciuto abbastanza da affrontare un classe A o superiore. Non avrebbe voluto rischiare troppo, ma poiché non c'era traccia di mostri C o B, alla fine si decise a scegliere quello di classe A+.
- Va bene Koko - . Strappò la pergamena con il disegno del mostro e lo scarabocchio di una mappa che indicava dove scovarlo. - Ci toccherà battere un bel bestione a forma di serpente gigante! - ridacchiò alle sue parole, ma non avendo risposta si girò. Koko non era dietro di lei come si aspettava. Virò lo sguardo a destra e sinistra, scrutò nella folla del pub, lo chiamò sopra il frastuono. Ma di Koko non c'era traccia.
Una paura, come quella che non ricordava di provare da tempo, la pervase. Urlò il nome di Koko a ogni angolo del villaggio. Strattonò i passanti chiedendo loro di un lupo nero, ma quelli la spinsero via indignati e certi la minacciarono pure di riempirla di botte. Corse per ben tre volte sul molo, lanciando occhiate all'acqua, quasi avesse timore di scorgere il pelo del suo amico. Non lo trovò morto, anzi non lo trovò affatto e quando il giorno ebbe fine, la sua paura si trasformò in disperazione.
Fu con le lacrime che sgorgavano a fiotto che tornò nella piazza del mercato. I commercianti si erano chiusi nei pub a festeggiare le vendite, gli acquirenti erano ripartiti per le loro dimore, le navi da pesca erano andati al sud e quelle dei mercanti di pellicce erano tornati al nord. Esausta per tutte le paure e la folle corsa, si lasciò cadere sul bordo della fontana. Si sporse per raccogliere l'acqua con le mani. Bevve un sorso, ma prima che potesse riprovarci, sentì un verso familiare alle spalle.
Koko, il suo amato lupo, le correva incontro, con la coda tanto agitata da mulinare in aria. Si lanciò su di lui, incurante di fargli male. Lo strapazzò tanto da arruffargli il pelo e lui, pieno di gioia, la leccò dalla testa fino ai piedi.
- Sono felice che abbia ritrovato la sua padrona - .
Nella frenesia del momento, non si era accorta della presenza di una persona. A quel punto guardò oltre il suo lupo e vide un ragazzo o un giovane uomo, non sapeva per certo. Dall'aspetto pareva avere la sua età, forse poco più. Aveva il viso pallido, tipico della razza dei Demoni, e gli occhi a mandorla neri come il carbone, anche quella cosa tipica. I capelli, ancora neri, erano scompigliati intorno al collo. Un lungo mantello blu notte lo ricopriva per intero. Lo sguardo però non sembrava affatto di un ragazzo sprovveduto, anzi era tipico degli adulti, di quelli che sapevano come andava il mondo, era uno sguardo da vissuto.
- Sei stato tu a ritrovare il mio lupo? -
Sul viso dello sconosciuto si dipinse un sorriso largo, ben definito che a lei ricordò vagamente la forma della bocca dei serpenti. Piuttosto che essere sgradevole, s'incastrava così bene nei lineamenti e con gli occhi scaltri da risultare perfetto. Una fila di denti bianchi e regolari completò un viso, che lei definì, essere decisamente bello.
- Sì, vagava confuso e in preda al panico questo pomeriggio tra le vie. Seguiva ogni passante. Ho capito che cercava qualcuno, così ho deciso di aiutarlo - .
Lei si aprì in un sorriso enorme.
- Ti ringrazio con tutto il cuore! Non sai che piacere mi hai fatto! Posso ripagarti, ho dei denari ancora con me - .
- Per così poco - ridacchiò il ragazzo. - Non preoccuparti - .
- Koko è tutto ciò che possiedo - disse lei.
- Koko, che nome curioso. Ma non è un vero lupo o forse sbaglio? -
Lei fu contenta che lo avesse capito.
- No, infatti. Koko è una Creatura Divina - .
- Sembri ancor più affascinante della tua Creatura - fece lui ammirato. - Se ti circondi di un lupo che lupo non è, chissà quante meraviglie avrai visto! Ti prego, dato che avresti voluto sdebitarti, perché non mi concedi il piacere della tua compagnia e mi racconti le tue avventure? -
Lei coccolò la testa del suo lupo dal pelo sempre rizzato. La giornata era stata pesante e adesso che aveva ritrovato il suo amico, si era rasserenata.
- Va bene - si decise. - Ma pago io, te lo devo - .

Fu così che per ben tre ore rimasero nel pub, il meno squallido della zona. Davanti a due bicchieri di birra, che erano riempiti ogni volta che si svuotavano, la ragazza raccontò le sue imprese. Lui seguiva i suoi discorsi con estrema attenzione, mentre Koko era sprofondato nel sonno già da tempo.
- La Foresta dei Silenzi, l'hai mai visitata? -
- No, mai - disse lui, - ma ne conosco la leggenda. Si dice che sia possibile entrarvi, ma impossibile uscirne. Nessuno è mai tornato da lì - .
- Io ci sono entrata - raccontò la ragazza, - e sono pure uscita - .
- No, non ci credo - fece lui mandando giù una lunga sorsata. - Se fosse vero, mi potrai dire come se ne esce - .
- Ebbene, ero ancora una bambina quando l'attraversai. Avevo sentito delle voci su quel luogo in un sobborgo da cui era passata. Ma non ho mai avuto timore delle voci, figuriamoci dei silenzi. Quando entrai nella foresta, in effetti, era tanto silenziosa da farmi dubitare di aver mai ascoltato il silenzio in vita mia. Era così ovatta e grave, metteva i brividi. Ma poi accadde qualcosa - .
Il ragazzo si sporse verso di lei, per non perdersi una sola parola.
- La Foresta dei Silenzi, non è affatto in silenzio - .
- Che vuoi dire? -
- Le anime intrappolate... loro cantano - .
- Cantano? -
- Sì, cantano. All'inizio mi sembrava un soffio, qualcosa di flebile e indefinito. Allora io prestai più attenzione e quel soffio diventò una nota, come una musica. Più la ascoltavo e più si definiva. Alla fine erano tante voci, cantavano un motivetto che mi faceva sentire triste. Poi le anime si mostrarono a me, volteggiandomi intorno, ballando sulle note della loro canzone. E siccome io li ascoltavo, loro mi condussero all'uscita - .
- Ma è straordinario! - sbottò il ragazzo.
- Per uscire dalla Foresta del Silenzio - spiegò la ragazza, - basta ascoltare il silenzio, è questo il desiderio delle anime che ne sono intrappolate - .
Il ragazzo si chiuse nei suoi pensieri, come a immagazzinare quell'informazione. Quindi tornò a fissarla con meraviglia e le chiese:
- E dimmi, non sarai mica stata nella Valle dei Morti? -
- Sì che ci sono stata. Sono entrata e ne sono uscita! -
- Scherzi? Allora sarai una Guerriera formidabile! -
- Nient'affatto - fu la risposta di lei. - A dir il vero, non credo di poterne uscire se ci tornassi oggi, che per lo meno sono diventata più forte - .
- Non è possibile uscire dalla Valle se non si è forti - la contraddisse con un sorriso che pareva voler scoprire l'inganno. - Quella Valle ha forgiato i Guerrieri più potenti dalla Genesi dei mondi. Solo il più forte può sperare di superare le orde delle Creature Divine che annidano da quelle parti - .
- All'inizio anch'io la pensavo così, e bada bene, se pur fossi piccola non ero tanto stupida da volerci entrare di proposito. Avevo smarrito la strada e mi resi conto di dove mi trovassi solo quando iniziai a essere perseguitata dalle creature. Provai in tutti i modi di difendermi e lottare, ma appena ne abbattevo uno, altri due prendevano il suo posto. Alla fine, esausta, mi arresi. Tanto valeva che mi sbranassero e il più in fretta possibile. Allora abbassai le mani e attesi. Ma non accadde nulla. Sai perché? -
- Non me lo spiego - .
- Perché loro combattono solo contro chi li combatte. Quando smisi di lottare, loro smisero di aggredirmi e io potei percorrere l'intera Valle senza che mi sia stato tolto un solo capello - .
- Tutto questo ha dell'incredibile! - esalò il ragazzo.
Ma l'attenzione di lei si era rivolta alla finestra dai vetri resi opachi da anni di sporcizia. Il cielo era totalmente nero. Nessuna delle tre lune illuminava il paesaggio. Ebbe un brivido. Non si fermava mai nei centri abitati a notte fonda. Scattò in piedi.
- Mi dispiace, ma si è fatto davvero tardi e io non dovrei affatto trovarmi qui! -
- Il tempo è volato, in effetti. Ma potrei farti compagnia, se temi i mostri della notte - .
La ragazza sorrise a quelle parole. Koko si era già rimesso in piedi. Si stiracchiò per bene, si scrollò il pelo rizzato e aspettò che la sua padrona si congedasse.
- Non è necessario, ma ti ringrazio di cuore. Parlare con te è stato molto bello, ma adesso devo proprio andare! -
Non aspettò risposta. Lanciò le monete sul muso del barista mezzo addormentato e con un ultimo cenno salutò lo sconosciuto.
- Aspetta! - lui le corse dietro. Nella notte buia la sagoma della ragazza e il suo lupo erano a malapena distinguibili. - Non mi hai detto il tuo nome! -
- Ah, è vero - la sentì rispondere nella notte. - Allora se ci dovessimo incontrare ancora una volta, ti dirò il mio nome! -

Una perfetta sconosciuta

Osmelia era una Sacerdotessa di prima categoria. Aveva iniziato quel percorso fin dalla tenera età, insieme alla sua sorella maggiore. Ma ben presto era stato chiaro che lì dove peccava Lisia, Osmelia eccelleva. Aveva imparato a leggere i Sigilli prima ancora di saper tradurre la Lingua Stregata. Era riuscita a invocare il suo primo Spirito Immortale a soli dodici anni e aveva avuto l'immane fortuna di assistere alla nascita di una Creatura Divina. Se esisteva qualcosa in cui falliva, miseramente, erano le finanze, cosa in cui Lisia era perfettamente capace.
Ma, finanze a parte, la grande Sacerdotessa specializzata in Divinazione, aveva avuto un incontro che le aveva tolto il sonno per le notti a seguire. Un incontro che non era sicura di aver gestito al meglio, ma che anzi, l'aveva stravolta. Avrebbe dovuto riferire alla ragazza con il lupo ciò che l'aspettava per davvero? No, ma che sciocchezze. Lo Spirito le avrebbe squarciato la gola prima ancora che avesse finito di parlare. A quel pensiero le sue mani corsero al collo. Se lo tastò, giusto per assicurarsi che fosse ancora intatto.
Fu con quel peso che entrò nella stanza adibita alla Divinazione. Girò la testa a destra e sinistra. Sbirciò addirittura sotto il tavolo. Si sentì una sciocca.
- Ma che diamine - esalò andando a occupare la sedia. Uno Spirito potente come Gradrisar non si sarebbe certo nascosto sotto il suo tavolo! Ma proprio mentre lo pensava, la stanza fu invasa da un fumo nero. Osmelia squittì e quando davanti a lei comparve Gradrisar in persona, smise proprio di respirare.
- L'ho incontrata! - sbottò lui battendo le mani sul tavolo, tanto forte da far saltellare le sfere divinatrici sul posto.
- Ah? - esalò Osmelia ricordandosi di dover tirare una boccata d'aria.
- La ragazza, no? - fece lui e cominciò a riversare i suoi discorsi, misurando a grandi passi il piccolo stanzone, incurante del terrore dipinto sulla faccia della Sacerdotessa.
- Anni e anni a seguirla e chiedermi come abbia fatto questo o quello e poi, in tre ore, scopro tante di quelle cose che sembra non le abbia viste con i miei occhi!
- Hai idea, vecchia megera, come sia stato possibile che una ragazzina potesse uscire dalla Valle dei Morti senza un solo graffio? Se non l'avessi seguita, non ci avrei neanche creduto. Invece, è successo. Ma perché a un certo punto le creature abbiano smesso di attaccarla, questo non l'avevo mai capito. E se crede che fosse a causa della mia presenza, si sbaglia. Avevano attaccato persino me, nonostante fossi in forma di Spirito! -
- Le Creature Divine percepiscono gli Spiriti - fece Osmelia con un filo di voce.
- Non li percepiscono, megera; li vedono, li sentono e ci parlano. Come quel cane rognoso che la segue. Comunque, sa come ha fatto? Ha smesso di combattere! Lei ha smesso e loro l'hanno lasciata stare. Assurdo, io non ci sarei mai arrivato.
- E la Foresta dei Silenzi? Una dannata foresta inghiotta-anime e una ragazzina ne esce come se niente fosse! Lei ha sentito la melodia - .
- Melodia? - la curiosità ebbe il sopravvento. Lo studio dei luoghi infestati era una tappa obbligatoria nei suoi passati percorsi di studi.
- Ah, sì. Lei ha sentito una canzone, cantata dalle anime. Beh, io ero lì con lei, nel silenzio più assurdo, quando le anime si misero a ronzarle intorno. Mi ero detto: va bene sta trapassando, sarà meglio che la porti fuori di qui. Invece le anime le aprono un varco, così dal nulla. E non solo le permettono di uscire, ma l'accompagnano pure! Per anni mi sono chiesto cosa diamine sia successo e ora scopro che lei aveva sentito le loro canzoni - .
- Può seguirla, ma non ha modo di ascoltare i suoi pensieri - squittì Osmelia dal suo angolo.
- Infatti - sbottò lui. Poi tornò a sbattere le mani sul tavolo facendo tintinnare di nuovo le sfere.
- Sai cos'altro voglio scoprire? Delle angurie - e si scostò per rivolgere lo sguardo al soffitto, perso nei suoi pensieri.
- A-angurie? - boccheggiò Osmelia che a quel punto non sapeva più come uscirne dalla situazione.
- Sì, le porterò un'anguria. Voglio proprio sapere perché diamine ride quando mangia l'anguria. Una volta ha persino pianto davanti all'anguria, credo che fosse la prima volta che ne ha trovata una. Perché cavolo dovrebbe piangerci? -
Osmelia scosse la testa incredula. Quel Demone conosciuto come il Più Potente Di Tutti I Tempi le stava davvero chiedendo perché una ragazzina piangesse o ridesse davanti a un'anguria?
- Lo scoprirò - si decise lo Spirito e il fumo nero si propagò nella stanza, quando Osmelia saltò in piedi.
- E il nome? -
Il viso del Demone comparve dal fumo.
- Il Nome? -
- Della ragazzina, non l'hai saputo? -
Ragdad fece un sorriso che parve compiaciuto.
- Me lo dirà la prossima volta! -
E sparì nel nulla com'era comparso. Osmelia si lasciò cadere nella poltrona. Aveva ripreso a respirare. E forse, a causa dell'assurdità della situazione o dei discorsi tanto ridicoli del Demone o a del terrore, scoppiò a ridere isterica.

Ragdad poteva assumere tre forme diverse. La prima, con il suo vero nome di Ragdad era l'aspetto con il quale era nato come figlio di uno Spirito Immortale, ma che pareva un comune essere appartenente alla razza dei Demoni. La seconda forma era quella Spirituale, un modo di accedere a una sorta di dimensione parallela, chiamata Mondo degli Spiriti. In questa forma poteva andare ovunque volesse, comparire in un istante dall'altra parte del pianeta o seguire una ragazzina senza che lei potesse vederlo. La terza forma si era creata nel momento in cui Ragdad aveva iniziato a divorare le anime dei mostri e i loro nuclei energetici. Aveva assorbito tanto di quel potere da crescere il triplo della sua stazza. La terza forma di Ragdad era conosciuta tra i Mortali con il nome di Gradrisar, lo Spirito Immortale Più Potente Di Tutti I Tempi.
Fu in questa forma che tornò alla sua dimora di quell'epoca, nelle terre del sud. Comparve, avvolto dal suo fumo nero, al centro della sala del castello. Alle sue spalle, sull'altare rialzato, si ergeva un trono di pietra lavica, tanto imponente da poterci far sedere un elefante. Il trono era rivolto verso l'immensa sala di pietra viva, sormontata da migliaia di pilastri squadrati. Lungo le ali dell'atrio correvano due tavoloni gemelli ricavati da lastre di marmo rosso sangue, lucide e levigate. I suoi seguaci balzarono dalle poltrone alla vista del loro re.
Gradrisar prese posto scivolando un poco con il sedere. Buttò una gamba di traverso sull'altra, poggiò un gomito sulla spalliera per potersi sostenere la guancia mascherata e sbottò un ringhio in risposta al silenzio.
- Mio signore! - squittì Aran della casata Scimmia-Spietata. - L'attendevamo! Ci sono novità sul fronte dei Castelli Uniti - .
- Divino Spirito! - s'intromise uno degli Occhio-Torvo. - Prima deve sapere che giù all'est, il Passo dei Perduti è stato conquistato! -
- Se permette, Divino - si erse Gorunsaia, dei Cobra-Sanguinario, - la sua attenzione dovrebbe volgersi a ovest. La città dei Profeti è in piena rivolta. Le Sacerdotesse di Gorengrud hanno deciso di scendere in campo e riconquistare le terre sante - .
Un assordante ronzio di voci si erse per tutta l'altezza della sala. Mille bocche presero a parlarsi, insultarsi e spintonarsi. Quasi avessero dimenticato del loro re lì presente. Dovevano continuare al sud, verso i Boschi di Esmerald. No, che boschi, a ovest contro le Sacerdotesse. Si dice che al nord siano comparsi i Guerrieri del re precedente, per vendicarsi.
La pazienza di Gradrisar non durò oltre. Sbruffò annoiato, ma nella sala il suo sbruffo si trasformò in un suono tanto potente da far vibrare le colonne. All'istante si ammutolirono e, come cani con le code tra le zampe, si voltarono a fissare il loro signore.
- Voglio un'anguria - ringhiò lo Spirito Immortale Più Potente Di Tutti I Tempi.

Fu con un'enorme anguria verde brillante che comparve migliaia di chilometri più a nord. Stava pensando a quanto fosse poco credibile trovare un'anguria tanto grossa e perfetta da quelle parti, quando si accorse del pericolo. Il nucleo energetico della ragazza si stava svuotando. Lo percepiva al limite, era sotto sforzo come un cuore che batte all'impazzata fino a consumare l'ultima goccia di sangue. Si trasportò da lei, nel luogo in cui lottava.
Una pantera, grossa quanto un cavallo, era balzata contro la ragazza. I due si divincolarono a terra. Il sangue inzuppò l'erba. Koko sfrecciò sul fianco della bestia. L'azzannò tra la mascella e l'orecchio. Il mostro fu costretto a lasciare la presa sul braccio della ragazza. Ma la belva si scrollò con violenza e Koko fu sbalzato in aria.
Ragdad lasciò il Mondo degli Spiriti e nello stesso istante in cui mise piede in quello reale, evocò la sua potente energia nera, la quale avvolgendogli il braccio, gli permise di tagliare di netto la bestia, attraversandola con la mano nuda. Il mostro crollò a terra zampillando sangue nero e gelatinoso.
- Stai bene? - fece alla ragazza che con due occhi sgranati dalla paura lo guardava immobilizzata.
- Sei ferita? - ma non avendo alcuna reazione da parte sua, le s'inginocchiò vicino. Il braccio era stato azzannato da parte a parte, proprio sotto il gomito. Il sangue sgorgava a goccioloni. Dal pallore del suo viso, intuì che ne avesse perso fin troppo.
- Non dovresti combattere con creature tanto forti - le disse prendendole la mano ferita. Si strappò senza cura il lembo del mantello e con quella striscia di stoffa iniziò ad avvolgerle la brutta ferita. - Credo che fosse un classe S - .
- Non era a lui che davo la caccia - esalò lei con un filo di voce, ma senza perdere quell'espressione tramortita dal viso rigato di graffi.
- Non mi sarei stupito del contrario, comunque - rispose Ragdad lasciandosi scappare un sorriso, - dopo aver ascoltato le tue avventure - .
- Dico sul serio. Cercavamo un serpente, ma questo qui deve averselo mangiato - .
Ragdad strinse il nodo intorno al braccio completando la fasciatura. Alla ragazza sfuggì un gemito.
- Sì, capita che questi si mangino a vicenda. Ti credo, comunque - .
L'espressione sconvolta di lei pareva non volersene andare. Ragdad inarcò il sopracciglio.
- Sembra che tu abbia visto un fantasma! - sbottò con tono scherzoso, se pur quello sguardo cominciasse a insospettirlo.
Ma a quel punto lei abbozzò un timido sorriso.
- No, mi spiace - disse scuotendo la testa. - La verità è che nessuno mi aveva mai fasciato una ferita - .
- Ah, era solo questo? Beh, sappi che, invece io, non avevo mai fasciato a nessuno delle ferite! -
Lei scoppiò a ridere. Alzò il braccio davanti ai suoi occhi e disse:
- Non ti offendi se ti dico che si vede? -
Ragdad rise insieme a lei.
L'aria tesa del combattimento si allentò. Poco più tardi chiacchieravano come vecchi amici che non si vedevano da tempo. Koko si leccava le ferite a debita distanza. Ragdad aveva portato una ciotola di acqua pulita dal ruscello lì vicino, così la ragazza poteva pulirsi il sangue.
- Quindi non hai mai avuto compagni di avventure? - le domandò Ragdad. - Lo trovo strano. Andare in giro da soli è molto pericoloso. Nemmeno i Guerrieri più esperti si azzardano a farlo - .
- Ho Koko con me - fu la risposta. Si strofinò il labbro inferiore con un altro pezzo di lembo del mantello di Ragdad. Quelle labbra che aveva, parevano disegnate, con una forma bella, piene ma non volgari. Questo gli fece ricordare il giorno in cui si era reso conto che la bambina stava diventando una giovane donna.
Era la stagione di fuoco, sul finire della giornata. Lei si era immersa nelle acque di un lago troppo piccolo per avere un nome. Ragdad era accorso sul posto, attirato dall'odore delle creature che, a loro volta, avevano fiutato la ragazza. Mentre lui lasciava sfrecciare la sua energia alla ricerca di bersagli da mettere fuori gioco, lei, ignara di tutto, si era alzata dalle acque poco profonde. Si era strizzata i lunghi capelli ondulati dai bagliori violacei e le gocce erano scivolate sul petto dove crescevano i seni ormai formati. I fianchi si erano assottigliati in quei mesi e le gambe si erano definite a causa delle lunghe marce e combattimenti. Koko, che dormicchiava sulla riva, gli aveva mandato un ringhio. Ragdad gli aveva lanciato contro un sasso, ma ormai l'attenzione della ragazza si era destata e lo Spirito se n'era tornato nelle terre del sud.
- Il tuo Koko è ancora un cucciolo - le fece notare. - Prima di avere lui, chi ti faceva compagnia? -
La ragazza gli lanciò uno sguardo che lui non seppe interpretare. Poi rispose:
- Nessuno. In verità non è saggio starmi vicino - .
- Non desideri alcuna compagnia e scappi dai villaggi in piena notte. Sarebbe il contrario di ciò che ogni madre raccomanderebbe ai propri figli - .
Lei non poté fare a meno di sorridere con aria colpevole. Poi sospirò.
- La verità è che io sono, diciamo, maledetta. Chiunque mi stia accanto rischia di morire. Sarebbe davvero stupido da parte mia, lasciar avvicinare qualcuno. Tu stesso non dovresti affatto stare qui con me - .
Ragdad, immaginava quale fosse il motivo. Ma per non destare sospetti, glielo chiese comunque. Lei non si fece problemi a raccontare il suo incontro con lo Spirito Immortale Più Potente Di Tutti I Tempi, e Ragdad provò a simulare sorpresa.
- Sì, capisco. Ma io non ho paura, quindi, se non ti spiace, non mi muoverò da qui - disse. - E poi sarebbe davvero interessante viaggiare con una Cacciatrice come te. Io studio e catalogo le creature e tu dai loro la caccia. Saremmo una coppia perfetta di avventurieri! - L'idea gli era venuta senza pensarci, ma aveva senso. Per mille anni aveva vagato per tutto Gorengrud a divorare creature di ogni specie e ogni classe. Ne sapeva più lui che tutti i Sapienti di Almegada.
Di nuovo la ragazza lo guardò con curiosità, ma ora sorrideva.
- Posso farti una domanda? Quella è forse un'anguria? -
Ragdad se n'era dimenticato del tutto. Nella foga del momento, aveva lasciato cadere l'anguria che, infatti, giaceva per terra, imbrattata dal sangue nero della bestia morta e spaccata dall'altra parte.
- Ah, che peccato. Quanta fatica per trovarla - .
- Basterebbe pulirla! - fece lei con una voce carica di emozione. Ragdad le vide gli occhi brillare di entusiasmo. Non se lo fece ripetere. Recuperò l'anguria, le diede una sciacquata e la porse alla ragazza. Per lo meno in quello stato, tutta ammaccata, non avrebbe destato alcun sospetto.
Proprio come si aspettava, quando lei affondò denti nel frutto, si aprì in un sorriso largo da parte a parte. Le sfuggì un deliziato “mmm” e gli occhi si riempirono di lacrime.
La testa di Ragdad s'inclinò.
- Perché sorridi? - non riuscì più a trattenersi.
- Perché è così buona che mi rende felice! - rispose lei così estasiata da risultare contagiosa.
- Sei felice solo perché un frutto è buono? -
- Certo - fece lei e diede un altro morso.
- Di solito si è felici per molto di più - si trovò a dire Ragdad. - Per esempio: la nascita di un figlio rende felici i genitori, il matrimonio rende felici due giovani, sconfiggere i propri nemici rende felice un Guerriero. Delle volte si è felici per aver costruito una dimora dopo tanta fatica o quando torna a casa un membro della famiglia che si credeva perduto... -
Si bloccò in vista del cambiamento sul viso di lei. Gli occhi un attimo accesi, si erano offuscati. Il sorriso si era fatto triste e aveva persino abbassato l'anguria.
- Hai ragione, la felicità è sempre qualcosa di speciale. Ma vedi, io non mi posso permettere di cercarla. Se volessi degli amici, rischierei di perderli come i miei genitori. Se amassi qualcuno, costui potrebbe morire per me. Se pensassi di avere un figlio, lo lascerei orfano.
- Siccome non voglio che niente di tutto questo accada, allora non cerco quella felicità. Ma dato che non ho nessuno, non ho niente e non conosco quasi nulla... mi sento felice con cose che gli altri trovano stupide, come una frutta.
- Sai la prima volta che l'assaggiai, non ne conoscevo nemmeno il nome. Avevo patito la fame per settimane perché c'era stata un'ondata di gelo improvvisa. Perciò, quando vidi questo frutto e lo mangiai, ebbi uno scoppio di dolcezza in bocca. Era così deliziosa e io avevo tanta fame che, credimi, scoppiai a piangere per la felicità - .
Quelle parole ammutolirono Ragdad. Un attimo dopo lei parve non pensarci più, perché appena si rimise in bocca l'anguria, tornò a sorridere come prima. Come se nulla fosse accaduto.
- Allora prometto di non seguirti - le disse lui poco dopo, quando l'anguria era finita e il giorno volgeva al termine. - Così saprai che non correrò alcun rischio a causa tua. Ma almeno, dato che non possiamo viaggiare insieme, incontriamoci al villaggio di Rediga, è poco più avanti - .
- Proprio a Rediga sto per andare - rispose lei.
- Allora ci vediamo lì tra qualche giorno, dopo che avrò scovato una bestiaccia che si aggira da queste parti, ma che non vuole mai farsi beccare - fu l'alibi dello Spirito Immortale.
La ragazza si allontanò da lui seguita dal suo lupo nero. Pareva essersi dimenticata di aver rischiato la vita e delle sue ferite, per come andò via tranquilla.
- Ehi aspetta! - le gridò Ragdad colto alla sprovvista dai propri pensieri. La vide voltarsi. - Non mi hai detto il tuo nome! -
Il vento le portò la sua risposta:
- Akira, mi chiamo Akira! -
Akira, se lo ripeté. La sua mente tornò al momento in cui, in sembianze di Gradrisar si era diretto verso l'ultima preda del villaggio Serligar, quindici anni prima. L'eco di una voce gli rimbombò nelle sue orecchie.
- Akira! Akira scappa! Vai via, Akira! -
Ho sempre saputo il suo nome, scoprì.
- Ehiii - tornò al presente al richiamo della ragazza. - E il tuo nome? -
Gli sfuggì un ghigno sotto il naso.
- Te lo dirò la prossima volta che ci vediamo! -

Nessuno tranne me

Nei giorni seguenti lo Spirito Immortale dovette trattenersi al sud. I Cobra-Sanguinari avevano avuto ragione sul volgere l'attenzione alle Sacerdotesse. Le quali, infatti, avevano riconquistato ben quattro sobborghi a ovest e se Gradrisar non le avesse fermato, sarebbero riuscite a isolare il suo regno dal resto del mondo. C'era parecchio da discutere sulla mossa da fare, motivo per cui tutti i capi delle casate riunite sotto il regno dello Spirito Immortale, si erano radunati nella sala del trono, a vociare molto più del normale.
- La città di Zarosia è fondamentale, vi dico! - tuonava la voce possente di Fugraza, il capo dei Veleni-Mortali. - Era l'avamposto della loro confraternita e sicuramente il luogo in cui custodiscono tutt'oggi talismani e amuleti di ogni sorta! -
- La torre delle Ali Nere è stata perquisita da cima a fondo non appena la conquistammo - protestò il tanto alto quanto largo Girmaga, della casata Ultimo-Fuoco.
Non ha mai fatto amicizia con nessuno, pensava intanto lo Spirito Immortale, per evitare che qualcuno cadesse nelle mie mani a causa sua.
- Perché, credete forse che le Sacerdotesse non abbiano mille modi per celare i loro manufatti? Ma andiamo, quelle mettono mani nel futuro e nel passato. Scommetto cento monete che sapevano di perdere contro la nostra orda, prima ancora che noi sapessimo di doverci andare! -
- E hai ragione, perché hanno deciso di riconquistare la città se non per tornare alla torre Ali Nere, ah? -
In effetti, non avrebbe avuto senso avere rapporti con qualcuno sapendo di avere vita breve, proseguiva Ragdad nei suoi pensieri.
- Quale che sia il motivo, non possiamo cedere la città di Zarosia, ci taglierebbero i rifornimenti dei Sciacalli-Viandanti - .
Dunque è per questo che è sempre rimasta da sola, giunse alla sua conclusione Ragdad.
- Che crepino gli Sciacalli e le loro scorte. Se quelle puttane tornano alla torre Ali Nere, saremmo nei guai ben peggiori! -
Che ragazza furba, pensò facendosi scivolare un sorriso. Triste, ma anche molto furba.
I presenti dovettero notare la sua espressione perché tacquero all'istante. Gradrisar si erse in tutta la sua statura, con il fumo nero che lo avvolgeva e faceva rizzare i capelli dei suoi leccapiedi.
- Blocchiamo le Sacerdotesse prima che possano raggiungere la torre Ali Nere - tuonò nella sala in cui vibrarono persino i tavoloni di marmo.

Per i seguenti quattro giorni, la città di Zarosia fu il fulcro della battaglia tra l'esercito nero dello Spirito Immortale e quello rosso delle Sacerdotesse. Se, durante la prima conquista, la città era stata devastata, questa volta, tre quarti dei palazzi furono abbattuti. Un pugno di profughi fu ciò che rimase della popolazione. Per le strade, i rivali erano costretti a battersi sui cadaveri. Chi scivolava sul sangue rischiava di spaccarsi il cranio sulle macerie. Altri poggiavano male il piede su pietre che si sgretolavano. Quando Gradrisar osava spostarsi o far il minimo movimento, la terra tremava, così che anche i muri superstiti si decidevano a crollare.
Ormai la lotta era sul finire. L'esercito nemico che era riuscito a raggiungere la torre Ali Nere, era stato dimezzato. I pochi a fare da barriera non erano che mosche davanti a un predatore spaventoso e quel predatore si stava per abbattere su di loro.
Lo Spirito Immortale Più Potente Di Tutti I Tempi, avanzò tra le ali del suo esercito, il quale nonostante le perdite subìte, era rimasto in netto vantaggio numerico. I passi vibranti del mostro erano seguiti dal tintinnio delle armature. Quando Gradrisar si faceva troppo vicino ai suoi alleati, questi erano inghiottiti dalla sua energia nera. Li sentiva trattenere il respiro sotto la carica potente del fumo.
Avanzò fino alla scalinata della torre. Era abbastanza alto da sovrastare tutti i gradini, tanto che la cima delle scale risultò trovarsi all'altezza dei suoi occhi ardenti. Lì, una ventina di soldati vestiti di rosso, stringevano le armi nelle mani tremanti, ma non osavano muoversi. Al centro della loro fila, cinque Sacerdotesse vestite di tuniche nere e rosse, ormai logore e strappate, alzarono il mento. Segno che, non solo non avevano paura del mostro, ma che lo sfidassero pure. Gradrisar sogghignò. Il coraggio dei disperati era tutto tranne che noioso.
Una di loro ruppe la fila per avanzare di un passo. Ma quando iniziò a parlare, l'attenzione di Gradrisar andò altrove. Il nucleo della ragazza, di Akira, era stato scosso.
- Gradrisar, potente Spirito Immortale - tuonò la Sacerdotessa, - il mio nome è Rugiada d'Ossidiana e sono io adesso la Sacerdotessa Suprema di Gorengrud! -
L'energia di Akira svanì del tutto dal suo nucleo. Era sicuramente impegnata in una lotta, e non le stava andando per niente bene.
- Questo luogo, la torre Ali Nere, appartiene a noi. Qui è la dimora del creatore di tutti i Demoni e delle loro terre, del Dio Gorengrud, padre dei Mortali e degli Immortali, come te - .
Non riesci proprio a stare lontano dai guai, mocciosa?, sbottò Gradrisar digrignando i denti. Maledetto sacco di pulci, se non la proteggi a dovere ti squarto pelo per pelo!, aggiunse, anche se Koko non avrebbe mai potuto udirlo così lontano.
- E io, Rugiada d'Ossidiana, Sacerdotessa Suprema, sono l'unico essere vivente a poter udire la sua voce, in questo luogo sacro! Per questo dovrete andarvene dalla Dimora del suo Spirito! Adesso! -
- Questa non è la dimora dello Spirito di Gorengrud! - ruggì Gradrisar in risposta.
Mi spiace ragazzina, ma per una volta ti tocca arrangiarti da sola.
Aveva già evocato la sua energia. Migliaia di scie nere sfrecciarono dalla sagoma dello Spirito Immortale. Ciascuna schioccò nell'impatto per poi dissolversi in una nube di fumo nero. Motivo per cui, nell'istante seguente, nessuno poté vedere se tutte erano andate a segno. Lo stesso l'esercito nero esultò.
Gradrisar diede le spalle alla torre. Avrebbe lasciato il resto del lavoro ai suoi scagnozzi. Lui aveva altro da fare, adesso. Ma non aveva ancora compiuto un passo che comparve un bagliore nella notte. L'esercito nero si ammutolì.
La torre era stata avvolta da una lastra di luce bianca, come un vetro luminoso, che si ergeva dalle fondamenta e attraversava la struttura in tutta la sua altezza, fino a sparire in alto nel cielo. Le Sacerdotesse, tranne la Suprema, si erano sfilati i cappucci da cui erano ricaduti capelli color platino e argento. Avevano proteso le mani in avanti, per alimentare la barriera. Dai baluardi della torre si affacciarono altri Angeli. Dieci, venti, trenta, quanti sono?, perse il conto lo Spirito Immortale.
- Rugiada d'Ossidiana - scandì il suo nome con estrema lentezza, lasciando che le anime divorate ripetessero in un sussurro infinito ogni singola lettera.
Piccola puttana da quattro soldi.
- Devo ammettere che mi hai stupito - proseguì contro la luce fastidiosa degli Angeli.
Bastarda, traditrice del tuo stesso sangue.
- Pur di riuscire a vincermi, proprio tu che possiedi il dono di ascoltare il Dio Gorengrud, ti sei abbassata al punto di allearti con gli ANGELI, nostri nemici naturali fin dalla Genesi? - .
Sudicia peccatrice.
- Hai raccolto sotto la tua protezione i figli di SELIS? - e con ciò gridò talmente forte il nome della dea degli Angeli, che la torre stessa mandò dei crepitii.
Aspetta che Gorengrud metta le mani sulla tua anima pezzente!
- Tutte le mie azioni - rispose la Sacerdotessa, - sono rivolte alla salvezza di Gorengrud! Sarà lui a giudicarmi, e stanne certo, Spirito Maledetto, che lui approverà ogni mio gesto! -
Ma di sicuro Gradrisar non approvò e glielo fece ben capire. Diede fondo a tutta la sua energia per abbattere la barriera bianca. I Demoni sapevano che non era saggio avvicinarsi all'energia angelica, alla quale erano vulnerabili. Perciò i suoi alleati cercarono un varco scoperto per accedere alla torre, ma non ebbero successo e neanche lo Spirito Immortale Più Potente Di Tutti I Tempi riuscì a recare un minimo danno alla lastra di luce. Solo quando la notte ebbe fine e la torre sprofondò su se stessa, decise di mollare la presa. Sì, la torre era crollata per metà della sua altezza, ma il resto dei piani e le fondamenta, restavano ben protetti all'interno della barriera.
- Ebbene, Sacerdotessa Suprema - le ringhiò contro, - la torre è tua adesso, o quel che ne resta - .

Sulla collina che si affacciava sul villaggio di Rediga, dentro un boschetto naturale di pini, si ergeva una modesta dimora di pietra, recintata da assi di legno. Ragdad si recò all'entrata di quella casa isolata e batté tre volte fino a che la porta cigolò per aprirsi.
- Cerco una ragazza - sbottò senza perdere tempo. - Viaggia con un lupo nero, l'ha vista? -
L'anziana donna strabuzzò gli occhi al tono tanto brusco, ma dovette capire la sua emergenza perché si scostò, un poco intimorita, e gli fece segno all'interno.
Ragdad raggiunse lo stanzone con tre larghi passi, ignorando l'altro vecchio che abbassò il capo al suo passaggio. Lo lasciarono entrare nella camera in cui aleggiava un'aria grave e pesante. Koko si limitò a sollevare gli occhi per poi chiuderli di nuovo. Stava sdraiato sulle gambe di Akira, la quale giaceva sul cumulo di paglia che fungeva da letto.
- Viaggiavate insieme? - fece con mezza voce l'anziana alle sue spalle.
Ragdad si voltò un attimo a guardarli. Si chiese se avrebbe dovuto ucciderli. Erano due vecchi vissuti per abbastanza tempo, forse in solitudine, ma probabilmente no. Il letto di paglia sarà stato di un loro figlio, o figlia che fosse, che magari, una volta sposatesi, si sarà trasferito altrove. I loro visi rugosi, dagli occhi lucidi in quel momento, non portavano ricordi di gravi dolori. Sembravano aver avuto una vita serena.
- Dava la caccia a un mostro che ci tormentava - proseguì la donna con la tipica voce di chi ormai fatica a respirare e produrre parole allo stesso tempo. - Purtroppo è rimasta ferita. L'abbiamo portata dentro per curarla, ma... - .
Ragdad a quel punto sbatté la porta in faccia ai due vecchi. Rimase un istante nello stanzone buio. Il suo respiro era talmente pesante che faticava a mettere insieme due pensieri coerenti. Sovrastò la ragazza. I capelli si erano incollati sul viso sudato. Le labbra erano screpolate, gli occhi chiusi. Nel complesso, non aveva l'aria di chi soffriva, piuttosto di chi, dopo tanti incubi, era riuscito a prendere sonno. Sul petto le si era creato un impasto di sangue, fango e stoffa. Tale, da celare alla vista la gravità della sua ferita. Ragdad non aveva bisogno di occhi per vedere il torace sfondato.
- Da quando tempo? - sussurrò al nulla. Pareva che anche il suo di sangue fosse andato via mentre piegava il ginocchio per accostarsi al viso della ragazza.
Undici minuti, rispose il lupo nella testa dello Spirito Immortale.
Akira era morta per gli undici minuti del suo ritardo.
[...]
Irina Boicova
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