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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Angela C
Titolo: Piccole Coincidenze
Genere Romanzo Rosa
Lettori 3762 44 64
Piccole Coincidenze
20 dicembre
Stiro le gambe sotto il plaid caldo e alzo gli occhi dalle pagine del libro.
Le fiamme si sollevano dalla legna nel camino, danzano come folletti giocosi con i loro vestiti colorati: rosso, arancio, blu, beffandosi dell'inquietudine che cela il mio animo.
Volo indietro con i ricordi. Tre giorni fa la mia vita andava avanti dritta come un treno; tutto aveva un senso, c'era un percorso lineare, una A14 senza interruzioni di lavori in corso, tanto per intenderci.
Il lavoro mi dà soddisfazione, ho una bella casa in periferia, una nipotina splendida, Alice, e un fidanzato.
Ecco, l'ho detto... “un fidanzato”. Fabio in realtà era il mio fidanzato da quattro anni e da due vivevamo insieme.
Questo natale avremmo annunciato il nostro matrimonio.
Era tutto deciso: il venti dicembre saremmo partiti per andare dai miei genitori, che vivono in un paesino del sud, per far incontrar loro Fabio per la prima volta. Sembrerà strano, ma non lo conoscevano ancora.
Beh, a questo punto suppongo non lo conosceranno mai.
Il diciotto era stato il mio ultimo giorno di lavoro; alle ultime incombenze avrebbe pensato Simone, mio fratello e primo socio dello studio commerciale in cui lavoro. Il diciannove, alle cinque, ero quindi andata all'appuntamento con Fabio, in centro; insieme avremmo dovuto scegliere il regalo da portare ai miei genitori e a mia nonna.
E poi...

Laura
18-20 dicembre
Sollevo gli occhi: sono ancora le sedici ma non riesco a fare nulla per l'agitazione. Così svuoto la scrivania velocemente, mi affaccio alla stanza di Simone e urlo: - Io vado, ci sentiamo! - .
Mio fratello, in piedi a parlare con Francesca – la sua segretaria – sorride e mi strizza l'occhio senza replicare dall'alto del suo metro e novanta: sa che quando decido una cosa nessuno è in grado di smuovermi.
Lo adoro. Mi infilo il cappotto strada facendo, la mia Jeep mi aspetta al parcheggio e penso ci sarà sicuramente traffico. Accendo la radio col volume a palla e mi avvio.
Constato con mia sorpresa che c'è meno traffico di quanto mi aspettassi, ed è in questo momento che ho un lampo di genio dei miei.
Mio fratello mi ripete in continuazione che prima di aprire bocca o fare qualcosa dovrei contare fino a dieci, ma non lo faccio mai. Anzi, mentre gli altri contano fino a tre io ti ho già detto tutto quello che mi frulla per la testa, per non dire per le mani...
Il mio “lampo di genio” è fare una sorpresa a Fabio: faccio una piccola deviazione e passo al suo studio.
Forse sarebbe meglio fargli uno squillo al cellulare, magari è già è andato via... ma cambio idea e lascio perdere.
Tanto, penso, se non c'è il parcheggio sarà vuoto e capirò di poter proseguire senza nemmeno fermarmi.
Forse meglio filare dritto? Che gli faccio a fare la sorpresa? Ci possiamo vedere come stabilito direttamente in centro, intanto nell'attesa potrei guardare un po' di vetrine.
Mentre le mente lavora sul da farsi, senza mettere la freccia giro a sinistra all'ultimo secondo e un'Audi grigia dietro di me suona impazzita.
“Ho capito, ma che maniere!” Tanto non mi guasta il buon umore: sono troppo felice.
Ci sono, la sua BMW è nel parcheggio; l'affianco e scendo. Mentre mi avvicino al portone indecisa se fargli uno squillo e aspettarlo giù o citofonare per farmi aprire, opto per la terza ipotesi non considerata: un signore esce e lascia il portone aperto.
Afferro la maniglia, entro e salgo le scale.
La porta dello studio al secondo piano non è chiusa a chiave e spingendo entro senza problemi. Fabio lavora con due soci, ma le porte sono tutte chiuse quindi vuol dire che è da solo: la sua è la terza a destra. Arrivo davanti alla porta e sto per aprire, ma sento qualcuno parlare.
No, non stanno parlando, sono lamenti.
Anzi, sono gemiti... il cuore si ferma; apro la porta di scatto: lo studio è illuminato solo dalla poca luce delle finestre e la scena che mi si presenta è quella di un uomo senza pantaloni di spalle che sta scopando con una donna riversa sopra la scrivania.
Per l'impeto la porta sbatte contro il muro.
Fabio si gira, la donna si alza, nuda pure lei: una bella bambola bionda dalla pelle diafana, i capelli lunghi e... la mia attenzione si fissa non so per quale motivo sulle sue tette piccole piccole. Sembra una scopa, è magra come le barbie di mia nipote Alice.
Fabio esclama: - Laura! Cazzo! - .
Nemmeno rispondo: sto per andare via allibita, ma la testa mi riporta sui miei passi e urlo come una pazza: - Cazzo lo dico io, brutto porco! E tu, troietta di merda, vestiti! Che fai ancora lì nuda? - . Guardo Fabio con gli occhi che lanciano fiamme. - Brutto stronzo, questo è sistemare le ultime pratiche? - Mentre urlo mi guardo intorno, ma in questo studio di merda non c'è nulla da lanciare.
Poi vedo la barbie infilarsi un vestito. Un vestito? Macché, sembra un francobollo! Vedo a terra un paio di décolleté nere, tacco dodici. Mi ci avvicino.
Fabio inizia a dire: - Calmati non è come sembra, fammi spiegare... -
- Che significa “non è come sembra” e perché lo dicono tutti?
Cosa esattamente non è come sembra, io ci vedo ancora sai!
Ti stavi scopando quella troia sulla tua scrivania e non è come sembra? Cazzo, ci dovevamo sposare! Stronzo di merda! - .
Arrivata alle scarpe, ne raccatto una e gliela lancio contro.
Lo centro in pieno: avvocato con décolleté tacco dodici in pieno viso; inizia a sanguinare e la barbie gli va vicino per soccorrerlo, mentre io continuo a urlare.
- Trovati un tetto per dormire, da adesso non hai più una casa. I tuoi stracci entro stasera saranno sul pianerottolo, se entro domani mattina saranno ancora davanti alla mia porta chiamo la croce rossa per ritirarli! Buon Natale, stronzo, a te e la tua troietta! - .
Mi giro ed esco.
Mentre esco lo sento urlare, non capisco cosa dice, non mi importa, sono furibonda. In auto con il Bluetooth chiamo mio fratello e gli racconto tutto.
- Calmati, calmati non fare pazzie! Prima di agire rifletti, sei sicura di quello che hai visto? Rifletti prima di agire! -
- Certo che sono sicura di quello che ho visto! - ribatto piccata.
- Smettila di dire rifletti, non sono uno specchio, e certo che ho visto bene... quello stronzo si stava sbattendo una donna sopra la sua scrivania! Li dovevo filmare per avere le prove? O fare i complimenti? Simo, non ho dubbi di quello che è successo! Anzi, mi chiedo quante altre volte lo abbia fatto in questi anni... Deve sparire dalla mia vista, lo stronzo. Vorrei che crepasse ora in questo istante, è un fottuto pezzo di merda! -
Chiudo la chiamata quando arrivo sotto casa.
Non piango.
Io non piango mai, ma forse dovrei; meglio ma le lacrime non escono sento solo ribollire il sangue voglio solo vendetta, se lo avessi davanti lo tirerei sotto con la macchina senza pensarci due volte.
Salgo a piedi per raggiungere il mio appartamento non prendo l'ascensore sono troppo agitata, preferisco le scale, ma non placa la mia rabbia, butto il cappotto sul divano e vado in camera da letto, apro l'armadio butto tutti i suoi vestiti sul letto, prendo una valigia ma ci ripenso, la butto di lato.
Vado in cucina, prendo i sacchi della spazzatura, quelli neri e grandi, metto tutta la roba insieme senza fare distinzioni, anche le scarpe, le cravatte e tutto ciò che trovo.
Senza ordine né cura.
Passo anche dal bagno, svuoto l'armadietto dentro uno dei sacchi e, alla fine, li trascino uno per uno sul pianerottolo. Ne ho riempiti quattro.
Cerco il cellulare in borsa; vedo ci sono varie chiamate da parte sua e più di dieci messaggi.
Non leggo nemmeno. Anzi! ci ripenso e senza leggerli li cancello proprio.
Poi faccio una foto ai sacchi e gli mando un solo messaggio WhatsApp: La tua roba è pronta. Hai tempo fino alle nove di domani mattina per ritirarla. Non cercarmi più, per me sei morto.
Mi chiudo a chiave e lascio la chiave dietro la porta; in questo modo anche usando la chiave giusta nessuno può aprire. E con nessuno intendo quello stronzo patentato.
Cerco su internet il numero del negozio di ferramenta vicino casa, mi conosce perché è uno dei miei clienti dello studio; gli spiego che ho perso una chiave e vorrei sostituire al più presto la serratura. Precisa che stasera è impossibile, ma domani mattina per le nove potrà essere disponibile. Accetto e fissiamo l'appuntamento. Non voglio correre il rischio di ritrovarmi il coglione in casa.
Continuo a camminare avanti e indietro per il soggiorno, vorrei avere il collo di Fabio sotto le dita per strangolarlo. Non uso calmanti, in genere, quindi non ho nulla in casa che mi aiuti. Opto per una camomilla doppia, ma i miei nervi non cedono.
Devo fare un po' di chiarezza dentro la mia testa: il mio cervello lavora velocemente ma non trovo una via d'uscita. Cosa farò ora? Tutto era chiaro, tutto era scritto... sfogliavo riviste di abiti da sposa da settimane, mia cognata mi portava foto di fiori per scegliere l'addobbo e copie di vestitini da damigella per Alice, sentivo già la marcia nunziale...
Mi distendo sul divano, chiudo gli occhi per ragionare ma ecco le immagini lui senza pantaloni che mi guarda sbalordito e lei, la bionda dai capelli color... non colore del grano maturo, no – sarebbe troppo bello il paragone, per una troia – ma colore della paglia del mais. Sì, decisamente meglio.
Nella mente ho ancora l'immagine di quelle tettine perfette e striminzite; ma cazzo, la gente non mangia? Che taglia porterà, la 38?
Al posto delle gambe aveva due stecchini grossi quanto il mio polpaccio.
Perfetta e senza un filo di grasso. Vaffanculo. Una barbie, insomma.
Mi innervosisco e mi guardo le gambe, che sono tutt'altro che stecchini. Morbide ma piene, altro che 38... sarà una 44!
Da meridionale doc, per intenderci.
Quella troia era pallidissima, smorta, io invece sono solo chiara. Almeno, così dico a me stessa.
E altro che tettine striminzite, se prendo la taglia più piccola che posso viro sulla quarta! Amo la buona cucina e mangiare, che ci posso fare?
Non potrei mai ambire a diventare una barbie come quella!
Dai, cervello, escogita qualcosa! Cosa devo fare? Riflettere, riflettere, riflettere! Cazzo, non sono uno specchio.
Una cosa è certa, scendere dai miei per Natale non è proprio una cosa saggia. Se raccontassi quello che è successo, ci sarebbero dieci giorni di tragedia... già immagino tutto il paese che ha qualcosa su cui spettegolare e mia nonna che si dispera, no, no! Non può essere proprio!
D'altro canto, restare a Roma in questo stato sarebbe un grosso rischio: se incontrassi Fabio in giro non la passerebbe liscia. Devo trovare un posto per calmarmi e fare il resoconto della mia via. Da sola.
Trovato!
Simone ha comprato e ristrutturato una baita a Montecampione; lui in genere ci va tra gennaio e febbraio, io in estate. Quanto adoro la montagna in estate! Quando tutti si sciolgono dal caldo io mi godo il fresco e la pace. Prima della baita, a 1200 metri di quota, sorge un villaggio turistico, pieno di turisti in inverno per le sue piste da sci, pieno in estate per gli amanti delle escursioni.
Lo chiamo e lo informo della mia scelta.
Simone non approva, ma sa benissimo che ho bisogno di cambiare aria e ritrovare un po' di serenità, e soprattutto di sbollire la rabbia. Sarebbe peggio restare qui con la possibilità di imbattermi nella barbie o peggio ancora in Fabio.
Senza pensarci due volte vado in camera. Ho la valigia già ai piedi del letto con un po' di roba; la stavo preparando con calma per partire il 20.
Apro l'armadio e butto dentro tutto quello che mi capita sotto le mani.
Chiamo il fabbro e rinvio l'appuntamento dell'indomani a data da destinarsi. Parto, con sosta intermedia al centro commerciale.
Saccheggio il reparto cibarie e mi ritrovo il carrello colmo tipo “grande quarantena”. Ho comprato di tutto, d'altronde me la cavo molto bene in cucina e potrei sbizzarrirmi e fare pane, pizze, biscotti e altre prelibatezze.
Beh, forse ho leggermente esagerato!
Devo abbassare il sedile posteriore per infilare tutta la spesa e devo ancora comprare carne e formaggi, che prenderò all'emporio del villaggio prima di salire a 1800 metri.
Mentre sono in viaggio, mio fratello mi chiama per dire che ha avvertito Ernest, il proprietario dell'emporio del villaggio.
Lo gestisce insieme alla moglie Maria; hanno due splendidi ragazzi, Andrea e Diego, entrambi sotto la ventina.
Ernest, oltre all'emporio, si occupa delle pulizie dei residence di proprietà e del soccorso in caso di grandi nevicate. A lui Simone lascia le chiavi, così prima che qualcuno di noi arriva lui si occupa della pulizia della baita, di accendere il generatore di corrente: a quell'altezza non c'è corrente elettrica né campo per internet.
Per me è ottimo, così non posso ricevere né fare chiamate! Ha concordato che stasera dormirò da lui, poi domani mattina mi traferirò in baita.
Mentre sono in viaggio la rabbia inizia a scemare, Fabio diventa più lontano presa nel vortice di pensieri su come mi organizzerò e cosa farà con tutto il tempo a mia disposizione. Per prima cosa mi riprometto di leggere: ho una decina di libri cartacei con me e in più ho il lettore eBook.
Poi cucinerò tutto ciò che mi viene in mente, magari ricette che non faccio da anni perché hanno bisogno di tempo.
Mia nonna, prima che andassi all'università, mi ha insegnato un sacco di cose. Mi diceva che quando il cuore sanguina devi tenere le mani impegnate, così il dolore diventa più sopportabile.
Sì, farò così. Al villaggio mi conoscono tutti, potrei passare il tempo con loro e distribuire vettovaglie.
Il traffico è scorrevole, la musica mi fa compagnia fino a quando una canzone di Baglioni mi fa tornare in mente Fabio. Rivedo lui e la barbie avvinghiati sulla scrivania e una pietra mi preme sullo stomaco.
Arrivo al villaggio alle diciannove e trenta: ho impiegato più o meno sette ore, ma non sono stanca, l'adrenalina è ancora troppo alta per farmi sentire la stanchezza.
Entro nell'emporio ed Ernest, belloccio e curato come sempre, mi saluta facendo ondeggiare i folti capelli rossicci. Mi viene incontro e mi abbraccia con tutto il suo metro e novanta di bontà. Sparisco nelle sue spalle larghe e quando ne riemergo vedo Maria dietro di lui: più minuta, un po' grassottella e dai capelli neri di velluto, che tiene legati in una coda.
- Ti stavamo aspettando! - dice lei. - Vieni, noi due andiamo a casa... finirà Ernest qui, sarai stanca e affamata! - .
Mi mette il braccio sulle spalle e mi chiede come mai io sia sola.
- Il tuo fidanzato verrà tra qualche giorno? -
Mi rabbuio e commento: - È una lunga storia - .
La seguo a casa ma parliamo del più e del meno: capisce che non ho voglia di parlare, adesso, quindi pensiamo alla cena.
Quando poi arriva anche Ernest, e mentre siamo a tavola a mangiare, racconto tutto.
- Figlio di puttana - sbotta Ernest.
- Mi fidavo di lui, ciecamente, tanto che non ho mai avuto un sospetto... mi diceva “ho un contrattempo” e io gli credevo sempre.
Anche a me capitano: un cliente ritardatario o una pratica più lunga, sai... non abbiamo un orario preciso.
Ma mai a pensare che lui avesse una relazione con un'altra donna! Ormai è quello che penso, anche se l'ho visto solo una volta. A riguardare indietro, non mi fido più di niente di quello che mi ha detto! -
- Povera piccola! Sembrava tanto una brava persona, tanto innamorato... - commenta Maria. - Secondo me dovresti restare al villaggio e distrarti un po', non restare alla baita da sola... -
- No, ma grazie del pensiero - dico irremovibile.
- Voglio stare da sola, prendermi cura di me stessa, godermi un po' di pace. Ma ogni tanto scenderò giù, non preoccupatevi. -
Ernest lo stesso non approva la mia idea; secondo le sue previsioni avremo la neve entro il giorno dopo al massimo, e tanta, quindi potrei restare isolata per giorni.
Io li rassicuro: d'altronde ho cibo per un mese, importante è tenere sotto controllo la provvista di gasolio per il generatore.
Per questa notte resto loro ospite, e al mattino Maria mi riempie delle sporte con formaggi, carne, insalata e frutta.
Ancora non ha digerito la mia scelta: secondo lei nessuno dovrebbe stare solo a Natale.
Ma sa anche che io non cambio idea facilmente.
Carichiamo tutto nel furgone di Ernest, dove ha messo le taniche del gasolio, e saliamo a quota 1.800 metri.
La baita, in linea d'aria, si trova esattamente di fronte al centro del complesso turistico, cioè di fronte alla piazzetta.
Se la guardi dal villaggio sembra una piccola pietra preziosa incastonata tra la parete di rocce della montagna. Il villaggio, se lo si guarda dalla baita, sembra formare due braccia allungate che si uniscono a cerchio. Ai lati, infatti, c'è la fila delle case e al centro la piazzetta dove si affaccia il grande albergo, con allineati in circolo tutti i vari negozi.
La baita sovrasta tutta la vallata; in estate impiego, a piedi, una mezz'ora scarsa per arrivare al villaggio attraversando le piste da sci, mentre con l'auto ci impiego più o meno lo stesso tempo seguendo la strada a sinistra del villaggio che conclude il suo corso davanti alla porta della baita.
Arrivati a destinazione, Ernest mi aiuta a scaricare prima la mia auto e poi la sua, mi fa vedere come riempire di gasolio il generatore, ma ha un buon 4/ 5 giorni autonomia quello che ha in serbatoio.
Davanti, sulla sinistra, c'è un cumulo di legna allineata Ernest lo ha coperto con dei teli per evitare che la nevicata la bagni.
Entriamo dentro casa, la baita non è molto grande ma molto bella, una prima porta incuneata tra le mura esterne, poi un piccolo ballatoio dove c'è un grande zerbino e la pala da utilizzare per spostare la neve.
La seconda porta di ingresso divide questo primo ambiente dall'interno vero e proprio; in questo modo si viene a creare un'anticamera che protegge dagli sbalzi di temperatura tra interno ed esterno.
La sala d'ingresso, che è anche sala comune e cucina, è molto ampia: a destra c'è una credenza seguita dal grande caminetto, davanti c'è un solo divano molto grande e nell'angolo una sedia a dondolo, l'unica cosa rimasta dei vecchi proprietari dopo la ristrutturazione.
Sul lato opposto del divano c'è una cucina in muratura molto grande e a dividere i due ambienti un grande tavolo di legno. Alla cucina è stata abbinato un grande armadio come dispensa.
Tutto l'arredamento è di un caldo legno color miele.
Di fronte alla porta ci sono le scale che portano al piano superiore, dove c'è l'unico bagno, un armadio guardaroba sempre pieno (mio fratello e mia cognata lasciano sempre i loro vestiti più caldi qui, d'altronde a Roma non servirebbero).
La camera da letto è grande: a terra c'è il parquet in legno ricoperto da un bellissimo tappeto, un bell'armadio, un comò, il letto centrale ed un lettino singolo aggiunto dopo la nascita di Alice. Ai piedi del letto c'è l'unita finestra che dà sulla vallata.
Tutta la casa è scaldata dal grande caminetto che provvede sia a fornire calore agli ambienti che a produrre acqua calda. Ernest lo accende, mentre io apro le persiane delle finestre; poi mi fa l'elenco delle sue raccomandazioni.
- Tieni sempre la luce fuori alla porta esterna accesa; hai la torcia lì sul divano, quindi nel caso avessi bisogno fai dei segnali con la luce e io vengo su.
Mi raccomando, non andare a passeggiare da sola per i boschi! Se nevica e resti isolata tu resta dentro come posso e salirò io con il gatto delle nevi. Non vorrei lasciarti da sola dopo quello che ti è successo l'altro ieri, ma tu sei una testona. Ricorda solo: quando muore un papa se ne fa un altro, saresti dovuta restare al villaggio! Saremo al completo per questo Natale... verranno sicuramente tanti ragazzi. -
Sorrido e lo rassicuro.
- Cercherò di non fare colpi di testa, tranquillo! E poi non è detto che faccia tanta neve, dai! Ogni tanto una capatina giù la faccio. -
Lo accompagno fuori e ci abbracciamo, poi lui va via. Sposto la mia jeep sotto il box auto esterno: adoro quest'auto! Sei mesi fa, quando l'ho comprata, Fabio mi ha criticata; secondo lui non è un'auto da donna.
- Perché, che auto dovrebbe avere una donna? - gli avevo chiesto.
- Una piccola city car! -
- In poche parole una mini auto! - ho ringhiato io.
- No! Un'auto da donna... - .
Le sue parole mi hanno confermato che avevo scelto l'auto giusta.
Io adoro le auto di grossa cilindrata, fuoristrada e decappottabili; sogno da sempre di guidare un elicottero!
Non ho paura del buio, dei tuoni, di stare da sola e, sinceramente, so tenere testa ai coglioni come lui.
Mi fermo a guardare la valle sotto la piccola tettoia davanti alla porta di casa: il cielo è plumbeo, sembra che stia per arrivare un grande temporale.
Sarà quel che sarà!
Rientro in casa metto a posto la dispensa, disfo la valigia, poi mi accingo a pranzare con un panino quando mi accorgo che sta iniziando a piovere.
Una leggera pioggerillina avvolta dalla nebbia. Forse Ernest non si sbagliava...
Mi viene un'idea: rompo gli scatoloni, apro i sacchetti della spesa e li metto nell'angolo, al lato del caminetto; poi esco e scopro la catasta della legna. Trasporto più legna possibile facendo un bel mucchio dentro casa, ho appena finito quando la pioggia cede il posto ai primi fiocchi di neve.
La casa a questo punto è avvolta già in un bel tepore e sospiro soddisfatta. Mi faccio una tazza di tisana e mi siedo.
Che casino! però.
A quest'ora, se tutto fosse andato bene, sarei stata a casa dei miei genitori con Fabio. Che rabbia! Vorrei urlare, mordere, prendere qualcuno a calci... quasi quasi mi compro una moto e quando lo incontro lo tiro sotto! Oppure faccio finta di perdonarlo e poi quando siamo soli potei evirarlo.
Il mio cervello mi porta immaginare scene assurde che mai diverranno realtà: vorrei fargli del male, vorrei che fosse lui a soffrire.
Mi assale la forte delusione di essermi fidata sempre ciecamente di lui, la delusione di non aver capito che forse qualcosa non andava; mi sento usata, mi sento tradita due volte, perché non ho mai dubitato dei suoi sentimenti né della sua sincerità. Mi sento un'ingenua.
Vivevo tranquilla e lui aveva una doppia vita!
Forse io non sono attraente come la barbie, certamente non metto gonne che fanno vedere il culo, in genere preferisco i pantaloni. E poi non porto unghie lunghe laccate di rosa come le sue!
Le mie unghie sono corte... lavoro al pc e mi piace impastare e cucinare. Mi darebbero solo fastidio.
Ma vaffanculo a quella barbie del cavolo: mi scuoto dai tristi pensieri.
Laura, mi dico, sei una persona meravigliosa, speciale, autosufficiente, non hai bisogno di nessuno.
Di nessuno che non sappia vedere il bello che c'è in te, soprattutto!
Angela C
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