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Lettere a me stesso
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(Viaggiare per essere senza casa).
Incipit, prefazione - marzo 2020. Carissimo Felix, Tanto per cambiare mi hanno messo male l'ago della flebo! E' vero che ormai dovrei essere abituato a simili inconvenienti, ma sopporto sempre meno che si faccia esercizio sulla mia pelle. Pazienza! Quattro ore di flebo non sono poche ma per me, vaccinato a ben altro, non sono un gran problema. Speriamo solo che serva a qualcosa. ‹‹Qui di notte fa un po' freddo ma a noi veterani di montagne e di deserti ce ne facciamo un baffo del freddo›› Sono nel Day Hospital del mio ospedale prediletto, a poche decine di metri da quella che un tempo era la mia facoltà in un periodo ormai lontano nel quale l'abitudine di scrivere a me stesso aveva preso inizio. Una vita affrontata con spavalderia, cercando di unire al lavoro ed agli affari, la distrazione, le vacanze, il divertimento, le esperienze, i contatti con la gente e le avventure compresi i rischi affrontati con incoscienza e fatalismo. Qualcuno potrebbe dire: ‹‹Che me ne frega di quello che hai fatto, lavoro business e soldi, raccontami invece cose che possono interessare anche a me come persona›› Fin dagli inizi ho cercato di condurre esperienze personali degne di interesse e cariche di valori universali forse valide anche per gli altri. Ho sempre avuto l'ambizione di volerle trasmettere e così ci provo con questa stravagante relazione epistolare e con le mie auto-lettere. Ci sono riuscito? Forse, può darsi. In ogni caso ci ho provato e comunque facendolo mi sono divertito e poi, se non ci sono riuscito, pazienza! Adesso tutto è concluso. La fortuna con me non è stata avara ed in qualche caso me la sono cavata quasi per caso, trovando sempre eccitante quella situazione di precarietà che considero componente essenziale dell'avventura. Abbiamo avuto il nomadismo, se non fisico, sempre come condizione mentale.
Beirut, anni '80. Guerra civile e stragi.
"Caro amico, sono ancora qua. Un passaggio veloce di solo qualche giorno, più che altro per lavoro e pronto a mettermi sulla strada che porta a Damasco. La città è sempre distrutta in ogni senso e la situazione è sempre la stessa, traffico, lavoro di giorno per tutti, evasione e tentativi di divertimento la sera. Ma lo sappiamo bene, la capitale del Libano non è sempre stata così. Ripenso al fatto che qui, come in pochi altri posti al mondo, sia possibile sciare la mattina per poi tuffarsi nelle acque del Mediterraneo nel pomeriggio. Beirut era chiamata la Parigi del Medio Oriente, un tempo custode di una lunga storia cosmopolita, importante centro culturale e accademico proprio come succedeva nella vicina Aleppo. Le immagini degli anni '50 e '60 mostrano una città nel massimo dello sviluppo economico. In effetti a 15 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, Beirut era divenuta la capitale finanziaria dell'intero mondo arabo. ........... I conflitti di natura politica non sono mancati insieme a violenti scontri che hanno continuato a minacciare regolarmente la vita della città. Comunque, grazie ai soldi dei palestinesi e nonostante i conflitti, la lira libanese oggi è sempre più forte e c'è anche chi nella Beirut cristiana, al di là della linea verde di demarcazione che taglia in due la capitale, continua a vivere come una volta. Beirut insomma, malgrado tutto, oggi è viva ed iperattiva ma sempre con una struggente nostalgia del passato. Le stazioni ferroviarie non esistono più dal '77, così come la rete di trasporti pubblici, i treni ed i tram. Esistono solo le auto, quasi sempre scassate convertite in taxi collettivi che ti portano da una parte all'altra della città. Mi si dice che oltre un milione di persone ogni giorno da nord, da sud e dalla valle della Bekaa, si muovono in auto per raggiungere la città, diventata un'unica grande area metropolitana stritolata da un traffico disumano. Un vero disastro, malgrado che la città vecchia, in qualche zona, resista. E' giusto quindi continuare a pensare al popolo libanese, al mosaico di confessioni che rappresenta, a chi è stato forzato ad andarsene, alle donne e agli uomini di ogni diaspora e soprattutto a ciò che da questi traumi e da queste tragedie può tornare a rinascere in futuro. Come andrà a finire per il resto è impossibile saperlo."
Bagdad, 1984
"In fondo alla Sadoon Street, una delle vie più storiche della vecchia Baghdad c'è il mercato, il Souk, uno dei tanti della città, forse uno dei più antichi ed importanti. Premetto che mi considero agli esordi in tutti sensi possibili: non conosco il paese, non conosco la lingua, sono alle prime esperienze di questo tipo di lavoro ed è la prima volta che cerco di realizzare il programma che mi ha portato in questo paese che mi appare pericoloso e misterioso. Devo ancora incontrare le persone giuste e sono emozionato e teso, del resto da alcune mie lettere precedenti, tu sai perfettamente come sono arrivato a questo punto. Sono però motivato, non mi spavento, credo di avere le idee chiare e di sapere cosa devo fare. Ma sarà tutto giusto? Questo è il momento critico, il primo ma sono certo che sarà seguito da molti altri, in realtà sono convinto che tutta la vita è fatta in questo modo, vedremo i risultati! Come uno studentello al primo giorno di scuola, con la mia bella cravattina faccio il mio ingresso in questo tipico mercato arabo, con la sua penombra e la relativa frescura, con i suoi odori e profumi, per andare incontro al mio appuntamento con la storia, ovviamente con la mia. Trovo la fila delle bancarelle, sono di tutti i tipi come in tutti i mercati arabi che si rispettano, un po' di musica e parecchia gente, ma non tantissima. Sono le nove del mattino, più tardi ci sarà l'ora di punta, devo incontrare il vecchio, il gran capo di una grande famiglia irachena, il mio primo e per ora unico possibile cliente. La società irachena, secondo la cultura araba, è gerarchicamente strutturata con a capo i vecchi o meglio gli anziani. Costoro non vengono mai considerati fuori gioco ed ogni questione che riguarda la famiglia viene a loro sottoposta per la decisione finale. Quando un nuovo personaggio si affaccia all'orizzonte per nuove iniziative che riguardano gli affari della famiglia, viene sempre sottoposto al giudizio del vecchio, il vero Gran Capo. In questo caso devo cercare una bancarella di frutta e verdura che il vecchio occupa da anni e che mantiene costantemente come impegno personale. Ci va ogni mattina, trova gli amici, beve il caffè, chiacchera, vende un po' di prodotti della terra e stando al fresco passa la mattinata. In effetti qui al mercato centrale di Baghdad si sta bene e sembra quasi che ci sia l'aria condizionata, mentre fuori eravamo già oltre i trenta gradi. Giro e mi guardo intorno cercando la bancarella, infine credo di averla trovata, in base alle istruzioni ricevute dal figlio, che in realtà è il soggetto operativo, un tipo in gamba, con il quale sono da tempo in rapporti. Eccola! Mi devo far conoscere e giudicare, lo so benissimo, ed è da questo giudizio di esperienza e saggezza, che dipende il successo dei progetti della sua famiglia, ovviamente insieme al mio.
Afganistan , Bamjan – 1979
Un gruppo di case, un vasto pianoro che conduce ad una parete di roccia, alta un centinaio di metri, verticale e lunghissima, la parete somiglia ad un alveare con centinaia di fori, aperti a suo tempo dai monaci buddisti, che poi sarebbero stati le loro celle ovvero gli eremitaggi Ma, tra le tante cavità minori, due grandi se ne aprono, gigantesche, con il disegno ben netto, come absidi dentro le quali i buddisti scolpirono le statue di due Budda, ricoprendone le pareti di affreschi. I due grandi Buddha quindi, scavati nella roccia, si stagliano nella montagna di Bamiyan: il più piccolo di circa 38 metri ed il più grande alto 55 metri, con percorsi interni che portavano alla testa delle due statue. Nessun monumento testimonia meglio dei Buddha di Bamiyan la straordinaria storia dell'Afghanistan Pre Islamico come centro religioso buddhista molto importante con una dozzina di monasteri scavati nella roccia. Il paesaggio sembrava fermare il tempo, confermato dagli antichi turbanti degli uomini e dai vestiti colorati delle donne non obbligate al burqa ma racchiuse nelle loro vesti dignitose e tradizionali. Mi aggrego ad altri viaggiatori e mangiamo tutti con appetito zuppa di riso con vegetali, seduti sul tappeto, chi a gambe incrociate chi seduto su un fianco, chi sdraiato come un antico romano; solo i locali riescono a stare in quella strana ma certamente efficace posizione accovacciata! Là in cima, dove la valle di Bamiyan si chiude in una strettoia, un gruppo di castelli e di torri che erano la cittadella che la difendeva, domina il panorama. In basso c'è il verde di un bosco, mentre le pareti e le torri hanno un sanguigno color d'ocra da qui la definizione di Città Rossa, rosso sangue. La storia o la leggenda parlano di Gengis Khan che attraverso la Via della Seta, irruppe nella valle afghana e ordinò di distruggere la cittadella facendo passare a filo di spada uomini e animali. In questa zona non c'è elettricità e quando scende la sera si accendono lampade a petrolio, fa freddo e ringrazio ancora una volta gli abiti afgani. Sono catturato e sedotto dalla bellezza del luogo, ma devo organizzarmi e cerco di mettermi in ordine per la cena e per la notte. Sono fortunato, faccio amicizia con un gruppo di cavalieri che mi invitano a cenare con loro e, se voglio, anche a dormire vicino al loro fuoco di legna all'aperto nel sacco a pelo. Fa un freddo cane, ma è bello. Accetto e confesso che avevo sperato in una simile proposta. Poco prima dell'alba mi sveglio e come sospinto da una forza invisibile mi arrampico verso il Buddha Grande fino alla sommità, durante la salita alla montagna dei Buddha respiro a fatica, ma la vista merita ed é incoraggiante la sensazione di calma che mi procura. Da quassù, fra le braccia del Budda, assisto al sorgere del sole e confesso di essere incapace di descrivere quanto sia bello ed emozionante. La valle è di una bellezza incredibile e devo ammettere che Bamiyan finora mi sta offrendo il meglio di questo paese. Il sole è già abbastanza alto e scendendo in basso sono catturato da un meraviglioso profumo di pane proveniente dall'accampamento dei miei nuovi amici, per cui, devo ammettere che mi sento quasi a casa, mangio con appetito e decido il programma della giornata. |
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Sono nato a Milano l'11 dicembre del'47 in uno dei più freddi inverni del primo dopoguerra. Da adolescente ho vissuto con interesse il boom economico del nostro paese e mi piaceva studiare. Storia, letteratura e latino erano le mie passioni, tuttavia, con il desiderio di raggiungere la ‘perfezione assoluta', lo dico con ironia, la scelta dell'università fu legata alla volontà di dedicarmi allo studio di discipline che più scientifiche non si può: chimica fisica teorica. Il raggiungimento della auspicata perfezione mentale non ebbe mai la possibilità di emergere in effetti la mia vita professionale successiva non ebbe proprio nulla a che fare con gli studi fatti. Le mie passioni sono sempre state i viaggi, il deserto, le montagne, gli esseri umani e soprattutto la fotografia. Nel lavoro ho sempre cercato l'indipendenza ed insieme all'avventura la totale autonomia finanziaria senza avere ‘né padroni né soci'. I casi della vita, la casualità e la sorte mi hanno portato a lanciarmi, durante i mitici anni '80, con un po' di incoscienza e molti rischi, in una attività commerciale e tecnologica in tutti paesi del Medio Oriente soprattutto in IRAQ, il paese di SADDAM HUSSEIN. La sorte fu generosa e divenni consulente del governo per lo sviluppo industriale di quel martoriato paese. Successo e soddisfazioni che si conclusero con la prima Guerra del Golfo, dopo la quale in quelle aree il mondo, e non solo quello degli affari, si fermò per almeno i due anni successivi. Fine di una esperienza completa sotto tutti i punti di vista: finanziario, culturale e professionale. Nel periodo ‘87 – '92 la Dea Bendata non mi abbandonò e vinsi un concorso della COMUNITA' EUROPEA diventando delegato per la zona del Ouest Africa con base in GUINEA CONAKRY. Incarico politico, tecnologico e finanziario, si trattava del triste periodo delle guerre civili in LIBERIA ed in SIERRA LEONE. In quelle zone il rischio ed i pericoli erano sempre in agguato ma l'esperienza fu anche questa volta interessante e senz'altro unica. A partire dal '95 e durante i venticinque anni successivi ebbero inizio le mie esperienze in SUDAFRICA. Il paese, reduce dalla fine della apartheid con tutti i problemi conseguenti, politici e di sicurezza, si stava aprendo alla innovazione ed allo sviluppo internazionale. Ed ebbi fortuna, la mia attività come al solito autonoma era sempre in ambito finanziario e politico. In quel meraviglioso paese si stava veramente bene, avevo ufficio, casa, contatti, amici, vacanze e l'occasione di tanti viaggi. Anche qui esperienza umana, culturale e professionale indimenticabile. Ora tutto è finito, da oltre 10 anni la mia attività si è fermata, sono invalido al cento per cento, un mieloma multiplo ha avuto la meglio e mi ha fregato. Pago forse le esagerazioni e la temerarietà della vita precedente? Oggi sono relativamente tranquillo ma non rassegnato cercando di non vivere solo di ricordi. Sono solo un po' frustrato per le tante cose che ancora vorrei fare e che di fatto mi sono precluse. Per fortuna o purtroppo sono comunque rimasto quello di prima. Ancor oggi, alla mia veneranda età, sono disinibito, sincero, aggressivo comunicativo cercando empatia ed a volte purtroppo brutale. La malattia mi ha rinforzato, dico quello che penso e voglio ancora portare a termine ciò che inizio, cerco di non mollare mai ed avendo già rischiato la pelle varie volte, con fatalismo ringrazio la sorte pensando che “non era ancora il mio momento”.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Felix Delamesa: Come già accennato, ho sempre avuto “il viaggio”, vacanza o lavoro, come abitudine, interesse e tentazione. Ho sempre scritto i miei appunti e le mie lettere senza avere alcuna finalità letteraria. All'inizio di quest'anno, a riempimento del vuoto della mia attuale esistenza di invalido ”non dinamico”, decisi di mettere in ordine le foto di tutta una vita, tante e forse troppe. Fatalmente ho quindi ripensato agli anni trascorsi durante i quali avevo il vezzo o l'abitudine di scrivere e poi spedire a me stesso lettere che raccontavano ciò mi accadeva, una specie di diario intimo. Mi rivolgevo al mio alter ego come se fosse una terza persona. Le ho riprese, le ho rielaborate e mi sembrava di andare dallo psicologo davanti allo specchio. E' nato quindi il mio primo libro “LETTERE A ME STESSO”. Scriverlo è stato bello e salvifico, sono entusiasta di essere arrivato a concluderlo come mia soddisfazione personale. Ovviamente prescindo dalla bontà del risultato ottenuto che, in ogni caso, verrà giudicato da chi vorrà leggerlo. In età giovanile ho letto classici e libri di avventura, poi storia, politica e di tutto un po'. Confesso quindi che non ho mai avuto la ”passione di scrivere” ma solo interesse a trasmettere fatti personali della mia vita da sempre volutamente ammantata di riservatezza, sconosciuta ai più e di cui nessuno era al corrente nei dettagli compresa la famiglia, da qui l'uso del mio pseudonimo Felix Delamesa. Con LETTERE A ME STESSO ora qualcosa si conosce.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Felix Delamesa: Nessun libro in particolare, ma tanti libri legati alle avventure in Africa o nel Deserto. Per il periodo adolescenziale ricordo in particolare la “L'isola misteriosa” di Verne, poi in senso filosofico le “Reveries” di Rousseau e poi in senso psicologico ”Delitto e castigo”. Oggi, avendo purtroppo, tanto tempo libero leggo tutto quello che trovo. Sono un lettore molto selettivo e drastico, se un libro non mi piace lo pianto lì, lo elimino o altrimenti lo congelo a prescindere dalla notorietà dell'autore.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Felix Delamesa: LETTERE A ME STESSO non l'ho volutamente proposto a nessuno pensando, forse a ragione, che per uno sconosciuto la strada dell'editoria è preclusa. Ho trovato una soluzione con Youcanprint. Sono persone serie, affidabili e di loro posso solo parlar bene, purtroppo la promozione commerciale spetta interamente all'autore. E qui casca l'asino, da una parte c'è la mia “non dinamicità”, dall'altra ci sono i social che francamente non mi piacciono e che trovo poco accessibili per un “novecentennial” come me. Trovo che Facebook siano inadatto a discorsi più impegnativi delle solite banalità, la sagra dei “mi piace” senza dare alcuna motivazione né approfondimento mi risulta insopportabile e mi dà sui nervi. Dovrò comunque come si dice “far di necessita virtù” ed adattarmi, chissà se “Abel, il gran capo dei ribelli”, che dopo la nostra breve conversazione telefonica ha aperto uno spiraglio, avrà interesse ad aiutarmi. Sono quindi costretto a far bella figura con questa simpatica intervista.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Felix Delamesa: Nei file di Amazon sono già insediato grazie ad Youcanprint ma mi manca tutta la tecnica, la spinta e la esperienza promozionale necessaria. Mi devo in ogni caso dar da fare e sogno che qualcuno mi aiuti.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Felix Delamesa: Ovviamente sono affezionato a LETTERE A ME STESSO che è la mia prima ed unica produzione letteraria. "Viaggiare per essere senza casa" è la frase che ho scelto come sottotitolo del mio libro. La frase non è mia l'ho trovata da qualche parte ma in ogni caso rappresenta bene l'inconfessata l'dea che ho sempre avuto come riferimento per i miei viaggi. La maggior parte di coloro che viaggiano sono felici di ritornare nella protezione e nella sicurezza della loro casa. A me francamente è sempre capitato il contrario. Felice di partire e scontento di tornare e la sicurezza non mi ha mai interessato. Non penso di essere un caso da psicanalisi e sono convinto che siano in molti ad avere un atteggiamento simile. Nel libro racconto alcune delle mie esperienze di viaggio e di lavoro spesso in zone a rischio, ma ho sempre cercato automaticamente di trasformare la paura in attenzione, controllo e prevenzione di ciò che mi sarebbe potuto capitare. Alla fine ho concluso che, se me la sono cavata, la fortuna è stata determinante al di là di tutte le mie cautele. Per concludere la mia idea non era tanto raccontare i fatti miei, né quella di descrivere il viaggio, ma piuttosto prendere spunto per cercare di parlare del genere umano, della gente, della storia e della vita in quelle zone del mondo tanto martoriate che ho frequentato. Ci sono riuscito?
Writer Officina: C'è una cosa in particolare che vorresti mettere in evidenza in riferimento al tuo libro?
Felix Delamesa: Nel corso della stesura del libro, fin dall'inizio, secondo la mia simulazione letteraria, mi sono sempre rivolto a me stesso in modo consapevole. Arrivato alla metà del libro tuttavia, scrivendo e rileggendo, mi sono reso conto di rivolgermi al destinatario delle lettere come se fosse una persona diversa e di farlo gradualmente in modo sempre più esplicito. Il mio interlocutore non ero più io, era diventato un altro, un bravo ragazzo un po' tradizionale, forse un po' tonto rispetto a me l'anticonformista, disinibito e sicuro di sé. Insomma il classico tipo che piace alla mamma! La comunicazione in tal modo diventava più facile, sincera e confidenziale. Questo succedeva dentro di me e certamente non posso sapere se leggendo il libro la cosa viene avvertita da un lettore che naturalmente non mi conosce.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Felix Delamesa: Per il mio libro è stato facile ho seguito la cronologia ed ho cercato di improvvisare per raggiungere lo scopo che mi ero prefisso, seguendo l'istinto e cercando di essere scorrevole e semplice, di non annoiare e di suscitare interesse.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Felix Delamesa: Ho quasi pronto un thriller finanziario frutto delle mie esperienze nel settore e delle inevitabili conoscenze che ho fatto negli anni di soggetti border line da prendere con le pinze e penso di poterlo dichiarare concluso in un paio di mesi. Vedremo.
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