Writer Officina
Autore: Gaetano Barone
Titolo: Il delfino degli Argàn
Genere Noir
Lettori 3542 171 47
Il delfino degli Argàn
Marionette.

“Questo mio amore, inutile come un ombrello in una splendida giornata di sole, lo porto con me ovunque vada. Mi ripara dagli sguardi della gente che non ti ha mai conosciuta, dalle parole senza significato che ascolto ogni giorno, dalle vane illusioni che mi assalgono ogni volta che vedo una donna che ti somiglia e, mentre il ricordo di te passa attraverso gli occhi e m'intasa l'anima, la vita brucia ad ogni passo e mi consuma, mi stravolge l'umore, mi devasta la coscienza e si prende gioco della mia mente. Ora che non ci sei più, il mio viso allo specchio riflette l'immagine di un uomo fallito, che aveva la felicità a portata di mano e non se ne è reso conto. Tu mi hai donato la tua vita e la tua morte, e io non so cosa farne di questo tesoro, non riesco a sentire nient'altro che il vuoto della tua assenza. Vivo in una specie di terra di confine tra la rassegnazione e il desiderio di vendetta, sopraffatto continuamente dalla mia stessa indecisione, refrattario ad ogni minimo accenno di emozione, succube di un rimorso atroce al quale non riuscirò mai a sottrarmi. Ti ho lasciata andare da sola senza avere il coraggio di seguirti, ho assistito inerme al tuo addio, ho pianto come un moccioso, ho bestemmiato e urlato al cielo la mia disperazione ma sono sopravvissuto e questo non me lo perdonerò mai. Lurido amante senza onore! Non è la morte ad averci separati, non è la malattia, non è la volontà di Dio e nemmeno il destino avverso: sono io la causa di tutto! Io dannato! Se quella mattina nella Cattedrale di San Gregorio mi fossi lasciato convincere a sposarti, forse a quest'ora saresti ancora qui, accanto a me. Avremmo avuto dei figli, una casa tutta nostra, un futuro da condividere e invece mi ritrovo a scrivere queste parole che tu non leggerai mai e che saranno il mio tormento estenuante, da adesso fino alla fine dei miei giorni.”
Distesa sul letto, Marlene rileggeva in continuazione il foglio spiegazzato che Jack le aveva consegnato e che, quasi certamente, Kaspar aveva strappato in tutta fretta da quel quaderno ingiallito su cui annotava i pensieri e i ricordi della sua storia d'amore con Olga. In quelle parole cercava disperatamente un segno, un indizio, una minima traccia che potesse, in qualche modo, aiutarla a trovare quello che stava cercando. Allo stesso tempo, però, era affascinata dal profondo significato e da quello struggente romanticismo che ne impregnava ogni singola sillaba: lo stretto legame tra l'amore e la morte, quel connubio affascinante che l'aveva stregata sin dai tempi del liceo. Rifletteva sulla sua condizione e paragonava il suo sentimento nei confronti di Giugiù a quello che trapelava da quel testo. Sarebbe mai stata in grado di provare tanta passione nei confronti di un essere umano? Non seppe darsi una risposta ma, al contrario, le sue considerazioni la posero di fronte ad un'ulteriore domanda, se possibile ancor più complessa della precedente: il bambino che stava per nascere era davvero frutto dell'amore come diceva Marta o le sue erano solo parole pretestuose? Erano tanti i particolari di quella storia che non quadravano. Tra questi, il più inquietante riguardava l'uomo che aveva prelevato Kaspar dal suo appartamento, il messaggio che aveva lasciato per lei e quel dettaglio relativo alla sua voce metallica. Che la clonazione umana da parte de “la cuspide” fosse molto più avanzata di quanto le era stato detto?
La sensazione di essersi infilata in un tunnel senza uscita cresceva minuto dopo minuto mentre quelle trecentotrentatre parole scritte da Kaspar, come uno stillicidio, scavavano un solco sempre più profondo nella sua mente. Andò avanti così per quasi un'ora, distesa sul letto a leggere quel foglio, cercando collegamenti e associazioni di idee tra intere frasi e singole parole, fino a quando si rese conto che la catena e la concitazione degli eventi l'avevano sfiancata a tal punto da farle perdere lucidità e obiettività. Fece una doccia, indossò la tuta, uscì dalla sua camera e raggiunse il bar dell'albergo, un piccolo ambiente separato dalla hall per mezzo di una porta di vetro, a quell'ora completamente deserto. Al suo interno, oltre ad una giovane barista, c'erano due tavolini e un divanetto, un bancone lungo all'incirca un paio di metri, due sgabelli di metallo e un frigo per i gelati. Dopo aver ordinato il solito gin tonic, Marlene si accorse che, quasi nascosto in un angolo, c'era un pianoforte verticale; così, dopo aver chiesto il permesso per suonare qualcosa, si sedette e improvvisò uno swing. Era molto brava e, nonostante non avesse molte occasioni per suonare, se la cavava ancora alla grande.
Intanto Giulia, che dalla camera di fronte a quella di Marlene aveva seguito tutte le sue mosse, aveva raggiunto la hall dell'albergo prima di lei e da lì aveva osservato tutto. Quando vide la ragazza sedersi al piano, pensò che fosse quello il momento giusto per entrare nel bar e mettere in atto i suggerimenti che le aveva dato Lorenzi. E così fece, ordinò una Coca Cola e si sedette al bancone. Quando Marlene ebbe terminato il brano, applaudì quel tanto che bastò per attirare la sua attenzione. Poi, prese il bicchiere in mano e le si avvicinò.
- È davvero brava! - le disse, mentre continuava ad avanzare.
Solo quando Marlene si voltò per osservarla, continuò il suo discorso.
- Mi perdoni la sfacciataggine ma vorrei chiederle una grossa cortesia. -
Marlene annuì con un cenno del capo.
- Mia madre suonava il piano ed era brava quasi quanto lei. Ha provato in tutti i modi a trasmettermi questa passione ma io non ne ho mai voluto sapere. Oggi fa esattamente un anno che è venuta a mancare. Sono lontana da casa per lavoro e non ho potuto nemmeno portare un fiore sulla sua tomba. - le disse in tono sommesso.
Poi fece una breve pausa.
- Conosce “My Funny Valentine” di Rodgers e Hart? - riprese. - Vorrebbe suonarla per me? Era la sua canzone preferita. -
Marlene sorrise.
- È fortunata - rispose e le voltò le spalle per iniziare a suonare.
Le sue dita sfiorarono i tasti con la stessa leggerezza di un battito d'ali di farfalla e le note di quella struggente canzone risuonarono nell'aria viziata del piccolo locale trasformandolo, per qualche attimo, in un angolo di paradiso. Giulia, dal canto suo, ascoltò a bocca aperta tutta l'esibizione, come in preda ad un incantesimo, incapace di muoversi. Cinque minuti di pura magia, durante i quali l'emozione e il sogno si sostituirono alla realtà. Anche la barista, dietro al bancone, smise di sistemare i bicchieri e ascoltò immobile quella meraviglia. Alla fine, applaudirono entrambe con entusiasmo e Marlene, come una consumata artista, si alzò in piedi e accennò un inchino di ringraziamento. Poi riprese in mano il suo gin tonic e si allontanò dal pianoforte per raggiungere il bancone del bar dove Giulia, qualche istante dopo, le si avvicinò.
- Grazie! Grazie dal profondo del mio cuore - disse, con la voce rotta dall'emozione.
Marlene le sorrise senza dire nulla e sedette sullo sgabello.
- Mi permetta di offrirle qualcosa da bere. Mi chiamo Giulia, Giulia Norge - e le tese la mano.
Marlene la fissò negli occhi e attese qualche secondo prima di stringerla. Poi si decise a farlo.
- Piacere, Marlene - rispose - e dammi del tu, che ad occhio e croce siamo quasi coetanee. -
Giulia prese posto sullo lo sgabello accanto al suo. Aveva fatto in tempo a metter su un po' di mascara, quel tanto che bastava a far risaltare gli occhi azzurri, sicuramente il particolare più attraente del suo, per il resto, normalissimo viso. I capelli biondissimi, lunghi fin sulle spalle, tradivano le sue origini nordiche, così come la carnagione chiara e le efelidi tra il naso e le guance. Aveva cercato invano nel suo borsone qualche indumento che potesse farla apparire sexy e attraente ma non era proprio il tipo di donna che faceva leva sull'aspetto esteriore per attirare l'attenzione. Così aveva optato, alla fine, per una camicetta rossa e un maglioncino a bottoni nero, un jeans attillato e scarpe con il tacco alto. L'unico vezzo che si era concessa era la camicetta sbottonata fino a lasciare intravedere il reggiseno di pizzo nero.
- Sei una musicista? - riprese, dopo essersi seduta.
- Non direi - rispose Marlene.
- Comunque, sei bravissima. È stato emozionante. Per un attimo ho chiuso gli occhi e mi è sembrato che mia madre fosse accanto a me - disse, quasi con soggezione.
Marlene la osservò a lungo mentre lo sguardo della ragazza puntava verso il basso. Le ispirava tenerezza, cosa abbastanza inusuale.
Gaetano Barone
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Gaetano Barone
Sono nato a Isernia, in Molise, cinquantasette anni fa. Sin da bambino ho mostrato una particolare propensione per l'arte in generale e la musica in particolare, prima come cantante e poi come musicista di mandolino e violino. In età adolescenziale ho imparato a suonare la chitarra e ho iniziato a scrivere e ad interpretare le mie canzoni. Ho portato avanti questa passione fino all'età di trent'anni ma non ho mai pensato di farne un'attività lavorativa anche se, grazie ad essa, ho sbarcato il lunario per lungo tempo, lavorando nei villaggi turistici mentre frequentavo l'Università. Mi sono laureato in Lettere, con indirizzo in Discipline dello Spettacolo, a “La Sapienza” di Roma alla fine degli anni '90. Negli anni successivi ho iniziato a lavorare in diverse aziende occupandomi di Comunicazione e Ufficio Stampa e tuttora svolgo questa attività. Sono iscritto all'Albo dei Giornalisti e qualche anno fa ho ottenuto il Diploma di Counselor Motivazionale.

Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?

Gaetano Barone: Quando mi sono reso conto che preferivo leggere un libro piuttosto che giocare con i soldatini.

Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?

Gaetano Barone: Forse “La lettera scarlatta” di Hawthorne che ho letto quando avevo all'incirca dieci anni. Mi piacque così tanto che all'epoca decisi di abbandonare il sogno di diventare pilota per sostituirlo con quello di scrittore.

Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?

Gaetano Barone: Si e una piccola casa editrice no EAP ha deciso di pubblicarlo con risultati non proprio esaltanti.

Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?

Gaetano Barone: Credo di sì ma è sempre consigliabile valutare con attenzione tutte le opportunità.

Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?

Gaetano Barone: “Il delfino degli Argàn” è il mio unico libro, primo capitolo della “trilogia della cuspide”. È un romanzo corale basato su un intreccio poliziesco che sfrutta elementi fantastici, scientifici e religiosi per raccontare, attraverso le vicende di una ricca e potente famiglia napoletana, la società moderna e l'eterno conflitto tra il bene ed il male che ne caratterizza da sempre l'evoluzione.

Writer Officina: Raccontaci quale è stata la scintilla che ha dato vita all'idea

Gaetano Barone: Ho iniziato a scrivere questo romanzo alla fine del 2018 e l'ho terminato nel mese di marzo 2021. Volevo raccontare una storia di cui avevo bene in mente l'inizio e la fine ma, per il resto, era tutta da inventare. Ho deciso, quindi, di procedere per gradi e come prima cosa ho fissato un preciso arco temporale all'interno del quale ambientare tutta la vicenda: autunno 1995/primavera 1996. Perché questa scelta?
Ritengo che nei primi anni '90 ci sia stato il punto di svolta dell'economia mondiale. Il crollo dell'Unione Sovietica, le riforme economiche in paesi come Cina e India ma soprattutto la globalizzazione finanziaria hanno segnato la rotta di quegli sviluppi che, oggi, sono sotto gli occhi di tutti. La velocità di diffusione delle nuove tecnologie ha prodotto effetti impressionanti sui trasporti e sulla comunicazione, abbattendo barriere che solo qualche anno prima sembravano invalicabili. Di questo mercato globale le multinazionali hanno acquisito di fatto l'egemonia incontrastata a scapito dei singoli Stati Nazionali ma, mentre la libera circolazione di merci e capitali è cresciuta in maniera esponenziale, quella dei lavoratori è restata al palo, contrastata da politiche molto restrittive. La ricerca di mercati all'interno dei quali è stato più semplice aumentare i margini di profitto grazie alle precarie condizioni dei lavoratori sempre più "sfruttati", ha provocato un incremento degli squilibri economici e sociali, sia all'interno degli Stati stessi, sia nei rapporti tra paesi ed aree economiche. In sostanza, le pressioni delle multinazionali sui governi nazionali hanno accresciuto le disuguaglianze e concentrato la ricchezza nelle mani di pochi (sempre di meno e sempre più ricchi), mentre la povertà cresce ancora oggi in maniera vertiginosa.
Come detto, i primi anni '90 hanno rappresentato, a mio avviso, uno spartiacque clamoroso verso una globalizzazione dannosa in quanto selvaggia, e non certo come principio.
Di quel periodo, alcuni avvenimenti mi colpirono in maniera particolare.
In Ruanda, nel 1994 c'era stato il più brutale genocidio della storia recente.
In Europa, la guerra nella ex Jugoslavia aveva raggiunto il suo apice con il massacro di Srebrenica.
In Italia venivamo dalle stragi di mafia, dalla trattativa, da Tangentopoli e dalla "discesa in campo".
Ma se proprio devo indicare una scintilla, direi una data: il 5 luglio 1996, giorno in cui fu annunciata la nascita della pecora Dolly, il primo caso di clonazione animale perfettamente riuscito.
Tra le vicende storiche riportate e quest'ultimo avvenimento non esistevano collegamenti ma, proprio per questa ragione, ne ho ipotizzato uno e ne ho fatto il punto nevralgico di un'intera narrazione.
Così ho costruito una trama che, seppure del tutto inventata, si inserisse in un quel preciso contesto storico e fosse popolata da personaggi adatti a rappresentarne degnamente l'atmosfera.
Il lettore più scrupoloso troverà altri riferimenti a episodi di cronaca accaduti in quegli anni. Ho usato nomi e luoghi diversi ma è vero che anche da essi ho tratto spunto.

Writer Officina: Cosa hai voluto dire con la tua storia?

Gaetano Barone: Che la natura trova sempre il modo di ridimensionare la razza umana.

Writer Officina: Cosa c'è di te nel tuo romanzo?

Gaetano Barone: Una certa tendenza ad avere una visione manichea della realtà.

Writer Officina: Per i personaggi hai fatto riferimento – magari in parte – a persone reali oppure sono solo frutto della fantasia?

Gaetano Barone: Sono tutti inventati di sana pianta. In totale ne sono una cinquantina ma sarebbero potuti essere molti di più.

Writer Officina: Ti sei documentato sugli argomenti di cui parli?

Gaetano Barone: Si e penso sia importante, anche per un romanzo come il mio, nel quale la fantasia riveste un ruolo fondamentale.

Writer Officina: Cosa vorresti che le persone dicessero del tuo romanzo?

Gaetano Barone: Che lo hanno letto tutto in un giorno.

Writer Officina: Ritieni che la verosimiglianza sia importante oppure no visto che si tratta comunque di fiction?

Gaetano Barone: Non credo che la verosimiglianza sia una prerogativa imprescindibile. D'altro canto, è la stessa realtà a risultare, in molti casi, inverosimile. Perché mai, quindi, un'opera d'arte dovrebbe necessariamente presentare questa caratteristica? A mio modo di vedere, essa deve avere solo una certa coerenza interna, vivere in una dimensione autoreferenziale, rispondere solo a se stessa seguendo le regole che si è autoimposta per raggiungere il massimo dell'efficacia.

Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?

Gaetano Barone: Non utilizzo uno schema predefinito. Prendo spesso appunti, di ogni genere. Luoghi, emozioni, caratteri, episodi di cronaca, i contenuti sono estremamente diversificati. Poi analizzo quanto ho scritto e lo scrivo nuovamente ma cambiando punto di osservazione. La mia è una scrittura che oserei definire circolare: dall'interno all'esterno e viceversa. Anche i miei personaggi sembrano voler tornare sempre al punto di partenza.

Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?

Gaetano Barone: Sto scrivendo il secondo capitolo della trilogia. Stesso argomento ma stile e tecnica narrativa completamente diversi. Sarà ambientato nel presente ed avrà un protagonista principale.

Writer Officina: La scrittura ha una forte valenza terapeutica. Confermi?

Gaetano Barone: Assolutamente. È una sorta di autoanalisi in costante movimento. Scrivere è come guardarsi allo specchio e scattare una fotografia.

Writer Officina: Che consigli daresti, basati sulla tua esperienza, a chi come te voglia intraprendere la via della scrittura?

Gaetano Barone: Non ho un'esperienza tale da permettermi di dare consigli e in generale sono sempre alquanto restìo. Posso solo invitare tutti gli amanti della scrittura a perseverare, a non lasciarsi inghiottire dal vortice dell'omologazione, a trovare sempre il tempo di fermarsi un attimo, di fermare l'attimo e di goderne appieno. Scrivere per il piacere di farlo e non per piacere agli altri. Cercate la vostra parola, il vostro verbo e dategli voce che infondo siamo qui per questo.

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