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Autore: Antonio Cuccurullo
Nella coda della cometa
Giallo
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Nella coda della cometa
Lo squillo del telefono mi fece riemergere dall'oceano in cui mi stavo inabissando, sbattei la testa contro lo spigolo del comodino, il brusco risveglio mi aveva fatto dimenticare che non ero nel mio letto. La suoneria continuava imperterrita, a tentoni riuscii finalmente ad accendere l'abat-jour e andai a recuperare il cellulare, era Augustus: - Più tardi passa in Centrale, ho bisogno di un parere tecnico su una questione importante. È inutile che cerchi di defilarti, so per certo che non hai nessun incarico per le mani - .
Era pur vero che era stato il mio capo, ma avevo lasciato la Polizia da quasi un anno, il vicequestore, Marco Antonio Senatore alias Augustus, avrebbe dovuto fare a meno dei miei servigi, ero troppo incasinato di mio.
Gli risposi irritato: - Non voglio nemmeno sapere che cosa ti serve, sono molto più impegnato di quanto tu possa immaginare, arrangiati! -
Non mi diede nemmeno la soddisfazione di chiudere la comunicazione, riattaccò prima lui. Nervosamente andai in cucina a prepararmi il caffè, aprii la finestra, era una bella giornata. Dopo aver preso la seconda tazza di caffè decisi di andare a fare una corsetta nel parco. Il vento mi accarezzava la faccia, nonostante le ultime contrarietà ero soddisfatto della riuscita del mio progetto; aprire un'agenzia investigativa in tempo di crisi non è uno scherzo, infatti l'inizio era stato molto difficoltoso, ma con i primi casi risolti, oltre alle soddisfazioni e ai guadagni era arrivato anche l'amore. Parafrasando Arturo, il giardiniere che si curava del verde in Centrale, il fiore più bello di solito ha bisogno di più attenzioni; mi doleva ammetterlo ma, nella situazione contingente, non c'era detto più azzeccato. Ripensavo allo scambio di vedute che avevo avuto con Viktoria Kleist, mia fidanzata e collaboratrice, il giorno prima. Mentre salivo lentamente la scala interna che portava dal mio appartamento allo studio che condividevo con lei, cercavo una via d'uscita, che mi consentisse una pace, senza dover cedere troppo.
Erano passate solo poche ore dall'inizio dell'aspra discussione: per festeggiare la conclusione di un caso molto spinoso, avevamo trascorso un lungo week end al mare, al ritorno, una parola detta per scherzo aveva provocato la polemica. Poiché era chiaro da subito che nessuno di noi due aveva intenzione di fare un passo indietro, ne era scaturita una discussione rovente. Quando entrai nell'ufficio, ero convinto di trovare Viktoria al suo posto, la scrivania era ingombra di posta, ma di lei nemmeno l'ombra. Fissai la postazione vuota con un certo nervosismo, la porta era chiusa a chiave, per terra c'era una busta appallottolata. Di solito lei era molto ordinata, doveva essere successo qualcosa che l'aveva così scombussolata, da farle compiere gesti inusuali. Lasciai perdere il resto della corrispondenza e mi avvicinai alla lettera accartocciata, sperando che la mia collaboratrice non rientrasse e mi sorprendesse a curiosare, in quella che credevo fosse la sua corrispondenza privata. Era vuota. Stiracchiai la busta quel tanto che mi consentì di leggere che era indirizzata ad Antonio Esposito e Viktoria Kleist, il nervosismo divenne rabbia. La calligrafia, tutta svolazzi, non lasciava dubbi, era quella di Samantha Ferrè; la data di spedizione risaliva a tre giorni prima. Istantaneamente mi vennero alla mente tre domande: perché Samantha avrebbe dovuto mandare una lettera? Era più semplice fare una telefonata. Era indirizzata a me e a Viktoria; ma se la nostra amica voleva valersi dei miei servigi perché non l'aveva indirizzata a me soltanto? Ero pur sempre io il titolare dell'agenzia e lei ci teneva alla forma. Era un invito? Anche questa possibilità era da escludere perché Samantha non si sarebbe mai sognata di spedire un invito in una busta comune; lei sul comodino di fianco al letto, accanto alla Bibbia, ha una copia del galateo. Con la scusa di prendere il fascicolo da inviare al mio cliente, salii al suo appartamento, che fino la sera prima era anche il mio. Dopo aver suonato più volte, entrai con la mia chiave, ma era vuoto, ritornai in ufficio dubbioso sul da farsi. Chiamare Viktoria per sapere il contenuto della lettera era da escludere, la guerra di logoramento era appena cominciata, non potevo cedere subito, per me le conseguenze sarebbero state catastrofiche. Tutta colpa di quel maledetto lampadario del salotto, ma perché noi maschi non impariamo mai che i gusti di una donna permalosa non vanno mai messi in discussione. Chiamai Samantha sul numero di cellulare, ma l'apparecchio era spento; scesi nel mio appartamento dalla scala a chiocciola, per prendere il cellulare e provare all'altro numero memorizzato; era la seconda conseguenza dello sconsiderato parere su quel maledetto lampadario, il ritorno nel mio appartamento da single. Provai più volte, ma il telefono di casa squillava a vuoto, dopo l'ennesimo tentativo rinunciai. L'apprensione mi fece mettere da parte l'orgoglio, feci il numero di Viktoria, il messaggio mi ripeteva che il telefono, era spento o non raggiungibile. L'irritazione era sbollita, ora incominciavo a essere inquieto. Scesi in garage, la macchina della mia collaboratrice era al suo posto: a questo punto ero seriamente preoccupato. Risalii in ufficio e feci mente locale su quello che stava succedendo, non aveva senso. Cercai di mantenermi calmo, partii da quello che conoscevo di Viktoria, ipotizzai che, dopo aver letto quella lettera, di certo non sarebbe uscita a piedi, se non avesse avuto prima un contatto telefonico. Non sono mai stato un tipo ansioso, anche nelle situazioni più difficili, ma per la mia compagna feci un'eccezione, chiamai Freddy “il chimico”, un caro amico della scientifica: - Antonio qual buon vento, proprio ieri ho parlato di te con Lara, che ti serve? - . Asciutto e stringato come al solito.
- Ho un problema con Viktoria e vorrei poter dire che mi sono allarmato per niente. Hai ancora buoni rapporti con quelli delle intercettazioni? - .
- Spara! - .
- Dovresti farmi sapere quante telefonate e a chi sono state fatte da questi tre numeri, stamattina dalle nove alle dieci, - lentamente cominciavo a caricarmi perché senza rendermene conto, alzai il tono della voce - potrebbe essere molto importante saperlo prima possibile; perciò non mi sono rivolto alle fonti ufficiali - .
Gli diedi il numero dell'appartamento di Viktoria, del suo cellulare e quello dell'ufficio.
- Appena so qualcosa ti mando un'e-mail al tuo indirizzo con i tabulati, se non ho risposta di conferma ti chiamo sul cellulare. Cena dai Marini per quattro - .
- Come al solito sei impagabile, a presto - .
Dopo l'inutile raccomandazione di farmi sapere i risultati il più velocemente possibile, riagganciai. Passato il momento di scoramento, smisi di fare il fidanzato preoccupato solo perché l'investigatore che albergava in me prese il sopravvento. Mi resi conto che alla prima domanda c'era una possibile risposta: Samantha non era a Roma ma aveva bisogno del nostro aiuto e ci aveva scritto per spiegarci dettagliatamente il caso che, vista la situazione, doveva essere molto complesso e delicato. Ripresi la busta, cercai di stirarla il più possibile senza rovinarla, con l'ausilio di una potente lente d'ingrandimento, riuscii a decifrare, dal timbro di spedizione, il centro di raccolta cui era confluita la lettera. La stampigliatura era leggibile, la busta era stata vidimata dal CPD (Centro Primario di Distribuzione) di Orte. Chiamai Aldo Gregori, un funzionario delle poste che aveva collaborato con la Polizia in un caso di stalking. La scrupolosità con la quale avevo lavorato con lui a stretto contatto per un paio di settimane, oltre ad una certa confidenza, mi aveva consentito di apprendere tutte le fasi della lavorazione della corrispondenza. Mezz'ora dopo ricevetti un'e-mail con la lista di tutte le città la cui posta arrivava ad Orte per essere lavorata, oltre alla mappa del distretto di ritiro delle buche postali; ero stato informato anche della tempistica della prima lavorazione. Nonostante fosse difficile mantenermi calmo, cercai di comportarmi come se fosse un'indagine qualsiasi; partendo dai fatti che avevo appreso, appurai che tutta la posta di quella zona veniva ritirata tra le dodici e le tredici e trenta. Non c'era più il ritiro pomeridiano, siccome il tempo era un fattore importante, significava che la lettera era stata imbucata: nella peggiore delle ipotesi il giovedì, dopo le dodici; nella migliore delle ipotesi il venerdì, prima delle tredici e trenta. Stampai una cartina della zona ed evidenziai le città segnalate nell'e-mail. Avevo quasi finito la trascrizione quando un segnale acustico mi avvisò che mi era arrivato un messaggio, era di Freddy, come al solito aveva agito con rapidità e precisione; per aprirla, dovetti confermare il ricevimento. Dalla copia dei tabulati risultava una telefonata fatta dall'appartamento di Viktoria a un numero di un telefono fisso di Spoleto, intestato a Ugo Facci, che aveva risposto alla chiamata, tre dal mio ufficio, due senza risposta a Samantha, una ad un numero di cellulare intestato a Patrizia De Olivera, domiciliata a Roma in via Flaminia, che aveva risposto alla chiamata, e ancora una a Ugo Facci, dal suo cellulare, che aveva risposto alla telefonata. I tabulati e i nomi erano stati riportati a mano su una tabella di rilevazione anonima; questo significava che Freddy si era dato molto da fare per evitare che restassero tracce di questi documenti, dopo la conferma di aver letto il messaggio, lui avrebbe cancellato il file. Stampai i due fogli ed eliminai il messaggio; con la copia dei tabulati telefonici alla mano, era facile ricostruire i movimenti di Viktoria attraverso le telefonate che aveva fatto: alle otto e cinquanta aveva chiamato dal suo appartamento Ugo Facci, era decisa a passare la giornata dal suo commercialista, sapendo che non mi era mai stato simpatico, probabilmente lo faceva per farmi un dispetto; era scesa a ritirare la posta, ed era risalita in ufficio.

Antonio Cuccurullo

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