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Autore: Antonio Cuccurullo
Dieci versi dall'inferno
Giallo
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Dieci versi dall'inferno
Cambiare letto non era mai stato un problema, ma cambiarne tre in tre giorni era troppo anche per un viaggiatore incallito come me. Viktoria invece, dormiva beata. Cercai di resistere a quello strazio, ma dopo un po' mi arresi. Mi alzai e, per non svegliare la mia ragazza, decisi di andare in salotto a distendermi sul divano. Accesi il televisore, abbassai il volume e mi misi a fare zapping, trovando un film giapponese in versione originale, sottotitolato. Il genere ideale per chi volesse stimolare la calata della palpebra e, siccome avevo escluso il sonoro, potevo godermelo senza dare fastidio a chi era già tra le braccia di Morfeo. Dopo una mezz'oretta continuavo a restare dannatamente sveglio, era proprio un caso disperato. Nella fretta ero uscito dalla camera con addosso solo un sottile pigiama di cotone e dopo un po' cominciai ad avere freddo. Ero indeciso se tornare in camera a prendere qualcosa da mettermi addosso o tornare a letto e cercare di prender sonno. D'improvviso ogni cosa passò in secondo ordine, anche il freddo, perché tutta la mia attenzione fu attirata da un improvviso bagliore nella casa di fronte. Una lama di luce squarciò il buio e una figura rattrappita entrò nel mio campo visivo. Avanzava rigida con un movimento laterale, arrancando verso il centro della stanza. Sembrava una scena girata al rallentatore. Quando, vista la distanza, finalmente riuscii a mettere a fuoco quello che stava accadendo, mi resi conto che era una donna. Quasi sobbalzai quando all'improvviso comparve sulla scena un'altra figura, che sembrava avere qualcosa nella mano sinistra, e che, senza rallentare, scavalcò agilmente la donna, che intanto era caduta, uscendo dal mio campo visivo. Per un istante, prima che lo sconosciuto sparisse, più che vedere, percepii una variazione di colore. Sicuramente la persona aveva aperto la porta ed era stata investita dalla luce delle scale. Senza nemmeno riflettere su quel che stavo facendo, mi ritrovai nella stanza da letto. Indossai, direttamente sul pigiama, la giacca di una tuta, sotto lo sguardo interrogativo di Viktoria, calzai le scarpe di cuoio senza calzini e mi diressi al palazzo di fronte. Prima di uscire dalla stanza diedi uno sguardo alla radiosveglia sul comodino, erano l'una e ventitré minuti. Attraversai la strada di corsa, mentre chiamavo il centotredici, avvertendo che c'era bisogno di un'ambulanza. Mi fiondai nel portone e salii di corsa la rampa di scale che portava al piano rialzato. La porta era appena accostata, esitai solo un istante prima di entrare, poi la deformazione professionale ebbe il sopravvento. Entrai nella stanza, la donna giaceva riversa nel suo sangue. Le tastai delicatamente la carotide e sentii un flebile battito. Non mi azzardai a muoverla per non fare altri danni. Suonai alla porta accanto, dopo pochi minuti, ma molte imprecazioni, uscì un uomo in pigiama pronto ad aggredirmi: - Ma sei pazzo! Ti sembra bello svegliare una persona a quest'ora? -
Stavo per rispondergli che se uno bussa a quell'ora e si fa trovare alla porta ci sarà un motivo, ma evitai l'inutile polemica: - Mi scusi, la sua vicina è stata accoltellata, mi servirebbe qualcosa per tamponare l'emorragia. Va bene anche un asciugamano - .
Avevo pensato di chiedere un aiuto all'inquilino della porta accanto per coprirmi le spalle nel caso la polizia fosse diventata pressante. Il vicino, preso alla sprovvista, ritornò sui suoi passi e pochi secondi dopo ritornò con due asciugamani di microfibra. Entrai di corsa nell'appartamento, mi avvicinai alla donna, era ferita al fianco sinistro, cautamente le tamponai lo squarcio per evitare la fuoriuscita di altro sangue, ma alle mie manipolazioni, non ci fu nessuna reazione da parte sua. Le tamponai la ferita come meglio potevo. L'uomo, che mi aveva seguito a debita distanza, si tappò la bocca con entrambe le mani e, presumibilmente, andò a vomitare a casa sua. Approfittai della sua assenza per fare una rapida ispezione della casa. La porta in fondo, che illuminava il salotto, portava in cucina. La tavola era ancora apparecchiata per due persone e nei piatti c'erano ancora i resti della cena. La traccia che avevo seguito, facendo bene attenzione a non calpestarla, si fermava nei pressi del tavolo. L'unica cosa in disordine era la sedia, stava poggiata di lato con lo schienale parallelo al pavimento. Era tutta imbrattata di sangue, come se la donna dopo essere stata colpita, per alzarsi, se la fosse scrollata di dosso. Sul top della cucina c'era un ceppo portacoltelli con un alloggiamento vuoto. Notai nel piatto un tovagliolo di carta appallottolato, era sporco di rossetto. Di certo non apparteneva alla vittima, perché non mi era sembrato che ne portasse, almeno non di quel colore rosso vermiglio. Passai a ispezionare il resto della casa, c'erano due camere, con annesso bagno, entrambe davano l'idea di essere occupate da donne, feci attenzione a non lasciare le mie impronte digitali sulla maniglie delle porte che avevo aperto. La disgrazia, quasi sicuramente, si era svolta in cucina perché nelle due camere tutto era perfettamente in ordine. Anche se non riuscivo a raccapezzarmi sulla dinamica del ferimento, almeno ero sicuro che nell'appartamento, non ci fosse nessun altro bisognoso di cure. Ritornai nel salotto per aspettare l'arrivo della Polizia e dei soccorsi che avevo chiamato mentre la donna, che giaceva immobile accanto al divano, non si era spostata di un millimetro da dove l'avevo lasciata. Dovetti aspettare solo pochi minuti, poi sentii lo stridio di una sirena, era l'ambulanza. Corsi fuori della porta per indicare ai medici la strada. Vidi arrivare una barella portata da due uomini, probabilmente l'autista e l'infermiere, seguiti al piccolo trotto da un medico, molto basso di statura. Li accompagnai fino alla porta, poi mi feci da parte per farli passare. Intanto il vicino, che mi aveva dato gli asciugamani, era appoggiato al muro di fronte alla porta aperta, aveva la faccia cadaverica e accanto a lui c'era una donna in vestaglia. Incurante di quello che succedeva attorno, il medico si lanciò sulla donna ferita e, impartendo precisi ordini all'infermiere, si accinse a prestarle le prime cure. Frattanto erano giunti altri due uomini, un agente in divisa e un tizio che, visto l'orario, doveva essere un ispettore. Quest'ultimo si avvicinò a me con aria interrogativa, il suo sguardo assonnato si accese per un momento mentre guardava con aria perplessa il mio abbigliamento, forse stava cercando di capire da quale manicomio fossi scappato. Esordì platealmente: - Sono il commissario Massimo Bertelli, è lei che ha avvisato la Polizia? -
Il tutto fu proferito con l'aria di uno che sta pensando solo alla rogna che gli è capitata tra capo e collo. Ero indeciso sul da farsi, mi mantenni neutro: - Sì, come ho riferito al centralinista, sono Antonio Esposito. Quando, dalla finestra di fronte, ho visto quel che succedeva in questa stanza, sono intervenuto per prestare soccorso -
- Ha toccato qualcosa? - la sua espressione diventava sempre più stanca e annoiata, i suoi modi stavano cominciando a darmi sui nervi. Risposi in tono neutro: - No, però ho chiesto al vicino qualcosa per tamponare la ferita, i due asciugamani, che vede lì a terra, me li ha dati quel signore poggiato al muro - .
Lo sguardo appannato ebbe un lampo: - Lo sa che lei ha inserito elementi che possono falsare il corso delle indagini? Come mai non si è limitato solo ad avvertire la Polizia e a chiamare un'ambulanza, come avrebbero fatto tutti? -
Il suo atteggiamento era così irritante che non riuscii a trattenermi: - Capisco che è seccante alzarsi dal letto in piena notte, ancora peggio è trovarsi per le mani un caso che, già a prima vista, si presenta dannatamente ingarbugliato, ma quello che mi stupisce del suo comportamento nei miei riguardi, è che proprio lei, invece di apprezzare il mio senso civico, mi dica queste cose. Comunque il medico le confermerà che questa donna è in pessime condizioni e, senza voler enfatizzare il mio contributo, potremmo dire che, con il mio intervento, ho tentato di darle qualche possibilità in più di cavarsela - .
Intuivo di averlo fatto arrabbiare, ma anche lui sapeva che prestare soccorso era la priorità. Il medico attirò la sua attenzione, dopo un breve conciliabolo ritornò, se possibile, ancora più infuriato. Lasciò correre la storia degli asciugamani, ma proseguì il suo interrogatorio in modo più aggressivo; tentava di mostrarsi cordiale, ma si vedeva che era molto contrariato: - Conosce questa donna? -
- No! Le ho appena detto che sono intervenuto solo perché ho assistito al fatto -
- Ha visto chi l'ha ferita? -
Adesso il ritmo delle domande si stava facendo incalzante, segno che era un commissario vecchio stampo: - No, ho visto la porta, da dove viene la luce, aprirsi e la donna che annaspava verso il centro della stanza, alle sue spalle è sbucata un'altra persona che si è dileguata senza darmi il tempo di identificarla -
- Lei non ha proprio la cadenza lombarda, abita da molto a Desenzano? -

Antonio Cuccurullo

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