
Un anno in più.
In molti condividono il pensiero che la vera amicizia non possa essere eterna, la vita cambia continuamente, perché è il tempo che fa cambiare le cose e spesso anche i sentimenti più forti. Una delusione, un capriccio, un evento inaspettato, tutto può compromettere un legame che si basa sulla fiducia reciproca tra due o più persone, che questo sia vero o no è un parere soggettivo? Lucrezia e Aurora si conoscevano da sempre, erano insieme quando frequentavano la scuola materna, alle elementari, scuole medie e superiori, anche quando la scuola le aveva divise nello studio, non si sono mai allontanate e hanno continuato a essere ottime amiche. Con il tempo avevano creato un loro linguaggio, compreso un alfabeto unico per comunicare tra loro segreti che nessuno doveva decifrare, diventava ogni anno più completo, una vera e propria nuova lingua privata e forse era anche questo a tenerle così unite, ma non era solo quel particolare, avevano anche dei gusti in comune, entrambe adoravano le piante, Lucrezia le piante grasse e Aurora qualsiasi pianta grassa con le spine. Ogni anno se ne regalavano una il giorno del loro compleanno; le rispettive case erano piene di piantine, al punto che i loro genitori non sopportavano questa loro mania e di tanto in tanto ne innaffiavano qualcuna con la candeggina; ma le due amiche non si sono mai preoccupate di questo perché nelle loro case c'era sempre posto per una nuova pianta. Condividevano quindi molte cose della loro vita, ma Aurora non era esattamente come Lucrezia, lei non amava stare in luoghi affollati, non amava stare tra la gente, soprattutto quella che non conosceva, e i suoi compleanni venivano solitamente festeggiati in famiglia o con pochi amici. Ma quel giorno era particolare, era il ventisei ottobre e compiva venticinque anni. Lucrezia era sua coetanea ma in modo scherzoso si riteneva sempre più grande di lei, essendo nata il cinque febbraio dello stesso anno; lavorava come infermiera in una clinica psichiatrica da due anni, ma né il lavoro, né la relazione di Aurora con Maurizio, il suo ragazzo, poteva minacciare la loro amicizia. Tutti i loro amici sarebbero stati presenti alla festa di compleanno, con parenti, e tantissimi altri amici indiretti, il fine settimana li rendeva tutti liberi da impegni di studio o di lavoro, era quindi un'occasione perfetta. Aurora era felicissima e aveva un sorriso splendente, come splendente era il sole in quella splendida giornata, la mattina l'aria era fresca ma l'assenza di nuvole faceva ben sperare. Le ante dell'armadio erano aperte e il letto era pieno di vestiti disposti uno sull'altro in quattro colonne, la luce che entrava dalla finestra l'aiutava a scegliere l'abito con il colore che più si intonava con le sue scarpe. Da quella stessa finestra si godeva di un bel panorama e in lontananza si vedeva l'abitazione di Maurizio, ogni sera, quando le luci delle loro camere da letto si spegnevano era l'inizio di sogni felici. Maurizio, un giovane di bella presenza, muscoloso e della stessa statura di Aurora, era il suo ragazzo da otto mesi, non era la persona che poteva aiutarla nella scelta del vestito ma Aurora era felice di festeggiare il primo compleanno con la sua presenza e Lucrezia, che condivideva la felicità della sua amica, si stava preparando all'evento già da diverse settimane. Lo zio di Aurora mise a disposizione uno dei grandi capannoni della sua azienda, luogo perfetto per una grande festa, la sua lontananza dal centro abitato, permetteva di festeggiare indisturbati e allo stesso tempo di non disturbare nessuno con la musica ad alto volume. Nel tardo pomeriggio, Lucrezia, si recò a casa di Aurora e gli comunicò che era già tutto pronto, il deejay aveva già montato la sua apparecchiatura e fatto alcune prove, il cibo, immancabile in ogni festa di compleanno che sia stata fatta nella cittadina, era ben conservato nelle celle frigo dell'azienda di suo zio e altro era pronto per essere preparato al momento opportuno. Appena Lucrezia entrò nella stanza di Aurora vide che il contenuto del suo armadio si era spostato sul letto e da buona amica comprese l'indecisione,
Aurora si spostava da un lato all'altro della stanza senza un motivo, dando l'impressione che stesse cercando qualcosa,
, , , . Lucrezia tornò a casa sua, lungo la strada alzò gli occhi al cielo e pensò che aveva consigliato l'abito giusto, nonostante la metà di ottobre era già passata da oltre una settimana, in cielo non c'era una nuvola e la temperatura era perfetta, condizioni che avrebbero reso la festa qualcosa di memorabile. Dopo un'ora, Maurizio era già nel capannone accogliendo gli invitati che giungevano; il sole era al tramonto e illuminava ancora la campagna che circondava il luogo, il suo colore arancione creava un bellissimo effetto di ombre che si allungavano sempre più ai piedi delle colline e una sfumatura di colore nel cielo che andava dall'azzurro al rosso. La musica aumentò di volume e il suo ritmo catturò l'attenzione degli appassionati del ballo. Come previsto, appena il sole tramontò tutti gli invitati erano presenti, non mancava nessuno, nemmeno gli infiltrati, tranne Aurora, che giunse poco dopo con uno splendido vestito blu e rosa scuro, degno della protagonista della festa. Tutti trovarono un po' di tempo per ammirarla mentre attraversava il centro del capannone per arrivare accanto al deejay, dove Maurizio la stava aspettando, incantato da tanta bellezza. Ancora una volta, Lucrezia aveva ragione, lei era un'esperta dell'abbigliamento da utilizzare in ogni occasione. Un applauso collettivo, misto a urla di allegria, riempì l'ampio spazio del locale, Aurora non era timida ma era molto riservata, non era abituata a quel tipo di accoglienza, rimase quindi accanto a Maurizio per tutto il tempo. Alcolici e analcolici scorrevano come fiumi in tutti gli invitati, accompagnati da focacce, panzerotti e stuzzichini vari. La festa fu un successo, si divertirono tutti e poco prima della mezzanotte non poteva mancare la torta che segnava la fine del giorno del compleanno di Aurora. Era di grandi dimensioni ed era così buona, che non ne rimase nemmeno un pezzo. Mezzanotte era ormai passata e la festa continuava, beneficiando del luogo in aperta campagna, lontano dal centro abitato della cittadina di Irsina. Maurizio era felicissimo per l'ottima organizzazione della festa, ma anche vedere Aurora con quel suo abito stupendo, lo faceva sentire la persona più fortunata del mondo. Lucrezia aveva in mano una grande busta nera per la spazzatura e cercava di tenerla aperta mentre altre due persone, iniziarono a sgomberare i tavoli da piatti, vassoi di cartone, bottiglie e residui di cibo. Intanto, Aurora, sua cugina, Maurizio e un suo amico erano ancora rapiti dalla musica approfittando delle ultime note, desiderava che la sua festa non finisse mai. Maurizio era accanto ad Aurora quando lei iniziò a sollevare la testa guardando in alto, continuando a ballare, i suoi occhi non riuscivano più a distinguere le travi in metallo che sostenevano il tetto sopra la struttura, un vortice nero apparve improvvisamente davanti ai suoi occhi, diventando sempre più grande, sempre di più, fino a coprire tutto, come un cielo notturno senza stelle, Aurora ballava ma non vedeva nulla, né sentiva, non aveva più il controllo del suo corpo, non era sicura che le sue gambe si muovessero, non capiva se era ancora in piedi e non riusciva a vedere nessuno, solo buio a occhi aperti. Erano tutti ignari di quanto stesse succedendo ad Aurora, fu Maurizio a rendersi conto per primo che qualcosa non andava, Aurora continuava a girare su sé stessa guardando il soffitto ma non aveva più il suo splendido sorriso, aveva gli occhi spalancati come se fosse spaventata da qualcosa e si muoveva come una marionetta comandata da qualcuno, in pochi secondi cadde a terra, rimanendo sul pavimento, i suoi occhi rimasero aperti, Maurizio si precipitò a soccorrerla, il cuore di Aurora batteva regolarmente ma rimase immobile e non rispondeva alle persone che la circondavano. Lucrezia vide la scena e lasciò immediatamente la busta per avvicinarsi di corsa alla sua amica, fece un rapido controllo sul suo stato e chiamò un'ambulanza. L'ambulanza non tardò ad arrivare e venne trasportata immediatamente in ospedale, Maurizio, Lucrezia e i genitori di Aurora la raggiunsero e chiesero ai dottori cosa fosse successo, gli venne risposto che non era ben chiaro con cosa avevano a che fare, ma Aurora era viva, c'era attività celebrale e respirava autonomamente, era in una specie di coma che non gli permetteva di comandare il resto del corpo. La madre di Aurora scoppiò in lacrime e tutti cercarono di consolarla, anche il dottore gli disse che non doveva preoccuparsi, bisognava soltanto attendere l'esito di alcune analisi che sarebbero state effettuate appena i tecnici di laboratorio avrebbero preso servizio: era necessario scoprire la causa di quello strano caso sperando che non fosse nulla di grave. Maurizio faceva fatica a controllare il suo stato d'animo, era difficile vedere Aurora in un letto d'ospedale, immobile, silenziosa e con gli occhi aperti anche di notte, era anche inquietante, comunque non lasciò mai l'ospedale e non la perse mai di vista, e per evitare che gli si seccassero gli occhi, vennero applicate delle gocce di collirio quattro volte durante il giorno e quattro volte di notte. Vedere Aurora in quello stato era terribile, ma oltre Lucrezia, anche i suoi genitori e Maurizio rimasero accanto a lei, a turno, sperando in un cambiamento. Dopo ventiquattro ore Aurora era ancora lì e i dottori non riuscivano a trovare la causa del suo blocco, non sapevano esattamente cosa gli stava succedendo. All'improvviso, Aurora mosse le palpebre e disse qualcosa, , Maurizio era contentissimo di riascoltare la sua voce, gli passò immediatamente un bicchiere di acqua e telefonò ai genitori di Aurora. Finalmente era tornata in sé, ancora atrofizzata e in stato confusionale, non riusciva a capire cosa fosse successo ma per fortuna c'era Maurizio a tranquillizzarla e spiegargli tutto. I genitori di Aurora giunsero nell'ospedale di Matera in poco meno di un'ora, intanto i medici la visitarono nuovamente e quando parlarono con i suoi genitori, consigliarono di dimetterla perché in quel momento era in perfetta forma, ma non riuscirono a capire quale fu la causa di ciò che gli successe, era la prima volta che si presentava un caso simile e gli dissero che sarebbe stato opportuno rivolgersi a una clinica privata specializzata in ngresso in clinica
Eufemia, la madre di Aurora, era contenta di vedere sua figlia di nuovo in piedi ma non gli piaceva il pensiero di vederla rinchiusa in una struttura che lei definiva un manicomio. Dopo un po' di insistenza da parte dei familiari, Eufemia si convinse, ma solo quando la stessa Aurora gli assicurò che starà bene e gli promise che non permetterà a nessuno di fargli del male, Eufemia non aveva alternative, le voleva bene e sapeva che il problema poteva ripresentarsi, in sé pensò, “e se fosse una malattia degenerativa? Forse curandola in tempo Aurora potrebbe guarire!”
Aurora sorrise e per rassicurare sua madre rispose ironicamente, . Eufemia abbracciò sua figlia asciugandosi le lacrime. Il giorno dopo, Aurora entrò in clinica accompagnata dai suoi genitori e Maurizio, erano tutti commossi, tranne Aurora che sembrava tranquilla e rassegnata ad affrontare le cure. Dopo una rapida registrazione in segreteria gli venne assegnata una stanza in un reparto che sembrava un carcere di massima sicurezza, come del resto tutti i reparti dove alloggiavano i pazienti; i parenti potevano accedere solamente all'ingresso e alla segreteria. Un forte abbraccio segnò l'inizio della sua permanenza in clinica e un lungo periodo senza Aurora per i suoi genitori e Maurizio. Aurora prese la sua valigia e guardò i suoi genitori, , , poi si voltò e dopo che la grande porta scorrevole fu aperta da un vigilante, entrò nell'area riservata ai pazienti della clinica. Eufemia e Maurizio rimasero a guardare la sagoma di Aurora che andava scomparendo dietro quel vetro bianco opaco, mentre suo padre camminava a passo lento e testa bassa verso l'uscita. Intanto Aurora venne accompagnata nella sua stanza da un'infermiera che nel frattempo gli elencò tutte le regole della clinica e gli orari di ogni cosa, visite mediche, assunzione medicinali, pranzo, cena, doccia e sonno. Aurora giunse nella sua stanza, lasciò la sua valigia davanti al suo armadietto, poggiò il suo giubbotto sul letto e quando si girò, vide una ragazzina di circa sette anni, seduta su una sedia accanto al letto che la guardava fissa, senza dire una parola, la punta delle sue scarpe si toccavano l'una con l'altra ma non riuscivano a toccare il pavimento, le sue mani erano incrociate e poggiate sulla sua pancia. L'infermiera gli aveva già parlato di lei, era Anna, la sua amica di stanza, anche se quella ragazzina non era amica di nessuno, in seguito a un forte spavento nel giorno in cui i suoi genitori morirono in un incidente domestico non aveva più parlato, chiudendosi in se stessa, era costantemente spaventata, vivendo nel terrore di ogni cosa, ma quello che gli dava più fastidio era il fatto che inspiegabilmente sviluppò oltre misura tutti i sensi, olfatto, udito, vista, tatto e gusto, ognuno in percentuale diversa, compreso il cosiddetto sesto senso, riusciva a percepire e vedere cose che la gente comune non vedeva, né percepiva; portava quasi sempre una piccola cuffia antirumore di colore rosso e a volte degli occhialini tondi oscurati. Aurora era molto dispiaciuta per lo stato di Anna e la salutò alzando la mano, , Anna sollevò delicatamente la mano destra per salutarla rimanendo in silenzio, poi scese dalla sedia e si avvicinò a un lato della finestra, restando a guardare fuori con un solo occhio, come se si stesse nascondendo da qualcuno. Aurora sistemò le sue cose nell'armadietto e indossò la sua vestaglia bianca, che per le donne era l'unico colore di vestaglia ammesso in clinica; uscì dalla stanza e si guardò intorno, notò che tutte le cose che la circondavano avevano soltanto due colori, bianco e verde, l'unica cosa ad avere un colore diverso, oltre a occhi, capelli e pelle dei pazienti era il cibo, per lei il momento del pasto diventò il momento dei colori e tutto il resto uno strano luogo noioso. Anna era una ragazzina estremamente riservata, ma già il giorno dopo l'arrivo di Aurora si affezionò a lei, lo dimostrava regalandogli dei disegni, a lei piaceva tanto disegnare e soprattutto colorare. Aurora approfittò per disegnare qualcosa ad Anna che aveva già i colori pronti, sapeva disegnare ma non aveva molta fantasia e non valeva la pena nemmeno guardarsi intorno per stimolarla, perché verrebbe usato solamente il colore verde, quindi chiuse gli occhi e iniziò a ricordare la sua vita fuori dalla clinica, disegnando alcuni animali, una casa, un'automobile, un clown. Per Anna era tutto molto bello e si divertiva tantissimo, Aurora chiuse di nuovo gli occhi, quella volta ci pensò a lungo e dopo aver poggiato la matita sul foglio iniziò a disegnare, era qualcosa che Aurora aveva lasciato nella sua casa e che gli ricordava la sua infanzia, anche Lucrezia ce l'aveva, era una pianta spinosa chiamata “cuscino della suocera” che gli fu regalata dalla loro maestra di scuola materna, le avevano sempre curate ed erano diventate grandissime, ma quando Anna vide il disegno rimase impietrita e terrorizzata, Aurora, con un sorriso cercò di tranquillizzarla, <è solo un disegno, non punge!> Ma Anna lasciò cadere i colori dalle sue mani e corse a sedersi rannicchiata sulla sua sedia preferita, nascosta tra il letto e il suo armadietto. Aurora non insistette, gli avevano detto solamente di tenerla d'occhio e non fare niente nel caso fosse spaventata da qualcosa. Anna si sentì meglio in pochi minuti e Aurora approfittò per fare un giro nella zona della clinica che ancora non conosceva, tutti la guardavano perché non l'avevano mai vista prima. Vicino a una delle finestre, un paziente di circa quarant'anni era seduto su una sedia, impegnato a incidere in maniera ossessiva un vaso di terracotta con un pezzo di legno, quando vide passare Aurora, si alzò di scatto dalla sedia e andò velocemente verso di lei in modo minaccioso, come se volesse colpirla con il pezzo di legno appuntito che stringeva nella sua mano. Aurora era terrorizzata e indietreggiò mettendosi con le spalle al muro, il tizio gli bloccò ogni via di fuga, mettendosi davanti a lei, aveva una mano poggiata sul muro e con l'atra teneva il pezzo di legno in prossimità della gola di Aurora. La sua vita era in pericolo e la prima cosa che pensò fu che non sarebbe uscita viva da quella situazione, il tizio aveva gli occhi rossi e parlava a denti stretti e in maniera confusa,
Poi si calmò immediatamente e tornò a incidere il suo vaso di terracotta. Un altro paziente vide tutta la scena e si avvicinò con calma ad Aurora che era ancora terrorizzata e non sembrava volersi staccare dal muro, , Aurora guardava colui che gli parlava con occhi spalancati e riuscì a dire soltanto due parole dette a fatica mentre respirava affannosamente, , , Alessandro sorrise in un modo che infondeva fiducia e tranquillità, poi aggiunse, . Alessandro era uno scrittore e un ottimo osservatore, fu lui stesso a farsi ricoverare in clinica, per i suoi improvvisi ed estremi cambiamenti di umore, la causa era dovuta alla sua ipersensibilità a qualsiasi emozione, anche di leggera entità. Parlava poco ma diventava un fiume di parole quando qualcuno era disposto ad ascoltarlo. Non aveva più nessuno e sua moglie era fuggita con un altro, quando i sintomi della sua malattia iniziarono a essere visibili. Aurora si staccò dal muro ancora impaurita, con il fiatone ringraziò nuovamente Alessandro e riprese a camminare tornando indietro verso il suo reparto, guardando Ernesto che bisbigliava qualcosa, mentre seduto incideva il suo vaso. Arrivata nella sua stanza trovò Anna che aveva appena terminato di colorare la sua pianta spinosa, l'aveva disegnata di viola scuro e senza spine, quelle erano disegnate a terra sparse attorno al vaso, Aurora guardò il disegno e rimase sorpresa,
Anna la guardò senza dire nulla e senza espressioni sul suo volto, poi con una vocina quasi impercettibile gli rispose, , Aurora non comprese il significato della frase e poggiò il disegno sugli altri disegni colorati da Anna, , non sapeva se comunicare a qualcuno che aveva sentito Anna parlare, gli avevano detto che ci avevano provato ma lei non aveva più detto una parola dal giorno del suo trauma: un incidente che coinvolse la sua famiglia e da cui soltanto lei ne uscì viva. Pensò che sentirla parlare non aveva molta importanza e forse, Anna non aveva il piacere di parlare con nessuno. Aurora era ancora un po' agitata per quello che era successo con Ernesto e andò a distendersi sul suo letto, dove iniziò una lunga esplorazione del soffitto. La sera giunse presto e dopo i controlli in ambulatorio, Aurora prese le sue medicine e andò a letto, ma non riusciva a dormire, pensava a quello che aveva detto sua madre e anche lei iniziò a pensare che quel luogo era molto simile a un manicomio. La notte si poteva ascoltare ogni genere di rumore, anche il più debole, si sentivano dei gemiti, Anna aveva paura e non riusciva a dormire, anche a causa della sua iperacusia, e per sentirsi più protetta si avvicinò con la sua copertina ad Aurora, si sedette su un tappeto accanto al letto e dopo aver poggiato la testa sul lato del materasso cercò di dormire. Passarono alcuni minuti e Aurora che era ancora sveglia, chiuse gli occhi. Iniziò a sentirsi in modo strano, gli sembrò sprofondare nel materasso e il soffitto come se gli stesse per cascare addosso, ma non riusciva mai a raggiungerla, riconobbe improvvisamente la sensazione e prima che si paralizzasse nuovamente, chiese aiuto ad Anna toccando la sua testa con il palmo della mano destra, Anna si svegliò e vide Aurora con gli occhi spalancati mentre cercava di dirgli qualcosa, ma non riusciva a parlare. Lo sguardo di Aurora con quegli occhi spalancati era inquietante, ma Anna per la prima volta si fece coraggio, doveva aiutare la sua unica amica e premette il tasto di chiamata d'emergenza, prima di allontanarsi e nascondersi sotto la sua coperta davanti alla sua sedia. L'infermiera arrivò dopo alcuni secondi e chiamò rinforzi per trasferire immediatamente Aurora in infermeria. Anna era rimasta sola nella stanza e tremava sotto la sua copertina, ma nel suo piccolo rifugio non era del tutto buio, tre piccoli forellini nella copertina facevano entrare la luce e gli permettevano di vedere fuori. Guardando attraverso il forellino più grande, vide qualcosa, molto simile a un'ombra oscura e densa, attraversare la stanza e uscire dalla porta. Dopo un minuto, un urlo femminile, lontano, ma che Anna sentì molto bene per via del suo udito sensibilissimo. I suoi pensieri gli dicevano che qualcosa di brutto stava per accadere, non riusciva nemmeno a piangere per il terrore e rimase sveglia a tremare di paura per tutta la notte, fino a quando alle prime luci del mattino, si addormentò.
Pino Digiuseppe
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