
Una domenica di inizio ottobre.
Albina se ne stava lì, con in mano la sua tazza di infuso fumante che odorava di fragole e champagne, riscaldata dalla sua coperta di lana bianco panna, a godersi quel tiepido pomeriggio domenicale di inizio ottobre sotto al portico della sua piccola ma accogliente casa di fronte alla spiaggia, completamente ignara del fatto che quella sarebbe stata l'ultima giornata tranquilla per molto tempo a venire. Ogniqualvolta le condizioni meteo lo consentissero, qualunque fosse la stagione, amava starsene rannicchiata nella sua sdraio a dondolo a godersi la vista e il profumo del mare, il suo luogo del cuore, il panorama naturale che più di ogni altro si accordava con le note della sua anima. Poteva stare a contemplarne la magnificenza per ore, ignorando tutto ciò che nel frattempo si muoveva intorno a lei. Adorava quegli arcobaleni di verde e blu che si dipingevano sulla sua superficie e i riflessi argentei del sole, quel movimento perenne – ora lieve, solo accennato, ora impetuoso e violento – che dava corpo all'acqua. Il mare non stava mai fermo, anche se a volte poteva sembrare che lo fosse e, soprattutto, era il signore dei contrasti: lo splendore e l'oscurità dell'abisso, la quiete e la tempesta, una possibilità di salvezza come di morte. Albina sentiva forti dentro di sé doppiezze simili a quelle e si domandava se un tal modo di percepirsi appartenesse solo a lei o fosse, chissà, un tratto caratteristico di tutti gli esseri umani. Alcuni le parevano così monolitici da non essere nemmeno in grado di pensarla una dicotomia, una frattura lacerante, un'ombra latente. Ad ogni modo, lei si sentiva fortunata a poter rispecchiare i suoi stati d'animo in un elemento esterno. Per quanto bislacco, si sentiva compresa, a differenza di ciò che, spesso, le accadeva con le persone. La distesa d'acqua, che quasi lambiva il portone della sua abitazione, era lo specchio che le restituiva parti di sé senza giudicarla, fraintenderla o rimproverarla. La accoglieva e basta. Quella domenica, in particolare, l'atmosfera era piuttosto tranquilla e riposante. Ormai, il caotico traffico estivo che animava il lungomare nella stagione più calda dell'anno era solo un ricordo: poche macchine in giro, giusto quelle dei proprietari delle abitazioni lì nei dintorni, qualche bicicletta e piccoli gruppi di persone a passeggio sulla pista ciclabile che correva parallela alla strada a senso unico, su cui si srotolavano, alternandosi in modo disordinato, piccole case singole e svettanti condomini. Ognuno si godeva quell'assolato paradiso in terra come meglio poteva. D'altronde, alle diciassette del pomeriggio, l'aria era ancora sufficientemente tiepida da consentire di stare all'aperto a respirare la salubre aria salmastra. Immersa nei suoi pensieri e negli aromi della sua tisana e del mare, Albina, scivolata in un lieve sonno rilassato, non si era minimamente accorta della presenza di Emilio al cancelletto di ingresso. L'uomo la guardava divertito con un gran sorriso in faccia, trattenendosi a fatica dal sollecitarne il ritorno in vita con il lancio di qualcuno di quei candidi sassolini che lastricavano il selciato davanti alla casa. Era un ottimo tiratore, non avrebbe mancato il bersaglio. Proprio quando Emilio stava per mettere in atto il suo diabolico piano di risveglio della bella addormentata, un secco colpo di clacson di una macchina di passaggio la riportò in stato di piena coscienza, facendole realizzare che quel beota dell'amico era appollaiato sul cancello a ridersela ormai di gran gusto, dopo aver assistito al soprassalto che aveva scosso il suo corpo abbandonato sulla sdraio. «Ma quanto sei cretino?», disse lei, fingendo arrabbiatura, ma aprendo immediatamente dopo il viso a un largo sorriso di gioia per l'imprevista e gradita visita. «Quel tanto che basta per essere amico tuo, bellezza. Dai, apri, che è un quarto d'ora che sto qui a godermi l'eccitante spettacolo di te tra le braccia di Morfeo. Anzi, ero quasi tentato di andarmene via, ma non prima di avere scattato una bella foto ricordo di te addormentata con la bocca semiaperta e il filo di bava all'angolo», rispose lui, sorridendo a trentadue denti. Ecco, la dentatura perfetta, regolare e bianchissima, era qualcosa che tutti – uomini e donne indistintamente – gli invidiavano e lui, da bravo Narciso, non perdeva occasione per esibirla, in particolare quando il pubblico era in prevalenza femminile. «Confermo, sei cretino. Entra, volpe, il cancello è aperto», disse lei. «Se torni temporaneamente nel mondo dei viventi e ti dai una ricomposta, possiamo andare a farci un aperitivo in centro, che ne dici?». «Prima o poi dovrai dirmi dove trovi tutta questa voglia di stare sempre in mezzo alla confusione e alla gente, alla quale, come sai, sono mortalmente allergica». Albina ed Emilio, amici per la pelle nonostante le loro diversità. O, forse, proprio grazie a quelle. Lei non si capacitava di come lui, giornalista freelance, blogger e scrittore, dilapidasse con tanta leggerezza in extra di ogni tipo i guadagni conquistati a fatica, cosa che, pedante come una madre con un figlio spendaccione, non mancava mai di fargli notare. Si trattava per lo più di acquisti di piccole cose, è vero, ma erano tante cose, come l'iscrizione alla palestra, accessori di vestiario, frequenti cene con gli amici, viaggetti qua e là, per – affermava lui – ritemprare lo spirito affaticato. Da cosa, non le era del tutto chiaro. In realtà si rendeva conto che la situazione economica di partenza dell'amico era ben diversa dalla sua: il padre, Carlo, era un noto imprenditore calzaturiero della zona, stimato e benvoluto da tutti, colto e generoso, e la madre, Maria, una nota professoressa di greco al locale liceo classico, sicché Emilio, sin da piccolo, aveva beneficiato della stabilità finanziaria che la professione dei genitori poteva offrirgli e goduto di un ambiente culturalmente stimolante, dal quale aveva acquisito una delle sue doti più spiccate: la curiosità. Certo, ad Albina sembrava abbastanza improbabile che, a quarant'anni suonati, Emilio ricevesse ancora la paghetta settimanale, ma era un fatto oggettivo che provenisse da una famiglia molto benestante per la quale i soldi non costituivano certo un problema. Peraltro, anche il piccolo bilocale in centro in cui abitava era di proprietà familiare, uno dei vantaggiosi investimenti immobiliari che i Bevilacqua si erano potuti permettere molti anni addietro, quando la crisi economica non era ancora arrivata a falciare via i sogni e le speranze di lavoratori, famiglie, interi paesi del territorio marchigiano. A Emilio toccava “solo” l'incombenza di pagare le bollette e mantenere l'appartamento in uno stato generale di buona igiene e decenza, cosa che non sempre gli riusciva con successo. A chi lo avesse visto da fuori, senza conoscerlo, poteva sembrare il classico figlio di papà, viziato e senza pensieri, preoccupato solo di procurarsi l'ultimo modello di cellulare o di mettere le tacche sopra al letto per tenere il conto delle proprie conquiste, ma Emilio era l'esatto opposto di come appariva, o, meglio, di come voleva apparire agli occhi del mondo. Per difendersi dal dolore. Per non sentire quel vuoto pneumatico che gli scoppiava dentro come una bomba atomica ogni volta che pensava a lui. Non aveva mai parlato di quello con Albina, era un argomento tabù, l'unico, probabilmente. Lei sapeva cos'era successo, tutta la città lo sapeva, ma non si era mai spinta fino a chiedergli di raccontarlo in prima persona, perché aveva intuito che, nonostante i tanti anni ormai trascorsi da quel tragico incidente, la ferita pulsava ancora come se fosse appena accaduto. Ciascuno di loro aveva delle zone interdette all'altro e il loro rapporto di amicizia era saldo e forte perché basato sulla condivisione di spazi fisici, mentali ed emotivi comuni, sì, ma anche sul tacito rispetto delle rispettive aree off-limits. Infatti, anche Albina aveva le sue, in prevalenza concentrate nell'area sentimentale della vita: una Caporetto. A quarantacinque anni, aveva ormai acquisito una nutrita serie di esperienze fallimentari – tra cui un'unica convivenza part-time di circa quattro anni con un suo coetaneo, Mario, che le aveva fatto crescere in testa un discreto numero di corna – che l'avevano convinta a desistere dalla ricerca della famosa metà della mela, certa che fosse ormai finita in qualche sangria. D'altro canto, stare da sola le aveva insegnato ad apprezzare sé stessa, a prendersi e godersi il suo tempo e a riscoprire le sue passioni, prime fra tutte la lettura e la scrittura, attività che, per qualche oscura ragione, non appartenevano neanche per sbaglio al bagaglio personale dei partner che il destino – o magari la sfiga, ma immaginava che la questione avrebbe richiesto indagini più approfondite – aveva posto sul suo cammino di giovane donna. A dirla tutta, Emilio le piaceva anche, e molto, e con grande probabilità l'attrazione era reciproca, ma era come se tra loro esistesse una forza respingente non meglio identificata che impediva l'evoluzione del loro rapporto amicale in qualcosa di più intimo; il timore che il superamento del confine avrebbe condotto inevitabilmente a un allontanamento definitivo, cosa che nessuno dei due si augurava accadesse. Consci entrambi dell'invisibile filo spinato elettrificato che si attivava a ogni eccessivo avvicinamento fisico ed emotivo, avevano maturato l'implicito accordo di non oltrepassare la linea, oltre la quale supponevano che le cose si sarebbero di certo complicate, quando non compromesse in modo irreparabile. Per questo, si mantenevano nei ranghi di un'intensa e profonda amicizia, della quale si nutrivano con regolarità e piacere, creando occasioni di incontro ogniqualvolta risultasse possibile, se non dal vivo, almeno sui social, per telefono, via Whatsapp. Il bello di essere entrambi liberi da vincoli affettivi era potersi parlare e incontrare ogni volta che ne avevano voglia, esattamente come quel pomeriggio di ottobre, quando Emilio si era presentato a casa di Albina senza alcun preavviso, solo perché gli andava, sicuro che lei non l'avrebbe mai scacciato. E così era stato. «Oh Dio, Emi, no, l'aperitivo in centro no. Mi sballi questo già precario equilibrio interiore raggiunto a fatica dopo una settimana di lavoro che definire di merda è davvero riduttivo. E domani ricomincia pure, ci rendiamo conto?», disse Albina, irremovibilmente incassata nella sua sdraio a dondolo come una pietra in un anello. «Albi, sei una cazzo di eremita. Diventerai presto vecchia, sdentata e rompicoglioni come poche. Okay, no all'aperitivo in mezzo alle cavallette, ma qualcosa dovremo pur mangiare! Ti va se ordiniamo qualcosa on-line, ce lo facciamo portare qui e ce ne nutriamo in questa monacale solitudine?». Albina lo guardava tra il soddisfatto e il divertito. Le piaceva quando le andava incontro, cioè sempre, non come qualcuno che accondiscenda – salvo, poi, legarsela al dito – a un capriccio, ma come qualcuno che desidera che l'altro stia bene, anche se questo significa rinunciare a qualcosa che si farebbe volentieri. Lui le voleva bene. Glielo dimostrava di continuo. E poi quel senso dell'ironia che infarciva i suoi discorsi e che condivideva con lei: una caratteristica comune, rivelatrice di fine intelletto, certo, ma anche tipica di chi ha sentito troppa sofferenza sulla propria pelle e ne cerca in qualche modo un distacco per non farsene più travolgere. Le emozioni possono fare paura. Molta paura. Albina ed Emilio, ciascuno con le proprie personali motivazioni, erano due specialisti nel loro evitamento. «Questa mi sembra un'ottima proposta, per me pizza margherita e birra media, grazie! Magari prendi pure un chilo di gelato, i miei gusti preferiti li sai». «Ah, bene, quindi diamo per scontato che paghi io, giusto?», disse Emilio sorridendo. «Mi sembra evidente. Sei venuto qua senza annunciarti, sei stato a ridere di me che dormivo non so per quanto, volevi portarmi dentro al girone infernale degli apericena domenicali e dovrei pagare io? Ma in che mondo vivi, ragazzo?». Risero di gusto tutti e due. Mentre lo facevano, Emilio aprì l'app per ordinare la cena e Albina si scollò con fatica dalla sdraio per apprestarsi a rientrare. Il sole era ormai tramontato e la fresca brezza della sera iniziava a pizzicare le guance. Era ora di avviarsi a chiudere una domenica apparentemente come tante. Era ora di lasciarsi avvolgere dal tepore di quella piccola e deliziosa casa di fronte al mare, custode di antichi segreti da nessuno risaputi. Neanche da Albina, che la abitava.
B. K. Plum
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