Writer Officina - Scrittori Ribelli
Recensione di

Carmen Trigiante
La vita ostile

"La vita ostile" di Raffaele Mutalipassi è un viaggio alla ricerca della felicità. Dai sapori di tempi lontani, in cui le storie dei nonni si intrecciano coi grandi cambiamenti che sconvolgono l'Italia, parte la vicenda del protagonista, che affonda le radici in una famiglia conflittuale. L'unione incompleta tra due genitori molto diversi pone le basi per una vita tormentata, che cerca nell'evasione e nel viaggio la collocazione equilibrata del proprio sé. Il giovane Raffaele colleziona assenze a scuola, è costretto a iscriversi alla scuola dei preti, eppur continua "a fare la vita da delinquente", bighellonando tra la bisca del “Napoletano” e gli amici dei giardini di Piazza Re di Roma.
La sua adolescenza interessa un periodo di sviluppo economico e industriale del nostro Paese. Mentre scoppiava l'era Beatles, "C'era tanta speranza e fiducia nel futuro". L'atmosfera di sera nei giardini di Piazza Re di Roma era elettrizzante. Le famiglie uscivano fuori e si sedevano sulle panchine dei giardini a prendere il fresco."
Ciononostante, dirà l'autore, l'Italia è un posto che non ha la capacità di valorizzare i propri giovani. Il romanzo autobiografico è infatti soprattutto una denuncia personale verso un mondo che "tradisce il proprio passato ed i propri giovani". Il protagonista, costretto dal bisogno di non voler vivere nella mediocrità, si domandava: "che ci faccio io qui?"
Prevale la sensazione di estraneità, rispetto alla "superficialità, la puerilità e la malafede" che erano e "sono tuttora i tratti distintivi della società italiana contemporanea. Gli italiani si erano dimenticati di me ed io mi volevo vendicare dimenticandomi di loro".
Allo sbiadire del sogno di diventare calciatore, si concretizza l'ipotesi universitaria e professionale che gli darà la possibilità di iniziare il suo viaggio, lasciando una casa paterna nella quale "Non avevo nessuno che mi accudiva, mi preparasse da mangiare, mi stirasse i panni, che mi aiutasse a vestirmi. Non curavo la mia persona e mi vestivo per giorni con le stesse cose. Mi sentivo diverso e abbandonato. Un disadattato. A quel tempo avere i genitori separati rappresentava una vera e propria tragedia per un adolescente come me."
Burkina Faso, Mali, Guinea Conakry, Senegal, Camerun, Afghanistan, Kosovo, Montenegro e Costa Rica sono solo alcune tappe di un eterno girovagare, talvolta doloroso, ma molto più spesso arricchente, eppur tormentato dall'incubo ricorrente dell'abbandono.
Alla fine, però, ciò che conta è allineare la propria anima all'esistenza, superare quei complessi di inferiorità che conducono a portare avanti una vita ostile.
L'autore, che sente di essere stato un cane sciolto, uno spirito indipendente, appartenuto soltanto a se stesso, esprime un giudizio molto duro sui propri contemporanei, citando le parole di Giacomo Leopardi: "Praticamente non è cambiato nulla rispetto al “Discorso sugli usi e i costumi del popolo italiano” fatto da Giacomo Leopardi tra il 1824 e il 1827. Il grande poeta già a quel tempo lamentava: la scarsa predisposizione degli italiani a comprendersi e conoscersi l'un l'altro; la mancanza di amor nazionale; la dedizione al presente senza preoccuparsi del futuro. Lui definiva quello degli italiani “il più cinico dei popolacci” ed al rispetto affermava che un “popolo senz'amor proprio è impossibile che sia giusto, onesto e virtuoso di carattere, d'inclinazioni, costumi e pensieri, se non d'azioni”.

La vita ostile in biblioteca
 
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