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"L'arcobaleno non ha radici" di Mirella Guagnano è un romanzo intriso di dolcezza e di quella malinconia che porta alle labbra il sapore dei sacrifici che si fanno per amore. Un amore immenso, sconfinato, di fronte al quale la vita è sempre troppo dura con chi si ritrova a naufragare in quella "maledetta povertà" che tutto infanga. L'esistenza diventa una corsa a ostacoli, che rischia di travolgere tutto, inclusa la capacità di provare sentimenti. Le emozioni possono diventare valange di dolore, strazianti tunnel dai quali uscire per tirare un sospiro diventa quasi impossibile. Si annaspa, ci si barcamena, sperando che qualcosa possa cambiare e che, all'orizzonte, inizi a vedersi la luce. Così i protagonisti del romanzo, ambientato tra gli anni venti e gli anni sessanta del Novecento, parla di una storia ben nota ai nostri nonni: la storia dei migranti, di tutti coloro che, stretti in una condizione di indigenza, si trovarono costretti, con una immenso atto di coraggio, a lasciare i propri affetti e trasferirsi altrove, in cerca di lavoro. Tante storie, che possono sembrare all'apparenza distanti dalla nostra società del consumismo, ci toccano invece il cuore e l'anima, facendoci immaginare i sacrifici che i nostri genitori fecero all'epoca, per darci un futuro migliore. Ho molto apprezzato la descrizione delle tradizioni salentine, incluso quella della Pizzica, una danza folkloristica che ormai appartiene al patrimonio culturale della nostra terra, conosciuta in tutto il mondo.
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