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Pubblica Amministrazione di Ettore Ezio Pantaleone ci porta dietro le quinte degli uffici pubblici.
È capitato a tutti di sentir parlare dello Stato come di un'astrazione, dimentichi del fatto che lo Stato siamo noi. E anche gli statali siamo noi. Tra gentile utente e dipendente pubblico solo uno sportello fa la differenza.
Il dipendente statale, oggetto di pregiudizi, deriso in tutti i modi, disprezzato e considerato spesso alla stregua di una zecca, si sente diverso, discriminato e privo di una vita lavorativa per il fatto stesso che non la può raccontare, pena appunto il dileggio plateale. Solo a fine “carriera” può permettersi il lusso – o cavarsi la soddisfazione – di raccontarla. Il taglio ironico, sottile e divertente, di questo libro era l'unico che, a mio parere, la voce narrante potesse utilizzare per ricostruirla in modo tanto autentico e amaro. Resta anonima, la voce narrante, non a caso, credo per significare l'anonimato in cui i dipendenti della PA vivono e lavorano. Perché, per quanto male se ne pensi, lavorano e sono molto spesso le prime vittime del posto fisso, tanto vituperato dalla pubblica opinione.
Il viaggio raccontato è quello di un precario medio che, apposta la fatidica firma con cui diventa dipendente statale, invece di sentirsi - proiettato verso il futuro stabile e radioso di chi si accoccola nelle braccia dello Stato - , si sente diverso, ridotto a una categoria. Il neoassunto, ebbro di iniziativa, trova nel collega più anziano, Marco, una sorta di Virgilio, che lo conduce tra le maglie semoventi degli uffici, lo guida e lo induce a scelte di ruolo; segue l'evolversi del suo stato d'animo, mentre scopre la - statale posata lentezza - , un mondo in cui - ogni cosa è scolpita nel marmo ma al bisogno cangiante e rettificabile - , un mondo di - costanti mutevoli, regole inafferrabili ma coerenti in cui le contraddizioni sono previste dalle eccezioni - .
Metafore che richiamano la storia militare, ricordi scolastici, situazioni del quotidiano, dotte citazioni e immagini rubate alle tecniche cinematografiche, si alternano per illustrare il variopinto mondo – umano e non – dell'Ufficio 4: colleghi, funzionari, responsabili, dirigenti, statistiche politicamente corrette, fascicoli da passeggio, cacciaviti indici di affidabilità, formulari... e pubblico, i gentili utenti che si rivolgono all'URP. Il senso di impotenza che passa dalle pagine al lettore è lo stesso che attanaglia chiunque si accinga a telefonare a / entrare in un Ufficio 4. L'autore, però, avverte subito dopo il frontespizio: - Pubblica Amministrazione è un'opera di fantasia. Non prendetela troppo sul serio. Ma non prendetela sotto gamba - .
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