Carusi di miniera - Tania Anastasi
Trama: Una storia della Sicilia di fine ‘800, delle solfatare, dei carusi di miniera e delle loro famiglie. Di una di quest'ultime in particolare scopriremo le vicissitudini attraverso il racconto di Minico, secondogenito della famiglia Balistreri, che ci racconterà di Fano, suo fratello maggiore, e delle scelte crudeli cui erano costretti i genitori di quel tempo quando non avevano di che sfamare i propri figli.
Recensione: Non avevo mai letto nulla sull'argomento, sebbene in narrativa non manchino altri testi, da qui il mio grazie all'autrice per il suo valido approfondimento. In molti siamo abituati a leggere di una Sicilia ottocentesca sfarzosa, del corollario dei nobili, di palazzi principeschi... la stessa narrativa che – ancora adesso – ci racconta dei Florio, degli Ahrens o, sintetizzando al massimo, quella descritta nei romanzi della Monroy. E qui, piccola digressione, mi sovviene il paragone tra Tolstoj e Dostoevskij, il primo raccontava dei nobili russi mentre il secondo delle classi più basse, del popolo e delle sue miserie; la Anastasi approfondisce questo secondo aspetto, ci mostra l'altra faccia di questa terra, magnifica e infernale, contrapponendo l'odore di zagara dei giardini nobiliari al fetore dello zolfo che ammorbava l'aria intorno alle miniere; a questo proposito aggiungo di avere letto casualmente, subito dopo Carusi di miniera, un romanzo della Monroy, Caffè amaro, dove si narra (con altri intenti) di una nobile famiglia proprietaria, tra le altre cose, anche di una solfatara; mi è sembrato, in un certo senso, di continuare il racconto (il passaggio dal popolo sfruttato alla nobile famiglia con i suoi problemi, mi ha portato da lettrice a vivere un'esperienza strana e interessante). I due soggetti principali del bel romanzo della Anastasi sono la madre e Fano. La donna emerge con tutte le sue qualità affettive, il lettore la seguirà nel suo andirivieni per le strade del paese nella ricerca affannosa di una soluzione; mentre a Fano, da primogenito, toccherà il fardello più pesante da portare sulle spalle. Le solfatare erano l'inferno sulla terra, chi vi lavorava si abbrutiva nel corpo e nell'animo; sempre alla ricerca di una sopravvivenza ogni giorno più difficile. Da dipendente o da sfruttatore, la miniera sapeva tirare fuori il peggio da ognuno. Eppure, finché l'uomo avrà respiro ci sarà sempre un barlume d'amore capace di farsi strada, di portare lampi di luce anche negli antri più bui, piccoli sorsi di vita. Quei sorsi arrivavano giù nelle viscere della terra attraverso le bambine che portavano l'acqua ai minatori... Quando recensisco non amo svelare molto della trama (anzi è proprio una cosa che trovo controproducente per il romanzo stesso), per questo mi pare di avere già detto troppo. L'autrice ha fatto una buona ricerca sul periodo storico, sulle solfatare stesse e sui diversi ruoli svolti dagli “schiavi” che vi lavoravano. In conclusione: Un testo che si legge con grande interesse. Molto bella anche la copertina.
P.s. A onor del vero devo aggiungere che, da amante della tecnica della scrittura, a mio parere, il romanzo (alla fine) rivela un piccolo difetto (una questione relativa all'Io narrante), ma che il lettore comune non noterà neppure. Mi sento in dovere di puntualizzare questo particolare non certo per sminuire il romanzo che ho apprezzato molto, e lo ribadisco volentieri, ma solo perché scrivendo recensioni che leggono anche molti addetti ai lavori non posso ignorare.
Trovo utile far conoscere al lettore che poco fuori Caltanissetta, nella valle delle miniere, esiste il Cimitero dei Carusi, dedicato alla memoria di un incidente in particolare avvenuto il 12 novembre del 1881, nel quale tra i 49 morti, perirono anche 19 bambini (detti carusi, per l'appunto) in età compresa tra gli 8 e i 14 anni.
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