Quasi è il mio nome
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Una raffica.
Una raffica. Un angolo del mare del nord, e arriva ancora una raffica di questo vento, che sembra solido; che sferza e piega l'erica fitta che ricopre il terreno tutto intorno, accarezzandola come fosse una gigantesca mano che la conduce in una morbida danza e ci costringe a fermarci.
Il vento è rabbioso, e ci spinge di lato, spezzando il percorso lineare delle nostre impronte sulla sabbia. Ci stringiamo nei nostri giacconi, bavero sollevato, e riprendiamo il nostro cammino piegati in avanti, per resistere alla sua spinta. Il mare è lontano perché la marea se lo è portato via, e questa sabbia, vista in lontananza, sembra ancora ricoperta d'acqua. Sembra di poterci affondare ma, invece, sorprende per quanto è dura e compatta sotto i nostri passi. Si intravedono soltanto i ricami delle impronte dei piccoli uccelli neri che pascolano alla ricerca di vermi.
Quando la marea si ritira, lascia grandi distese di sabbia perfettamente lisce; come se il mare, andando via, cancellasse come su una lavagna tutti i segni di ciò che è stato e tutto potesse ripartire ogni volta da una pagina bianca; come una storia che si ripete all'infinito, per ricominciare sempre da se stessa. Un intenso e acre odore salmastro, e qua e là mucchi di alghe, laminarie dalle grandi foglie marroni, sono appoggiate sul fondo quasi a riposarsi, ma pronte a rialzarsi e riprendere a ondeggiare, quando il mare tornerà, perché tornerà e, ogni sei ore, costante, questo movimento più antico del tempo, è ritmato come fosse il respiro del mondo, e ha una potente suggestione che cattura ogni essere.
Nelle nostre vite di città abbiamo smesso di seguire il ritmo della natura, di alzare gli occhi per guardare il cielo e riconoscere il passo delle nuvole, il volo degli uccelli e tutti quei segnali che ci fanno capire cosa sta accadendo, e prevedere cosa accadrà. Qui, invece, il tempo è mutevole, e passa dalla calma alla furia in brevissimo tempo, ma c'è la marea a cadenzare il ritmo delle giornate, e dopo un poco ti accorgi che quel ritmo prende anche te, e diventa persino normale questo suo andar via per poi ritornare. Sempre costante.
È così particolare, poi, la sensazione di camminare sul fondo del mare, quando il mare non c'è, perché se ne è andato via, lontano. Ma sai che presto tornerà e resti guardingo, quasi dovesse sorprenderti all'improvviso, mentre ti riempi di questa quiete innaturale. Di questa quiete e questo silenzio, che è come se il mondo trattenesse il fiato, e un po' lo fai anche tu. In lontananza si sente il rumore delle onde che presto arriveranno anche qui, con la marea montante. E c'è lui, questo vento che arriva all'improvviso, inatteso, e spinge in una corsa arrembante quei nuvoloni scuri e veloci, che promettono burrasca. Questo vento di nord-ovest, che arriva da lontano, ha attraversato l'immensità dell'oceano, accarezzando le onde, e poi sempre più forte, fino a farle crescere schiumose e portarle impetuose e potenti fino a qui, a infrangersi contro queste rocce. Questo mare è così; ti attira come fosse un'entità vivente ma, allo stesso tempo, incute soggezione, timore; certamente, incute rispetto. È un mare pesante questo, l'oceano, e sovente ha il colore del piombo.
La metafora del fico d'India.
- E poi lo sai, nella vita ci sono anche i fichi d'India! -
- I fichi d'India? Ma cosa c'entrano ora i fichi d'India? -
- Ma certo che c'entrano. Ci sono tante cose nella vita, come le ciliegie e le fragole ad esempio, che già nell'aspetto si presentano invitanti. Sappiamo anche che sono piacevoli, gustose e non ci resta altro che coglierle. Altre cose, invece, appaiono anche loro invitanti, ma nascondono trappole, insidie pericolose; con il loro aspetto ci tentano per trarci in inganno. Quante volte ci siamo cascati, in quelle trappole! -
- Beh, certo che capita; è facile farsi ingannare dalle apparenze, e se poi ci caschi sono guai. Ma i fichi d'India? -
- Già, e poi ci sono anche i fichi d'India, con il loro aspetto ostile. E mi chiedo, ma secondo te, come sarà venuto in mente al primo uomo che ci ha provato, e che lo ha fatto? Al primo a cui è venuto in mente di sfidare quelle spine sottilissime e volatili che ti si infilano sotto pelle e dovunque. Come gli sarà venuto in mente di andare a vedere cosa ci fosse sotto quella scorza rugosa e minacciosa, per andare poi a scoprire la sua delizia? -
- La curiosità, credo, è sempre lei che ci porta verso nuove scoperte; magari si sarà riempito di spine anche lui ma è una fortuna che ci abbia provato. -
- Infatti, e dobbiamo essere contenti che lo abbia fatto, anche per quello che il suo coraggio ci insegna. Vale sempre la pena di cercare, di provare a scoprire e capire come funzionano le cose che ci sono intorno a noi. Come anche di andare a vedere se, in quello che ci accade, anche se appare doloroso e negativo, non si nasconda, in fondo, qualcosa di buono, di utile. -
- È vero. Capita che ti trovi di fronte a qualcosa di difficile, minaccioso, una situazione che ti fa star male e che ti respinge, e allora ti viene voglia di allontanarti, andartene e far finta che non esista. Ma quello che vuoi dire è che in quel caso stiamo vedendo solo la scorza e le spine? -
- Potrebbe essere. A volte è proprio la voglia di andare oltre le apparenze e di guardare veramente le cose, che ci aspettati. -
- Probabilmente hai ragione, ma è anche vero che certe cose che ci accadono sono dure e basta, e si fa si fatica ad accettarle; ci sono soltanto le spine, e credo che sia davvero difficile trovarci qualcosa di buono. Ma tu stai cercando qualcosa? -
- A volte non possiamo farci niente, però potrebbe esserci utile tenere viva la voglia di provarci, di sforzarci di capire se quello che ci arriva, o ci succede, sotto il suo aspetto negativo, nasconda qualcosa che potrebbe esserci utile e che sarebbe importante poter cogliere. Si, sto cercando qualcosa, vorrei davvero riuscire a capirci qualcosa, anche se mi sembra così difficile! -
- È per questo che hai voluto che ci rivedessimo, dopo così tanti anni? Quanti ne sono passati? -
- Tanti, una vita intera. Mi sono mancate moltissimo le nostre chiacchierate di allora, e in questo momento ne ho davvero bisogno. Io ero sempre il solito sognatore, quello che partiva con i suoi discorsi complicati, e a te andava anche bene, ma poi ci infilavi quel tuo realismo con cui mi riportavi a terra. A volte bastava solo una battuta, smettevo di volare e spesso si finiva in risate. -
- Chissà quante cose avrai da raccontarmi, allora. Ma cosa è successo di particolare, così all'improvviso? -
- Mica tanto all'improvviso. Ci sembra che le cose accadano all'improvviso. Certe volte, forse, è proprio così. Ma nella maggior parte dei casi le cose partono da più lontano; una lunga preparazione prima di manifestarsi. Tanti piccoli fatti, segnali che non vediamo, o non vogliamo vedere e poi tutto d'un tratto accade qualcosa che alza il velo e solo allora ce ne rendiamo conto. Ma sul momento non è una visione lucida, comprensibile. È una sensazione, impalpabile, ma potente. -
- Come quando ti svegli di soprassalto da un sogno e fai fatica a capire dove ti trovi; cosa ci stai facendo lì? -
- Ecco, è più che altro una domanda: chi sono e cosa ci faccio qui? -
- Cosa vuoi che sia, una domandina semplice, come il tuo solito! -
- E cosa c'è di semplice? Il punto è che tutta la mia vita mi appare proprio come un fico d'India. Piena di problemi, di insuccessi e fallimenti, recriminazioni, dolori e delusioni. Quello che vedo non mi piace; non è stato quello che mi aspettavo, e che avrei voluto. E mi viene voglia di andare a vedere cosa c'è dentro, per capire cosa diavolo è successo. Cosa significa tutto quello che ho vissuto fino ad ora. -
- Capisco cosa vuoi dire. Una domanda: e che domanda! Certo che deve essere accaduto qualcosa che ti ha scosso, perché di solito si tira avanti giorno per giorno e magari ci si porta dentro un senso, anche vago, di insoddisfazione per ciò che si sta vivendo, e per cosa è stato. Per cosa si è fatto, perché lo si è fatto e che cosa ne è derivato. Anche perché, vivendo appunto giorno per giorno e pressati dal quotidiano, non si riesce a vedere l'insieme, la trama. E spesso neanche la si cerca. -
- Proprio così. È come quando, camminando, ti guardi i piedi, attento al prossimo passo, e non alzi lo sguardo per vedere dove stai andando e da dove arrivi. Probabilmente qualcosa covava da tempo, chissà da quanto; ma ho come la sensazione che quel velo si stia alzando, ora. Ho come la sensazione di poter fermare, per un momento, questo continuo andare, andare avanti; sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo; ancora un passo più in là. Andare avanti che, in realtà, ha più il sapore della fuga, da qualcosa che continua a inseguirti, implacabile, e che temi ti possa raggiungere. Qualcosa che forse non si ha voglia di guardare in faccia, ma che penso non si potrà tenere sempre a distanza. Perché prima o poi, coglierà il momento e ti raggiungerà e allora sarai costretto a farci i conti. -
- Puoi correre quanto ti pare, ma certe cose non le lasci mai indietro come pensi: te le porti sempre appresso come uno zaino che pesa sempre di più, e ti rallenta. E allora è arrivato anche per te il momento di fermarti, a quanto mi pare di capire. -
- Devo aver letto da qualche parte che non serve strappare le pagine della propria vita, ma bisogna voltar pagina e da lì ripartire. Infatti non serve a niente, ogni volta, lasciarsi indietro quello che è stato come se bastasse chiudere una porta alle proprie spalle per lasciarlo, così, fuori dalla propria vita. Perché è vero che certe cose continuano comunque a esistere, e quando alla fine riesci a fermarti, sembra davvero che, tutto quello che hai provato a lasciarti indietro, all'improvviso ti raggiunga, ti piombi alle spalle. E quello che arriva sono tutti i tuoi “sono stato”, tutte le parti che hai recitato in commedia, tutti i volti che hai avuto, le maschere e le vite vissute, e che dovranno in un certo momento provare a ricongiungersi in un senso. Perché un significato a tutto questo bisognerà pure poterglielo dare. -
- Dai racconta ora, cosa è successo? -
- Ricordo il momento in cui lentamente riemergo dal mio torpore, sul letto di un ospedale. Probabilmente erano le medicine che mi infilavano in vena a provocare quello strano dormiveglia, pieno di pensieri a metà strada tra visioni e ricordi. Ero collegato a macchinari che monitoravano il mio corpo, e un battito costante teneva sotto controllo il mio cuore, che aveva deciso di darmi un segnale. Un avvertimento, come uno schiaffone: fermati! Come per dirmi che dovevo smetterla di correre, quasi fosse solo in avanti o altrove quello che dovevo vedere, quello che dovevo vivere. Sempre proteso verso quello che poteva accadere, che poteva essere. Forse, chi lo sa! Senza mai, però, il tempo o la voglia di fermarmi a osservare quello che c'era di reale nella mia vita e apprezzare e comprendere quello che stavo vivendo, nello stesso momento in cui lo vivevo e non trasformarlo subito in un ricordo, o una fantasia. -
- Trasformare ciò che ci accade in un ricordo o una fantasia! Che poi vuol dire non viverlo mai per davvero. Anche questo credo che capiti spesso, magari anche a tutti, in qualche modo. Penso che sia perché il tempo corre veloce e forse neanche ci dà la possibilità di apprezzare quello che viviamo, e allora basta un attimo, e tutto è andato. -
- Ma in quel momento c'era il suono di quel monitor ...bip...bip...bip...che mi teneva fermo, mentre ero concentrato ad attendere il prossimo battito. E quando arrivava era un sollievo, mentre gli intervalli sembravano dilatarsi, nell'intervallo dell'attesa. Prendere coscienza del proprio cuore è una esperienza, sai. -
- Ci credo. Neanche di tutto il resto del nostro corpo abbiamo coscienza, fino a quando tutto funziona perfettamente, fino al momento in cui accade qualcosa e tutto può incepparsi. O addirittura fermarsi. E non ci fermiamo mai a riflettere su tutto quello che questo corpo fa, senza che glielo si chieda. In silenzio, assolutamente efficiente, provvede a tutto. Risponde alle nostre intenzioni e le esegue, provvede al funzionamento di tutte le parti, coordinandole e rispondendo a tutti i nostri bisogni. Nel frattempo non ci accorgiamo di nulla, lui ci lascia liberi di correre dietro alle nostre fantasie e neanche ci accorgiamo di quel vorticoso lavorio di miliardi di cellule che si sono specializzate, ognuna con un compito preciso e vitale e che, senza fare alcun rumore, ci mantengono in vita. -
- Già, fino al momento in cui qualcosa accade e quell'equilibrio si inceppa, all'improvviso. E ti sorprendi. Solo allora ti accorgi, per esempio, di avere un cuore, e non parlo di quella cosa poetica e filosofica dove pensiamo che ci siano sentimenti, emozioni, affetti, gioie e dispiaceri. Parlo proprio di quella pompa che, battito dopo battito, per almeno centomila volte al giorno ci tiene in vita. È così che è accaduto, mentre ero come al solito in ufficio a combattere le mie battaglie. -
- Un infarto? -
- Questo sì che è arrivato all'improvviso, senza nessun avvertimento, o almeno senza che io mi sia accorto di nulla. Non mi passava neanche per la testa di pensare alla pompa, mai avuto problemi e non ho avuto nessun sentore, nulla. Una botta, di quelle che lo capisci da solo che non è una cosa di quelle che a volte senti e dici, vabbè ora passa, e di colpo mi ritrovavo in quel letto, controllato a vista da persone attente e gentili. Era come se ci fosse una mano energica che mi tratteneva inchiodato a quel suono ipnotico ...bip ...bip ...bip ...Costante e ritmato. È stata questa la sensazione più sconvolgente. Quella macchina insisteva, istante dopo istante, a ricordarmi che ero vivo. Sono quelle cose che neanche ci pensi; uno mica ci riflette e si ferma a pensarci, di essere vivo. Ma quel suono insisteva a ricordarmelo, ogni volta; ogni battito una nuova consapevolezza, una nuova conferma. Se pure la mente avrebbe voluto correre alle cose che avevo da fare, ai tanti problemi da affrontare, e provare a risolvere, lei mi tratteneva con i suoi battiti cadenzati. Sentivo che qualcosa stava accadendo; qualcosa di nuovo a cui non ero preparato, mentre di nuovo scivolavo, lentamente, in un sonno strano, poco profondo ma pieno di immagini. -
- Un sonno pieno di immagini e ricordi; forse l'effetto dei medicinali. Comunque è bello ogni tanto farlo, e lasciarsi andare ai ricordi. Sono parte di noi, e vanno custoditi. A volte sono tutto quello che ci resta. -
- Strano come arrivassero senza alcun ordine, come cartoline spedite dal passato. I ricordi sono così: affollano la nostra mente, costruiscono una catena di eventi, di immagini, come i fotogrammi di un film di cui fatichiamo, però, a leggere la trama. Ma, a proposito di questo, secondo te cosa è che ricordiamo veramente? -
- Cosa vuoi dire? -
- Che mi sono ritrovato a pensare, ma di quello che abbiamo realmente visto e vissuto, cosa è rimasto nella nostra memoria? Situazioni, episodi, fatti accaduti, di tutto questo ci rimane quello che abbiamo notato in quel momento. Di tutto quello che è accaduto e stava accadendo, che c'era lì sotto i nostri occhi e che ci ha toccato in qualche modo, soltanto una parte è ciò che abbiamo visto e selezionato, e solo una parte è ciò che abbiamo scelto di ricordare. Questa è la parte che ci siamo poi ripetuta tante volte, nella nostra mente; oppure l'abbiamo raccontata ad altri, modificandola e cristallizzandola, e fissandola nella nostra memoria come se fosse quella la realtà di quello ciò che è accaduto. Tutto il resto è stato rimosso, e ciò che rimane è, quindi, solo un racconto. Una selezione di ricordi, di particolari, a confezionare una storia, un senso, in realtà però parziale; come una fotografia presa da una sola angolatura, ed anche sgranata. L'angolatura che abbiamo scelto di conservare. -
- Mi sembra assolutamente naturale, intanto perché è difficile notare proprio tutto quello che accade e, anche volendo, non potremmo neanche tenere a mente tutto. Allora è inevitabile che si faccia una selezione, dei ricordi e anche dei particolari, scegliendo di conservare quelli che
ci hanno colpito, e sono rimasti più impressi. O magari anche solo quei particolari, o significati, che confermano ciò che pensiamo e ci aspettiamo che avvenga, e per questo li notiamo. Certo, non rappresenta fedelmente quello che abbiamo vissuto davvero, e chissà quante cose c'erano e di cui nemmeno ci siamo accorti, presi da altri pensieri. -
- Appunto, ma tutto il resto dov'è? Quei particolari non notati, ignorati o rimossi, gesti anche impercettibili non visti e non colti, parole non ascoltate. Cose che ci sono sfuggite, a cui non abbiamo dato importanza e che quindi non sono rimaste, ma che potevano magari raccontarci qualcosa di diverso, anche di molto diverso. Le tante cose che non abbiamo capito, o che invece abbiamo persino nascosto a noi stessi. -
- Va bene, ti ripeto però che mi sembra normale che succeda così. Forse non saremmo neanche in grado di mettere insieme tutte quelle informazioni che ci arrivano, e dar loro un senso. Perché è questo che cerchiamo di fare, e non possiamo fare diversamente. -
- Ma è la nostra vita che poteva essere diversa, se le avessimo guardate in faccia, se avessimo dato retta a quello che volevano dirci. Magari potrebbero ancora cambiare le cose, se potessimo lasciarli riemergere. Invece i nostri ricordi finiscono per essere solo storie, che continuiamo a raccontarci e in buona parte sono storie immaginarie. Non sono la realtà esatta di come le cose sono andate. È così che ricostruiamo la nostra personale vicenda: una lettura parziale e soggettiva, a comporre una trama e un senso che continueranno a condizionare anche i nostri passi futuri. -
- E la realtà esatta che dici, quale potrebbe essere, visto che c'è sempre di mezzo la nostra interpretazione; quella che diamo a ciò che accade? È come se ognuno di noi inforcasse degli occhiali di colore diverso, e vedesse quello che riesce o vuole vedere. I ricordi allora sono spesso parziali; molto spesso perché in realtà non è sempre così. Ci sono ricordi che ci riportano fedelmente quello che abbiamo vissuto, con tutte le sensazioni di quei momenti. Vedo, però, che tu sei rimasto uguale ad allora, e vai sempre a ficcarti in questi discorsi, con questo bisogno di farti domande a cui è difficile trovare risposta. Abbiamo passato nottate a far discorsi come questi, e a me toccava sempre il compito di essere quello razionale, quello che teneva i piedi per terra. Io penso, però, che sia inevitabile raccontarsi una storia, e non credo che potrebbe essere diversamente. Lo si fa per se stessi, perché si ha bisogno di giustificare, di spiegarci quello che è accaduto, di costruire un filo che leghi tutto. Serve a darci una ragione di tutto questo. È vero, però, che ce la raccontiamo, e che tante cose non le abbiamo neanche viste, o voluto vedere, perché non erano coerenti con il nostro racconto e altre, forse troppe e ingiustamente, le abbiamo lasciate in fondo ad un cassetto. -
- Allora sei d'accordo che occorra provare a rileggere quei momenti, per far riemergere quello che abbiamo rimosso? -
- E a cosa servirebbe! Non serve a nulla immaginare che quei particolari, non visti o ignorati, avrebbero anche potuto cambiare la nostra storia, tanto non può più essere. Bisognerebbe invece essere più attenti, più aperti nel momento in cui accadono le cose, per notare anche altro, e non farsi sfuggire aspetti importanti. Ma non serve più farlo dopo, perché è stato quello che doveva essere, mica puoi riscrivere tutto. Invece mi sembra utile riaprire quel cassetto, e rivivere quei ricordi. Non solo per nostalgia o per riavvolgere il nastro, ché, tanto, non si può, ma perché sono le tessere di un mosaico, un puzzle da provare a ricostruire per vedere il tutto nel suo insieme. Perché per farlo servono tutte le tessere, e non solo alcune, quelle che abbiamo scelto di tenere bene in vista. I ricordi sono la nostra storia, e non dovremmo lasciarli alla polvere. Questo, credo, sia importante fare, e mi piace molto l'immagine delle cartoline spedite dal passato. Anche se, visto quanto ci mettono ad arrivare, mi sembra che il servizio postale non deve essere migliorato molto, da allora! -
- Rimasto uguale ad allora, dici? No, non sono rimasto uguale. La mia vita è stata molto diversa da come puoi immaginare e a quest'età mi trovo a fare un bilancio molto deludente. È per questo che ho voluto che ci ritrovassimo, per provare a ripartire da allora. Dai, ma ora facciamo due passi. Ti va se andiamo fino al faro? -
- Sì che mi va. Questo vento mi piace tantissimo, come immagini, e mi fa sentire a casa; mi mancava davvero tanto questa sensazione di sentirmi avvolto, anche con decisione, in tutto il corpo, come una corsa in moto. E mi fa anche pensare con nostalgia alla mia Bora, in quelle giornate d'inverno, fredda e violenta, che ti spinge o ti trattiene; tanto densa che sembra persino di poterci nuotare dentro. È soltanto aria, ma che sembra diventata solida. È aria viva, che ti dà energia e fremiti. Bello! Sono davvero contento di essere qui, di poter rivivere questa sensazione e di poter fare questa bella chiacchierata, dopo così tanto tempo.