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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Antonio Moriconi
Titolo: Real Virtual Blood
Genere Romanzo
Lettori 3365 33 55
Real Virtual Blood
“Solo una mente educata può capire un pensiero diverso dal suo senza avere bisogno di accettarlo”
Aristotele.

Il giovane Antonio, stava scorrendo tra i canali del televisore facendo zapping in modo nevrotico, sdraiato sul divano in pelle scura del salotto di casa. Sullo Schermo, comparivano un susseguirsi di immagini delle torri gemelle di Manhattan, simbolo dell'economia occidentale nonché cuore pulsante degli U.S.A. . Ogni emittente televisiva, stava trasmettendo soltanto edizioni straordinarie di telegiornali che mostravano tutti le medesime immagini. Cambiare canale era del tutto inutile. Niente serie tv, niente cartoni animati o film che di solito riempivano parte dei suoi pigri pomeriggi di fine estate. Era in piena fase adolescenziale, in uno di quei periodi in cui molti ragazzi non sanno se essere carne o pesce, come si usava dire in provincia, apostrofando le persone che non riuscivano a trovare una dimensione propria, in ogni ambito della loro esistenza. Troppo grande per continuare a vivere nel regno dei giochi e del divertimento spensierato legato ad un infanzia agiata e ricca di affetto familiare, ma tuttavia decisamente acerbo per riuscire a comprendere cosa fosse realmente e soprattutto a cosa aspirare di veramente concreto nella vita. Mancavano ormai pochissimi giorni al suo rientro a scuola. Un altro anno scolastico di un indirizzo non propriamente scelto da lui, ma che comunque cercava di onorare come impegno preso, senza strafare nonché accennare a slanci di entusiasmo. Avrebbe frequentato il terzo anno della scuola superiore, di un istituto paritario per geometri. A lui della scuola in fondo, non importava poi granché. Si era sempre destreggiato egregiamente raggiungendo risultati più che soddisfacenti, ma nulla di più. Gli riusciva naturale raggiungere le sufficienze a tutte le materie senza dover quasi mai ricorrere ad interi pomeriggi chiusi in camera a studiare, come invece accadeva agli altri suoi compagni. Spesso gli capitava di ripensare alle parole dette da un suo professore durante l'ultimo incontro avuto con i genitori dell'anno scolastico che si era concluso poco più di tre mesi prima. Parole, che rimasero estremamente impresse a suo padre, che nell'ascoltarle rimase a metà tra il sentirsi gratificato ed avere una conferma di come quel figlio non riuscisse ancora a capire cosa fosse davvero giusto ed importante fare in quella particolarissima fase della sua esistenza.

- Suo figlio è una Ferrari che va come una Cinquecento. -

Così si espresse Sergio Mondragone, il suo professore di topografia, in modo netto e schietto come lui sapeva fare, durante l'incontro con il padre di Antonio. Un uomo alto e massiccio che a primo impatto incuteva quasi timore, ma che in realtà aveva un animo gentile ed una ironia fuori dal comune. Un docente di quelli che amavano il proprio lavoro e soprattutto, stare con i ragazzi che spesso capiva e sapeva comprendere, forse anche meglio di certi genitori. Una vera e propria rarità del panorama scolastico italiano di quegli anni, dove generalmente l'obiettivo primario nell'ottenere una cattedra di insegnamento, era quello del posto fisso con conseguente stipendio assicurato a fine mese e tre mesi di ferie pagate.

- Quando deciderai di essere una Ferrari? -

Da quel giorno, era diventata questa la frase che gli ripeteva spessissimo il papà, specialmente nel vederlo passare il tempo in casa, senza studiare, o combinare una qualsiasi cosa di buono. Aveva trascorso giornate intere della sua estate a riflettere su questa situazione, ed in quel caldo pomeriggio di settembre, era ricaduto in quel vortice di pensieri che lo avevano proiettato a cercare di capire come e dove trovare gli stimoli per far carburare questa Ferrari sopita. Fissava lo schermo ma non guardava, sentiva ma non ascoltava, vedeva ma non capiva. Troppi pensieri tenevano ingolfati quei cilindri, che sentiva vibrare dentro di se, in attesa della giusta scintilla in grado di far scattare quella dirompente propulsione. Solo dopo una decina di minuti, il ragazzo si rese conto di ciò che stava davvero accadendo davanti i suoi occhi, finalmente non più assenti dal mondo reale. Guardando più attentamente le immagini, infatti, Antonio riuscì a distinguere chiaramente che uno dei due enormi grattacieli emanava una gigantesca coltre di fumo e che i piani in prossimità della copertura in metallo erano avvolti dalle fiamme. Alzò il volume degli altoparlanti del grande televisore a tubo catodico. Il giornalista era intento nel cercare di spiegare cosa stesse accadendo, palesemente incredulo e spaesato nella voce rotta dall'emozione. Sembrava infatti, dalle prime notizie che giungevano nelle redazioni giornalistiche di tutto il Mondo, che un aereo di linea con a bordo passeggeri civili, era appena stato dirottato da un gruppo di terroristi Islamici appartenenti ad Al Qaeda, andando a schiantarsi agli ultimi piani di una delle due torri gemelle. Prima di allora, il giovane ragazzo non aveva mai sentito parlare di Al Qaeda, ne aveva mai seguito notiziari o letto articoli riguardanti le lotte in Medio Oriente o attacchi in occidente con movenze religiose da parte di questa cellula di integralisti islamici. Era ben consapevole dell'esistenza del terrorismo a sfondo religioso e della difficoltà nell'interagire e nel convivere con le diverse culture da parte dell'occidente, a causa dell'estremo fanatismo che da sempre caratterizzava certi Paesi. Tutti sapevano in realtà della concreta pericolosità di certi fattori, ma mai nessuno avrebbe immaginato un evento drammatico delle proporzioni a cui stava assistendo. Dalle prime indiscrezioni, sembrava si trattasse di un attacco terroristico atto a centrare il cuore dell'occidente ed il suo simbolo di maggior visibilità e prestigio. Ad un tratto, dalle riprese in diretta, il giovane vide chiaramente un altro aereo penetrare nell'altra torre rimasta intatta sino a quel momento. Distinse chiaramente il momento dell'esplosione e la successiva colonna di fumo prima bianco poi, sfumare al grigio fino al nero, che dall'apice della struttura si ergeva imponente verso l'azzurro di un cielo, sino a quel momento testimone impotente della follia umana. L'incredulità, pervase l'animo del ragazzo che assisteva da casa, come del giornalista che dallo studio televisivo era costretto a commentare ciò che stava avvenendo, cercando invano di avere qualche ragguaglio in più dai colleghi presenti sul posto. Sembrava stessero assistendo ad uno dei soliti film americani dove i buoni si sarebbero presto vendicati di un atto scellerato da parte del cattivo di turno, spesso di provenienza sovietica, come per anni durante la cosiddetta “guerra fredda”, la propaganda statunitense ci ha fatto credere dipingendo la Russia come il male supremo dello schiavismo intellettuale e gli Stati Uniti eretti a simbolo della libertà e giustizia occidentale. Stavolta la realtà stava superando di gran lunga la finzione ed i cattivi non erano più la super potenza militare russa, ma la pazzia del fanatismo religioso più scellerato a cui la mente umana potesse condurre. Nell' istante in cui le immagini mostrarono l'esplosione del secondo velivolo, l'abbaio giocoso proveniente dall'esterno dell'abitazione del loro cane Rocco, preannunciava l'imminente rientro a casa del padre di Antonio, esausto dall'ennesima logorante giornata lavorativa. L'uomo accarezzò la fedele bestiola, quindi inserì la chiave nella toppa della serratura a doppia mappa e la ruotò di mezzo giro, quel tanto che bastava per far rientrare la linguetta cilindrica di metallo e permettergli di aprire il portone. Non appena entrò in casa, venne sorpreso dalla reazione del figlio che senza nemmeno salutarlo, come era solito fare, quasi lo assalì ad occhi sgranati.

- Papà guarda. -

Gridò il ragazzo indicando il televisore in tono visibilmente preoccupato e spaesato. Il padre posò le chiavi di casa sulla soglia in travertino lucido e lavorato, del muretto di fianco all'ingresso ed alzando lo sguardo verso il televisore rimase impietrito da ciò a cui stava assistendo.

- Ma è un film? -

Chiese con un filo di voce. Ben presto si rese conto di come invece, le immagini erano trasmesse in diretta dall'edizione straordinaria di un TG nazionale. Rimase attonito nel continuare a seguire il servizio giornalistico, con la bocca spalancata in un misto di incredulità e timore. Senza attendere risposta ed in maniera del tutto istintiva diede la sua personale sentenza esclamando:

- Sarà la terza guerra mondiale. -

A quell'avvenimento seguirono i fatti di Barcellona, Marsiglia , Madrid, Manchester, Strasburgo ecc ... Ad ogni edizione straordinaria dei telegiornali, quasi si scommetteva durante le cene nelle famiglie, se l'annunciatore di turno avrebbe parlato di un nuovo attentato, sul luogo dove fosse avvenuto e se ci sarebbero state uccisioni. Col passare del tempo ed il susseguirsi degli eventi, stava diventando normalità l'anormalità. L'abitudine alla follia ed al terrore aveva man mano preso il sopravvento all'indignazione ed al desiderio di rivalsa verso atti scellerati. L'istinto di sopravvivenza che albergava in ognuno di noi era riuscito a rendere abitudine, il terrore che da quell'11 settembre cominciò a divampare ed allargarsi a macchia d'olio sulle nostre città, invadendo luoghi di lavoro, centri di ritrovo e di svago, rendendoci quasi impassibili di fronte l'ennesimo delitto a sfondo terroristico a cui si stava assistendo a cadenza annuale, quasi mensile. Alle immagini crude ed agghiaccianti delle vittime dei vari attentati, si mescolavano servizi giornalistici, riguardanti la preparazione militare dei terroristi, l' addestramento di adulti e bambini, cercando di far conoscere più a fondo quello che stava man mano diventando, il nemico “abitudinale” del nuovo millennio. La nuova peste, a cui non esisteva e non esiste tutt'ora vaccino, era rappresentata dalla profonda ignoranza voluta da pochi per gestire e governare i tanti. Ad ogni avvenimento diminuiva lo stupore e l'indignazione dell'opinione pubblica. Eravamo ormai del tutto assuefatti dall'agghiacciante rassegnazione al dover convivere con situazioni di terrore e follia, come in fondo, da sempre avveniva in altri angoli del Globo.

“Di tutte le cose che la saggezza procura per ottenere un'esistenza felice, la più grande è l'amicizia”
Epicuro

“L'amicizia è una singola anima che vive in due corpi”
Aristotele

Roma 1990.
La primavera romana irrompeva ormai impetuosa portando con se tutta la meraviglia di giornate miti ed assolate permettendo agli oleandri di esplodere nella loro poderosa fioritura che infondeva nell'aria quella caratteristica essenza che da sempre inebriava le strade dell'Urbe. Nei pomeriggi dei dopo scuola, le strade di periferia e del centro diventavano teatri di corse e giochi sfrenati tra bimbi e giovani teenager, decisi ad emulare i propri idoli calcistici sfoggiando le maglie delle proprie squadre del cuore o quelle della nazionale italiana di calcio in virtù degli imminenti campionati mondiali che si sarebbero svolti proprio nel Bel Paese di lì a breve in quella che verrà poi ricordata come la caldissima estate delle “notti magiche”. Fu quello il torneo che decretò l'inizio dell'inevitabile parabola discendente del “Dios” Diego Armando Maradona e contemporaneamente, la definitiva consacrazione di colui che sarebbe diventato il più grande calciatore della storia del calcio italiano di tutti i tempi. Quel Roberto Baggio, che incantò il Mondo intero e fece innamorare tutto il popolo italiano con le sue giocate eleganti e funamboliche, unite alla genialità di un campione vero dentro e fuori dal terreno di gioco. I mondiali di calcio del 1990, furono l'evento preso a pretesto ideale per muovere quantità incalcolabili di denaro “sporco” e “mazzette” politiche, che portò negli anni seguenti, allo scandalo delle tangenti di “mani pulite”, facendo piombare l'intero Paese in un periodo di netta flessione economica. La criminalità organizzata, riusciva a vivere ancora anni d'oro, sfruttando ogni minima iniziativa di gara di appalto pubblico, lavorando spesso anche a stretta collaborazione con gli enti Statali del periodo. Nelle autoradio con mangianastri incorporati sfilabili o negli impianti stereo casalinghi, impazzavano melodie dal ritmo spensierato e fresco, mentre prendeva sempre più piede tra i giovanissimi il fenomeno delle discoteche mattutine e pomeridiane. Per chi possedeva un PC dell'epoca, cataste di floppy disk avevano le funzioni di salvataggio dei file ed i programmi erano tutt'altro che semplici ed immediati. Ragazzini di tutte le età, appena usciti dalle aule scolastiche, si riversavano nelle strade o nei parchi più grandi e curati senza nemmeno tornare a pranzare nelle proprie abitazioni, tanta era la voglia di sfogarsi e divertirsi calciando un Tango, o un Supersantos per i meno fortunati , il quale ad ogni tiro sferrato, le traiettorie assumevano direzioni e parabole decisamente imprevedibili ed imparabili per i malcapitati portieri, schierati a difesa di porte improvvisate create con zaini e giacchetti. Ogni partitella organizzata in strada, diventava nel giro di pochi minuti, una mischia selvaggia a caccia di un pallone che non di rado diveniva vittima degli sfoghi di inferociti padroni di cancellate o serrande metalliche, prese ripetutamente a pallonate.
I ragazzi un po' più grandi usavano darsi appuntamento in punti specifici che col tempo divenivano una specie di luoghi di culto e di ritrovo. Muretti, panchine o fontane erano teatri di scherzi, schermaglie , di coppiette che vedevano sbocciare il proprio amore nel valzer degli ormoni primaverili ma anche di litigi tra amici, amori interrotti , qualche spinello e bottiglia di troppo che non di rado si trasformavano in attimi di tensione che finivano spesso nel movimentare non poco gli assolati pomeriggi. Non era infatti raro assistere a qualche scazzottata tra gruppi di coetanei, appartenenti a quartieri rivali, per politica, tifo calcistico o per mettere il punto sul mercato dello spaccio di stupefacenti.
Le lotte studentesche degli anni ‘70-‘80, avevano ormai perso il loro fascino ideologico, pur non mancando i gruppetti di estremisti politici che non perdevano mai occasione per organizzare tafferugli o studiare piccole azioni antisemite. Giusto appunto, nelle curve degli stadi di calcio, bandiere e striscioni raffiguranti svastiche, croci celtiche, falci e martelli o Che Guevara, o contenenti frasi a sfondo razziale, davano sfogo ad un profondo disagio giovanile che faceva da contrasto all'apparente benessere economico che regnava in quegli anni.
In un appartamento del quartiere Flaminio nella zona nord di Roma, due giovani amici scelsero di trascorrere il loro pomeriggio assolato, lontano dalle strade, chiusi in una cameretta ad ingannare il tempo con uno delle più famose prime consolle casalinghe per videogiochi del tempo, il famigerato Commodore 64. Era quello uno degli oggetti di svago più in voga tra i ragazzi dell'epoca, che cominciavano già da qualche anno ad assaporare le giornate trascorse nelle sale giochi inserendo gettoni in quelle meravigliose scatole traboccanti pixel. Possedere un Commodore 64,una Amiga 500 o un Sega Master System, significava avere un' intera sala giochi a disposizione nelle proprie camerette e rappresentava davvero un lusso per pochi.
Gli zaini ed i giacchetti leggeri buttati sul letto singolo, le tute lacere alle ginocchia sbucciate di fresco dove goccioline di sangue scivolavano lente fino ai calzini arrotolati alle caviglie, scarpe da ginnastica slacciate e fronti perlate di sudore, come prove di una recentissima partita di calcio improvvisata in strada e terminata da pochissimo. Aaron Mayer e Zeev Morrone, avevano 12 anni allora, ma si conoscevano e frequentavano dal primo giorno di asilo, quando di anni, ne avevano soltanto 3. Aaron di padre Iraniano e madre Italiana, allevato secondo la cultura ebraica era nato a Roma, ma ha passato la sua infanzia e giovinezza tra la capitale italiana, Israele e San Francisco. Tutta la sua famiglia aveva cittadinanza Iraniana,Israeliana ed Italiana ma il resto dei suoi parenti paterni viveva da sempre a Tel Aviv. Zeev era italiano al 100%, i suoi nonni paterni vivevano nel Ghetto ebraico della capitale vicinissimo al Tempio di fronte l'Isola Tiberina, ma i suoi genitori dopo gli orrori vissuti dai nonni durante il secondo conflitto mondiale decisero di convertirsi al cattolicesimo ottenendo tutti i sacramenti senza tuttavia mai esserne dei buoni praticanti. Tra i due nacque fin da subito un amicizia fraterna delle più vere e sincere. Una di quelle rarità che pochissime persone hanno avuto la possibilità di poter vivere. Si scelsero a vicenda come compagni di banco già dal primo giorno di asilo, quando uno spavaldo e con alle spalle un'esperienza già di spirito “internazionale” Aaron, decise di consolare quel bambino che non voleva proprio staccarsi dalla madre, piangendo disperatamente attaccato alla sua gonna.

- Fiuu, stavolta li abbiamo sistemati per benino quegli spacconi pariolini ... sarei proprio curioso di vedere le loro facce quando andranno ad infilare la chiave nel blocchetto di accensione dei loro motorini e troveranno la fessura completamente sigillata di piombo liquido ... ahahahah. -

Esclamò Zeev ancora leggermente ansimante per la corsa successiva alla marachella appena combinata. Una delle tante che quotidianamente i due ragazzi organizzavano istintivamente e senza tatticismi prestabiliti, capendosi al momento con sguardi di intesa senza nemmeno doversi parlare. La loro complicità, aveva il sapore mistico della telecinesi, nel vederli all' opera si rimaneva sbalorditi per ingegno e rapidità di esecuzione. Assistere ad una loro improvvisazione avrebbe potuto fornire spunti interessanti persino ad un esperto stratega di assalti militari.

- Se lo sono proprio meritato, così imparano, solo perché sono più grandi mica possono fare come vogliono ... ci hanno cacciati dal campetto di calcio? E noi vi facciamo tornare a casa a piedi ... uno scambio equo direi ... -

Disse Aaron guardando l' amico prima di esplodere entrambi in una fragorosa risata. Spensierata, con tutta la forza di chi pur non sapendo ancora di stare vivendo degli anni indimenticabili ed irripetibili, si godeva ogni momento a pieno assaporandone il nettare succhiandolo avidamente fino allo stelo, deciso a non lasciare nulla di oggi a ciò che si potrebbe vivere domani. Poi continuò:

- Mi rode solo che tutte le ragazze della nostra età stravedono per loro ed a noi tocca continuare a fantasticare sulle foto di intimo delle riviste o sui film della Fenech. Ormai il giornalino di Postal Market che ho nascosto sotto la cesta dei panni sporchi in bagno, ha tutte le pagine dell'intimo appiccicate. -

- Cacchio quanto mi piace la Fenech ... grazie a lei ho gli stessi calli alle mani di un muratore bergamasco. -

Sospirò Zeev con gli occhi socchiusi e sguardo sognante. In quegli anni, la possibilità di sfogo degli ormoni per un giovane adolescente, richiedeva un grande lavoro di fantasia e spesso ci si doveva accontentare di qualche film erotico demenziale con attrici bellissime dalla naturale ed innata sensualità. Giù ancora risa accorate ... poi proseguì:

- Vabbé non ci pensiamo, cerca piuttosto di far partire sto scalda pizzette e di fermare la cassetta al numero giusto stavolta ... a questo giro a Duck Hunt, non hai scampo ... modestamente, io le quaglie le squaglio. -

Aaron lanciò subito un occhiata traversa come a voler accettare la sfida. Il suo innato senso della competizione, lo fece immediatamente balzare sull'attenti di fronte la palese provocazione ricevuta dall'amico, che lo indusse a sbottare ridacchiando:

- Ah bello guarda che me chiamano lo sventra papere, con la mia pistola a raggi infrarossi non ti ci farò capire nulla sarò più veloce di Terence Hill in "Lo chiamavano Trinità”. -

Dopo circa una mezz' ora di strisce colorate che comparivano scorrendo verticalmente sul monitor del televisore a tubo catodico, mentre le rotelle numerate del mangianastri della consolle intenta a caricare il gioco, ruotavano più o meno velocemente, i due giovani nonostante la grande ironia fatta di battute di spirito ma pungenti e scherzi reciproci, cominciarono ad accusare un po' di noia. Al che Zeev si lasciò andare ad un piccolo sbuffo di dissenso:

- Che palle però sto trabiccolo, quanto ci mette ... a quest'ora con mille lire in sala giochi avevamo già provato tutti i nuovi videogame. Da Armando in saletta, hanno messo un picchia duro fichissimo, si chiama Street Fighter mi sembra ... dobbiamo provarlo. -

Aaron fissò per un secondo lo schermo sgranando gli occhi. Se fosse stato un fumetto, gli sarebbe sicuramente comparsa una lampadina illuminata sopra la testa, a testimoniare la nascita di un' idea importante. Poi si voltò verso l' amico ed esclamò:

- Sai che hai ragione ... -

- Cioè? Che dobbiamo provare Street Fighter? Si lo so deve essere pazzesco, mi hanno detto che si vedono addirittura i seni e le cosce delle lottatrici. -

Rispose Zeev. Stavolta la simbiosi di pensiero non ebbe effetto. Aaron lo guardò quasi con aria di rimprovero prima di esporre cosa gli fosse venuto in mente da farlo diventare così serio in un istante.

- Intendevo dire, che hai ragione sul fatto che sto trabiccolo sia lento ... Basta ho deciso ... nella vita voglio riuscire a sviluppare sistemi ed apparecchiature all' avanguardia, faremo un sacco di soldi, viaggeremo per il mondo e le ragazze cadranno ai nostri piedi ... vedrai sarà cosi ... -

Zeev rimase un attimo sbalordito e senza parole da quell'inaspettata uscita dell'amico. Rimase un istante a riflettere, con tutta l'innocenza di chi ancora non sapeva nemmeno la vita vera che sapore potesse avere e disse:

- Credi davvero che sia così semplice? Non riesci nemmeno a far caricare il gioco della caccia alle anatre in quello scalda pizzette di Commodore 64 ... E poi se mai raggiungerai davvero successo, soldi , fama e donne a palate non credo proprio che ti ricorderai più del tuo amico Zeev... -

Aaron a quelle parole fissò l amico dritto negli occhi. Nonostante la giovane età, Zeev aveva toccato un argomento estremamente delicato anche per un adulto. I fattori che nel corso della vita di ogni individuo, ne fanno cambiare idee, modi di agire e di pensare, sono molteplici, spesso ingestibili e del tutto imprevedibili. La vita è un susseguirsi di giornate impilate una dopo l'altra, dove regna quotidianamente la teoria organizzativa del caos. Il famoso effetto farfalla che battendo le ali a Tokio fa arrivare la pioggia a Madrid invece del sole. Il fattore che possa sembrare inutile o insignificante, determina la vita ed il destino di ogni singolo essere vivente presente sulla Terra:

- Ne soldi ne donne ne politica ne religione, potranno mai dividerci ... te lo prometto. Senza se e senza ma. -

- Sembra una strofa di una canzone di Cocciante. -

Esclamò Zeev ed i due amici intrecciarono le braccia uno sulla spalla dell'altro, mentre sullo schermo cominciavano ad apparire le sagome di anatre che svolazzavano via da covoni di grano realizzati in pixel art.

Palestina, piccolo villaggio vicino Hebron a circa 30 km a sud di Gerusalemme capitale dello stato di Israele .L'area semidesertica dove le sabbie si mescolavano con lievi avvallamenti appena verdeggianti, accarezzati da venti di un caldo torrido quasi asfissiante che innalzavano mulinelli atti ad essiccare gole e narici impudentemente scoperte, veniva spesso insediata da famiglie di umilissime origini, incapaci ed ignare della possibilità che l'esistenza potesse offrire loro qualcosa di diverso ... di migliore. Il villaggio era formato da un insieme di capanne sporadiche, con tendaggi leggeri come infissi, coperture fatiscenti ed intonaci di fango realizzati molto alla buona e saltuariamente sulle pareti di mattoni sagomati e cotti a mano uno ad uno. Il sole cocente della stagione estiva sembrava tuttavia non turbare troppo i bambini del posto, abituati dalla nascita a destreggiarsi in quelle zone così aspre ed isolate, riuscendo a trovare divertimento tra una faccenda di casa e l' altra, con oggetti e giochi artigianali e grezzi. Dalla porta d' ingresso di una delle capanne più isolate a sud del minuscolo agglomerato, si affacciava una donna scansando con un gesto netto il leggero tendaggio di cotone grigio chiaro, tenendo tra le braccia una bacinella di vimini intrecciati contenente semi di grano da schiacciare. La donna, completamente coperta da capo a piedi con abiti neri che lasciavano trapelare soltanto i due occhi scuri, incorniciati da rughe appena accennate, non ancora scavate dal corso degli anni, dello stesso colore del castagno appena trattato, dai quali si rimaneva incredibilmente colpiti per l'abissale profondità e dal senso di rassegnazione e malinconia che esprimevano. Appena fuori dall'uscio casalingo sembrò scorgere qualcosa all'orizzonte che la lasciò impietrita sulla soglia di mattoni. La cesta le cadde dalle mani, sbattendo a terra facendo fuori uscire tutti i semi di grano che andarono a spargersi sulla sabbia. Si rigirò di scatto verso l'interno dell'abitazione rurale gridando a mezza voce tremante:

- Aarif ... vieni qui. -

Nella stanza d'ingresso dell'abitazione, allestita come cucina, sala da pranzo ed all'occorrenza zona notte con una brandina sistemata all' angolo più remoto ed oscuro della stanza, il piccolo Aarif giocava spensierato seduto su di un tappeto persiano steso sopra una pavimentazione in terracotta non priva di sconnessioni e crepe di assestamento strutturale. Sognava di fare il domatore di cavalli selvatici il piccolo Aarif e tra le mani teneva stretto un cavallino intarsiato nel legno da lui stesso progettato e costruito con assoluta cura ed incredibile dedizione per un bambino della sua età. In assoluto era il suo gioco preferito con il quale si divertiva a simulare le movenze del trotto e galoppo di un indomito destriero nel quale forse a volte riusciva ad immedesimarsi correndo veloce con la fantasia, migrando verso un mondo immaginario fatto di libertà ed avventura selvaggia. Da sempre, aveva mostrato una vivace intelligenza nell'apprendere concetti e nel realizzare opere di manualità anche complesse. Il suo innato senso del dovere e della dedizione verso la sua famiglia, composta dalla sola madre, lo aveva fatto crescere e maturare sicuramente più in fretta di tanti suoi coetanei. Appena udite le parole gridate dalla donna, il piccolo, da bambino perfettamente ubbidiente e timorato, si recò immediatamente fuori dalla sua abitazione poggiandosi alla gamba della mamma, stringendo ancora tra le mani il suo cavallino di legno. Si accorse della cesta caduta e dei semi sparsi a terra, ma non gliene diede importanza, pensando anzi, che lo avesse chiamato per aiutarla a raccogliere tutto il contenuto fuoriuscito e salvare il salvabile. Aarif alzò lo sguardo verso il volto coperto della donna che rimase intanto, impietrita a fissare l'orizzonte come se lo scorrere del tempo ed il paesaggio intorno si fossero completamente congelati nonostante la calura estiva. La scena surreale a cui stava assistendo, mise il bimbo in uno stato di ansia che si fece forza ad esorcizzare, strattonando la veste scura della mamma chiedendo:

- Ti aiuto a raccoglierli? -

Disse indicando la cesta a terra. Non ebbe reazione di risposta da parte della madre. Quindi pensando ci fosse dell'altro che potesse chiedergli, azzardò ad intuire ancora da solo cosa fosse, stavolta con un briciolo di preoccupazione che cominciava ad affiorare dal suo piccolo cuore.

- Che succede mamma?... devo andare a prendere l'acqua al pozzo? -

La Donna rimase impalata e muta ancora per qualche istante, poi di colpo si girò verso il bimbo curioso e leggermente spaesato. Lo fissò inarcando vistosamente i suoi occhi e,ponendo entrambe le mani ai lati del viso di Aarif, come ad incorniciare l innocente volto del figlio, sussurrò con la dolcezza che solo una madre può conoscere ma allo stesso tempo con un tono di assoluta risolutezza, parole che risuonarono pesanti come un macigno:

- Sono arrivati ... è il giorno ... -

Risollevò il volto e si voltò di nuovo a fissare la stessa immagine che si fece più nitida a quell'orizzonte che appariva sfocato dal grande calore emanato dal terreno. Aarif seguì la direzione dello sguardo della donna con il suo, riuscendo finalmente a capire cosa destasse un tale stato di apprensione alla sua mamma. Una jeep completamente scappottata, con la carrozzeria dello stesso colore della sabbia sopra cui si era appena fermata, se ne stava parcheggiata con il motore acceso. Sul mezzo, palesemente di progettazione militare, erano distinguibili le sagome di tre uomini armati di mitra e kalashnikov chiaramente di produzione europea e sovietica, reperti delle numerose guerre combattute negli anni passati su quegli aspri territori. Il guidatore del mezzo ed il passeggero al suo fianco avevano entrambi il volto coperto da passamontagna di tessuto nero ed una fascia verde con incisioni in arabo bianche sopra, mentre nei sedili posteriori era seduto un individuo all'apparenza altolocato, con indosso occhiali da vista dalla montatura tonda, una barba corta ma curatissima ed una kefiah intorno alla testa a scacchi bianchi e neri, a rimembrare una vaga somiglianza col sanguinario ex primo ministro palestinese Yasser Arafat.
Alla vista della Jeep e delle persone al suo interno,il piccolo Aarif lasciò cadere a terra il cavallino di legno che rimbalzò un paio di volte sulla sabbia battuta prima di fermarsi sdraiato al suolo, quasi come a voler simboleggiare l'interruzione e la fine di un sogno di libertà, e di una fanciullezza che stavano per andare scomparendo del tutto. Un istante dopo dall'auto scese il passeggero che era seduto al fianco del guidatore. Piantò i suoi pesanti anfibi ben saldi a terra ed aprì la portiera posteriore quasi volendo invitare il piccolo a salire sul mezzo e prendere posto al fianco dell' uomo con la kefiah.
Passarono non più di due secondi, la mamma di Aarif si girò verso il suo bimbo. Quel bimbo che ha portato in grembo in condizioni di sopravvivenza del tutto precarie, sola contro tutto, contro un destino che le aveva privato la gioia di poter condividere quei momenti con il padre naturale. Dove viveva, non vi erano strutture adatte all'assistenza per le donne partorienti, quindi le scelte erano limitate al farlo nascere in casa da sola o recarsi d'urgenza al primo centro medico attrezzato. Lo diede alla luce in un ospedale militare Israeliano al confine di Gerusalemme, lei mussulmana e integralista, costretta a partorire il suo unico figlio in un ospedale giudaico, perché il più vicino ed organizzato per un parto precipitoso ed a rischio.
Le prime braccia che l hanno estratto dal ventre materno sono state braccia ebree, braccia di chi è nato sotto una stella a sei punte anzi che una mezza luna. Lei che quel bimbo lo ha cresciuto come sua unica risorsa e motivo di andare avanti, amandolo ed allevandolo con tutti i limiti che la situazione imponeva ma come solo una madre sa fare. Ora, era pronta a donarlo alla “causa”, perché così vuole Allah, perché per questo era stato messo al mondo e per questo lo aveva cresciuto, poiché così deve essere, quindi così sarà.
Si inginocchiò a raccogliere il gioco di legno del figlio e glielo mise nelle mani richiudendole dolcemente, poi, fissandolo negli occhi dandogli una carezza, forse l'ultima al fanciullo che è stato e la prima all'uomo che sarà sussurrò con voce ferma:

- Va' ... Allah lo vuole. -

Kfar Aza è un piccolo sobborgo 5 km ad est di Gaza tra Netivot e Sderot ,zona che ricade sotto la giurisdizione del Consiglio regionale di Sha'ar HaNegev. Il consiglio regionale di Sha'ar HaNegev, copre un area di 180000 dunam (circa 45000 acri) nel Negev nord occidentale, comprendendo dieci kibbutzim (forme associative volontarie di lavoratori dello stato di Israele che si basano su regole egualitarie e sul concetto di proprietà collettiva), contando una popolazione di circa 7500 persone. In quell' area dove esiste già una scuola elementare, il KKL (Karen Kayemeth LeIsrael, ossia una onlus fondata nel 1901 prima ancora dello stato di Israele, prodiga allo sviluppo, bonifica e rimboschimento della Terra di Israele) sta terminando la realizzazione di una seconda scuola, progettando aree verdi circostanti folte di alberi e vegetazione per fare in modo di creare uno scudo protettivo naturale contro i frequenti bombardamenti verso bersagli civili da parte delle confinanti truppe di Hamas.
Lungo una stradina secondaria con l asfalto disseminato da crateri ,segno evidente di recenti attacchi da mortai, sorgeva un piccolo complesso residenziale, formato da villini con la tipica architettura in muratura mista a legno portanti in stile americano, come Frank Lloyd Wright insegnò, circondati da giardini verdeggianti, curati in maniera quasi maniacale.
In una di queste abitazioni era evidente il fermento di una donna intenta a preparare la colazione per tutta la famiglia affaccendandosi con fare nervoso ed emozionato a testimonianza dell'importanza della giornata che si stava per affrontare.
Nel frattempo oltre il corridoio che collegava la zona giorno alla zona notte della casa, nella sua cameretta tappezzata di poster e cartoline delle località più disparate dall'Europa, agli Stati Uniti fino al lontano Giappone, la giovane Chelsea si ritrovava immersa in un sonno profondo che la faceva sembrare sicuramente più dolce ed innocente di quanto non sia in realtà una soldatessa dell'IDF (Israel Defence Force). Sul comodino, una foto incorniciata in argento che la ritraeva in divisa militare, mitra alla mano,giubbotto antiproiettile ben allacciato in mezzo ad un plotone di altri soldati scelti tra i quali si distingueva al suo fianco la sagoma di un giovane Italiano, Israeliano di origine, cultura e spirito, col quale ha condiviso tanto, tutto, Aaron.
La quiete in cui si trovava la stanza venne bruscamente interrotta dall'irruzione frenetica della madre di Chelsea che spalancando le ante della bianca finestra in legno esclamò vigorosamente:

- Forza pelandrona alzati ... la colazione e già in tavola. -

Nella spaziosa veranda della casa, vi era piazzato un grande tavolo rotondo in legno bianco ,imbandito di molteplici ciotoline contenenti, formaggio labne, baba ganoush di melanzane, insalate e l immancabile humus di ceci oltre a caffè e succhi di frutta di ogni tipo.
Chelsea si stiracchiò alzandosi dal letto lasciando cadere sul materasso il solo lenzuolo che copriva un corpo snello e sodo, disseminato da cicatrici più o meno vistose ed un tatuaggio sulla spalla sinistra raffigurante un teschio col coltello tra i denti ed una stella di Davide in fronte contornato dalla scritta in ebraico :”Il rumore del nostro silenzio vi farà tremare”. Appena alzata dal letto, la ragazza fece per dirigersi in bagno, vestita solo di slip e canottiera bianca di cotone, quando all'improvviso un bimbo di appena 7 anni le si scagliò addosso abbracciandola stretta intorno alla vita urlando:

- Ben svegliata sorellona ... la mia super eroina preferita. -

Chelsea, guardò quel visino dai lineamenti delicati dalla pelle olivastra ed il tratto che riportava alle origini paterne libanesi. Quegli occhietti dal taglio inconfondibile, velati da una patina di malinconia ma risplendenti di una luce vitale inconfondibile e potentissima, stracolmi di affetto ed ammirazione verso quella sorellona amata alla follia. Lei, con gli occhi innamorati e le pupille a forma di cuoricino, lo strinse forte a se ciondolando da una parte all'altra con affetto, tenerezza godendosi il calore del momento. Gli alzò il viso con le mani sulle gote e guardandolo curvò la bocca esprimendo un sorriso strepitoso, da lasciare col fiato sospeso qualunque spasimante, esclamò:

- Buon giorno all'unico maschiaccio del mio cuore. -

Dopo essersi accuratamente lavata e rinfrescata dalla nottata appena trascorsa, la ragazza scivolò sinuosa all'interno della sua divisa del corpo speciale d'assalto dell'esercito Israeliano Sayeret Matkal. Lentamente, con la stessa cura ed eleganza con cui una promessa sposa indosserebbe il suo abito bianco per la prima volta. Lei lo faceva ogni volta come fosse la prima. Il suo amore a cui ebbe giurato fedeltà eterna. Senza se e senza ma ... indiscussa ed indiscutibile. La sua dedizione nel servire lo Stato di Israele veniva prima di ogni altra cosa. O quasi ... In quegli intensi istanti, in cui amava muoversi con innata femminilità, quasi non lasciava trapelare gli anni del suo addestramento e le molteplici missioni a cui aveva preso parte, facendola diventare una fredda ed inappuntabile macchina da guerra. Controllò che tutto, del suo vestiario, fosse stato in ordine, senza ne macchioline ne tantomeno grinze. Si auto compiacque del risultato finale e dopo essersi approvata annuendosi allo specchio, si recò in veranda per poter fare colazione con la sua famiglia prima di ripartire a prestare servizio, poiché il suo Paese aveva ancora bisogno di lei. Perché così aveva scelto di vivere. Così lei voleva. Così doveva essere. Sotto la tettoia del patio in legno di abete bianco trattato con cera lucida trasparente, si trovavano mamma Abigail, impegnata a sistemare le ultime pietanze in tavola, il fratellino seduto ad aspettarla con fervore e nella parte più remota del tavolino, se ne stava seduto indifferente e leggendo il Jerusalem post Joshua, il compagno della mamma nonché padre naturale del piccolo Etan ,fratellastro di Chelsea. L'articolo che destò un particolare interesse all'uomo, parlava di una resistenza da parte di alcuni cittadini del villaggio di Shuya in Libano, sua terra di origine, contro un veicolo trasportante razzi di Hezbollah. I residenti impedirono il transito del veicolo, che avrebbe messo in pericolo la zona vicino le loro case. I drusi di Shuya stavano applicando la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite al posto dell'esercito Libanese e dell' UNIFIL. Era quest'ultima, la Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni unite (United Nations Interim Force in Lebanon), una forza militare di interposizione dell'ONU, creata nel 1978 dal consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Con la risoluzione 1701, il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, aveva previsto il potenziamento del contingente militare UNIFIL, con lo scopo di: Monitorare permanentemente la cessazione delle ostilità, accompagnare e sostenere la LAF (Lebanese Armed Forces), coordinare il ritiro delle IDF dai territori Libanesi occupati con il ridispiegamento della LAF negli stessi territori una volta lasciati liberi dagli Israeliani, osservazione da posti fissi, condotta di pattuglie, realizzazione di check points, collegamento con le forze armate Libanesi ed il pattugliamento marittimo. Evidentemente, come in moltissime altre situazioni, dovette toccare al popolo sopperire alle “disattenzioni” organizzative dell'ONU. Molto spesso, durante un attacco di Hezbollah, si avevano più vittime tra i civili per colpa delle stesse mosse maldestre degli estremisti islamici, piuttosto che dalle controffensive Israeliane, da sempre attente ad evitare il più possibili obiettivi civili.

- Finalmente anche dalle mie parti qualcuno sembra si stia svegliando ... -

Esclamò Joshua quasi a voler richiedere un briciolo di attenzione, che però non arrivò da parte di nessuno, tantomeno da Chelsea che lo ignorò del tutto. Fu anche a causa di uscite fuori luogo ed in assoluta mancanza di tempismo, che spesso la inducevano a pensare, come la madre dovesse accontentarsi di un inutilità d'uomo del genere, in confronto alla brillantezza che aveva suo padre.
Il padre naturale della ragazza, Ilan Zfef, era un membro ricoprente un importante carica all'interno del KKL . Morì vittima di uno dei tantissimi atti di fanatismo islamico provenienti dalla striscia di Gaza circa dieci anni prima mentre era alle prese con un test di un innovativo sistema di irrigazione dei campi coltivati al confine di Gaza recuperando e desalinizzando l'acqua di mare con degli apparati di filtraggio all'avanguardia. Da anni Israele sforna innovative start up nel settore agricolo ed agrario, divenendo forse il paese al mondo più innovativo ed esperto nel settore, capace di far fiorire intere piantagioni persino nell'arido deserto. Fin da piccola, aveva nutrito un amore reverenziale nei confronti del padre, come spesso accade quando in una famiglia nasce una figlia femmina. Era forse la sola persona con cui non ebbe mai avuto un litigio in vita sua. Trascorse parte della sua esistenza nella speranza di non deluderlo mai, ma senza averne il peso addosso, con naturalezza, tanta era la simbiosi caratteriale tra i due. Il giorno in cui lo perse per sempre, la segnò drasticamente, definendole un carattere già di per se rude ed autoritario. Non lo avrebbe mai dimenticato. Da allora, la signora Abigail, madre dei due ragazzi, è riuscita a riprendersi la propria vita quasi esclusivamente, grazie all'incontro con Joshua, un idealista pacifista molto più propenso alla discussione che all'agire, uomo di cultura ma abituato a dire la sua anche su argomenti di cui non si dovrebbe avventurare ad affrontare .
Da subito l'attrito tra Chelsea e Joshua fu palese. Lei, soldatessa iper addestrata delle forze speciali Israeliane che scelse la vita militare in prima linea, sempre pronta all'azione senza mai concedersi svaghi o distrazioni amorose di alcun tipo, dove le persone vengono definite dalle proprie azioni e non dalle parole, lui , filosofo che rinnega ogni forma di violenza riesumando ideali hippy di pace ed amore e dalla parlantina quasi logorroica. Di certo, non era un punto a suo favore, anche il fatto di essere Libanese di nascita ed Israeliano di adozione, ma la cosa che forse di più la infastidiva era la situazione da disoccupato perenne in cui aveva sempre vissuto. Lo poneva agli occhi impavidi di Chelsea in una posizione di assoluto saccente parassitismo intollerante e snervante.

- Buongiorno a tutti ... anche agli insetti che infestano questa nostra bella tavola curata ed imbandita. -

Esordì bruscamente Chelsea mentre prendeva posto al fianco del fratellino accarezzandogli la testa, fissando e punzecchiando volutamente il compagno della madre. Joshua abbassò un lato del giornale e le mandò un occhiata di traverso senza proferire parola.

- Quando la farai finita con questa storia? -

Intervenne la madre con aria scocciata da quella situazione di astio che si protraeva tra i due ormai da anni. Non aveva mai imposto che la figlia accettasse di buon grado la sua scelta di ricostruirsi una vita con un uomo più giovane e dalle prospettive economiche e lavorative estremamente limitate, ma quantomeno, in presenza del piccolo Etan avrebbe voluto un minimo di rispetto in più. Era pur sempre il padre di un altro suo figlio, ed insieme stavano contribuendo a renderla di nuovo una donna felice ed appagata. Chelsea questo lo sapeva ed accresceva sempre di più il suo amore per quel bambino che era come un faro acceso nel mezzo di un oceano notturno e tempestoso, ma non riusciva ad ammorbidirla nei confronti di Joshua, anzi, le destò sempre il sospetto che lo usasse per bivaccare sulle spalle della madre.

- Mai -

Rispose secca la ragazza continuandolo a fissare con malcelato disprezzo. Espressione che mutò considerevolmente, quando si girò verso la madre ed il suo viso cambiò diventando dolce e mite, eliminando tutte le rughe di corrugamento dalla fronte, ora distesa e rilassata:

- Hai preparato una tavola meravigliosa mamma è sempre stupendo fare colazione con te ed il mio Etan. -

Abigail cominciò a riempire i piatti di ognuno di loro delle pietanze che aveva iniziato a preparare già dalla sera prima. Servì il pasto alla figlia prima, poi il piccolo Etan ed infine Joshua. Nel mentre, sembrò come prendere coraggio e dopo un cenno di intesa con l'uomo, cominciò a parlottare a mezza voce:

- Potrebbe essere così ogni giorno, se solo tu la facessi finita di voler fare l'eroina a tutti i costi ... -

- Mamma ti prego non cominciare ... -

Rispose Chelsea sbuffando ed alzando gli occhi al cielo mentre accarezzava la testa del piccolo Etan intento a gustarsi la colazione.

- Quello che stai facendo non riporterà indietro tuo padre ne lo renderai più orgoglioso di quanto già lo fosse stato di te ... non hai voluto fare carriera e sederti dietro una scrivania, non hai voluto costruirti una famiglia e passi pochissimo tempo con noi ... non credi sia ora di fermarti? -

Sbottò Abigail con tono deciso ma non severo, anzi, comprensivo e calmo, a voler tentare di far ragionare la sua primogenita che forse, il tempo di fare certe scelte era inevitabilmente arrivato. Chelsea era abituata agli sfoghi della madre e non gli diede peso, continuando a bere il suo succo di ananas in tranquillità, facendo smorfie e sorrisetti al fratellino seduto al suo fianco che le rispondeva divertito.

- Dove credi che ti porterà tutto questo? ... ricorda sempre un nostro detto ebraico recita: una pace cattiva è meglio di una guerra buona. -

Esordì Joshua provando a dare un minimo di autorità alla sua voce solitamente inespressiva ed incolore.
Il gelo invase la tavolata. Tutto d'un tratto, quella che doveva essere un armoniosa colazione in famiglia si stava per trasformare in un campo da battaglia quando Chelsea alzò lo sguardo fissando dritto negli occhi il suo interlocutore. Non avrebbe mai consentito un affronto simile. Intromettersi in una discussione tra lei e sua madre e con quel tono di risolutezza, come ad avere la consapevolezza di esprimere una verità assoluta ed inopinabile. Fu assolutamente insolito ed intollerabile. La ragazza restò a guardarlo con aria truce ed in assoluto silenzio strizzando lentamente gli occhi e stringendo le labbra dalla rabbia per almeno 5 secondi. Poi d'un tratto sbottò facendo sobbalzare tutti i presenti:

- Come osi intrometterti, lurido pacifista del cazzo ... è grazie a gente come te se mio padre non è più qui lasciando mia madre in balia di pezzenti sfruttatori che mangiano sulle sue spalle ... ed è anche per fare stare il culo al caldo ed al sicuro a quelli come te che noi dell'IDF facciamo quello che dobbiamo ogni giorno, quindi, fammi il cazzo del favore di tacere in mia presenza e di non intrometterti mai più nelle discussioni tra me e mia madre. -

Il tono assolutamente fermo ed autoritario, che lasciava trapelare un odio mai del tutto espresso fino in fondo ma nello stesso tempo mai celato, mise un punto sulla discussione ancora prima che cominciasse. D'altronde lei era abituata così. Nelle forze speciali non si poteva obiettare, non si poteva esprimere un parere personale, non si poteva scegliere di testa propria se non per salvare un proprio compagno o in casi al limite dell'immaginazione. Si eseguiva e basta ... ed in questo Chelsea era una delle migliori.
Terminata la colazione in un silenzio quasi surreale interrotto di tanto in tanto da qualche scambio di battute tra Chelsea ed il piccolo Etan, colorate da risatine di gusto di entrambi e gesti eloquenti tra Abigail e Joshua, la soldatessa, si alzò da tavolo sparecchiando la sua parte e quella del fratellino, poi, gli diede un enorme bacio sulla fronte promettendogli di tornare presto e di riportargli un modellino di F15 eagle da montare e pitturare. Il piccolo Etan , accanito collezionista di modellini di caccia da combattimento fece un balzo di almeno un metro stringendo fortissimo la sorellona al collo gridando:

- Siiii, grazie non vedo l'ora che torni ... ti voglio bene mach2 anzi no mach2 e mezzo proprio come l'F15 eagle ... il mio preferito ... giuramelo sul tuo onore come fai sempre. -

- Studia e vedrai che da grande ne piloterai uno vero ... Intanto ti prometto di riportarti un modellino speciale ... te lo giuro sul mio onore ... ciao maschiaccio. -

Dopo averlo di nuovo baciato sulla guancia, Chelsea si diresse verso la porta prendendo la sua giacca militare ed il borsone con le sue cose accompagnata dalla madre e mostrando una glaciale indifferenza verso Joshua che intanto faceva finta di continuare a leggere la stessa pagina del giornale da circa mezz'ora, assistendo alla scena di nascosto.
Giunte sulla soglia, Abigail iniziò a sistemare il colletto della giacca della figlia.

- Mamma, non serve ... ogni volta che riparto tu sei qui a sistemarmi la giacca ... lo fai dal primo giorno di militare obbligatorio ... da quando avevo 18 anni ... -

- E allora? -

La interruppe la madre con gli occhi lucidi:

- Sono tua madre e lo continuerò a fare finche queste mie mani me lo permetteranno o finché tu non sarai sazia di tutta questa sete di dovere e devozione. -

La ragazza abbassò il mento e lanciò uno sguardo di traverso alla madre che dal canto suo la guardò con amore e compassione sospirando:

- Quando finirà tutto questo? -

Chelsea fissò la porta davanti a se, la aprì e mentre fece per uscire sussurrò :

- Presto ... o mai ... in fondo che importa ... . -

Richiuse la porta di casa e percorse tutto il vialetto pedonale che la portava verso l'esterno della bianca staccionata in legno che delimitava il confine del giardino dell'abitazione. Varcò il basso cancelletto, aprì la portiera e salì nel suo pick up lanciando un ultimo sguardo amorevole verso la madre affacciata alla finestra di fianco al portone che nel mentre, non riuscì più a trattenere le lacrime. Come succedeva ogni volta da tanti anni ormai.

“ Tempo, azioni ,reazioni, cause ed effetti, luoghi ,persone, rapporti, parole, simboli, mille significati, un solo univoco senso”.

“ Tutto può essere correlato ad una unica chiave di lettura. Tutto può avere milioni di chiavi di lettura. Chiavi... codici ... sicurezza... sicurezza. Siamo da sempre alla continua ricerca di qualcosa o qualcuno che ci garantisca, che ci protegga,che ci renda in qualche modo immuni a quelle che sono le minacce reali dei nostri tempi ... Perché i tempi cambiano, sono in continua evoluzione ... Solo chi se ne rende conto e si adatta sopravvive ... la legge dell'evoluzione questo impone.”

“Tutto cambia ... tutto è mutevole ... tutto è decifrabile ... tutto è indecifrabile ... Chiavi ... Codici ... sicurezza ... Buoni, cattivi ... ciò che è folle ciò che è giusto ciò che va fatto ... Chi si schiera e combatte ... chi guarda e giudica ... chi non se ne cura e va oltre ... Chiavi ... Codici ... Sicurezza ...”
Antonio Moriconi
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