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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP, ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo già formattato che per la copertina.
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Giuseppe Fina
Titolo: Il picciotto delle Madonie
Genere Narrativa
Lettori 3311 33 51
Il picciotto delle Madonie
Biglietto per il Passato.
Il silenzio è rotto al fruscio di una porta scorrevole, il vetro del finestrino sul fondo, mostra al riflesso l'interno della cuccetta del vagone di un treno, dal quale il volto di un uomo dall'età avanzata ne anima le immagini. Spalancata l'anta, un signore dal cappello blu e un uniforme scura si spinge al centro, pronunciando parole che non hanno alcun bisogno di risuonare tanto sono state articolate: << biglietti prego..!? >> L'uomo incerto, estrae il cartoncino dall'interno della tasca posta sulla parte superiore sinistra della giacca. La giacca: una tela fine dallo stile antico armonizzato da impercettibili striature grigiastre ricorrenti il colore chiuso, nessuna cucitura o bottoni evidenti. Porge il biglietto all'ufficiale aspettando che insista sulle pinzette cromate e lo convalidi: << manca ancora assai a Villa San Giovanni? >> Il ferroviere pizzicato il biglietto, legge la destinazione finale del utente: << non si preoccupi arriverà puntuale a destinazione, di dov'è lei, vedo che scende a Cefalù..? >>
<< Sono di Castelbuono, è un po' prima di Cefalù; ma è molto che abito al nord, provengo da.. >> Il vidimante non lo lascia andare oltre, sventolando il biglietto: << ho visto da dove proviene, e l'accento da solo parla più del biglietto stesso. Pure io sono di quelle parti, conosco la zona, e allo stesso modo sono salito per lavoro pure io; ormai è una storia vecchia... >> Regalando un sorriso a quello che a prima vista ricorda essere la copia perfetta del suo futuro prossimo, gli rende il biglietto; poi riportate le mani alla maniglia della porta scorrevole, un attimo prima di riunire le due estremità, risponde in modo univoco alla domanda posta dall'anziano viaggiatore: << alle nove sarete a Villa San Giovanni, alle undici e mezza, mezzogiorno, certamente sulla banchina della Stazione alla ricerca di un taxi; ..ma forse ci arriverete prima, fate buon viaggio e si metta comodo, che comunque c'è ancora molta strada da fare >>. Il viaggiatore chinata la testa annuisce un ringraziamento, lasciando che la discussione ripieghi nella chiusura della porta scorrevole. Il misterioso personaggio raccoltosi solitario nel suo posto accanto al finestrino, si rialza a controllare la stabilità della valigia, chiude le tendine alla porta, e tirate giù quelle del finestrino, come un bambino che ascolta i consigli dei grandi, si accosta con la chioma al poggiatesta, ma non chiude ancora gli occhi, non prima di essersi servito un ulteriore bicchiere d'acqua; potrebbe bere dalla bottiglia ma certe accuratezze può ancora permettersele, se non altro per mantenere quel tono guadagnato in tanti anni di sacrifici. Ne beve alcuni sorsi, assaporando con cura quel gusto fresco e dissetante che solo l'acqua sa dare, poi poggiato il bicchiere di vetro completo delle sue scanalature circolari su tutto il perimetro, a tappo della bottiglia, cerca la via più breve per addormentarsi. Spostato un pacchetto di biscotti e la stessa bottiglia dal poggia vivande scorrevole posto sotto il finestrino, affronta la stanchezza appoggiandovisi coi gomiti. Riflesso nel finestrino vede tra i flash delle prime luci e il buio delle gallerie, ciò che non può più nascondersi, è cambiato! Impossibile non pensare a quanto tempo è trascorso da quel giorno, da quella sua prima valigia di cartone ed ancora più giù. Spruzzi di ricordi gli rimbalzano nella mente come folgori nella tempesta, situazioni che hanno deciso la sua vita, la sua strada. Le pupille complici la stanchezza racchiusa nel fisico ormai capitolato agli schiaffi del tempo, si tirano fuori arrendendosi a ciò che è stato: un cassetto sigillato dentro a un sogno mai iniziato...
Capitolo 2°
Ganci 15 Luglio 1949 ore 11,30
I briganti e il bambino.
Come per caso in una delle tante colline indorate dal fiammante sole della terra siciliana, nascosto tra le ombre di una pianta di fico, un viso rosso e bollente consumato dagl'inarrestabili riflessi iridescenti colanti giù dalla fronte, si manifesta. E' decisamente interessato da un punto fisso di fronte a se. Una veloce ripulita con la manica della camicia agli occhi disturbati dall'acidulo sudore, ed eccolo nuovamente concentrato, sempre là, stessa direzione, quel solito punto. Fuggendo i fichi in via di maturazione, una lunga scia ferrata posta sotto la guancia, ci porta a conoscere sullo sfondo opposto, tra fango e pietre, una minuscola casupola di canniccio “l'obbiettivo finale”; tanto importante da suggerire la scomoda scampagnata sotto il massacrante solleone. Nel silenzio il sibilo suono metallico della barba sfregante il binario, accompagna la visuale verso l'unico ostacolo frapposto tra gli occhi e la casa.
Rivelatesi alla luce, le due gallerie erette ai padroni di casa, si esprimono da sole, il binario altri non è che il corridoio che porta al mirino della doppietta caricata a pallettoni. L'uomo che impugna l'arma non è solo, ci sono altri quatto con lui, riparati anch'essi da alberi, o protetti da pietre e siepi spinose; armati a loro volta di lupara e di una mitraglietta. A coronare il tutto naturalmente, non manca mai la classica coppola con la visiera, inflessibile giudice delle umane intenzioni a proteggere il capo e gli occhi dal sole impietoso del mezzodì. Sono pronti a far fuoco quando d'improvviso, il silenzio viene spezzato dalle grida di una donna, che correndo incontro a un bambino rompe la concentrazione degli indesiderati ospiti; a sua volta coperta dalle contrarietà del marito: << lascia perdere ho detto, è troppo tardi ormai >>.
Incurante del consiglio, veloce gridandone a squarciagola il nome, raggiunge il bimbo, che ignaro controllava col bastone, il pascolare dei porci: << “Benedettooo, Benedetto lesto!” (afferratolo sotto le braccia con la cura che solo il coraggio di una madre può offrire, volteggiando su se stessa, lo alza dal suolo catturandolo nello scialle) ..scappiamo “i briganti, i briganti ci sono, presto!” >>
Con la forza della disperazione stringendolo forte a se, continua a testa bassa la corsa nel pantano, tornando nuovamente a rifugiarsi all'interno della casupola in pietre e paglia. Ad attenderla c'è il marito ed il fratello, che immediati le sprangano la porta una volta dentro. La donna disperata singhiozza, vorrebbe piangere, stringe il bambino a sé proteggendolo tra le braccia, neppure una lacrima deve scaturire dalle borse degli occhi, non vuole spaventarlo ulteriormente, malgrado la paura sia ormai l'ultima preoccupazione. Non è veramente figlio loro, è solamente un impiegato, ma il destino è stato così arido verso la coppia, che giorno per giorno si sono attaccati sempre più a quel figlio, fino a considerarlo proprio. Cerca ostinatamente fino a che gli è possibile di nascondere al fanciullo la cultura della violenza, benché le loro vite sembrano ormai parcheggiate sull'orlo di un precipizio.
Ai banditi non è sfuggita la vista del bimbo, né tanto meno il suo nome: “Benedetto” è proprio quel nome a portare gli uomini mischiati al verde ad argomentare tra loro.
Ad un tratto uno sparo squarcia l'anima del cielo, delegando sulla scia di un eco e al fuggire in volo di uccelli spaventati, ai restanti, la coperta di un sintetico letargo; dissenso di ogni forma animale verso il pronosticabile fuoriprogramma.
Dallo spioncino una faccia si aprì alla luce, deliberando le proprie ragioni: << non avrete mai la nostra terra, potete dirglielo al Barone; non ci faremo levare il pane di bocca “da quel cornuto!” Venite avanti se avete coraggio, venderemo cara la pelle (affinché vedano bene che non sta scherzando solleva al cielo l‘antico parente del fucile, molto più simile per la ruggine ad un vecchio ferraccio) avanti volete la terra? dovrete guadagnarvela “col sangue!" >>
Anche la parte avversa, consumato un suo confabulare partorì il proprio mostro. Tra di loro uno dalla stazza pesante, annuì alcuni ordini ai compagni, chiaro dai modi essere lui il capo. Gli uomini sempre stando ben coperti, si avvicinarono a tiro della baracca: << Tatò, prima di fare “minchiate.. “fai uscire ‘u carusu” (il bambino) ..non vorrai che si faccia male..? Non centra con noi è meglio lasciarlo fuori da questa storia “sono cose da Uomini queste” >>. Fermo nel farla ragionare: << hai sentito cosa ti ho detto? Lasciamolo andare, e non dovrei essere io a chiederlo >>. Voltatosi il contadino, cala lento lo sguardo ad accarezzare il viso del figlio.. In certe Regioni, specialmente nel Sud, i silenzi si sono via via, emancipati, arricchendosi di una dialettica propria, sostenuta da sguardi e gesti; una tecnica alternativa equiparabile al “Morse”. << no..! (implora la moglie interpretando il pungente mutismo) Ti prego Anto'..? >>
Chinando la testa verso l'esterno fa cenno al cognato di farlo uscire, il ché comporta il plausibile rifiuto della moglie: << no no, (avvinghiandosi al corpicino) non lo lascio, no..! >>
All'opposizione il marito gli si porta sulla guancia, e rassicurata con un bacio le sussurra: << non ti preoccupare.. non gli faranno alcun male, non è lui che vogliono, qui è troppo pericoloso, lascialo andare >>.
La moglie spinta dalla forza dell'amore si ripropone: << io non posso, io... >>
<< Lo so! (annuisce) è per questo che dobbiamo lasciarlo andare, (catturandogli una lacrima con le dita) proprio per questo >>.
Una volta fuori, l'affilato stridio riaccompagnò la porta verso l'anta, congiungendo le due estremità in un'ulteriore matrimonio. Nell'aria restò il digiuno forzato degli occhi, assediati dal triste spioncino, giudicanti il mimetico silenzio delle ombre nemiche.
Come tentacoli gli angoli bui della vegetazione inghiottirono il bambino, niente poté contro le callose mani soffocanti sul nascere la legittima richiesta d'aiuto. Immobilizzato con l'ausilio di una cordicella di canapa legata fra mani e piedi, fu condotto in un posto riparato, al coperto da quella più semplicemente chiamata: “pallottola vagante”. Non c'è più confine tra il “Volere e il Potere” adesso i signori possono tornare a giocare nuovamente alla guerra. A far da padrino al pronostico, il sibilo dolciastro dei tessuti fregati sull'arma, e fra l'erba la costante di un pesante scarpone affogato sul dorso del ragazzo; epicentro di una clessidra intenta a scindere tra i mille pensieri del Capo, i silenzi dal fatidico ordine finale.
Un braccio sfiora la palpebra asciugando nel polso il sudore, lo sguardo risponde alla cortesia, dirigendo sui compari, saturi della convinzione che un ennesimo muro di parole non potrà assolutamente cambiare il destino delle cose, il ché li riporta ad imbracciare nuovamente le armi. L'uomo dalla visiera decide che è ora di dare voce alle campane, accennando con la testa da la sua benedizione perché cominci la cerimonia. Al che un picciotto a fianco traduce in lingua corrente “a voce”: << avanti, abbiamo già perso troppo tempo, facciamo quello che dobbiamo fare, e andiamocene! >>
Il tempo di rincorrere l'obbiettivo, e spari furono! Lupare e mitra risuonarono la carica, dilaniando tutto ciò che riempiva l'occhio, accompagnando per mano il sangue fuori dalle pareti della baracca. Mai scontro fu più impari, i condannati non ebbero voce neppure per ringraziare la cortesia offerta, fu una strage a senso unico, una vera mattanza. I corpi traballanti ancora in piedi, costretti a danzare un valzer che non desideravano, abbracciati ad un barbaro compagno “lo spietato pallettone” che delegando i nuovi estinti all'Altro Mondo, sollecitò l'apertura delle porte spingendovi contro ossa e carni. La vendemmia non durò che pochi interminabili secondi, ma i proiettili sparati furono talmente tanti che il tetto di paglia finì col crollare sopra i Filistei, sostenendo in quell'ermetica chiusura la maniacale idea del tappo sulla propria bara; solo allora si fermarono, solo allora tornò il silenzio.
Ristabilita la pace con i leggeri silenzi della natura, lentamente “i nipoti di Caino” si avvicinarono al tempio della distruzione, per assicurarsi che il lavoro sia stato ben eseguito come si conviene alla “diligenza del buon padre di famiglia” che non vi siano per intendersi feriti; in altre parole “vivi che parlano!”
Era identificabile solo la donna, per via della lunga veste, al contrario del marito e del cognato, che mascherati dal canniccio se ne distingueva ben poco, parte essenziale di essi era stata gentilmente invitata ad allontanarsi, per trovare rifugio in un posto meno edificante: fra le intercapedini del canniccio.
Terminato il monologo, il capo tolto il cappello, si avvicina ai cadaveri, improvvisando con due dita segno di rispetto verso la Morte, un veloce segno della croce: << ..niente di personale >>. Poi tornato a infilare la coppola, la china nuovamente in direzione della donna, ultimo saluto prima di lasciare l'improvvisato Vietnam. Voltandosi allargò le braccia spingendo verso i picciotti: << andiamocene da qui, prima che arrivino ospiti inattesi >>.
Fa per salire sul cavallo, quando uno dei ragazzi gli fa notare che c'è ancora un piccolo particolare da definire; afferrato il bambino per le corde che associano sulla parte posteriore le due estremità braccia e gambe in un unico corpo: << di lui, ..che cosa ne facciamo..? Mica lo lasceremo libero di circolare è un testimone “Don Vincenzo..!?” Questo appena libero va sicuramente a denunciarci dai Carabinieri... >>
Non rispose subito, agguantata con forza la sella dell'animale, forzando sulle staffe, vi sale in groppa. Leggendo stampate nelle rughe le proprie indecisioni, lasciò al silenzio il compito di illustrarne le idee. Forzato le briglie volta il cavallo, e con aria di chi non vuol più tornarci sopra, “a mezza bocca” guardandolo per traverso lo annientò: << “io non ammazzo i bambini!” >>
Voltategli le spalle lanciò l'animale al galoppo, lasciando ai compari la possibilità di riscrivere la fine della sceneggiatura. Non avendo un'idea precisa sul cosa farne del giovane, i picciotti pensarono, e pensarono bene; solo uno ha spolverato il problema, e visto che questi ultimi non volevano avere a che fare con la morte di un bimbo (ne avevano dei loro, e a nessuno piace l'idea di vederseli ammazzare), condivisero: se proprio ci tiene a rovinarsi la coscienza, che si arrangi da solo!
Uno ad uno salirono sui loro animali, il giovane vedendoli andare, serrò nuovamente: << “allora..!? Cosa ne devo fare? Lo lascio qui?” >> Il coetaneo non fermò la corsa del puledro, ma deciso a rispondere, costrinse la bestia al passo; estraniato si voltò al socio, parlandogli come se stesse dicendo agli uccelli: << se proprio ci tieni a sporcarti le mani, ammazzatelo da solo; “ma ricordati bene” quello se non prendo sbaglio, è figlio di Madonia, “Giovanni lo conosci..?” Se solo ti azzardi a torcergli un capello, sei un uomo morto! Ti verrà a cercare, ti darà la caccia, ti seguirà fino in culo al mondo se occorre “e credimi..” non vorrei essere al tuo posto quando ti troverà, perché “ti troverà” e fino a quel giorno, non potrai fidarti di nessuno “neppure degli amici” ammesso che dopo il fattaccio tu ne abbia ancora... Chissà che non tocchi proprio a me doverti scannare..? In quel caso non credo mi farei tanti scrupoli “in fondo..” non saresti altro che un'ammazza bambini di merda! (lanciando l'equino) ..buona fortuna “esperto" >>.
Si allontana pure lui, ma non sarà solo a macinare a ritroso i viottoli della campagna. Recepita la prospettiva “l'Ultimo dei Moicani” si avventa sul ragazzo facendo sì che non possa assolutamente chiedere aiuto, non subito almeno, non prima che le acque si siano tinte di inconfutabili alibi. Pochi attimi, e lanciato al galoppo il mulo è già all'ombra del compare, votando sapientemente contro l'inutile spargimento di sangue: nel caso in questione “il proprio”.
Il bimbo resta unico beneficiario della dorata polvere sparsa al sole dagli zoccoli fendenti degl'equini in corsa, in mezzo a scene agghiaccianti di morte.
Affinché non fuggisse a chiedere aiuto, il carceriere lo vinse attribuendogli un arguto trattamento, gli strappò via i vestiti ferendo la debolezza interiore del quale nessun bambino è immune: “la timidezza” nudo non avrebbe avuto il coraggio di presentarsi a nessuno! Restò sul posto “solo” in attesa, tutto il pomeriggio, abbandonato alla distruzione, seduto sul solito pietrone “nudo”. Non immaginava che l'imbrunire potesse raggiungerlo così presto, ne si aspettava che i carnefici mandassero qualcuno a prelevarlo, da buoni picciotti, di ciò che è stato, nessuno al di fuori della “famiglia” doveva saperlo; il tramonto all'arancia non lasciò intravedere altre soluzioni, per quanto fosse solo un bambino, era giunto il momento di muoversi “era vivo” e questo doveva bastare a rasserenarsi, tutto il resto era superfluo. La campagna di notte nasconde insidie di ogni genere, si possono incontrare serpi, lupi, volpi, cinghiali.. pericoli di ogni genere. Sono solo un bambino pensa, ..e se precipito in un burrone, o finisco nei rovi? Purtroppo non c'è che una strada, affrontare le proprie paure: << devo tornare a casa “devo!” >> Un paio di scarpe e uno straccio di incerata, quello che nel grigiore fu in grado di recuperare dalle rovine; non importa, fa ancora molto caldo posso farcela, la cosa più importante adesso è correre, “correre, correre”. Sospinto dalla paura i suoi piedi sembravano non toccare mai il suolo, cadde ripetute volte, ma terrorizzato si rialzava insistendo sulle gambe più di prima. Sentiva incollato alle spalle la fredda carezza di un'oscura presenza, la sensazione nei suoni notturni di essere entrato nelle mire di qualche animale feroce, chissà un lupo, un serpente... Di certo l'idea di far da pasto non lo entusiasmava, e fu per questo che non spese preziosi attimi del suo tempo in superflue indagini; non si voltò, corse, ..corse solo questo! Raggiunta la statale si fermò a bere ad una sorgiva, posta a lato della carreggiata, fu lì che alzando il capo, vide finalmente sullo sfondo inondato dai bagliori dell'alba, il paese, splendido sotto quell'abbraccio, come un bambino sul seno della propria madre. Lo riconobbe subito, non poteva sbagliare, amava troppo quel castello, suo padre prima di mandarlo a lavorare ce lo portava spesso, colmando quelle giornate delle più coinvolgenti avventure, riguardanti fantomatiche leggende su regnanti e celesti divinità. Ma la favola più grande risiedeva nel ricordo che con loro c'era ancora la vera madre. Bagnato nel viso dall'acqua fresca della fonte, si spolverò delle paure della terribile notte, lasciando alle campagne il loro malefico sapore. Prossimo al traguardo sollevò gli occhi sul lungo serpentone, destinando il suo ultimo pensiero ad un morbido letto, e al calore di un confortante sorriso; in fondo a quella strada vi era “la casa di mamma” non era poi così sfortunato pensa, aveva un'altra mamma e gli voleva pure bene. Giunto al traguardo aspettò nel retro della casa, davanti la porta della stalla, sicuro che di lì a poco puntuale come una messa, suo padre sarebbe sceso a sellare i cavalli.
Capitolo 3°
Aranci aranci..
Prima di fare qualunque cosa, come di sua consuetudine suo padre ogni mattina spalanca le porte della stalla in modo da rinnovare l'aria dell'interno. Stremato il ragazzo superò l'anta fissando il padre sellare la “mula”, Giovanni avvertita la presenza alle spalle di uno spettatore, si voltò, restando sbigottito. Si perse un istante nel tentativo di capire, poi fiutando che lo aspettava qualcosa di molto più grande, si chinò verso il figlio spalancandogli le braccia. Benedetto vi si getto contro e raccogliendo il poco fiato che ancora gli restava, raccontò l'incomprensibile avventura; non pianse, non ne avrebbe avuto la forza, troppo stremato per farlo. Suo padre lo sollevò da terra, e percorrendo a ritroso il serpentone di scale, finalmente lo depose nell'unico letto vuoto. Non era mai stato uno di tante coccole, ma spinto dalla potenza del sangue, quella mattina lo strinse forte e parlando da padre a figlio come non aveva mai fatto, gli trasmise una nozione, la più importante, tale da tramutare lo stato di fanciullo in uomo.
<< “Benedetto” (parlando sempre in terza persona), ascolta cosa ti dice tuo padre, ciò che è successo, non lo dovrai mai raccontare a nessuno “a nessuno capisci?” Neppure a tua madre. Oramai sei un uomo e gli “Uomini sanno” cosa vuol dire tenere la bocca chiusa, è così che si ottiene il “rispetto” e non credo, ci sia da spiegare (puntandogli il dito sul petto) “ad un Uomo” quanto questo possa valere; e adesso vedi di chiudere gli occhi e dormire, devi riprenderti dalla fatica o ti ammalerai >>. Affossata la guancia nel cuscino un'ultima domanda fuoriuscì dalle labbra del bimbo: << papà ma oggi non vai a lavorare, ho visto che sellavi la mula... >>
<< Benedetto, oggi è domenica, e fino a lunedì il Commissario non lavora, così.. carico la mula e vado a fare qualche lavoretto nella terra in campagna, la il lavoro non manca di certo. Avrei portato pure te visto.. ma per oggi è meglio se ti riposi, ne riparliamo un altro giorno; dormi, più tardi verrà tua madre a svegliarti e a darti da mangiare. Via adesso lasciami andare, ci vediamo stasera.. mi raccomando bocca cucita, e non far disperare tua madre mentre non ci sono, mi hai sentito? >>
Il lavoro di Giovanni Madonia consisteva nel portare in giro per la Sicilia il Commissario di Polizia Nino Collotta, guidando una diligenza blindata trainata da quattro bellissimi cavalli; il tutto condito con agenti ben armati di scorta, uno a fianco due di fronte e atri due nella necessità, nascosti tra le intercapedini del vano sedili. Era un uomo di piccola taglia, ma questo non limitava certo la sua autorevolezza, le persone che conosceva facevano si che in paese godesse pienamente del rispetto di tutti; e a volte rispetto è sinonimo di intoccabilità.
Intoccabilità, è questo l'elemento che aveva salvato la vita del figlio, e lui lo sapeva, come sapeva che il resto non lo doveva minimamente interessare. A volte i gesti valgono più di mille scritti, contratti che non richiedono alcuna firma tra le parti; superflue perfino le semplici strette di mano, compromessi che vanno solo accettati.
La mattina del lunedì Benedetto seguì suo padre attaccare i cavalli giù nella stalla: << no.. inutile che insisti lo sai che non vado in giro per piacere, è un lavoro duro questo anche se a te sembra divertente, poi figurati se il commissario con tutte le cose che ha da fare, si sta a confondere con un moccioso, (scuotendo la testa) tanto lo so come andrà a finire, ti addormenterai ed io non potrò neppure metterti a dormire, è una carrozza questa, mica una corriera >>. Continua fuggendo il figlio insistente nel ronzargli attorno, ad agganciare le bestie; << dai papà una volta sola ti prego, voglio venire con te, non sono mai stato a Palermo >>.
<< Benedetto togliti dai piedi che non vedo niente, ho detto di no, e quando dico no è... >>
E come spesso succede quando si perde la pazienza, si perde pure la concentrazione rischiando di farsi male; e così fu infatti, distraendosi non vide il movimento dei cavalli, che infastiditi dalla confusione si spostarono, spingendo la carrozza sul piede di Giovanni.
<> in quel preciso istante dalla porta appare Collotta, il Commissario: << ehi Madonia siamo in ritardo stamattina, che succede? che cos'hai da gridare, che ti sentono fino in fondo al paese..? Chi è tuo figlio questo? >> Il figlio cosciente del disastro che aveva appena combinato, di fronte all'influente personaggio, si ammutolì; pensò colpevolizzandosi, che suo padre stava rischiando il lavoro e questo per colpa sua.
Ancora zoppicante, voltato a sistemare gli ultimi finimenti, “il cocchiere” risponde al Commissario: << è mio figlio Benedetto, mi sta facendo una testa così, vuole a tutti i costi che lo porti con me; guarda che cosa ha combinato, mi sono quasi rotto il piede a discutere con lui, meriterebbe di prenderle con la “curria” (cintola), meriterebbe... >>
Collotta si dichiarò in una battuta “libera tutti”: << è tuo figlio no..? E allora te lo devi ciucciare, com'è che si dice.. “aranci aranci, cù l'havi sì chianci..?” (aranci, aranci, chi li ha se li piange..?) Quindi portatelo dietro >>.
Giovanni contrattacca: << parla bene lei, e se poi non dovesse piacergli? o mi si addormenta? Eh.. facile parlare, tanto poi tocca a me >>.
<< Giovanni.. guarda il lato positivo della cosa, se non gli dovesse piacere, poco male; in quel caso sarà lui stesso a non volerci venire più. ..Avanti e lascialo salire, a me non potrà che far piacere un po' di compagnia >>.
Ma suo malgrado Giovanni vide giusto, il figlio si annoiò così tanto da fargli perdere nuovamente le staffe, passò l'intera giornata a tirarlo per la giacchetta, chiedendogli che lo riportasse a casa; infine sulla via del ritorno, sfinito dagli scossoni neanche era il tramonto, che cadde addormentato tra le braccia di Saffo come una pera cotta. Inutile ripetere le imprecazioni che accompagnarono il viaggio da parte del padre, rivolti a Santi e Madonne.. saltiamo “meglio”
Capitolo 4°
La bestia.
La festa per Benedetto durò meno di poco, suo padre non ci mise molto a procurargli un altro impiego. Non poteva tenerlo con se, non era così semplice. La prima moglie morì giovanissima, una bella donna, alta, mora con gli occhi azzurri.. ma il “Male” è conosciuto per il non guardare in faccia a nessuno, tantomeno forte delle sue potenzialità, si è mai preoccupato nel cavalcare una soglia, di chiederne il permesso.
Case, terre, mulini, non furono sufficienti a salvarle la vita, in breve tempo il Cancro la rubò ai suoi cinque figli, risucchiando nel pozzo della disperazione tutte le sue fortune. Giovanni un anno dopo la sua dipartita si risposò con Maria Catena, un matrimonio fondato sul rispetto e sull'amore, ma anche determinato dall'impellente esigenza di dare una nuova madre ai propri figli. Maria si dedicò al mandato di madre con tutta se stessa, tutti cominciarono a volerle bene, e ben presto i ragazzi impararono ad amarla come una vera mamma; da quel matrimonio i figli di Giovanni ebbero un nuovo fratello, il che rafforzò ancor di più quel nuovo legame.
Ma la storia è maestra e insegna che la miseria non rispetta ne risparmia nessuno; così Benedetto si trovò a fare i conti col suo prossimo Padrone. Suo padre inesorabile continuava a spostarlo da un impiego all'altro, era solo una questione di offerta.
Una mattina vennero a prelevarlo direttamente da scuola, anche in quel caso il suo datore di lavoro era un allevatore. Uno scenario che ha dell'irreale, un bambino sperso tra le colline, con la sola compagnia dei suoi animali che per la tenera età neppure lo prendevano sul serio. Questa volta coi padroni non ebbe la stessa fortuna, nessuna forma di premura, nessun calore umano, non gli era permesso neppure di avvicinarsi alle pecore prima che le avessero munte tanto erano avidi ed egoisti. Fu trattato alla stregua dei cani, se non peggio. Come cibo (quando se lo ricordavano) gli portavano solo avanzi del piatto, raramente di giornata. Più di una volta fu costretto per la fame a mangiare ciotole di riso inacidito o pane ammuffito pieno di formiche. Per mesi lontano da casa senza mai parlare con nessuno, portando a pascolare i porci tra fossi e boschi, senza una giacca, mai un bagno, ne la pietà di un sapone, costretto per mangiare a rubare bacche e radici ai suoi stessi animali, che inferociti a volte gli si voltavano contro. Ancora peggio quando al pascolo toccava portare le vacche, grosse com'erano non se lo filavano per niente a volte aveva l'impressione che complottassero a suo danno. Più volte si trovò a confine con lo scontro, era palese l'indigesta condizione, se ancora non lo avevano inforcato era forse perché a differenza dell'uomo, nel galateo degli animali non vi è catalogato il delitto.
Al tramonto ogni volta la solita storia, al momento di rientrare per la notte, costretto nel fango a seguirle tirandole a sua volta per la coda. Non dimenticherà mai quella sera, quando correndo dietro le bestie smarrì le scarpe nel pantano, un lusso che non poteva proprio permettersi, conosceva bene il padrone, sapeva che non glie le avrebbe mai ricomprate; e questo non lo avrebbe fermato dal farlo lavorare fra sassi e rovi, scalzo. Già sentiva squillante la voce del padrone: << le hai perse? E lo dici a me? Cosa pretendi che ti dia le mie? Vai a lavorare vai, imparerai a stare più attento per la prossima volta! >> No! Non poteva proprio permetterselo, cominciò a frugare nella pozza, arraffando tra sassi e legni, tutto lo schifo che poteva scovare; doveva trovarle non c'era altra strada, a costo di passarci tutta la sera. Rientrò in quel cumulo di paglia chiamato baracca, che il tramonto era già un ricordo; ad attenderlo ne acqua pulita per un bagno, ne il calore di un fuoco che lo possa asciugare. Si spogliò al buio, senza neppure l'avanzo di una candela forte da cancellare le paure di una solitudine. Fu quella notte che maledì il giorno che venne al mondo, nel vedere il suo unico paio di pantaloni stare in piedi da solo. Sopra la sua testa, lasciavano filtrare la luce della luna un tetto in canniccio e paglia; il fine ogni notte prima di voltarsi a dormire, della stessa ricognizione: “beh.. almeno stanotte non piove...”
Un bambino di sette anni non può.. non può sapere cosa significhi ribellarsi, l'intero pacchetto gli era affibbiato con gli interessi di un diritto al dovuto, compreso le botte quando lo scoprivano a rubare un po' di latte fresco; a rafforzare la sussistenza di tali pretese, la continua minaccia: << ..fai come ti dico, o ti rimando dritto da tuo padre! >>
Un giorno come di consuetudine, portò i maiali al pascolo lungo il costone che vede la diramazione tra il mare e il bivio di Pollina; sempre per tenerli d'occhio, Benedetto alla ricerca di un posto riparato dove fare un bisogno urgente, salì su un terrazzamento alla sua destra, addentrandosi in un canneto poco distante. Nascosto nel fitto canniccio, dritto di fronte c'era una grossa vasca d'acqua, costruita appositamente per far bere i cavalli. Intento a fare ciò che doveva fare, accucciò la testa nell'udire alcuni passi avvicinarsi dal sentiero; non gli fu difficile dalla poca distanza del silenzioso nascondiglio riconoscere l'uomo, era un suo paesano lo conosceva bene, aveva le terre poco distanti dal padrone, lo avrà incrociato mille volte. Il tizio si avvicinò a piedi ai lati della vasca tirando lo scecco (asino) per le briglie, lasciò che l'animale si dissetasse, chinandosi anch'egli verso il lieve filo d'acqua. Pochi sorsi e allontanate le labbra dal cannello, neppure si avvide che l'ombra dietro di se, scaricatogli due pallettoni dritti alle spalle, lo indicavano per l'altro mondo. Spaziando con gli occhi nel vuoto ed ancora l'acqua in gola, l'uomo barcollante sui perché, cadde in un tonfo sordo piegato nella pozza adiacente l'abbeveratoio. Benedetto alla scena non se la fece addosso solamente perché non aveva più niente da farsi. Restò immobile nascosto, senza quasi respirare, quando il boia lo sfiorò passandogli vicino, diretto alla carne morta che insudiciava il tutto di rosso. Stando attento a non bagnare il fucile ancora caldo per il lavoro svolto, afferrò con forza i capelli dell'indesiderato ospite piegandone a se il volto: << quante volte ti ho detto che nella mia terra non ci voglio vedere nessuno, pezzo di stronzo?! >> Non riuscì a trattenere nel sorriso la più completa soddisfazione, per aver egregiamente difeso il territorio del quale riteneva esserne l'unico proprietario. Gli stivali, le ghette di cuoio il suo abbigliamento, tutto portava a capire quanto traboccasse di “sé”. Lo strappa via dalla fontana per addentrarsi pochi metri più avanti, in uno spiazzo interno al canneto, dalla parte opposta al ragazzo, sfortunatamente non così distante da permettergli di fuggire. Il bimbo passò tutto il pomeriggio, nascosto a due passi dal cadavere con i pantaloni abbassati e i mosconi che continuavano a ronzargli attorno, rischiando di farlo scoprire. Non mosse un dito neppure per pulirsi, fu costretto malgrado lo spavento ad assistere alla cruda sepoltura, se così si può chiamare un occultamento di cadavere, dove nessuna croce si erigerà a santificare una situazione che non consente a nessuno di deporre fiori). La cattiveria del carnefice fu inaudita, non si dilungò ad allargare la fossa, ridusse tutto ciò che sporgeva: gambe, braccia, usando direttamente la vanga... A Benedetto non restò che osservarlo sudare, imprecare, e fischiettare; neppure il lusso di vomitare, niente! Chiudere gli occhi era un rischio che non poteva assolutamente permettersi, se l'omicida si fosse accorto della sua presenza, la sorte riservata, non poteva essere che la stessa. Solo al calar del sole, solo allora Benedetto poté scappare, ricondusse i porci al padrone in modo da non creare sospetti, poi presa la Statale che porta dritta al paese, con il cuore in gola, affrontò il cammino carico dei suoi rischi. Erano tempi duri, certe volte bastava solo smarrirsi in un terreno che non fosse il proprio, per abbracciare l'incognita del non poter più raggiungere la strada maestra.
Camminò per ore, ormai camminare sembrava essere diventata parte essenziale della sua vita, raggiunse il paese che già le luci accarezzavano la cresta della montagna. Giunto alla porta di casa non restò che rimettere a “Maggiordom Batacchio” tutte le fatiche, con l'unica preghiera che qualcuno venga ad aprire l'antro del riposo al piccolo guerriero. Fu sua madre la prima ad accoglierlo e a chiuderlo in un abbraccio pacificatore: << Benedetto! ..Madonna mia, ma cosa fai qua a quest'ora, non dovresti essere in campagna? ..Il tuo padrone lo sa che sei qui? (investigando) Cos'hai combinato, non dirmi che ti hanno mandato via..? (tastategli le vesti umide..) Ma come sei freddo, sei tutto bagnato, vieni con me gioia mia che ti asciugo, ti prenderai una polmonite, ti prenderai >>.
Avvicinatolo a se per scaldarlo lo avvolse in uno straccio asciutto, nel contempo com'è consuetudine in una casa dove vigono regole patriarcali, ad alta voce chiamò il marito: << Giovanni scendi, vieni a vedere chi c'è.. c'è Benedetto qua, tuo figlio >>.
Lo raggiunse quasi subito, intriso dei suoi sguardi severi, così come le domande: << che cosa ci fai qua, cos'hai combinato? Avanti racconta cosa ti è successo? >> Al perdurato silenzio, comprese. Era chiaro il suo silenzio dipendere dalla presenza nella stanza della madre, non avrebbe mai abbandonato il posto di lavoro, contrariandolo, senza per questo il portafoglio di una valida ragione.
Nel silenzio lo sguardo del bambino volto al padre, viveva ancora il presente di quelle raccomandazioni: << ciò che è successo, non lo dovrai mai raccontare a nessuno “a nessuno capisci?” Neppure a tua madre. Oramai sei un uomo e gli “Uomini sanno” cosa vuol dire tenere la bocca chiusa >>.
Giovanni tirò i remi in barca, di qualsiasi cosa si fosse trattata, non era certo il caso di spargerla ai quattro venti, erano in tre nel corridoio, troppi per un discorso a quattrocchi: << va bene, Maria Cate'.. vai pure, penso io qua.
Vieni Benedetto avvicinati, vieni da tuo padre; allora che cos'è che mi devi dire, perché sei qua? >>
Il bambino condivise il suo segreto cercando nel padre quella benedetta parola di conforto, ma il conforto come un raffreddore dovette attendere prima, che i doveri di un interminabile “terzo grado” facessero il suo corso. Dopo una confessione del genere le uniche parole che uscirono da quella bocca non furono che una tempesta di domande, riscontro all'indiscutibile onorabilità.
L'abbraccio liberatorio decretò la fine delle ostilità, la fine di un lavoro ignobile come in quel caso, dello strizzacervelli.
<< Bravo, neppure immagini che soddisfazione mi stai dando, hai affrontato la cosa, come nessun altro avrebbe saputo fare, hai dimostrato di avere coraggio, e questo toglie ogni dubbio, sei tale e quale a tuo padre, sangue del mio sangue. Adesso corri, vai da tua madre, fatti preparare qualcosa da mangiare, hai camminato molto, sarai affamato.. anzi no devi fare un'altra cosa prima, ci parlo io con tua madre; tu.. fai una corsa a chiamare compare Sarino, non gli dire niente, digli che ci devo parlare, che venga “per subito” anche se sta mangiando, è urgente digli; che porti pure ‘a Nino, Nino Bagheria, lo sa lui chi è, avanti fila! >>
Capitolo 5°
Il Clan.
Più tardi a casa Madonia si sta disputando l‘ultimo match di un antico triunvirato: << avete capito l'avvocato..? (racconta Giovanni ai fratelli compari) sto' figlio di una buona madre! Prima si è mangiato la terra di Pietro Mancialufocu e adesso non contento, va spadroneggiando indisturbato tra le campagne, terrorizzando i contadini. Costringe questi disgraziati a cedergli le terre per un tozzo di pane, questo si sta facendo i soldi affamando la gente “avete capito?” Ma quello che è più grave amici, ed è questo il motivo del perché vi ho fatto chiamare e in particolare a te Nino.. (annuendo) questa mattina, l'Avvocato Montinella ha oltrepassato ogni limite, non solo si è incoronato padrone indiscusso dell'abbeveratoio, il che non sarebbe poco; ma non contento, si è messo ad ammazzare pure chi si ferma a bere, ed è più grave ancora, se poi il morto risulta essere un paesano nostro, amico nostro (rivolgendosi a Nino) “forse più tuo magari” >>.
Interrotto dai compagni: << Ma cosa state dicendo zio Giovanni..? Che Montinella non è uno stinco di santo, lo sanno tutti, ma di qui ad ammazzare la gente ce ne vuole, tanto più che prima di dare dell'assassino a qualcuno bisogna vedere il morto e scusatemi se sbaglio, ma fino ad adesso uomini morti non se ne sono visti in giro >>.
<< Bravo Saro il tuo ragionamento fila liscio come il piscio; senza il cadavere... Come si può dire ad uno schifoso “Uomo di Panza” che è uno schifoso “Uomo di Panza assassino..?” A meno che..? Non andiamo a scavare dove ha seppellito i cocci, o se preferite, (affacciandosi a Nino, lo chiama in causa) i resti di Toni Palumbo. “Bagheria..? Ha ucciso tuo cugino!” >>
<< Toni Palumbo? (interviene zio Saro) Ma cosa andate dicendo zio Giovanni ma se fino a stamattina era vivo e vegeto, l'ho salutato io stesso mentre passava col mulo sotto a casa mia, puntuale come un orologio, che andava a lavorare... >>
<< Hai detto bene, l'hai visto “che andava.. ma c‘è qualcuno qui, che l‘ha visto pure “tornare..?” no?! Me lo immaginavo. Ma stavolta al “porco” gli è andata male, ha lasciato vivo un testimone, (precisando) perché non l'ha visto; altrimenti... Mio figlio si trovava là, gli era così vicino che gli sentiva “u sciatu puzzare ‘i velieno” (l'alito puzzare di veleno) ha assistito ad ogni cosa; del resto, ci vuole poco ad assicurarsi, basta una pala e scavare!
Mio figlio.. (elencando le qualità del ragazzo affinché si facciano un'opinione) è uno di quelli che ha imparato a “sciusciarisi a naska da solo” (soffiarsi il naso da solo), non lasciatevi ingannare dall'età; mai che mi ricordi si fosse permesso una sola volta di dirmi una cosa per un'altra. Nessuno lo conosce meglio di me, se dice una cosa, quella è! Ci posso mettere la mano sul fuoco e non mi brucio! E' uno che sa quando parlare, e quando aspettare “che piscia ‘a ‘addrina” (che pisci la gallina); “un Uomo d'Onore” sangue del mio sangue. D'altronde, deve ringraziare proprio il suo sangue freddo se non è stato scoperto, altrimenti oggi.. non sarebbe stato qua a raccontare >>.
Zio Saro immaginate le atrocità che hanno nutrito il ragazzo, gli si avvicina, anche lui è padre, pensando al rischio corso, portandosi alla sua altezza lo prende per il mento alzandogli il viso in direzione dei propri occhi: << povero ragazzo.. hai avuto paura..? >>
Malgrado l'età, è in grado di trovare tra gli schemi di una vita incomprensibile, l'unica risposta plausibile: << solo uno scemo non ne avrebbe avuta >>.
Nel rialzarsi zio Saro, da conferma della più totale disponibilità: << avevate detto bene, Toni Palumbo era mio amico, che cosa proponete zio Giovanni? >>
Anche Nino Bagheria indirizzandosi su Giovanni, accarezzati i capelli del bambino, concede piena disponibilità: << non si doveva permettere di toccare il marito di mia cugina “questo bastardo” >>
Parcheggiato pochi attimi le voci nel vicolo dei silenzi: << le cose da fare possono essere solo due: per primo, radunare “na para ‘i picciotti di fiducia” (un paio di ragazzi di fiducia) di quelli a cui non tremano le mani, e per questo, affido a voi la scelta; E per secondo, domani, il primo che si alza, esce, e “v'accatta dù mazzi ‘i sciura” (va a comprare due mazzi di fiori); uno per la vedova di compare Toni che “buon'anima” lascia due figli da sfamare “che Dio l'abbia in gloria” e l'altro.. (rivolto a Nino) lascio a te decidere il suo destino; se il caso vuole, per la moglie dell'Avvocato Montinella, anche lei vedova “da domani”. Avanti preparate ‘i Mula” (i Muli), ci troviamo da zio Vincenzo alle nove, alla Cantina, ..che stasera andiamo a fare quattro chiacchiere col nostro amico “Avvocato” >>.
Prima di uscire i gentiluomini postano un ultimo sguardo sul ragazzo. Bagheria silenzioso gli si avvicina, lasciando Saro sulla porta ad osservare. Guardando intensamente Benedetto, rovista tutti i possibili lineamenti alla ricerca di quel coraggio nascosto nei dipinti di emozioni e paure. Affievolendo lo sguardo, gli afferra le mani chiudendole nel caldo abbraccio delle sue conchiglie: << bravo.. ti puoi considerare uno di noi, farai strada ragazzo ne sono certo, continua così, (gli lasciò andare le mani continuando ad annuire) ..bravo! >>
Finiti i convenevoli i due si unirono alla porta, fu Sarino l'ultimo ad uscire: << d'accordo allora zio Giovanni, ci vediamo più tardi da Vincenzo “Salutiamo!” >>
Malgrado gli sbandierati complimenti non portarono Benedetto con loro.
Capitolo 6°
25 Febbraio 1951
La sentenza
Alle nove e qualcosa, con tanto di mulo, è Zio Saro (Sarino) in persona di fronte alla casa di Madonia, non ha ancora finito di battere i due colpi di batocchio sul chiodo di bronzo, che la porta intimando al silenzio si apre all'istante, come se all'interno aspettassero solo l'accenno. L'uomo tirandola a se, lancia un occhiata a scandagliare i balconi vicini, alla ricerca di occhi indiscreti. Lanciatosi sopra la mantella, libera la mula dall'anello sul muro prossimo alla porta: << compare..!? (scuotendo la testa) ...gli altri? >>
<< Ci attendono alla cantina zio Giovanni, come d'accordo. E' da un po' che aspettano ci conviene muoverci se non vogliamo trovarli tutti quanti ubriachi, sai com'è fatto Vincenzo, per l'amore di guadagnare qualche soldo... >>
<< Gli riempie i bicchieri..! (conclude Giovanni, con una risposta sarcastica, che a prima vista sembra aprire la finestra ad un sorriso, ma che in realtà si gonfia delle molteplici perplessità) Muoviamoci che è meglio! >>
Saliti in sella agli equini, con uno strattone, voltano i fedeli destrieri in direzione del centro paese. Gli zoccoli sulle strade maleodoranti di escrementi e urine animali, risuonano forte come battiti di un orologio, seminando nei vicoli in pietra le fuggiasche ombre, che ancorate al suolo, sembrano amoreggiare complici le luci della notte, con le grezze mura scalcinate. Giunti alla taverna, non fanno in tempo a chiudersi la porta alle spalle, che “gli amici” unici clienti della serata, abbandonano il proprio tavolo, per avvicinarsi in cerchio a quello destinato a zio Giovanni. Poggiata una manciata di bicchieri al centro, come in un lontano rituale, Vincenzo gira il vino. Un cenno ai ragazzi e Sarino richiamando a se l'attenzione di Giovanni Madonia, li fa accomodare: << “i picciotti..” come avevate chiesto. (A quella, segue una veloce presentazione) Rosario e Natale, già li conoscevate.. sono paesani nostri, “ragazzi a posto”>>. I giovani salutano l'entrata in famiglia ringraziando anticipatamente la fiducia accordata: << per servirla “Zù Giovanni” (zio Giovanni) ogni vostro desiderio per me è un Piacere, prima che ordine >>.
<< Baciamo le mani Zio Giovanni, ‘a stissa cosa vali puri pì mia” (la stessa cosa vale per me) non ha che da chiedere, non la deluderemo >>. Sarino riprendendo al volo le redini: << tutto come aveva chiesto. Sui picciotti.. garantisco “personalmente” >>.
Incrociato gli sguardi dei presenti, in segno di accondiscendenza, Giovanni, afferrato un bicchiere ne beve il vino tutto d'un fiato, poi adagiandolo nuovamente sul tavolo, si aggiusta la coppola, convalidando l'assunzione dei gregari: << possiamo andare! >>
Saro incitando i giovani a volare ad ogni commissione, ripropone a suo modo l'ordine ricevuto: << avanti che stiamo aspettando la processione? Muoviamoci abbiamo del lavoro da sbrigare>>.
Aggiustatisi colletti e mantelli se ne escono. Si fermano subito fuori ad attendere silenziosi l'uscita di Vincenzo, che dovendo chiudere è l'ultimo a abbandonare la soglia.
Spente le luci si sofferma sul gradino a girare la chiave. Gettato a terra il mozzicone ancora fumante della “Nazionale” si affianca agli amici: << ragazzi, era un po' che non si faceva qualcosa insieme, mi si stavano arrugginendo le articolazioni >>.
Si stira scrocchiando quante più ossa, comprese noccole e dita delle mani. Ma nello stirarsi non passa inosservata l'impugnatura di un'arma sbirciare dalla giacca, infilata tra la cinghia dei calzoni; si riferiva alla pistola quando diceva della ruggine, è di quella che parlava.
<< Bè (risponde Sarino) che cosa aspettiamo allora? “Vutamo 'i Mula e scappisamo” (voltiamo i Muli e calpestiamo) >>. Voltatisi di schiena al paese “i cinque più uno dell'Apocalisse” dovranno calpestarne di pietre prima di giungere alla dimora dell'amico “stampa vedove” resta solo la convinzione che per ogni fatica, vi è associata eguale ricompensa “sempre!”
Seguiti dalla luna si arrestano solo di fronte al famoso cancello, la targa posta sulla pancia della grande inferriata è ancora leggibile malgrado l'ora tarda, grazie ai riflessi donati da una generosa luce naturale. Nino Bagheria vinta la resistenza della guardia ferrata, superatone il raggio d'azione, usando un secco tono di sfida, ne schernisce il “Titolo”: << e bravo “l'Avvocato Franco Maria Montinella” adesso voglio proprio vedere quanto sei bravo a difendere te stesso “Avvocato delle cause perse” >>.
Il piano è stato studiato ad arte, durante il tragitto nemico non hanno parlato d'altro, ognuno dovrà fare la propria parte perché ogni tassello si collochi al proprio posto. Natale e Rosario, tocca ai due giovani fare la prima mossa, correono attenti a non farsi udire a nascondersi all'interno della vicina stalla; gli altri optano coperti dallo scuro vello delle tenebre, per la folta edera incollata ai lati della villa.
La sceneggiata ha inizio, è Sarino a sbattere il ciak, riproducendo in modo perfetto il verso di un pericoloso animale selvatico. Al segnale dalle stalle i due giovani rispondono, liberando due bellissimi cavalli, raccogliendoli sul piazzale antistante la casa. E' giunto per i tre il momento di aprire il sipario, Natale e Rosario mentre Sarino insiste col verso, colpiscono ripetutamente le bestie costringendole impaurite a mobilitare i padroni di casa. Pochi istanti ed ecco da una stanza prendere fiato la fiaccola di un lume, nel bagliore delle finestre, altre lingue galleggianti nel buio seguono la scia, ritrovandosi unite al capolinea in un unico Sole. Con a capo l'avvocato, gli inquilini del casale si riversano a fiume sulla terrazza esterna, cercando di comprendere il perché di tanto fracasso. Nel vedere liberi i cavalli, bestemmiando qualcosa Montinella, si volta spingendo tutti verso l'interno: << “i pantaloni presto!” (allarmando la moglie) “corri” dammi i pantaloni “muoviti.. i cavalli” (smanaccando) i cavalli sono scappati >>. Una manciata di secondi ed eccolo, seminudo con un paio di stivai infilati alla male peggio, correre fuori, armato di doppietta deciso a recuperare le bestie. Non ha ancora chiaro di cosa si tratti, ma sicuro di aver sempre agito in ogni suo losco affare in maniera intelligente, una trappola è proprio fuori da ogni suo pensiero. Conoscendo bene le leggi, da buon avvocato non dimentica la regola prima: mai lasciarsi alle spalle testimoni scomodi, quelli vivi in particolare, hanno un brutto difetto: parlano! Insostenibile in una terra dove le leggi ognuno, se le detta e se le scrive a proprio piacimento a colpi di lupara.
Agguantata la prima bestia che gli capita a tiro: << vieni qua tu, dove credevi di andare? ..Come avrete fatto a liberarvi solo voi lo potete sapere... (accarezzata la bestia sul collo) Ti sei spaventata eh? Buona calmati adesso è tutto finito, fai la brava che domani mattina a quella bestiaccia glie la faccio passare io la voglia di ululare; ci penso io, gli preparo subito due bei pallettoni caldi caldi, così finisce di rompere >>.
Ricondotto il cavallo nella stalla, lo sistema nuovamente nel suo recinto: << tu non muoverti di qua, fai la nanna adesso, che io vado a recuperare il tuo compagno >>.
Chiude la staccionata, ma non fa in tempo a voltarsi, che una violenta bastonata lo raggiunge alla testa: << non ti affaticare, (sussurra una voce che al momento non può udire, sfilandogli il fucile di mano) ci pensiamo noi al cavallo >>. Lanciata sulle presse di paglia la forca ancora calda della violenza usata per stordirlo, Vincenzo dandosi di spalle, invita i ragazzi a proseguire: << sapete cosa dovete fare >>. Una secchiata d'acqua sputa fuori l'avvocato dall'anticamera del coma, riportandolo intontito tra i banchi di scuola a decifrare i geroglifici di un “cosa minchia succede?” Pochi secondi gli sono più che sufficienti per trarre conclusioni. Il tempo di vuotare le borse degli occhi dalla trasparente onda liquida, e ancora spalle a terra, intento ad attraversare la diagonale di un dormiveglia, si vede come in un barattolo, chiuso al centro dai sei figuri. Non ne distingue ancora le facce, fino a che la fiamma di un accendino a benzina chiuso tra le mani di Nino Bagheria, si candida a Cicerone, dando un senso a una sigaretta posta sulle labbra di Giovanni Madonia, che appropriatosene, ritardandone lo spegnimento fa ruotare la fiamma a illuminare le facce degl'indesiderati amici. Fatte le presentazioni non ci mette molto a capire. Malgrado l'ora la sua posizione è chiara come il sole, è caduto in trappola come uno stupido, resta solo da individuare la malefatta per il quale i nottambuli si sono tanto disturbati. Lo sconforto lo inghiotte nel rendersi conto che la sua gamba è in tiro prigioniera con lo stivale, nella staffa del suo amato purosangue. Sputata una nuvola di fumo fuori dai polmoni, zio Giovanni da il via ai capi d‘imputazione: << oh.. Avvocato, buonasera, ..o preferisce essere chiamato “Dottore?” (gli volta un attimo le spalle chiamandosi a testimone la platea, il tempo necessario a incastonare la frase) ..certo che è proprio strano il mondo, non trova? Gli avvocati dovrebbero tutelare gli interessi dei propri clienti.. invece che fanno? Li derubano; ..Esigono che li si chiami “Dottore” e poi? “Prendono, e ti sparano!” (svelando l'intero arcano) A questo punto mi sovviene una domanda: e se facevate “u' Parrino” (il prete) come gliela davate l'assoluzione ‘a compare Palumbo “a colpi di lupara nelle spalle?” Oh.. che distratto scusate.. a questo ci avete già pensato stamattina, all'abbeveratoio ricordate..? ..Però lo avete seppellito “le cose giuste...” >>
Giuseppe Fina
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