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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP, ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo già formattato che per la copertina.
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Lisabetta Mugnai
Titolo: È al peggio che non c'è mai fine
Genere Narrativa
Lettori 3195 19 20
È al peggio che non c'è mai fine
La Bocca che morde.
È difficile aprire la porta. “Accidenti! L'umidità deve avere gonfiato il legno e arrugginito un po' la serratura” dico ai miei figli. Non è possibile entrare, non è colpa mia penso con sollievo. Ma mio malgrado riprovo mettendoci più forza, tutta quella che ho, perché non mi piace la preoccupazione nei loro sguardi e nel mio stomaco. Tanto devo entrare prima o poi, vediamo al meno di risparmiare i soldi per il fabbro. E la stronza cede. Mi asciugo le mani sudate strusciandole sui pantaloni. Marco e Chiara sono già entrati, per nulla intimoriti dal buio. A loro vengono incontro un po' alla volta solo grandi lenzuola bianche che nascondono chissà quali tesori. Non riuscendo a toglierle, Marco allora ne solleva un lembo facendolo sventolare. “Presto, saliamo a bordo, il vento è quello giusto” e allunga la mano verso la sorella. “Anch'io sono un pirata e so salire sulla nave da sola” gli ri sponde irritata mentre si arrampica sul divano. Dove si ritrova da sola sotto il lenzuolo che, non più agitato dal vento, le cade addosso. Marco è già saltato giù e ora è vicino alla credenza, dipinta dello stesso verde marcio della fodera del divano, e infilatosi sotto il telo bianco grida: “Nascondiamoci, stanno arrivando le guardie.” I piatti e le tazze sembrano protestare cozzando gli uni contro le altre; poco male tanto erano quasi tutti sbocconcellati. Chiara ride mentre lo raggiunge, ma smette subito per strillare: “Che schifo! Che puzza qui dentro io esco tanto le guardie sono già andate via.” “Va bene. Guarda, il ponte levatoio è abbassato, andiamo a vedere di sopra.” I fantasmi che vengono incontro a me mi tengono ancora ferma sulla porta. Solo la paura che i bambini possano farsi male arrampicandosi su per la stretta scala mi fa muovere. “Aspettate un attimo, fatemi aprire le finestre.” Ma loro sono già di sopra, sento i passi che si impossessano del resto della casa e le grida di meraviglia. Comincio a togliere le lenzuola e il sipario di polvere che ondeggia al loro posto non copre più nulla. Ogni fruscio lascia emergere oggetti e giornate in cui l'ora di andare a letto era l'unica che mi desse sollievo, quella che non arrivava mai per poi comunque passare in un attimo. Non voglio niente che mi ci faccia pensare, niente che sia appartenuto a lei, i ricordi sono l'unica eredità che sono costretta ad accettare. Venderò la casa con tutto quello che contiene. Che sparisca tutto come per un incantesimo. Che sparisca tutto ora che lei è morta. Sento il rumore e la concitazione con cui i bambini fanno sempre le cose che li elettrizzano. Li sento aprire porte e arma di mentre le voci salgono di tono a ogni scoperta per poi abbassarsi per chissà quali segreti. Le vecchie strutture della casa ballano con loro, se saltano ancora ho paura che verrà giù tutto. Ridono, chissà cosa hanno trovato. Se non fosse impossibile, dal rumore che sento quando le risate si fermano per riprendere fiato, direi che hanno trovato delle nacchere. Li chiamo e arrivano di corsa. “Guarda mamma, guarda” e mi mettono sotto gli occhi una dentiera. La sua. Non la tocco. Mi fa schifo. Ma loro la aprono e la chiudono iniziando a farla parlare come fosse uno scherzo di carnevale. Eccitati mi pregano di lasciargliela tenere. Non so che rispondere. “Forse dovremmo almeno disinfettarla” mi sento dire. E poi mi viene da ridere. Ridono anche loro e si rincorrono a turno. Vince chi riesce a pizzicare con la dentiera il sedere dell'altro al grido di “il morsicatore folle ha colpito ancora!” E il suono delle nacchere invade tutta la casa. Ho quasi finito l'inventario, due pagine di cose da buttare e una di quelle da vendere, quando mi arrivano silenziosi davanti per chiedermi, serissimi, se secondo me è una buona idea scavare una buchetta in giardino per seppellire quei denti. Alla nonna serviranno di sicuro per mangiare meglio e per essere più carina in mezzo agli altri morti. Rimango in silenzio mentre la mia mente cerca un compro messo tra il loro pensiero che esprime amore e il mio, che pensa che lei non lo meriti. Il silenzio si protrae. “Mammaaa!” “È un'ottima idea, la nonna sarà contenta” dico e tutti e tre usciamo in giardino. Mi guardo intorno, Marco e Chiara guardano me. “Aspettate che cerco qualcosa per scavare, voi intanto scegliete il punto.” Rientro in casa e il cassetto della credenza, come ha sempre fatto quando ero io ad aprirlo, esce dalle guide, ma adesso le mie braccia sono braccia forti e riescono a evitare che si rovesci in terra con tutto il suo contenuto. Lei comunque non sarebbe qui a urlarmi contro. Lo metto sul tavolo, prendo due cuc chiai e sono quasi arrivata alla porta quando torno indietro a prendere il terzo. I bambini sono inginocchiati sotto l'acacia e si danno subito da fare, come fosse la cosa più naturale del mondo scavare una fossa per una dentiera, e con dei cucchiai. E allora scavo anch'io. “Mamma, così stai uccidendo un sacco di lombrichi” mi rimprovera Marco. “Devi fare piano, la terra è morbida e se fai piano tutti gli animali si spostano e così non li ammazzi e neppure li ferisci” mi spiega Chiara. La terra non oppone resistenza, hanno ragione. Allento la presa sul cucchiaio e smetto di affondarlo come fosse un coltello. Hanno pensato anche alla bara, una scatolina di cartone mezza muffita trovata in un cassetto, ma prima di chiudercela dentro si poggiano la dentiera su una guancia, a turno, poi Marco me la porge. Agito le mani sporche di terra, sono troppo sporche, non posso prenderla. Marco insiste, Chiara annuisce. Non capisco, li guardo incuriosita. “È per avere un ultimo bacio dalla nonna” mi dice Marco ancora con il braccio teso. È così semplice, come fai a non capire, pare dirmi il sorriso sdentato di Chiara. Mi sento strana mentre la avvicino al volto, quello è il primo bacio che ricevo da mia madre.
Un corso per sognare
Sandra spinse la porta a vetri che le oppose resistenza, spinse più forte, niente. Allora sistemò in terra l'ombrello bagnato e nel chinarsi le caddero la borsa e la cartella che nel volo si aprì sparpagliando il suo contenuto. Si chinò per raccogliere tutto, fogli e disegni li rintuzzò dentro la cartella che addossò a un angolo insieme alla borsa, dopo un attimo spostò tutto di pochi centimetri, erano troppo vicini all'ombrello, potevano rovinarsi. Con le braccia libere si appoggiò alla porta e spinse di nuovo con tutta la forza che aveva abbassando la testa. E solo allora notò il cartello TIRARE. Riprese le sue cose in braccio ed entrò. DLIN-DLON trillò una sentinella acustica e subito apparve una vecchietta che strizzò gli occhi dietro le spesse lenti e sorrise. “Entri pure cara, buongiorno. Che posso fare per lei?” “Buongiorno” rispose Sandra mettendo sul bancone di legno tutti i suoi oggetti “Scusi, si fa qui l'iscrizione?” “Certo cara. Ma deve dirmi quale dei nostri corsi le interessa.” “Veramente quello per sognare, ma... perché, ne fate altri?” “Quello per sognare eh?” disse la vecchietta lisciandosi la trina immacolata della camicetta e lanciando un'occhiata alla giovane che la guardava con gli occhi sgranati continuando a gocciolare come una cannella che perde: “È proprio sicura? Lei ha l'aria di una che sogna così tanto!” Sandra arrossì e abbassò lo sguardo confusa. “Oh, non volevo metterla in imbarazzo cara, non c'è niente di cui vergognarsi. Ma vede, lei indossa un abitino leggero quan do oggi si capiva bene che il tempo era brutto e freddo e inoltre con il suo ombrello sta bagnando il registro delle iscrizioni e... oh, no, non si preoccupi...” aggiunse vedendo la ragazza mortificata togliere di scatto l'ombrello dal bancone facendo cadere sulla moquette azzurra il portapenne con tutte le penne dentro. “Oh, benedetta ragazza” fece poi ridendo “ha capito cosa in tendo? Lei dovrebbe fare corsi per vedere la realtà, non per sognare!” “Il fatto è” disse Sandra diventando paonazza e chinandosi a raccogliere quello che aveva rovesciato per terra “che sognare mi piace molto e vorrei imparare a farlo meglio. Comunque che altri corsi fate?” “Dunque vediamo” fece la vecchietta sfogliando un librone “c'è il corso per invecchiare, mhm, no, questo direi di no. Poi c'è quello per piangere ma lei mi sembra il tipo che versa facilmente lacrime, quello per arrossire... per carità! Se fa questo dovrà tenere sempre in borsa un estintore” commentò ridendo. “Ma come fa a capire tutte queste cose di una persona?” le chiese Sandra abbassando gli occhi e arrossendo di nuovo. “Oh, alla mia età si capiscono tante di quelle cose così facilmente che spesso si pensa di essere rimbambiti. Per una vita ci si è lambiccati il cervello di fronte a problemi che improvvisa mente sembrano sciocchezzuole e lei capisce cara che questo può provocare seri timori sullo stato delle nostre facoltà menta li. Ma il corso per invecchiare mi ha chiarito molti dubbi e ri dato fiducia.” “Ha fatto il corso qui?” “Certo! Per noi dipendenti ci sono delle tariffe agevolate e così...” a questo punto la vecchietta abbassò la voce e si sporse dal bancone verso la ragazza “... li ho fatti tutti” concluse ridacchiando. “Tutti... tutti?” chiese Sandra. L'altra annuì. 26 “Anche quello per sognare?” “Anche quello per sognare e... anche quello per invaghirsi e glielo consiglio, cara.” “Per invaghirsi? Cioè per trovare un fidanzato?” “Beh, non proprio. Voglio dire che non è così automatico. Si impara a invaghirsi, oggi tanta gente non ne è più capace, sa.” “Ma scusi e se poi ci si innamora di qualcuno che non ne vuole sapere?” “Allora si torna qui e ci si iscrive al corso per non soffrire.” “E a lei come è andata?” chiese Sandra offrendole una pasticca di menta ricoperta di finissimo zucchero. “Oh, a me benissimo” fece la vecchietta strofinandosi la gonna grigia “non credevo che alla mia età ci si potesse ancora invaghire e invece...” e alzò gli occhi verso qualcosa che vedeva soltanto lei. Poi si riscosse: “Chiuda la bocca cara o le entreranno le mosche. Dunque, ha deciso quale corso vuole frequentare?” “E ha trovato un fidanzato?” insisté Sandra. La vecchietta annuì e le guance le si intonarono al rossetto. “Allora credo che farò anch'io il corso per invaghirsi, pensa che funzionerà anche con me?” “Questo non possiamo saperlo prima, le pare cara? Ma... lei non si innamora da sola?” “Oh, sì, anche troppo” rispose Sandra “il fatto è che scelgo sempre gli uomini sbagliati.” “Mhm, già, questo succede spesso. Perché allora non sceglie il corso per sbagliare di meno?” Sandra la guardò con aria interrogativa: "Si impara a non fare errori?" “Oh, buon Dio, no! Questo sarebbe chiedere troppo. Però si impara a farne di meno, è molto utile sa?” “Senta, se mi iscrivo a due corsi posso avere un po' di sconto? Sa io non guadagno molto per adesso e allora...” “Sì, certo e in più ne può scegliere un terzo che pagherà al 50%, però non glieli ho ancora elencati tutti.” “Non importa. Credo di avere già deciso. Farò il corso per sbagliare di meno, quello per invaghirsi e quello per sognare” concluse Sandra felice. “Molto bene cara, ha fatto una buona scelta. Ecco, riempia questi moduli.” “Sandra. Sandra. Sandraaa... ma che ti sei addormentata? Il capo è arrivato e vuole il resoconto di cassa di questa settimana. Sbrigati, mi è sembrato più nervoso del solito. Allora, ti decidi a darmelo?” “Ah! Sì, va bene, grazie Anna. Il resoconto hai detto?” farfugliò cominciando a rovistare tra i fogli che sommergevano la sua scrivania. “Non dirmi che non l'hai ancora fatto” disse Anna scandendo bene le parole che così sembrarono lame appena affilate. “No... io... mi sembrava di sì. Sono sicura di sì” rispose Sandra continuando a cercare sempre più agitata, poi con aria sconfitta concluse: “Non lo trovo più, non so dove sia finito.” “Adesso lo senti quello là. Glielo vai a dire tu perché io non ho nessuna intenzione di sentire le sue urla per te” e con un'altezzosa piroetta Anna si diresse ancheggiando verso il suo ufficio. Sandra aspettò che si fosse girata del tutto per fare un versaccio a quel suo sedere stizzoso fasciato nella gonna rossa. “Solo perché sei la segretaria del capo ti credi chissà chi, brutto serpente viscido. Glielo dico io, sì, glielo...” si fermò di colpo e si lanciò sulla sedia. tolse la borsa, l'ombrello e prese la cartella piena di fogli e disegni. “Eccolo qua” esclamò con un sospiro e tenendolo stretto tra le mani si diresse verso l'ufficio del capo. “Avanti” la voce baritonale di lui rispose al suo timido bussare e Sandra entrò arrossendo e depositando su un angolo del la scrivania il resoconto. Lui sollevò appena lo sguardo dai fo gli che stava leggendo per dirle: “Grazie, può andare” e Sandra si precipitò fuori ben felice di non essere stata trattenuta. L'atmosfera di quella stanza le incuteva soggezione e lui poi sempre così arcigno e scostante. “Dovrebbe iscriversi a uno dei corsi del mio sogno, magari a quello per essere più umano, gli farebbe bene” pensò tra sé tornando al suo tavolo. Quella sera appena arrivata a casa Sandra, con un panino ri pieno di melanzane comprate in rosticceria, si sdraiò sul suo di vano. Non vedeva l'ora di iniziare il libro che aveva trovato nella piccola libreria accanto all'ufficio. Il titolo era lunghissimo “Come trovare la felicità in breve tempo prima di perdere ogni speranza” e anche le pagine erano un discreto numero, ma era quel “prima di perdere ogni speranza” che l'aveva attratta forse perché lei invece sentiva che stava proprio per perderla, la speranza. Dall'ultimo boccone una goccia d'olio scivolò lungo le dita andando a posarsi appena sopra la parola sognare che apparve come magicamente dotata di aureola, così pensò Sandra un atti mo prima che gli occhi le si chiudessero. “Molto bene, cara, ecco e questi sono gli orari dei suoi corsi. Come vede se si sbriga può andare subito a quello per invaghirsi, inizia fra cinque minuti.” Sandra si toccò automaticamente i capelli, con tutto quell'umido dovevano essere diventati il solito cespuglio incolto, poi si guardò le scarpe fradice. “Non stia a darsi pensiero per quello” disse la vecchietta cogliendo ancora una volta i suoi timori “impari a non giudicare le cose solo dalla loro apparenza cominciando da lei stessa e vada... su, coraggio” insisté vedendo che la ragazza rimaneva lì imbambolata “vuol arrivare in ritardo già alla prima lezione?” Sandra raccolse le sue cose e si diresse verso la porta che le era stata indicata. L'aprì piano, dopo aver bussato, e si affacciò, l'aula era deserta. Uscì fuori ma la vecchia signora dietro al bancone le fece segno di rientrare. “Ma...” cominciò a dire lei. “Vada... vada, benedetta figliola!” insisté la vecchia signora. Sandra tornò dentro, adesso la stanza era piena di gente e rimase a bocca aperta. Erano tutti in piedi e un applauso generale si levò nell'aria. Si guardò intorno, sorridevano, a lei! “Benvenuta Sandra, prego si accomodi” le disse un signore di una certa età con una gran testa di capelli immacolati che doveva essere l'insegnante, poi visto che rimaneva ancorata alla maniglia della porta le andò vicino, le prese delicatamente una mano, chiuse la porta e la guidò verso l'unica poltroncina vuota. Soltanto allora si udì la voce greve di un uomo esultare: “Ce l'ho fatta, non posso crederci. È venuta davvero!” Si voltò verso quella voce e per lo stupore si alzò in piedi facendo rotolare a terra l'ombrello e tutto il resto. “Lei?... Lei?” balbettò. “Io, sì, proprio io” e una risata profonda accompagnò queste parole. Vedendo lo smarrimento di Sandra si affrettò ad aggiungere: “Mi scusi, non volevo offenderla, non rido di lei ma delle mie paure... è stato così facile!” “Ma io... non capisco...” fece Sandra. Allora l'attempato signore di prima le sorrise invitandola a sedersi di nuovo. “Vede cara ragazza, lei è la prova vivente che i nostri corsi funzionano. La stavamo aspettando io ero certo del suo arrivo, gli altri solo speranzosi e per questo la sua apparizione ha suscitato tanto entusiasmo.” “Ma... ma...” era tutto quello che Sandra riusciva a dire. “Lo so che non riesce a capire, prenda appunti perché questo fa parte della lezione, per prima cosa non si può sempre capire tutto e poi occorre essere disposti a sognare e a non stupirsi delle piccole magie. Lei si trova qui perché quest'uomo l'ha chiamata, l'ha voluta fortemente dopo aver frequentato il nostro corso e aver capito che si era invaghito di lei. Del resto la prova finale consiste proprio in questo ed è forse la parte più impegnativa. Tutti in fondo possiamo invaghirci di qualcuno studiando un po' ma il difficile consiste nel fare in modo che l'altro senta il nostro sentimento e venga da noi felice di condividerlo.” Sandra si voltò nuovamente verso colui che l'aveva desiderata così tanto da riuscire a farla arrivare fin lì e il sorriso che trovò le dette un tuffo al cuore. “Ma se non mi vede neanche quando entro nella sua stanza, ho sempre pensato che non sapesse neppure il mio nome” sussurrò quasi a se stessa. “E poi non sorride mai” disse a voce più alta rivolta al signore di una certa età. “Ho fatto apposta il corso” passando al tu la voce profonda riprese a parlare “e tu stessa hai pensato che avrei dovuto farne uno per imparare a essere più umano.” Sandra arrossì: “No... io è che ero nervosa e...” Lui rise ancora. Il suono della sveglia le fece spalancare gli occhi di colpo, si alzò indolenzita, del resto non era la prima volta che le succedeva di passare la notte sul divano. Almeno lì c'era posto solo per una persona e non le poteva succedere, come a letto, di allungare un piede e toccare il freddo dall'altra parte. Fece una doccia e si preparò la colazione quindi scappò al lavoro, com'era tardi. Arrivò trafelata e bagnata perché nella fretta si era scordata l'ombrello. Sul suo tavolo trovò un biglietto “Il capo ti vuole, vai subito. Avrai sbagliato il resoconto di cassa, ci giurerei.” Lo appallottolò e si sentì morire, non per il rendiconto di cassa che poteva benissimo avere sbagliato, ma con che faccia si sarebbe presentata davanti a lui? Si sentiva imbarazzatissima. Per fortuna passò quasi subito e rise di se stessa dandosi del la sciocca. Di che aveva paura, dopotutto era solo un sogno di cui lui non sapeva assolutamente nulla. I sogni grazie al cielo sono strettamente personali. Sospirando, pronta a prendersi una risciacquata per il ritardo e per il lavoro sbagliato, Sandra bussò e con un profondo respiro entrò in quella stanza così austera da stringerle lo stomaco, con lo sguardo in terra aspettando l'urlo. “Allora” disse il capo con la sua bella voce intensa “andiamo a cena stasera?”
Per amore
Dal giorno dell'incidente Giovanni era diventato, se possibile, ancora più taciturno. Per una vita aveva guidato TIR e adesso gli unici comandi che poteva azionare erano quelli della carrozzella su cui era inchiodato. Lucia ogni mattina lo lasciava a letto mentre lei andava al lavoro. L'incidente si era preso le gambe di suo marito e tutti i loro risparmi. Prima lei dava una mano al bilancio familiare facendo le pulizie nei palazzi della strada dove vivevano. Ma questo adesso non sarebbe stato più sufficiente, così aveva accettato l'offerta del cognato, un posto di commessa nella sua armeria. Avanti di andare al lavoro faceva la spesa e preparava il pranzo e mentre il cibo si cuoceva stirava o sbrigava altre faccende. Era una dura lotta convincere Giovanni ad alzarsi. “E per fare cosa?” diceva lui girando il viso verso il muro e chiudendosi in un gelido mutismo. I primi tempi Lucia gli si sedeva accanto cercando di convincerlo e perciò arrivava tardi al lavoro. Il cognato dopo un po' si era seccato e le aveva fatto capire che già ci aveva rimesso a prendere lei, che di pistole non capiva un accidente, e lo aveva fatto solo per spirito di famiglia, non poteva permettersi una che arrivava sempre tardi. Così Lucia fu costretta a rimandare i suoi tentativi di rianimare Giovanni alla pausa di mezzogiorno. Pedalava come una forsennata sulla vecchia bici per raggiungere casa dall'altra par te della città. Aveva lasciato la tavola apparecchiata fin dalla 61 mattina e mentre il pranzo si scaldava lei apriva le finestre per cambiare l'aria, puliva il bagno e cercava di convincere Giovanni ad alzarsi almeno per mangiare. Lui non ne voleva sapere e così finiva che Lucia mangiava seduta sul letto accanto a lui con la scodella sulle ginocchia, imboccandolo come un bambino, un cucchiaio a lui e uno per sé. Poi doveva di nuovo salire sulla bici e pedalare a più non posso per arrivare al negozio in orario. La sera tentava di nuovo di convincere il marito ad alzarsi. “E per che cosa?” rispondeva invariabilmente lui. E alla fine la cena si svolgeva come il pranzo solo meno di corsa. Poi lei puliva la cucina e si sedeva in camera davanti alla TV rammendando o sferruzzando. Cercava sempre programmi allegri, canzoni, scenette, quasi mai film perché aveva paura che fossero tristi e abbattessero ancora di più il morale di Giovanni e mai i telegiornali, sempre pieni di disgrazie. Riusciva a rifare il letto solo la domenica, dopo aver aiutato Giovanni ad alzarsi e a passare dal letto alla carrozzella e quindi alla vasca da bagno. E mentre lui stava immerso lei veloce cambiava le lenzuola. Quindi lo lavava, lo asciugava e cercava di convincerlo, almeno per santificare la festa, a sedersi a tavola. “E per che cosa?” diceva lui e azionando i comandi si dirigeva verso il letto. I primi tempi ricevevano visite di parenti o di colleghi ma presto più nessuno seppe resistere a quell'abisso di depressione. Si andava via così tristi da quella casa che faceva male al cuore. “Quando hai bisogno chiama pure Lucia, in qualunque mo mento mi raccomando” le dicevano, dimostrando buon cuore ma non andando più a trovarli. Un giorno Lucia rientrò prima del solito, aveva la febbre alta e violenti dolori addominali e il cognato l'aveva mandata a casa. Meccanicamente ritirò la posta, salutò il marito con un bacio sulla fronte come al solito e dovette correre in bagno senza neanche cambiarsi. Quando tornò in camera era pallida e su 62 data e si sdraiò sul letto. “Solo un attimo” disse a Giovanni per non farlo preoccupare “tanto è tutto pronto, devo solo scaldare lo stufato.” Nonostante avesse ancora il cappotto tremava dal freddo e con fatica si infilò sotto le coperte che sollevandosi fe cero rotolare la posta addosso a Giovanni. Quando Lucia si svegliò la stanza era immersa nel buio, si sentiva tutta stordita ma almeno non tremava più e la febbre era scesa. Dalla porta accostata filtrava una luce, che strano pensò, devo aver lasciato acceso. Si alzò piano per non svegliare Giovanni e stringendosi il cappotto addosso andò in cucina. Lui era seduto nella sua carrozzella immerso nella lettura di un giornale. Le chiese preoccupato come si sentiva e se voleva qualcosa da mangiare. Si scusò per non averla aspettata ma aveva una gran fame e aveva cenato. Lucia rimase senza parole. Si commosse al pensiero che per la preoccupazione Giovanni fosse tornato a vivere. Non volle infastidirlo chiedendogli cosa fosse successo, rimase seduta al tavolo a guardarlo leggere e quando lui le disse di tornare a letto, che era ancora pallida, e di non pensare a lui che era in grado di fare da solo, grata fino alle lacrime, ubbidì. Il mattino seguente Lucia si svegliò senza più febbre, sentendosi ancora un po' debole ma comunque bene. Con stupore vide che Giovanni non era più a letto. Lo trovò in cucina che faceva colazione leggendo il giornale. Si era fatto anche la barba. Le sorrise vedendola e le disse che si vedeva che stava meglio. Lucia non credette ai propri occhi. Gli chiese cosa stesse leggendo con tanto interesse. Giovanni le mostrò il giornale, lo aveva portato lei insieme alla posta. Evidentemente era una pubblicazione recente inviata in omaggio per farsi pubblicità. “È bellissimo” disse Giovanni “non hai idea delle cose incredibili che succedono! Vuoi che ti legga qualcosa?” Lucia fece di sì con il capo troppo felice per rispondere. Giovanni cominciò con entusiasmo a leggere di quel nipote che insieme a un paio di amici aveva organizzato una rapina ai 63 danni dei nonni e poi, eccitato alla vista del loro spavento, li aveva massacrati di botte. Poi della ragazzina undicenne violentata dal fratello, di due anni più grande, e da cinque amici di lui che avevano dovuto pagare ognuno 50.000 lire con le quali il fratello voleva comprarsi un nuovo Nintendo. Giovanni ave va continuato quindi con la storia di un uomo ucciso a coltella te dall'amante della moglie su ordine della donna e: “Pensa” le aveva detto “in realtà le ferite non erano mortali, ma poi i due lo hanno caricato in auto e scaraventato di sotto da un ponte ed è morto affogato.” Lucia aveva gli occhi dilatati dall'orrore per ciò che sentiva e per l'evidenza che erano stati ferocia, sangue e morte e non la preoccupazione per il suo malessere a ridare vita al marito. Sentì lo stomaco contrarsi e dovette di nuovo correre in bagno. Quando tornò di là, Giovanni aveva acceso la TV e guardava il telegiornale e quando quello finì cambiò canale per vederne un altro. Andò avanti per ore cercando i TG su tutte le reti. Lucia pensò che per fortuna era domenica e non doveva andare al lavoro perché non avrebbe saputo come fare. Si sdraiò sul letto a occhi chiusi. Dopo un po' Giovanni la raggiunse e prendendole una mano le chiese se stava ancora male. Poi cominciò ad accarezzarla come da mesi e mesi non face va più. Dopo, si addormentarono abbracciati e quando Lucia riaprì gli occhi Giovanni non era più a letto e lei ripiombò nell'orrore e nella disperazione. La mattina seguente Giovanni si alzò di buon ora come lei e le chiese se prima di andare al lavoro poteva portargli i giornali, tutti, quanti più poteva e i settimanali che si occupavano di cronaca nera. Quando Lucia tornò a casa sul mezzo del giorno, trovò Giovanni sbarbato, vestito e sorridente che aveva già scaldato il pranzo e la aspettava. Aveva da raccontarle le storie incredibili che succedevano al mondo. Dopo mangiato insisté perché lei si stendesse un po' sul divano a riposarsi mentre lui le massaggia va i piedi così stanchi, poverini, di tenerla su tutto il giorno. 64 Avrebbe rimesso a posto lui più tardi e anzi, se non era troppo stanca, dopo cena potevano andare al cinema. Che diamine, erano ancora giovani e dovevano pur pensare a divertirsi. Con il passare dei giorni Lucia provò sempre meno orrore e sempre più felicità per quel marito ritrovato, per quell'uomo così sereno e affettuoso. La sua vita era cambiata ed era addirittura meglio di prima dell'incidente. Presto Lucia non si interrogò più e liquidò i dubbi che l'ave vano tormentata con la riflessione che l'importante era che Giovanni avesse ritrovato la voglia di vivere, e se erano i delitti che gliel'avevano restituita che male c'era? Mica li commetteva lui! Giovanni non faceva del male a nessuno. Furono mesi felici. Poi un giorno tutti i giornalisti decisero di scioperare a oltranza finché non fossero riusciti a ottenere quello che chiedevano. Già alla fine del primo giorno Giovanni andò a letto presto e si addormentò subito senza farle neanche una carezza. La mattina seguente si alzò ma dopo aver inutilmente cambiato canale, trovando solo cartoni animati o spezzo ni di vecchi varietà al posto dei TG, tornò a letto. La loro vita ripiombò nell'inferno della depressione. Giovanni aveva smesso di parlare, se ne stava a letto con lo sguardo spento rivolto al soffitto e Lucia ricominciò a correre in bicicletta da una parte all'altra della città. Dopo una settimana ebbe un crollo psicologico arrivando a pensare che fosse meglio farla finita. La salvò il pensiero che si trattava solo di stringere i denti e aspettare la fine dello sciopero. Ma doveva escogitare qualcosa perché così non era più possibile, non ce la faceva più, non dopo aver provato la felicità. Così quella notte non andò a dormire, tirò giù dall'armadio la vecchia macchina da scrivere che si era comprata molti anni prima, quando si era iscritta a un corso di dattilografia, e cominciò a pigiare sui tasti. La mattina seguente, insieme alla colazione, portò a Giovanni la cronaca di una serie infinita di delitti che la sua mente aveva partorito su fogli di carta extra-strong un po' ingialliti. Non era proprio un giornale ma sperava funzionasse lo stesso. La sua fantasia non riuscì a superare la realtà dei fatti di cronaca riportati sulle pagine dei giornali, ma per una a cui la sola vista di due gocce di sangue aveva sempre provocato sudarella e tremore, era un risultato più che accettabile. Giovanni poi fu addirittura entusiasta perché Lucia, che non era mai stata dotata di troppa immaginazione, per aiutarsi ave va usato come protagonisti e vittime degli atroci delitti persone a loro note come parenti, colleghi o vicini di casa. Quando rientrò per la pausa pranzo, Giovanni fu molto affettuoso e le fece i complimenti. Aveva trovato irresistibile soprattutto "il giallo dell'uva passa" come lo aveva ribattezzato lui. La vittima era la signorina Giuliana, la portinaia del loro stabile, di età indefinita e con un viso talmente rugoso da sembrare un chicco d'uvetta passa, come Giovanni aveva sempre detto. Il cadavere era stato rinvenuto privo degli arti inferiori, orrendamente tagliati a colpi di cric e coltello e posti poco distanti dal corpo, legati con un nastro rosso da cui spuntava un biglietto, scritto con lettere ritagliate dalla carta stampata, che diceva: “Tanto a te che ti servivano che stavi sempre seduta in portineria?” Il racconto proseguiva con la descrizione dell'immagine di terrore rimasta come un calco sul viso della donna. La bocca aperta e gli occhi sbarrati erano riusciti a spianarle le rughe e non aveva più niente dell'uva passa. Poiché non c'erano segni di scasso la vittima doveva conoscere il suo assassino a cui, ignara, aveva aperto la porta di casa. Per il resto la polizia brancolava nel buio. Giovanni era così eccitato mentre ne parlava che Lucia si commosse quasi fino alle lacrime. Erano ancora a tavola quando suonarono alla porta e Giovanni fece cenno alla moglie di non alzarsi, sarebbe andato lui. 66 Tornò in soggiorno insieme a due signori che le presentò come ispettori di polizia. Furono fatti accomodare e Giovanni chiese loro se gradivano una tazza di caffè appena preparato. Gentilmente rifiutarono. Erano lì per indagare su un feroce delitto, avevano già interrogato tutti gli altri inquilini. La vittima, cui l'assassino aveva crudelmente mutilato il corpo si chiamava Tranci Giuliana, abitava nel loro stabile dove svolgeva la funzione di portinaia. Si ricordavano loro quando l'avevano vista l'ultima volta?
Lisabetta Mugnai
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