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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
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Writer Officina
Autore: Antonella Grimaldi
Titolo: La notte degli sbandati
Genere Noir
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La notte degli sbandati
La mano di Katia, che lo salutava, si era ormai trasformata in un puntino pressappoco invisibile. Eppure, Conte la vedeva ancora muoversi nel buio della sera, mentre assaporava il calore pastoso lasciato dal treno, e ascoltava il rumore che si affievoliva lungo il binario solitario. Alcuni passeggeri gli passarono vicino trascinando i loro trolley, e raggiunsero rapidamente il sottopassaggio che li inghiottì senza pietà.
Gente che andava e veniva, un incessante andirivieni nell'immensa stazione chiamata mondo, questa è la vita. E certo, anche per lui sarebbe arrivato il momento di partire, ma sarebbe salito sul treno a fronte alta e, una volta trovato uno scompartimento poco affollato, si sarebbe presentato ai suoi compagni di viaggio e, con fierezza unita a una certa mestizia, avrebbe detto: “eccomi, sono Antonio Conte e, in vita mia, l'amore è sempre venuto prima di tutto”. A parer suo, non esisteva maniera migliore di iniziare un viaggio, se non quella di mettere le cose in chiaro da subito. Senza dubbio, avrebbe fatto così.
Si avviò verso il grande arco, al di là del quale c'era il suo Maggiolino, che gli fece venire in mente un pasticcino alle noci, uno di quelli che non pagheresti un soldo bucato e, dopo averlo assaggiato, ne mangeresti almeno altri dieci nonostante l'insorgente infiammazione gengivale ti consigli di cominciare a ignorarli. Il Maggiolino, in realtà, faceva soltanto soffrire il suo portafoglio, poiché si era fatto sempre più ingordo di benzina e, vanitoso e un po' acciaccato com'era, assai bisognoso di cure. Ma tant'è, con il passare degli anni erano divenuti inseparabili e, mai proprio mai, lo avrebbe ceduto a un qualsiasi sfasciacarrozze, né a un qualche collezionista, che lo avrebbe magari considerato una sua mera proprietà. La sua macchina era di ben altro valore. Assolutamente.
Un bel paio di piedini, cinti in scarpe ballerine rosse, sostavano nei pressi della sua Mary Poppins, aspettandosi, forse, che qualcuno aprisse la portiera per invitare la loro proprietaria a salire dentro. Conte ci fece subito un pensierino, perché il poeta che c'era in lui vide che le caviglie erano snelle, le gambe ben fatte, e proseguendo in su, che la vita e il seno appartenevano nientemeno che a una silfide. La ragazza, in verità una bambina, se ne stava lì un po' imbronciata, con quei suoi capelli biondo oro, che incorniciavano un viso impertinente e punteggiato di minuscole lentiggini. Un amore. Il poeta che c'era in lui si affrettò pure a ricordargli che nel suo grande cuore c'era tanto di quel posto libero, da poterla comodamente ospitare. Dopotutto, Katia se n'era andata per svolgere il suo primo visiting presso l'Università di Salamanca, e Dio solo poteva immaginare la sua sofferenza di fronte alla prospettiva di restare solo per così tanto tempo.
La sconosciuta gli andò incontro con passo spedito. Aveva l'aria spaesata e stanca, che di solito si ha dopo un lungo viaggio, ma gli rivolse parola con fare deciso.
- Mi scusi, posso chiederle un'informazione? - .
- Certo, mi dica - .
- Ho bisogno di andare in centro, ci sarà un autobus a quest'ora? - .
- Non lo so, mi spiace. Posso accompagnarla io, se vuole. Sto proprio per andare lì - .
Non era vero neanche un po', Esposito lo aveva invitato a cena a casa sua, vale a dire nel quartiere La rosa ai piedi di Monte Castello. Ma un'anima buona come lui, poteva forse abbandonare a sé stessa una povera ragazza, a quell'ora e in un posto tanto isolato? Non poteva e, quando lei gli rivolse uno sguardo pieno di sospetto, cacciò fuori il suo tesserino di riconoscimento e le disse di star tranquilla, che lui era un poliziotto.
- Grazie... - .
La ragazza rimase interdetta, perché non avrebbe mai immaginato che quell'uomo aitante, con l'aria simpatica e un po' intrigante, fosse un poliziotto.
- Dove deve andare? - .
- In via dei Mandorli, al numero 32. Ha presente? - .
- E come no? Venga! - .
Da bravo cavaliere, la fece accomodare, caricò le borse sul sedile posteriore della macchina, e si mise alla guida.
Era una sera di ottobre, non tirava un filo di vento, l'aria era tiepida, carezzevole, e Conte non se la sentiva davvero di stare da solo. Peggio ancora in compagnia della famiglia di Peppino, la sola capace di insinuare nella sua mente il desiderio di avere dei figli, di sposarsi con Katia e altre evenienze dello stesso tipo, tutte quante irrealizzabili. Si lasciò cullare dal suo Maggiolino, che si arrampicava per i tornanti, e disse a sé stesso che la vita andava accettata per quello che era, magari cogliendo al volo ciò che di bello di tanto in tanto offriva. E quella ragazza, gli suggerì il poeta che aveva dentro di sé, era davvero un bel fiorellino. Chissà! Quando il poeta gli si scatenava nell'animo, improvvisando versi e giocando con le parole, in genere, avvenivano cose molto piacevoli.
Via dei Mandorli, larga da non sembrare neppure antica, si snodava tra due file di palazzi signorili, quasi tutti color ocra e terra di Siena. Massicce inferriate proteggevano le finestre, radi, grossi lampioni di ghisa illuminavano il selciato. Conte rallentò per dare modo alle sospensioni del Maggiolino di sopportare gli urti dell'acciottolato irregolare e si fermò. Scese per aiutare la ragazza e l'accompagnò davanti al portone. Lei suonò il campanello, poggiò l'orecchio sul citofono con aria attenta e, presto, lasciò trapelare la sua apprensione scuotendo la testa. Ancora più smarrita di prima, gli disse:
- Non capisco. Mio padre dovrebbe esserci - .
- Forse è uscito per qualche commissione - .
- Ma no! Guardi, aveva detto che sarebbe venuto a prendermi, ma non si è fatto vedere, non ha neppure risposto al telefono. Comincio davvero a preoccuparmi - .
- Non ha una chiave per entrare? - .
- No, qui a Monte Castello, venivamo solo molto raramente - .
- Facciamo così, venga a cena con me, dopodiché torneremo qui per vedere se è rientrato - .
- Mi scusi, ma non mi va di mangiare - .
Conte aprì di nuovo la portiera, facendole cenno di sedersi.
- Allora, mi faccia compagnia. Come si chiama? - .
- Isabella, Isabella Bernardeschi - .
Percorsero a ritroso la via. Il commissario vedendola guardarsi intorno, più confusa e disorientata che mai, si intenerì. Ingranando la marcia, le sfiorò il ginocchio, le chiese scusa, ma provò soddisfazione per il primo passo fatto.
Una musichetta piuttosto fastidiosa disturbò il suo attimo di felicità. Isabella estrasse dalla borsetta il cellulare per leggere il messaggino, tirò un sospiro di sollievo.
- È mio padre. Torna domattina. È dovuto andare a Firenze per incontrare l'editore, al quale ha proposto il suo ultimo libro - .
- Che libro? - .
- Si tratta di una raccolta dei suoi articoli sulla banda della Magliana. Sa, lui è un giornalista di cronaca nera... - .
- Capisco. Beh? Allora possiamo andare a cena, non le pare mia cara Isabella? - .
- Sì, perché no? Dove potremmo andare? - .
Conte fece due conti tra sé e sé ed escluse la trattoria di Vanni per via di Guendalina, quella di Casa Nacci e del Caminetto chiuse per riposo settimanale, quella di Maria Rosa, dove si mangiava davvero male.
- Direi all'Osteria del Sole, oppure a casa mia - .
- A casa tua, andiamo a casa tua - .
Nell'istante senza fine, in cui esplorarono la loro anima, si raccontarono la notte che stava approssimandosi. Conte si perse nell'azzurro degli occhi di lei e gli parve di poterci scoprire sé stesso. Si scambiarono un bacio piccolo piccolo per non rinunciare alla lentezza che, sola, poteva soddisfare il loro bisogno di dolcezza.
***

Il frigorifero era praticamente vuoto, c'era solo un pezzo di fontina, qualche oliva verde e una bottiglia di vernaccia. Per fortuna, c'era anche un po' di latte. Conte considerò che Katia, prima di partire, non aveva pensato a lui manco per niente. Meglio così, la sua coscienza l'avrebbe lasciato dormire un pochino più tranquillo. Tagliò la fontina a dadini, la mise in padella con latte, sale e pepe nero e, mentre le farfalline cuocevano, la fece squagliare. Non appena la pasta fu cotta al dente, la fece saltare in padella e la mise a tavola. Dall'espressione ilare di Isabella constatò che il piatto era venuto bene; certo, se ci fossero stati dei funghi porcini, o anche solo del prosciutto cotto, sarebbe stato meglio, tuttavia, era riuscito a non fare brutta figura. E questa era la cosa più importante.
Isabella mangiò con gusto e, con grande soddisfazione del commissario, si scolò d'un fiato un bel bicchiere di vino fresco. Povera creatura! Era stanca e affamata, perché i treni locali sui quali aveva viaggiato da Firenze a Monte Castello, tra attese e fermate nelle varie stazioncine, l'avevano stremata. E Conte, all'idea di aver in parte rappresentato la soluzione dei problemi di quella bella figliola, gongolava, sguazzava nell'amore di sé e pregustava la notte d'amore che stava guadagnandosi sul campo dei cosiddetti fatti concreti.
- Dimmi qualcosa di te - , gli chiese lei.
- Sono un commissario di polizia - .
- Ah! Ho capito! Quindi, tu difendi i buoni, arresti i cattivi e tuteli l'ordine. Non è così? - .
- Più o meno - .
Sorrise vedendola ridere, constatando che il vinello aveva fatto il suo effetto, e le prese le mani. In quell'attimo, proprio in quell'attimo, vide davanti a sé solo una figlia in cerca del padre, smise di ascoltare il suo poeta, accantonò la voglia sottile e cattiva di vendicarsi con Katia e propose a Isabella di restare a dormire a casa sua. Insomma, voltò pagina e le indicò che su quella nuova c'era scritto che lui si sarebbe comportato come un vero gentiluomo.

***

Si svegliò all'alba, Isabella dormiva ancora. Bernardino, che si era astutamente inserito tra di loro, faceva le fusa.
Il pensiero di essere rimasto per tutta la notte vicino a quella ragazza, in qualche modo, lo sconcertò e gli impedì di riprendere sonno. Così, uscì di casa per passeggiare, riflettere sul suo rapporto con Katia, sulla forza irresistibile che lo spingeva tra le braccia di altre donne ogni volta che si sentiva trascurato, messo in secondo piano. Nello stesso momento, si mise in ascolto della sua voce più profonda e vera per riconoscere che era giusto che Katia avesse delle passioni, per comprendere la sua esigenza di rendere sopportabile una relazione sentimentale per vari aspetti deludente. Assecondò la linea circolare di piazza San Basilio e, poi, si sedette sul muretto che cingeva l'olivo proprio al centro. I frutti dell'albero, color verde brillante, a quell'ora, apparivano leggermente illuminati. Il sole era spuntato al di là delle montagne e tagliava a spicchi il buio con i suoi raggi ampi e pieni, che non vedevano l'ora di andare a posarsi sulla valle sottostante.

***

Quando rientrò, Isabella se n'era già andata. Si spogliò e si fece una doccia con l'acqua tiepida. Cercò di godersela fino in fondo, ma non si sa come gli venne nostalgia del bagno fatto nel lago di Casoli. Intorno, tutto splendeva. La Maiella spiccava nel cielo azzurro e gli infondeva il timore che, in un istante, potesse sprofondare nell'acqua segnando la sua fine. Era l'estate del '91, lui era già un pioniere scout ed era stato promosso in seconda liceo con la media dell'otto. Poche ore prima, aveva fatto una lunga chiacchierata con una giovane guida che gli aveva citato a memoria l'inno alla carità di San Paolo.
Ricordava con precisione solo alcune parole, “tutto crede, tutto spera”, ma il concetto secondo cui la bravura senza l'amore equivaleva all'algido tintinnio di un bronzo gli era rimasto bene in mente. Stando così le cose, essere un bravo poliziotto, non poteva di certo bastargli.

























Due

Conte si avviò verso il commissariato beandosi del tiepido nitore autunnale, che si diffondeva per la città. In certi punti, però - i larghi archi, le scale che portavano ai seminterrati - l 'oscurità della notte indugiava a sparire Sentiva una strana inquietudine che gli si agitava “in petto”, come diceva sempre la sua mammuccia. Voleva notizie del padre di Isabella. Tutto sommato, via dei Mandorli, la prima traversa di via delle Car-raie, era sulla sua strada e, per raggiungere casa Bernardeschi, gli sarebbe bastato camminare solo qualche minuto in più. Ma il pudore ebbe il sopravvento su ogni altro fattore e tirò dritto verso il lavoro, che gli si presentò materializzato in un signore di mezz'età, sporco, malconcio e puzzolente di vino.
L'ispettore Francesco Niccolai gli andò incontro con l'aria di chi si scusa di qualcosa, - il signor Franco Senesi - , gli sussurrò avvicinandogli le labbra all'orecchio.
- Piacere - , disse porgendogli la mano e mentre l'odore del vino si faceva insostenibile.
L'uomo non rispose al saluto e nemmeno gli dette la mano, lo guardò anzi con aria spaurita.
- Mi dica - , continuò il commissario, appena un po' spa-zientito.
- Dunque, guardi, è una cosa importante. Mi scusi, ma è una cosa importante. Sono venuto, perché ho sentito una cosa... una cosa... troppo importante ecco - .
- E allora me la dica questa cosa importante - .
- Una paura... una paura... - .
- Di che cosa? - .
- Non me l'aspettavo, per questo mi son preso paura. Manca poco mi prende un colpo - .
- Perché? - .
- Pe' forza! All'improvviso a quella maniera! - .
- Che è successo? - .
- Gliel'ho detto, una cosa importante - .
- Sì, ma non mi ha detto di cosa si tratta - .
L'uomo lo fissò come chiedendogli aiuto. Forse, aveva addirittura dimenticato il motivo per cui si era presentato in commissariato. Conte fissò a sua volta Niccolai come per dire “fai qualcosa, di' qualcosa”, poi si appartò quel tanto che bastava per non essere sentito dall'uomo e, sottovoce, gli chiese:
- France' chi è? Fammi capire se ce la farò a cavare un ragno dal buco, oppure no - .
- Commissario, non ci faccia caso, è un povero sbandato. Ogni volta che vado a prendere Claudia al lavoro, mi chiede l'elemosina per andare a bersela al Bar Menichini - .
- Mhmm, va bene, va bene - .
Ritornò al suo posto, intrecciò le mani e si appoggiò alla spalliera per rilassarsi. Quindi, riprese a far domande con il maggior garbo possibile.
- Dunque, signor Senesi, mi dica se qualcuno l'ha picchiata o minacciata - .
- No, non m'hanno picchiato e nemmeno minacciato - .
- E allora, che cosa ha sentito? Un urlo? Uno sparo? - .
- Proprio così! Uno sparo! All'improvviso! - .
- Dove? - .
- Al cimitero di Villamagna - .
- Quando è successo? - .
- Stanotte, stamattina via - .
- Si ricorda a che ora? - .
- L'ora non la ricordo, però era tardi, insomma era presto - .
- E come mai si trovava in quel posto in piena notte? - .
- Volevo andare dal mio amico Raffaele, che sta lì vicino, e ho sbagliato strada - .
- Mhmm. Ora è tutto chiaro. La ringrazio della segnalazione, disporrò immediatamente l'effettuazione di un controllo - .
Ciò detto, Franco Senesi se ne andò lasciandosi dietro un pesante alone alcolico, che lo indusse a spalancare la finestra. Il tempo era cambiato, il cielo s'era rannuvolato e la temperatura aveva perduto la mitezza di prima. Conte poggiò le mani sul davanzale e guardò la piazzetta semideserta, dove sostava soltanto un capannello di uomini anziani che osservavano in silenzio l'incerto zigzagare dell'ubriacone.
- Che ne pensi France'? - .
- Penso che, poveretto, è avvinazzato come una damigiana chiusa in cantina. Da quando il suo amico Raffaele Guidi se n'è andato, beve. Per dimenticare, commissario - .
- Vuoi dire che il suo amico è morto vero? - .
- Sì commissario, in un incidente stradale. Franco Senesi era alla guida, ma non è stata colpa sua eh! Un camion è andato loro addosso, l'impatto è stato tremendo - .
- Capisco - .
- Se vuole, commissario, al cimitero, posso farci una scappata io. Così, giusto per scrupolo - .
- Mi sembra una buona idea. Vedi un po' se ti riesce di parlare con qualcuno dei residenti della zona - .
- Ma guardi, che nelle vicinanze non ci sono molte abitazioni. Come abbia fatto il nostro amico a trovarsi lì è proprio un mistero - .
- Vedi tu quel che puoi fare - .
Le foglie ingiallite dell'acero svolazzarono sul selciato, una grossa nuvola plumbea copriva il sole, che spandeva nell'aria una luce gelida e biancastra. Il vento soffiava forte, Conte chiuse la finestra e si rimise alla scrivania con l'intenzione di esaminare alcuni documenti, ormai trascurati da qualche giorno. Sentiva però un'ansia strana, che gli saliva dentro e inibiva la sua volontà di svolgere un lavoro come quello, che richiedeva, semmai, calma e serenità. Fece un lungo respiro, contò fino a cinque ed espirò. Ripeté l'operazione varie volte, ma, niente da fare, non gli riuscì di acquietarsi. Sicuramente, era rimasto suggestionato dall'ambientazione del fatto narrato dal Senesi. Del resto, lo sanno tutti che, di notte, i cimiteri fanno effetto, anche solo a sentirne parlare.
Il racconto della sua mammuccia sulla sventura di Giacinto tornò presente e con esso la sensazione di terrore che aveva provato nell'ascoltarlo. Allora era soltanto un tredicenne, adesso era un uomo che, pur avendone vedute di tutti i colori, continuava ancora un po' a identificarsi con quel ragazzino. Che, quando aveva udito la storia di una innocente sfida tra amici d'osteria assumere la sfumatura cupa della morte, l'aveva trattenuta scolpita nella sua memoria. Uno di loro aveva scommesso che nessuno avrebbe avuto il coraggio di piantare nottetempo un chiodo nel cipresso accanto alla cappella dei Giacalone, Giacinto era scattato in piedi, e aveva esclamato “ce l'ho io il coraggio!”. Era una fredda sera d'inverno, il vento sperdeva per aria la neve, il ragazzo era entrato nel cimitero, si era avvicinato al cipresso e aveva puntato il chiodo sul tronco, lo aveva più volte colpito con il martello, poi, al momento di andarsene, si era avveduto che il suo mantello era rimasto conficcato nel legno. Inorridito, era morto di paura.
Gli occhi sgranati della mammuccia, che narrava la storia, avevano sancito la veridicità del fatto, che lui aveva tenuto rincantucciato in un angolo della sua memoria, destinato prima o poi a rinnovarsi, come tutte le parole, le idee, i sentimenti che avevano, in un modo o nell'altro, a che fare con lei. E, anche adesso, il ricordo era affiorato chiaro e senza esitazione.
Dopo un momento di raccoglimento, decise di fare un giretto per il commissariato, tanto per far vedere che c'era e controllare che tutto fosse in ordine. Stava per alzarsi, quando qualcuno bussò. Stavolta era il suo vice, Giuseppe Esposito, che senza fargli parola della vana attesa della sera precedente, esordì:
- Toni', è successo un fatto strano - .
- Un altro? - .
- Sì, perché? - .
- Lasciamo perdere. Di che si tratta? - .
- Stanotte, nel cimitero... - .
- Nel cimitero di Villamagna, uno sparo, nelle prime ore del giorno. È così? - .
- Eh! È così. Ma chi te l'ha detto? - .
- Aspetta, e a te chi l'ha detto? - .
- Mirella Sartori - .
- Mirella Sartori? E chi è? - .
- Una persona assai problematica, qualche anno fa il suo bambino è sparito nel nulla e lei da allora non è più la stessa, non è più tanto in sé - .
- Mhmm, la cosa comincia a farsi seria - .
- In che senso? Figurati che io, trattandosi di una povera sbandata, non ho neanche dato peso alla storia - .
- Anche un altro testimone, un alcolizzato, ha parlato di uno sparo nello stesso posto. Ho mandato Niccolai a dare una sbir-ciata, ma forse sarebbe opportuno procedere a un sopralluogo vero e proprio - .
- Eh, e c'hai ragione c'hai - .
- Andiamo dai! - .
Un colpo netto e preciso alla porta, cioè la viceispettrice Ambra Marchetti, lo fermò. - E questa è la seconda! - , considerò.
- Avanti Marchetti! - .
- Come faceva a saperlo, che ero io? - .
- Sai com'è, la sfera di cristallo... - .
- Commissario, lei mi prende in giro, ma io dicevo seria-mente - .
- Non lo so, fai un po' tu. Chi bussa con un solo colpo secco? - .
Stava per aggiungere “come la morte”, ma ebbe la buona creanza di lasciare la frase a metà.
- Ah! Senta, c'è qua fuori una ragazza che chiede di parlare con lei urgentemente. Dice che il padre è scomparso - .
Conte ebbe una specie di sussulto. Era la classica reazione che si manifestava ogniqualvolta doveva prender atto di aver avuto il giusto presentimento, di aver intuito che qualcosa non andava come doveva andare, o andava troppo bene. La Marchetti, per esempio, quella mattina gli appariva diversa, più leggera, quasi radiosa. La guardò cercando di cogliere il motivo di quella grazia inaspettata e, immediatamente, realizzò che la viceispettrice era innamorata. Meno male, si sarebbe raddolcita un pochino, quel tanto che bastava per non bisticciarci continuamente.
- Va bene, falla entrare. E tu, Peppino, aspettami fuori. Ti raggiungo appena finito - .
Isabella era in lacrime, era chiaro che aveva paura e si sentiva in colpa per non essere stata vicina a suo padre mentre, forse, stava affrontando una terribile esperienza. Conte comprese lo stato d'animo della ragazza e le regalò una carezza.
- Ricorda che non potevi sapere. Ora raccontami tutto - , le disse.
- Stamani, mi sono subito diretta a casa nostra. Ho suonato il campanello e niente, ho provato a telefonare e niente! Allora, mi sono seduta sullo scalino attendendo il suo ritorno. Sono stata lì tutto il tempo a camminare su e giù, non ho nemmeno fatto colazione. Ancora non si è visto. Ho paura che gli sia accaduto qualcosa di brutto - .
- Calma, riepiloghiamo la situazione. Lui sapeva del tuo arrivo e aveva detto che sarebbe venuto a prenderti alla stazione. Giusto? - .
- Sì, è così - .
- Adesso dimmi tutto quel che ti viene in mente, riguardo questo vostro soggiorno qui a Monte Castello - .
- Ne so ben poco. Erano anni e anni che non venivamo. All'improvviso, mi ha annunciato la sua partenza, raccoman-dandomi di non raggiungerlo, di continuare gli studi come se nulla fosse. Ma io ho sospettato che, sotto questa sua decisione, ci fosse qualcosa di grave. Ho pensato a un male incurabile e, così, passato un mese gli ho telefonato per dirgli che sarei venuta a trovarlo - .
- Lui come l'ha presa? - .
- Piuttosto male, mi ha rimproverata, poi mi ha implorata di cambiare idea. Io, però, ho ribattuto comunicandogli il giorno e l'ora del mio arrivo. Ha risposto che, d'accordo, sarebbe venuto a prendermi alla stazione - .
- Ho capito. Il vostro rapporto com'è? - .
- Bellissimo. È mio padre ed è il mio migliore amico - .
- E, a proposito di questo libro sulla banda della Magliana, sai dirmi chi è l'editore che doveva incontrare? - .
- No, e non credo gli attribuisse grande importanza - .
- Che tu sappia, aveva rivolto la sua attenzione pure ad altri temi scottanti? - .
- Sì, certo, ormai erano anni che aveva allargato il suo campo di indagine - .
- E ultimamente di cosa si occupava? - .
- I suoi ultimi articoli li aveva dedicati al fenomeno della corruzione nella capitale - .
- Ho capito. Il quadro che hai delineato è di rilievo, tuo padre era certamente un personaggio scomodo. Ma cerchiamo di non affrettarci a tirare delle conclusioni che potrebbero essere sbagliate. È ancora presto. Ho bisogno di sapere se tua madre, nel malaugurato caso in cui non facesse ritorno, potrebbe fornirci qualche ulteriore elemento sul quale lavorare - .
- No, è morta pochi giorni dopo la mia nascita. Un incidente - .
- La vostra famiglia è originaria di Monte Castello? - .
- Sì. Mio padre ha vissuto qui, finché c'è stata mamma, poi si è trasferito a Roma. In questa città non ci poteva più vivere - .
- È una scelta comprensibile - .
- Sì, l'amava molto, ha sofferto tantissimo - .
- Scusami, ma c'è un'ultima domanda che devo farti: tua madre è seppellita qui a Monte Castello? - .
- No, a Villamagna - .
- Come si chiamava? - .
- Alessandra Drovandi - .
“Ah! Stavo dimenticando di chiederti il nome di tuo padre!”.
“Cosimo”,
A questo punto, Conte si tuffò nel mare degli occhi di Isabella per confermarle che quel che c'era stato tra loro si chiamava amicizia e che mai l'avrebbe lasciata sola.
- Lo troveremo - , le disse.
- Grazie. Dio mio, senza di lui sbanderei - .
- No. Finché ci sarò io, questo non accadrà, te lo prometto - .
Antonella Grimaldi
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