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Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Marcello Lombardi
Titolo: Senza esclusione di polpi
Genere Umorismo
Lettori 634 1
Senza esclusione di polpi
“Studia!” urlava mia madre “se no finisci in mezzo a una strada” continuava imperterrita. Sin da bambino quelle parole erano state la sigla iniziale dei miei compiti. Ed erano talmente assillanti che nel tempo libero riflettevo sul loro significato. Perché chi non studia finisce in mezzo a una strada? “Perché chi non studia non ha né arte né parte” diceva mia madre nel tentativo di fornire spiegazioni irrefutabili alla sua tesi. Qualcosa, però, non mi quadrava. Quelli che non studiavano e non avevano né arte né parte finivano in strada, ma non in mezzo, bensì agli angoli ed ai bordi a vendere sigarette di contrabbando. Non sarà legale, ma un'arte e una parte ce l'avevano e la sera portavano i soldi a casa. “Tu non devi portare i soldi a casa perché se studi saranno loro a venire da te” tuonava alle mie obiezioni mia madre “perciò studia e i soldi verranno da te. E' solo questione di tempo, vedrai.” Forse su questo aveva ragione. Quanti laureati stavano aspettando ab aeterno di veder spuntare all'orizzonte i soldi che avevano sognato per anni e anni e che da anni stavano attendendo? Parecchi. Forse i soldi si erano già messi in cammino, ma se non erano giunti a destinazione un motivo ci doveva essere. Potevano aver preso il treno che puntualmente era in ritardo; potevano aver preso la macchina, ma tra provvedimenti antismog, sensi di marcia che cambiavano continuamente e cantieri sempre aperti, si erano persi; potevano aver preso quella nave che era affondata oppure quell'aereo che era precipitato. Alla fine mi convincevo che i soldi stavano andando da loro in autostop.
Gli anni passarono ed esame dopo esame giunsi all'agognato traguardo della tesi di laurea. Avevo studiato con profitto e mi ero laureato ad disonorem. “Che bello non dovermi più sorbire le fatidiche parole materne.”
Festeggiato l'evento mi lanciai verso nuove mete. Ero all'Agenzia per l'occupazione. Ero all'edicola a comprare tutti quei periodici di informazione lavoro specializzati nel vendere speranze. Capii che la profezia di mia madre si era avverata. Chi non studia finisce in mezzo a una strada. Io avevo studiato ed ero finito in mezzo alla strada.
“Un tempo,” mi disse con tono bonario l'impiegato dell'Agenzia per l'occupazione, “quando lo studio era appannaggio di pochi, quelli che rimanevano senza lavoro venivano ammassati in una strada qualsiasi. Da quando l'università è diventata più affollata, non è più possibile ammassare i laureati disoccupati – in genere provenienti da famiglie modeste che non hanno conoscenze influenti – in una unica strada. Poiché ci sono disoccupati tra tutti i tipi di indirizzi, si è pensato di assegnare le strade in base alla laurea conseguita. Per ogni corso di laurea c'è un pacchetto di strade ben definito che porta il suo nome (“Prima strada laureati in.... Primo viale laureati in...”), dove fare affluire i suoi laureati in attesa della strada giusta.”
Perciò ero finito in mezzo alla strada e non in mezzo ad una strada. Non potevo sceglierne una a caso. Dovevo andare in quella assegnata a me ed ai miei colleghi.

I primi giorni di internamento stradale furono i più duri. Poi, via via, cominciai ad abituarmi a quella nuova condizione. Nessuno di noi avrebbe potuto ribellarsi. Dovevamo abituarci per forza. Per soccorrere i presentatori dei talk show, stanchi di condurre trasmissioni sui giovani che non vanno via di casa, il potere mediatico commistionato al potere politico aveva emanato una legge che vietava ai disoccupati, che avevano conseguito la laurea e che avevano superato il ventottesimo anno di età, di rimanere a casa.
Ogni settimana i nostri genitori ci portavano la paghetta insieme allo stock di sopravvivenza costituito da alimentari, indumenti, biancheria, ecc. Per riposarci nelle ore notturne ci veniva consentito di alzare il tombino e calarci nelle fogne. Ci fu detto che, in qualità di risorse umane inutilizzate, eravamo l'arma segreta della nazione e che, come ogni arma segreta che si rispetti, dovevamo rimanere nascosti in attesa dell'utilizzo.
“Le fogne, per loro natura, sono il nascondiglio ideale per qualsiasi tipo di armamento. Sarebbe troppo pericoloso, sullo scenario politico internazionale, esibire candidamente l'intero arsenale. Tanto” amava ripeterci il plenipotenziario del Lavoro “non tarderà il giorno in cui quel tombino si alzerà e l'arma segreta, cioè voi, sarà utilizzata.” Di giorno potevamo stare in strada. “Nessun nemico capirà mai che siete disoccupati perché, a differenza dell'oscurità della notte, il chiarore del giorno non svela la realtà, ma la copre” concludeva con enfasi filosofica il plenipotenziario. La nostra presenza, inoltre, non avrebbe consentito agli scappamenti delle auto di assassinare l'aria.
“Almeno serviamo a qualcosa” pensai tra me.
“Che anoressica consolazione” ribattei.

Quando arrivai a destinazione mi dovetti sistemare in mezzo alla strada. Ai bordi c'erano i venditori di sigarette di contrabbando. In loro prossimità c'erano i laureati disoccupati delle sessioni precedenti alla mia che, dalle otto a mezzanotte, una volta sloggiati i sigarettari abusivi, sarebbero dovuti entrare in azione.
Una sera, alle otto in punto, vidi stapparsi il tombino dal suolo sotto la pressione di uno sciame di zoccole. Non si trattava delle abitanti delle fogne e dei laboratori dei ricercatori. Era uno sciame di zoccole in piena regola – con tanto di tacchi, calze a rete, microgonne, scollature, rossetto – pronto a battere. “Vuoi vedere che hanno deciso di utilizzare qualche arma segreta?” Niente di tutto questo. Erano i
laureati disoccupati delle sessioni precedenti alla mia che erano scesi un momento a cambiarsi prima di entrare in azione. Tra di loro scorsi alcune mie vecchie amiche “Purtroppo questa volta nessuno potrà accusarvi di battere la fiacca!” ed un mio amico equipaggiato con l'armamentario femminile, parrucca compresa. La cultura maschilista dominante concepiva solo l'esistenza della tradizionale prostituzione femminile ed il travestimento era il mezzo più economico, a disposizione dei maschi, per uniformarvisi.
In applicazione dell'antico adagio mens sana in corpore sano gli era stato consentito di battere per fargli tenere in allenamento il proprio corpo mummificato dai sedentari studi universitari e dall' inattività post-laurea. Non solo, ma battendo per un lasso di tempo accuratamente predeterminato, gli si dava sia la possibilità di poter intascare un po' di quattrini, sia quella di comprendere le dinamiche che animano l'ingresso dei poveri cristi senza raccomandazione nel mondo del lavoro, con i relativi meccanismi d'incontro tra domanda ed offerta.
Tra una battuta e l'altra quelle forzate prostitute entrarono in crisi. Molte di loro, comprese le mie amiche, desideravano prostituirsi con i propri fidanzati che, a loro volta, si trovavano in difficoltà perché non avevano i soldi necessari per pagare quelle prestazioni. I loro prezzi venivano fissati da un'anonima commissione esterna, caso per caso, a seconda dell'avvenenza di ogni singola prostituta e l'esiguità della paghetta settimanale non concedeva granché ai maschietti. Quando le loro fidanzate non erano laureate e le loro grazie erano gratis gliele centellinavano perché se la tiravano. Ora che erano a pagamento gliele centellinavano perché non se le potevano permettere.
Per i travestiti ci furono anche altre difficoltà. Se da un lato, potevano per la prima volta nella loro vita rivalersi dei non facili costumi delle proprie fidanzate pretendendo la retribuzione delle proprie inesaltanti prestazioni sessuali, dall'altro non sempre consumavano il rapporto con le proprie partner perché la maggior parte di esse non erano disposte a travestirsi da maschi. Grazie al decorso del tempo i maschi riuscirono a superare quest'ostacolo avvalendosi dell'epocale bruttezza delle proprie anime gemelle (l'avviamento al lavoro di tipo meretricio aveva provocato, nelle donne, un forte imbruttimento, sia interiore che esteriore), bruttezza che le rendeva alla stregua di uomini nati donne. Su questa falsa riga molte coppie cominciarono a vacillare e gli unici a non avere problemi furono i laureati disoccupati single che poterono prostituirsi direttamente con i promettiposti.
All'interno della gerarchia sociale i promettiposti, naturalmente tutti maschi, erano gli unici che potevano permettersi variegati harem di zoccole ogni sera senza fare differenze tra donne e travestiti. Erano anche gli unici che potevano trasformare quelle forzate prostitute in futuri dirigenti. Manovravano qualsiasi assegnazione di posti o incarichi e, dal livello delle prestazioni di quelli che incrociavano con loro le armi del sesso, dipendeva il numero di domande che ciascun candidato poteva presentare. Poiché quelle domande erano vittime, sempre gravi e guaribili ma mai mortali, di feroci agguati di misteriose lungaggini burocratiche, si rendeva necessaria, per loro, la cura della corruzione. Le cifre guadagnate con la prostituzione con i rispettivi partner o con i promettiposti non avrebbero permesso di soddisfare quelle pretese ed i candidati, dopo avere sborsato i loro miseri guadagni, erano costretti ad integrare ulteriormente in natura, sempre con gli stessi promettiposti, il resto della somma necessaria per la guarigione della pratica di assunzione mettendo, nel caso degli accoppiati, definitivamente a rischio i loro vecchi rapporti.

Ogni tanto mi imbattevo nel mio amico che mi raccontava le sue gesta amatorie. Dalle sue parole traevo utili insegnamenti per applicazioni future. Per esempio scoprivo che lui, per far godere la clientela, doveva avere doti sia sessuali che acrobatiche. I promettiposti erano degli assatanati ed insaziabili estimatori del kamasutra ed alle volte pretendevano anche di inventare qualche nuova posizione. Purtroppo le capacità atletiche e contorsionistiche del mio amico erano abbastanza malconce per via degli effetti collaterali della vita post-laurea. Restare per tanto tempo all'aperto ed aver come unico luogo deputato al riposo le fogne gli aveva reso le ossa molto fragili. Artrosi e reumatismi avevano fatto la loro sgradita comparsa e le sue prestazioni sessuali ne avevano fortemente risentito. Allarmato da ciò decisi di correre ai ripari facendomi portare dai miei genitori, oltre al solito kit di sopravvivenza settimanale, un busto munito di stecche, maglie e mutande di lana, nonché un bel paio di ginocchiere per corazzarmi a dovere. Se qualche ragazza vittima di qualche raptus amoroso mi avesse assalito strappandomi pantaloni e camicia si sarebbe trovata di fronte ad un esemplare di spaventapassera ortopedico mai visto prima.
Un giorno, guardando il mio amico, mi sembrò più entusiasta del solito.
“Cos'è, hai scopato bene stanotte? E' stata una vera goduria l'avventura a luci rosse?” gli dissi in tono maliziosamente confidenziale.
“Macché, è sempre la solita solfa. Solo che la solita solfa è finita” mi rispose con tono semientusiastico.
“Perché, sei stato evirato?”
“No, sono stato assunto. Il promettiposto che mi ha spupazzato per tutto questo tempo mi ha trovato un lavoro all'interno dell'azienda dove manovra posti e incarichi.”
“Hai visto. Per te comincia una nuova vita.”
“Macché, è sempre la solita solfa. Solo che la solita solfa è finita. Non sarò più rimorchiabile in strada, ma in azienda.”
“In azienda?”
“Si! In azienda. Invece di battere in tacchi, microgonna e scollatura, batterò in giacca e cravatta. Tra una commissione e un'altra dovrò soddisfare tutti i tipi di voglie dei miei superiori e dal livello delle scopate dipenderà la mia carriera, a partire dalla conservazione del posto di lavoro.”
“Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo?”
“Mi rendo conto, mi rendo conto. Sei tu che non ti rendi conto. Se qualche volta, invece di leggere solo gli annunci delle offerte di lavoro tramite i quali, comunque, il lavoro non lo hai trovato, ti fossi degnato di leggere un po' di cronaca giudiziaria e qualche inchiesta sul mondo del lavoro, avresti sentito parlare di ricatti sessuali, avance e di tante altre porcherie. E quello che è venuto a galla è solo la punta dell'iceberg. Quante altre cose accadono e noi non le sappiamo. E sono proprio quelle porcherie che stanno alla base della carriera. Ti è chiaro adesso il nesso tra avance e carriera?”
“ ”
“E tu avevi creduto alla storia che la prostituzione fosse solo un'attività temporanea subordinata all'ingresso nel mondo del lavoro? Se così fosse stato, i principi della meretriciocrazia sarebbero andati a farsi benedire? Che allocco che sei!”
“ ”
“Che guardi? Sei scandalizzato ed incredulo? Naturalmente, non è rinvenibile alcuna traccia della codificazione legislativa dei principi della meretriciocrazia perché nessuno li ha mai tramutati in legge, però esistono e sono operativi, vivi e vegeti. Tutto questo è indubbiamente uno schifo, ma sai qual è la situazione: o accetti questo nesso e lavori o lo rifiuti e non lavori ed io ho scelto di lavorare.”
“Consolati col fatto che in azienda starai al caldo e che per riposare non sarai più costretto a scendere nelle fogne, così le tue ossa troveranno un po' di tregua, alla faccia dei reumatismi” gli dissi con un filo di voce.
“Questo è vero. Hai ragione anche tu” rispose lui contraccambiando la consolazione. “Adesso devo andare. Non voglio far tardi al lavoro.”
“Buona fortuna.”
“Ah! Dimenticavo. Questi te li lascio in dotazione” mi disse allungandomi con la mano sinistra una borsa. “Qui dentro c'è tutto quello che occorre per prostituirti. Ora tocca a te. E' passato del tempo da quando hai finito l'università ed essendo arrivati altri laureati disoccupati provenienti dalle sessioni successive alla tua, a partire da oggi, prenderai il mio posto in strada. Mi raccomando, fanne buon uso e divertiti.”
Con passo svelto si allontanò. Aprii la borsa e vidi tutto l'armamentario femminile che lui aveva usato. Lo fissai per un istante. Decisi che nella vita avrei lavorato e fatto carriera. Scesi un attimo nelle fogne, mi liberai dei miei abiti e dell'armatura ortopedica, indossai l'armamentario femminile ed alle otto in punto anch'io ero pronto per entrare in azione. Non ero più in mezzo alla strada, ma ai bordi. Non ero più al centro della disattenzione, ma ai margini dell'attenzione. Non potevo lamentarmi. Avevo cominciato a fare un po' di strada.
“Vieni qua bella chiappa” mi disse senza tanti preamboli un promettiposto. “Se mi fai godere vengo anche domani e se ti comporti bene, prima o poi, ci scappa un bel posticino di lavoro. Per stasera voglio fare lo zaino ed il guscio rovesciato.”
“Zaino, guscio rovesciato, e chissà quale altre posizioni mi chiederà in futuro” pensai in quel momento.
“Arrivo!!” gli risposi con entusiasmo simulato.
“Quante posizioni bisogna farsi prima di potersi fare una posizione.”
Marcello Lombardi
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