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Writer Officina
Autore: Pietro Di Gennaro
Titolo: Amore condannato amore
Genere Romanzo
Lettori 429 2 1
Amore condannato amore
Qualche ora prima.

Se non leggi questi libri non puoi sapere dove sono. Come se ti importasse sapere dove sono. Succede che tra i calli delle mani scottano sostanze che fanno male, prescrizione consapevole di follie; non è caduta, non è raccolta, sono lacrime che bagnano la pelle, bruciano ma fanno bene come la luce delle stelle che immagino riflessa nei tuoi occhi. Dove non è importante. Quello che conta è il rumore che diventa armonia. Pensavo a te Tiziana quando gridando hanno bussato alla mia porta questi due tutori della legge che adesso rovistano tra le mie cose. Sono nudo e sporco, mi sento violato ma conosco questa gente, mi aiuteranno ancora. Vi supplico non toccate i fiori e le spezie del mio paradiso. Non ho la forza, non ho il coraggio di fare resistenza. Dove io sono loro lo sanno: mi hanno trovato e forse questo dovrebbe interessare anche a te. Dove sono. Lo devo sapere, devo trovare l'audacia di raccontarti la mia storia e dirti cosa provo per te. Ma tu mia dolcissima Tiziana stanotte non c'eri. Il miocardio pulsa involontario, accelera e non si placa per quanto forte provi a spingere le dita tremanti di collera sul mio petto. Batte violento contro lo sterno come questa gente che taccheggia con scherno le pagine del mio segreto più intimo. Contro la mia volontà. Contro una volontà che non ho.

– Di cosa parliamo quando parliamo d'amore se non di colpe e desideri d'amore?
Animale, come l'uomo stordito dalla paura, nervosa come la donna in astinenza di miele, sublime, come l'oblio della fine di una protesta, e divino come l'inizio del nuovo amore condannato all'amore?

D'amor non si parla, d'amor si muore, si nasce e d'amor si vive. Puoi scappare, ignorare, anche impazzire. L'amore torna e quanto più atroce è stato il tuo dolore, tanto più travolgente esploderà il cuore. Lo sentirai battere ossessivo come un tamburo tribale in cerca d'attenzione. E tu lo senti come lo sento io? Fremiti di passione sono tormento, e bagliori accecanti sono desiderio. L'amore non fa dormire e dormire sfinito dall'attesa non è riposo. Tra incubi e sogni, un nuovo amore nasce senza altra ragione che farti schiavo capace d'amare ancora.
Non è forse così anche per te, mia carissima Tiziana?
In fondo, non si tratta di magia, perché un dubbio magari, o un trucco svelato, rovinerebbero tutto.
Un miracolo questo è l'amore e scriverti non mi placa.
Ti prego, abbracciami. Entra e affacciati in me. Rovista nella mia anima. Scavami dentro. Entra senza timore. Prendimi senza paura dell'amore che ho io per te.
Carissima Tiziana, la porta del mio cuore per te è aperta e io ti scrivo sconvolto d'amore. Vagando sperduto tra parole che non voglio fermare, parole per te, parole di noi. Tuo Emilio.

– Azz... Costanzo, come leggi bene. Però a naso, questo torinese a me non sembra affatto un criminale, che dici? È uno scrittore?

– Sarà un anarchico, ma che ne so. Vedo solo libri sparsi ovunque. Questo di Carver contiene molti fogli scritti a mano. Guarda! Guarda che bella scrittura, precisa e ordinata, dentro le righe, proprio come voleva la mia maestra. È una bella lettera d'amore non trovi? Guida che fai? Lascia stare i vasetti del signore Emilio, non abbiamo il mandato. Piuttosto guarda questa lettera. Tu lo sai che dalla scrittura di una persona si capisce tutto? Dai chiamalo che è mezz'ora che si sta vestendo.

– Vogliamo fare notte signor Chanoux? Forza, si sbrighi, dobbiamo andare.

Sento. Vi sento. Io vi sento. Che diritto avete di rovistare nelle mie cose? Una doccia. Nemmeno una doccia veloce. Avete fretta. Dovete correre. Siete voci. Non siete voci. Chi siete? Chi sono? Andiamo. Dove andiamo? Una cascata d'acqua sulla testa, il caldo sulla pelle. Senza sapone, lavarmi vorrei di queste voci. Fermare questi pensieri. Nemmeno una doccia. Lavarmi e tornare vestito. Rinascere e nascere ancora. Mi avete trovato. Andiamo.
Dove andiamo?

**********

Fonduta di fondina

Dicono che crescendo si diventa grandi, lo si dice ai piccoli. A me dicevano che il dolore passa e che crescendo l'avrei dimenticato. Quell'estate è un chiodo piantato nella carne, io no ma lui sì, cresce ancora. Sarei tornato più volte in quel Paradiso di verde e fiori ma mai più ne ho sentito il calore, solo angoscia. Ogni sforzo vano, solo freddo anche nei colori. Sarei tornato scalando e scavando nei ricordi i profumi di quelle giornate felici mai dimenticate. Sarei tornato per sanare emozioni bruciate da quell'estate che stravolse la mia vita per sempre. Ci provai ma la cura senza una speranza fa più male dello stesso male. Mai più vissi quei giorni radiosi, sudati ma dolcissimi. Puri, profumati e luminosi, altro che grigi giorni in puzzolenti folle di città.

Mi prendevo cura di Clara dal mattino alla sera. Tutto era l'opposto di una fatica, era semplice affetto infinito per un essere innocente e silenzioso. I suoi occhioni neri erano profondi, brillanti, tenerissimi, pieni d'amore. Li vedo ancora vivi. L'intelligenza poi, la mia, la sua, un fermento di meraviglie crescenti, una nobile gara tra diversi. Aveva le sue esigenze fisiche cui io provvedevo con rispetto. Lei non chiedeva mai niente. Era calma, tranquilla, imponente e generosa. Un'amica, una madre premurosa sebbene spesso sembrasse indifferente, altera, elitaria, distaccata dal presente. La seguivo con dovizia durante lunghe passeggiate dense di pause tranquille nelle piccole pianure incontrate man mano che si saliva in quota. Lei era alla continua ricerca di nuovi campi da esplorare. Con andatura lenta ma decisa non conosceva ostacoli, ripercorreva a memoria gli spazi dell'anno prima, e così ogni sentiero diventava eredità. Non mi dava grandi preoccupazioni, anzi mi trasferiva una serenità primordiale, assoluta, e quando si fermava mi concedeva tempo. Silenziosa. Allora, e solo allora, abbandonavo il mio corpo adolescente nell'erba freschissima e profumata, giovane più di me, lucente di quella poca rugiada non ancora evaporata, e che brillava al sole caldissimo dell'estate. Quella del 1985.

Le montagne tutto intorno ci rinchiudevano in un recinto senza tempo, senza domande, senza conflitti, senza orizzonte, senza tensioni esistenziali oltre l'estasi di un Paradiso naturale tutto nostro. La mia era un'adolescenza prematura, la sua invece piena maturità. Ci coccolavamo a vicenda, giocando l'una con l'altro. Ore e ore di cammino poi la fatica m'abbatteva a terra. E lei mi svegliava con dolcezza, decisa a trascinarmi verso un altro campo. Sapeva dove trovarmi, si avvicinava in silenzio, a passi felpati, desiderosa. Tante volte facevo finta di dormire, per godere delle sue attenzioni. La spiavo di nascosto in mezzo alle mie ciglia tremanti dall'ansia che ti prende quando vuoi solo ricominciare a giocare. Lei prima si allontanava indifferente, stronza come chi sa di poterselo permette, poi girandosi più volte cercava la mia presenza. Mi dava tempo e spazio ma una volta sicura della mia assenza, veniva a recuperarmi con un largo giro d'accerchiamento. Si avvicinava sempre dal lato contrario al sole per non infastidire con la sua grande ombra. Arrivata sopra di me, aspettava l'attimo del mio risveglio, poi impaziente avvicinava la sua testa alla mia e mi sbuffava in faccia un alito possente, ricco, fragrante di erbe e fiori che lei ruminava in continuazione. Ecco perché il suo latte aveva venature gialline di un sapore delizioso mai più provato. La mia Clara ogni giorno in alpeggio mangiava almeno settanta chili, forse un quintale di primizie uniche, odorose di vita eternamente riprodotta lassù in montagna. Ecco cos'è il Paradiso: riproduzione continua di vita e di bellezza. E poi il silenzio, sentivo il silenzio, la pace dell'anima mia estasiata, il silenzio della natura, l'armonia degli esseri viventi non umani, e la brezza tiepida nei capelli, sulla faccia, che sapeva d'eternità.

Come posso dimenticare?

Anche sotto ipnosi l'ho ricordato e non ho mai ricordato altro. In clinica, mille e mille volte ho ricordato solo estasi e bellezza di quell'estate. E desiderio di tornarci. Anche oggi ricordo solo un Paradiso, di Clara, di me, delle carezze della mamma e di come papà mi insegnava a mungere con decisione quelle mammelle generose di vacche felici. Ho visto nascere Clara e da vitella diventare grande.
Ogni volta che provo a comprare il latte al supermercato penso a Clara e al suo latte che non era bianco, raffinato, trattato, insapore come questo latte industriale che mi ritrovo tra le mani a scegliere anche oggi per la colazione di domani. Magari prendo anche un formaggio perché no?

– No, non può essere, questa è pazzia! Fonduta di Fontina in scatola.

Pietro Di Gennaro
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