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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Maria Luisa Manca
Titolo: La divina bellezza
Genere Romanzo
Lettori 109 2
La divina bellezza
La dimora dei folletti.

Lunedì, ore otto. Prima ora di viaggio. Oggi ho compiuto un gesto eroico, o folle, di cui so che mi pentirò ben presto. Ho lasciato il cellulare dentro la valigia, che andrò a recuperare tra sei o sette giorni, nell'albergo dove trascorrerò la notte, prima di salire sull'aereo per tornare a casa. So per certo che quell'aggeggio mi avrebbe intralciato, procurandomi troppe distrazioni e tentazioni. Avrei potuto lasciarlo spento e usarlo solo in caso di emergenza, come perdermi nel bosco e dover chiamare aiuto, al lupo, al lupo. Ma tanto sono sicura che lì, in mezzo alla boscaglia, il cellulare non prende. E poi non avrei saputo resistere alla curiosità di controllare messaggi, chat, e-mail e commenti vari su Facebook, su WhatsApp...In questo momento sono in marcia, con il mio zaino superleggero sulle spalle: felpa in pile 60 grammi; calze di cotone (due paia), 40 grammi; T-shirt in filo di scozia 50 grammi; canotta di cotone 30 grammi; intimo di seta pura (una piuma) per tre giorni, 25 grammi. Non ho intenzione di tenermi le stesse culottes per due giorni di seguito, da qualche parte riuscirò a lavarle. Peso totale, zaino compreso, poco più di 600 grammi. Avere una taglia small ha i suoi vantaggi, soprattutto quando gli indumenti bisogna trasportarli sulle spalle, per 130 chilometri. I pantaloni di riserva non li ho presi, li ho lasciati in valigia. La cerniera non può rompersi: ho indossato pantaloni comodi, con elastico in vita, tasconi laterali, due per gamba, tasche an-teriori e posteriori. Lateralmente tengo le borracce termiche per l'acqua, una a destra e una a sinistra. In un'altra ho messo la mappa del cammino e nella quarta la pila. Sul di dietro tengo il taccuino per scrivere e una penna, legata in vita con lo spago. Ho un cappellino in testa, con la visiera e una fusciacca larga in vita, arrotolata come se fosse una cintura, che all'occorrenza può diventare una tovaglietta, un fagotto, un foulard, una bandana o anche un poggiatesta, sopra un cuscino di foglie del bosco. Dopo aver superato il Santuario di San Luca, scendo lungo il tratto di strada asfaltata, in Via dei Bregoli, direzione Badolo Monzuno. Trovo un bivio, mi assale un dubbio, consulto la guida. Il sentiero di destra è più ripido e più breve; quindi risparmio tempo. Per ora non sono stanca, posso affrontare bene la salita. Ho notato i cartelli con le indicazioni per la Via degli Dei e ciò mi rassicura. Sono in prossimità del Parco Talon. A questo punto una donna mi raggiunge, a passo svelto, mi sorride, mi saluta con un cenno del capo e come se stesse recitando dei versi mi dice: “Chi nel cammino della vita ha acceso anche soltanto una fiaccola, nell'ora buia di qualcuno, non è vissuto invano”. Sono parole che credo di aver già letto da qualche parte, ma non ricordo esattamente chi le abbia dette. Intanto la donna mi sorpassa e mi accorgo che sto costeggiando il Reno. Sulla mia sinistra il corso d'acqua e sulla mia destra il Parco Talon, con i boschi di San Luca. Visitare La Casa della Natura, all'interno del parco, di lunedì, è impossibile: aprono solo il sabato e la domenica. Molto preziosa la fontanella dell'acqua, per riempire una delle borraccine, già mezza vuota. Dopo alcuni chilometri di cammino decido di fare una breve sosta. Ho intravisto un grosso pino che mi attira. Il sole, ormai, è alto; inizia a far caldo. All'ombra, sotto la folta chioma dell'albero, nel silenzio e con i profumi di resina e degli oli essenziali sprigionati dai tronchi, l'aria è molto gradevole. Mi siedo per terra, incrocio le gambe nella posizione del loto e inizio la mia prima meditazione di riequilibrio e di ricarica. Cerco di assorbire l'energia di nostra madre Terra e dal tronco del pino, sul quale appoggio la mia schiena. Inizio a modulare la respirazione, poi, pian piano mi rilasso. Il ritmo del respiro diventa più lento, il cuore batte calmo e regolare. I muscoli tesi delle spalle e della schiena si distendono. Con gli occhi chiusi inizio a percepire le vibrazioni intorno a me, il respiro degli alberi, la connessione con tutto ciò che mi circonda. I miei chakra iniziano a vibrare, dall'alto, il settimo, Sahasrara, il chakra della corona, finché tutti gli altri entrano in risonanza. All'interno del mio corpo si forma un vortice energetico, una spirale che scarica e si ricarica. Lentamente riapro gli occhi, mi guardo intorno e sento che in tutta quella pace che mi circonda, nella bellezza che mi avvolge, nell'aria che respiro, c'è un'essenza Divina. A parte le cime dei monti, con i nomi delle divinità, in ogni nuda pietra, in ogni filo d'erba, in ogni fiore di rovo già sbocciato, c'è qualcosa che mi incanta, mi invita alla contemplazione, con uno stato d'animo colmo di gratitudine. Riprendo a camminare a passo spedito, come se avessi ricaricato le superpile, accelerando senza sforzo. Incontro di nuovo la donna di prima, seduta sul ciglio della strada, a dissetarsi. Mi avvicino, ci scambiamo un sorriso; lei mi porge un pezzo di cioccolato, mentre parla di nuovo come se stesse recitando dei versi.
“Alla compagna di viaggi/i suoi occhi il più bel paesaggio/fan sembrare più corto il cammino/e magari sei l'unica a capirla/e la fai scendere senza seguirla,/senza averle sfiorato la mano.../
«Sono parole tue?» «Nooo... di Fabrizio.» «Fabrizio?» «Sì, lui. Si intitola Le passanti.»
Abbiamo ripreso a camminare in silenzio, fianco a fianco, ascoltando il concerto degli uccelli e delle api, i campanacci delle mucche il lontananza e uno strano verso che sembra quello di una tigre. Poi lei mi ha superato ancora una volta,voltandosi indietro per farmi un cenno di saluto con la mano. Il lavoro muscolare del trekking e l'aria ricca di ossigeno fanno accelerare il metabolismo. Dopo poche ore di cammino sento già fame. Ecco perché molti finti pellegrini decidono di intraprendere il Cammino di Santiago. Nel film di Emilio Estevez, uno dei personaggi, Daniel, racconta di aver intrapreso il cammino perché era diventato troppo grasso. In realtà, alla fine del viaggio, davanti alla statua di San Giacomo di Compostela, si avvicina in ginocchio, con un atteggiamento umile e devoto, che appare sincero e toccante. Ho deciso di fermarmi a mangiare qualcosa. Ho voglia di un pasto consistente; non devo fare nessuna dieta; se non mangio, durante le lunghe ore sotto il sole, mi consumo come un gelato cuor di fragola: di me resterà solo lo stecco. La guida, per il cibo, suggerisce il Circolo di Monte Adone, col servizio bar. In un angolo della saletta, seduto a un tavolino, c'è un giovane, con una tunica bianca lunga fino ai piedi, il viso angelico e un'espressione dolce che incanta. Non riesco a distogliere lo sguardo. Lui sorride e io rimango impalata come un'ebete, aspettando che compaia qualcuno dietro il bancone del bar, a togliermi dall'imbarazzo. A un tratto il “cherubino” si alza, viene verso di me, mi porge una cartolina illustrata con la foto di un B&B, a Monzuno, La Dimora dei folletti. Sul retro della cartolina ci sono scritte delle frasi a penna. Preferisco rimandare la lettura a un altro momento. Mi preme seguirlo; forse lui è il proprietario della casa dei folletti e potrebbe condurmi fin lì, senza rischiare di perdermi e senza dover chiedere indicazioni a nessuno. Mi precipito fuori, ma lui è già scomparso, svanito nel nulla. Sto già pregustando i tortellini in brodo, la piadina con lo squacquerone. Sto salivando e sbadigliando alla ricerca di una trattoria. Quando arrivo davanti al locale ho una spiacevole sorpresa: chiuso per riposo settimanale. Arrivo al B&B esausta, sto per crollare. Laura e Federico hanno avuto pietà e mi hanno offerto un po' del loro pasto. Sono stati molto gentili. La Dimora dei folletti è un posto fanta-stico. Le stanze sono tutte decorate e arredate con un'atmosfera da favola. Sembra di stare dentro una delle tante storie del bosco raccontate da Sandro Ricciuto e Micaela Fus. Quando mi stendo sul letto, con il comodino accanto a forma di fungo e gli uccelli pitturati sul muro, riprendo in mano la cartolina che mi aveva lasciato il bel “cherubino”. Inizio a leggere le parole sul retro, in corsivo molto elementare, come se le avesse scritte un bambino.
Ti ho cercato in ogni paese,/nelle case e nelle chiese,/nell'immensità del cielo,/nel dipinto dal ceruleo velo./ Ti ho chiamato e supplicato,/per un segno rivelato,/che mettesse in evidenza/la verità della tua presenza./ Ho girato e rigirato; infine ti ho trovato/negli occhi di un bambino,/nel volo di un gabbiano,/nel fiore appena sbocciato/nella bellezza del Creato.
Una poesia o una preghiera, di ricerca del Divino. In basso c'è scritto Anonimo. La mano che ha impugnato la penna sembra quella di un bambino; i pensieri, però, non possono essere di una mente infantile. Va be', in tutti i casi, che le abbia copiate un'anima candida o un commerciante scaltro, sento che, in qualche modo, queste parole mi appartengono.
Maria Luisa Manca
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