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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Giuseppe Minicone
Titolo: Madri
Genere Romanzo
Lettori 1235 3 1
Madri
«Vulisse uscì dummeneca cu mme?» chiese Salvatore.
Angela non disse né sì né no, ma si limitò a domandargli: «Per andare dove?».
«Addò vuo' tu.... a piglià ‘nu poc'‘e sole a Mergellina o a Marechiare?».
«Troppo lontano da casa mia. Non mi va di camminare tanto e, poi, fa ancora caldo.»
«Int'‘a Villa Comunale?»
«Salvato', là ci vanno i bambini a giocare o le coppiette a fare l'amore.»
«Embé?»
«Noi non siamo bambini e quindi che intendevi fare?»
Salvatore si confuse.
«Io... niente.»
«E volevo vedere! Da quando in qua tutta questa confidenza?»
Salvatore s'impappinò ancora di più.
«I' nun te vulevo offendere. T'aggio chiesto sulo si vulive fa' dduje passe cu mme... accussì... pe' passà nu poc'‘e tiempo.»
«E vabbe'. Tanto io la domenica vado a messa. Se ci vuoi venire anche tu, ti fai trovare all'angolo di vico Tofa con Toledo» disse Angela con il tono di chi vuole togliersi di torno una persona petulante.
Incontrarsi per andare a messa non era proprio quello che Salvatore sperava, ma era meglio di un rifiuto; perciò, accettò di buon grado la concessione: ci sarebbe stato, comunque, un tratto di strada per parlare prima e dopo la funzione, pensò.
«A che ora?»
«La messa è alle dieci e mezzo, perciò ci vediamo alle dieci e un quarto, tanto dobbiamo andare alla chiesa di piazza San Ferdinando, che è vicina.»

Salvatore alle dieci stava già all'angolo di vico Tofa, spiando ansiosamente la strada che si inerpicava nel cuore dei Quartieri Spagnoli, per tentare di scorgere la sagoma di Angela non appena fosse sbucata da una delle tante traverse che l'incrociavano fino alla sommità.
Dovette aspettare più di venti minuti, ma finalmente la vide arrivare. Indossava un vestitino di cotone a grossi fiori rossi e blu, stretto in vita e largo nella parte inferiore, che terminava un palmo circa sopra le ginocchia. Era in ritardo.
Salvatore rimase per qualche momento istupidito a guardarla: al laboratorio non si era mai presentata così e lui la trovò bella, molto più di quanto l'avesse mai vista. Quando si scosse e aprì la bocca per dirglielo, Angela non gli diede il tempo di parlare.
«Sbrighiamoci, altrimenti arriviamo tardi alla messa.»
Contemporaneamente si avviò a passo così svelto che Salvatore, pur mantenendo l'andatura, rimaneva sempre un passo indietro e, se non fosse stato per la mancanza di una cordicella, sarebbe parso proprio come un cane al guinzaglio.
Era ben altro che la passeggiata insieme che lui aveva immaginato, nel farle la proposta!
Tra l'altro, l'incedere impetuoso di lei, che faceva ondeggiare la veste, scoprendo ancor di più le gambe già mal riparate, sollevava i più svariati commenti maschili, cui il poveretto non sapeva se ribattere o no, relegato com'era in quel ruolo secondario che non gli attribuiva neppure la veste di accompagnatore ufficiale, idonea, almeno, con la sua presenza, a scoraggiare qualcuno.
Quando giunsero alla chiesa era rosso in viso, sia per la corsa sia per la stizza.
Durante la messa, naturalmente non ci fu modo di parlare: Angela seguì la funzione con atteggiamento compunto e prese anche l'Eucaristia. Salvatore, ammesso che l'avesse voluto, non riuscì a rivolgere un solo pensiero al Signore, attratto magneticamente dalle ginocchia di lei, che si scoprivano ogni volta che si sedeva, il che accadeva continuamente, secondo l'invito del sacerdote. Colse solo a volo l'esortazione a scambiare il segno della pace, per impadronirsi della sua mano; ma fu un attimo, perché Angela subito la ritirò per offrirla a una molteplicità di altre mani, i cui possessori, stranamente, erano tutti desiderosi di pacificarsi con lei.
Quando uscirono dalla chiesa Salvatore nutriva pensieri sacrileghi, mentre Angela ostentava un'espressione che rispecchiava pienamente il suo nome.
«Aimma correre pure mo'?» fece lui con tono stizzito.
«In effetti, avrei una certa fretta di tornare a casa» rispose lei, senza far mostra di aver notato l'irritazione dell'altro «ma il tempo di mangiare una sfogliatella forse l'abbiamo... sono stata digiuna per prendere la Comunione e ho un poco di languore allo stomaco.»
La proposta addolcì immediatamente Salvatore, perché, esaudendola, avrebbero inevitabilmente rallentato la loro marcia di ritorno, concedendogli qualche opportunità in più per parlare.
E lui di parlare aveva desiderio, ma anche paura, perché avrebbe voluto che Angela si accorgesse del sentimento che cominciava a provare per lei, ma temeva che o per sua rozzezza nell'esprimerlo o per ripulsa nei suoi confronti, il discorso che si era preparato ottenesse il solo scopo di far naufragare irrimediabilmente ogni cosa.
Così combattuto, non riuscì a spiccicare parola fino a quando furono innanzi a Pintauro, dove aprì finalmente la bocca per domandare: «A vuo' riccia o frolla?».
«Riccia, che domanda!» fu la risposta quasi scandalizzata. E Salvatore si tuffò nella ressa che contrassegnava la domenica mattina il noto negozio di sfogliatelle.
Angela, che era, dapprima, rimasta sorpresa dal prolungato silenzio del solitamente loquace accompagnatore e, poi, con la sensibilità femminile affinatasi con l'età, aveva intuito quello che tale silenzio poteva nascondere, approfittò del tempo di attesa per elaborare una risposta che, senza nulla concedere al giovane, non lo allontanasse definitivamente da lei, mettendo a repentaglio il piano che stava elaborando da tempo.
Anche Salvatore, mentre lottava con la folla, si era preparato poche parole, ma, una volta uscito dalla mischia, non trovò più il momento giusto per dirle, giacché si rese conto che o parlava o mangiava, ma non poteva fare le due cose insieme. Così rimase con la bocca aperta, come per dare un morso alla sfogliatella, ma senza decidersi ad addentarla.
Angela, che, intanto era già arrivata alla metà della sua, lo guardò.
«Salvato', che ci fai con quella sfogliata a mezz'aria? Ti è venuta una paralisi? Guarda che se aspetti un altro poco, si raffredda.»
La domanda lo colse talmente impreparato che, da un lato, per un riflesso istintivo, completò il gesto di portare il dolce alla bocca, dall'altro, emise tutto d'un fiato le quattro parole che si era preparato.
Il risultato fu che pezzi di sfogliata gli si sparsero sul mento e in terra e che il suono che uscì contemporaneamente dalla bocca fu qualcosa di totalmente incomprensibile.
«Salvato', che stai dicendo?»
Il giovane deglutì in fretta quel che era rimasto e, mezzo soffocato, mormorò: «Angeli', te vuo' mettere cu mme? Io me so' ‘nnammurato ‘e te».
Angela, che, ormai se l'aspettava, assunse un atteggiamento serio.
«Salvatore, non correre: ci conosciamo da così poco. Come puoi credere che io possa mettermi con uno di cui non so praticamente nulla? Che penseresti di me se ti dicessi subito sì? Al minimo, che sono una ragazza leggera, una che ci sta col primo venuto, non ti pare? Ne deve scorrere di acqua sotto i ponti prima di fare discorsi del genere.»
Salvatore rimase spiazzato da questa risposta: non era un sì, come lui sperava, ma, a pensarci bene, non era neppure un no definitivo.
«Che faccio, allora? Aspetto ‘n'atu ppoco pe' t'‘o ddicere?»
«Aspetta, Salvato'.»

Salvatore aspettava. Ogni venerdì rivolgeva ad Angela uno sguardo interrogativo, per capire se era venuto il momento di ottenere una risposta alla sua dichiarazione d'amore, ma gli occhi di lei rimanevano invariabilmente severi, gelando sul nascere ogni speranza.
La ragazza, intanto, imparava in fretta il mestiere ed era divenuta la prima consulente della signora Susanna per ogni capo che presentasse qualche difficoltà di realizzazione. Era diventata a tal punto brava che la sola confezione dei calzoni cominciava a starle stretta, per cui, nelle ore libere a casa, aveva iniziato, per prova, a cucire dei vestitini per sé, ispirandosi a una rivista di moda che il giornalaio all'angolo di via Toledo, che la conosceva fin da bambina, le prestava ogni mese.
Anche il denaro guadagnato, detratta la somma che ancora versava in famiglia, le appariva sempre più scarso in relazione alle sue capacità e ai suoi desideri.
Decise che era venuto il momento di agire.
Un venerdì Salvatore, nel volgere come sempre il suo muto interrogativo ad Angela, vide gli occhi di lei illuminarsi e fargli un cenno per indicare che voleva parlargli. Appena potette, si precipitò al suo banco di lavoro con le mani che gli tremavano e attese la sentenza che le labbra di lei avrebbero pronunciato.
Giuseppe Minicone
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