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Writer Officina Blog
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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La mattina seguente, l'intero villaggio sembrava avvolto in un velo di cenere. L'aria era immobile, carica di tensione e paura. La notizia si era sparsa in fretta, come succede in ogni piccolo centro: prima sottovoce, poi a mezza bocca, infine apertamente, tra sguardi smarriti e frasi sospese. Alla locanda Wood Bay, dove i paesani si erano ritrovati quasi in modo naturale, si parlava sottovoce, seduti ai tavoli o in piedi vicino al bancone. Peter, Harry e Temper sedevano in disparte, con le tazze del caffè ormai fredde davanti. Nessuno toccava il cibo. «La moglie ha detto che non ha sentito nulla. Nemmeno un cigolio del pavimento, una finestra, niente.» Harry ruppe il silenzio, fissando un punto indefinito sul tavolo. Peter annuì lentamente. «Nemmeno un cane ha abbaiato. Nemmeno il mio. Nemmeno Bug. Ed è strano, perché Bug abbaia anche se cade una forchetta in cucina.» Temper tamburellava con le dita sul manico della tazza. «Nessuno ha visto nulla, nessuno ha udito nulla... ma qualcosa è entrato in quella casa. E ha ucciso un uomo nel suo letto. In silenzio.» Un vecchio seduto a un tavolo vicino si voltò, la voce roca: «Dicono che forse è un animale. Un predatore notturno. Uno nuovo, venuto giù dal bosco con questo cambio di stagione.» «No,» ribatté una donna più giovane, visibilmente scossa. «Se fosse un animale, i cani l'avrebbero sentito. Avrebbero reagito. Invece sono tornati feriti, terrorizzati e... muti. È come se qualcosa li comandasse.» Un altro, un uomo di mezza età con lo sguardo scavato e le mani tremanti, sussurrò: «Mia nonna parlava di spiriti dei boschi. Diceva che non bisogna costruire case vicino al confine degli alberi. Che certe presenze non vogliono essere disturbate.» Qualcuno rise nervosamente, ma nessuno lo seguì. Peter si sentiva vuoto. Era come se tutto ciò che aveva costruito, la sua logica, la razionalità da uomo di tecnologia e codici, stesse cominciando a sfaldarsi. Il video, il sangue, le coordinate GPS... tutto portava a qualcosa che non riusciva a spiegare. E per un uomo come lui, abituato a trovare sempre soluzioni, quel vuoto era peggiore della paura. «Forse...» disse lentamente, «non è tanto importante cosa sia. Ma perché. Perché colpisce i cani. E ora gli uomini. Perché sempre al volto.» Temper lo guardò fisso. «Magari per togliergli l'identità. O l'anima. Se qualcosa ha bisogno di cancellare chi sei... allora non è solo un predatore. È un messaggio.» Le voci si abbassarono ulteriormente. Nessuno sapeva davvero cosa pensare. Ma una cosa era certa: quella notte aveva cambiato tutto. Ora non si trattava più di cani, o coincidenze strane. Ora la morte era entrata nelle case. E tutti, nel villaggio, lo sentivano. Peter si passò una mano sul viso, ancora scosso dalla scena della notte precedente. Il caffè non gli andava giù, lo stomaco era un nodo. Ma fu in quel momento, come un lampo improvviso nel buio, che un pensiero gli attraversò la mente. La webcam. Quella che aveva fissato al collare di Bug. Non era una semplice videocamera. Era lo stesso dispositivo sperimentale che aveva usato durante lo sviluppo di Apotheosis, un prototipo militare in grado di catturare non solo immagini, ma anche dati topografici ambientali in tempo reale, per generare mappe tridimensionali dinamiche. «Dannazione...» sussurrò tra sé, alzandosi di scatto. Forse... forse, anche se il video era sfocato, forse tra i metadati del file c'erano tracce più chiare. Dati di profondità, rilievi termici, curve altimetriche. Qualcosa che, a occhio nudo, non si vedeva. Sembrava un'idea folle. Ma ormai tutto lo era. E in quell'assurdità, forse si celava una risposta. Nello sbigottimento generale, Peter si alzò di scatto, scaraventando la sedia a terra, e corse fuori dalla locanda, verso casa.
...
Peter era tornato a casa trafelato, con ancora negli occhi l'immagine del cadavere sventrato dell'uomo. Non perse tempo: si sedette alla scrivania, collegò la webcam di Bug al PC e iniziò il trasferimento dei dati. La barra di caricamento avanzava lentamente, mentre sullo schermo comparivano i primi file. Il sistema aveva registrato tutto: ore di riprese, ma soprattutto i metadati ambientali — i dati topografici a cui lui era più interessato in quel momento. Avviò il software di analisi 3D. Lo stesso che usava per il videogioco Apotheosis. Il motore grafico iniziò a ricostruire, in tempo reale, una mappa tridimensionale dell'ambiente percorso da Bug. Curve, depressioni, rilievi, tronchi d'albero, piccoli avvallamenti nel terreno. Il bosco appariva davanti ai suoi occhi in una grafica spettrale, come fatta di nebbia digitale. Peter avanzava lentamente lungo la timeline, osservando il percorso del cane nel cuore della notte. Poi si fermò. Nel punto in cui i cani si erano riuniti, qualcosa era apparso. Qualcosa che non avrebbe dovuto esserci. Davanti a sé, nelle coordinate esatte già registrate il giorno prima, si stagliavano delle forme... che non corrispondevano a nulla di conosciuto. Figure alte e sottili, come colonne deformi. Non alberi. Non rocce. Non animali. «Cos'è questo...?» mormorò Peter, zoomando sull'area. Le sagome non avevano contorni regolari. Sembravano ondeggiare. Alcune si piegavano, come fossero vive. Il sensore di profondità ne confermava la presenza fisica, ma al tempo stesso, nessun altro dato le identificava: né temperatura, né massa, né movimento rilevabile. Peter si ritrovò col fiato corto. Quelle presenze non erano state visibili a occhio nudo. Nemmeno nel video. Ma nel mondo digitale della mappa, c'erano. «C'erano davvero...» Apparvero per quasi un'ora, poi scomparvero del tutto, come se non fossero mai esistite. Eppure il TerrainScanner non poteva inventarsi nulla. Peter si accasciò sulla sedia, mentre un brivido gli correva lungo la schiena. Quel bosco, pensò. Quel luogo nasconde qualcosa che non appartiene al mondo reale. Peter fece avanzare lentamente la sequenza, spostando il cursore del software fino al momento in cui i cani si erano raccolti nel punto ormai tristemente noto al centro del bosco. Aveva già visto le sagome strane, ma qualcosa gli diceva che non era tutto. Ingrandì ulteriormente la vista tridimensionale, focalizzandosi sul centro preciso di quel cerchio formato dai cani. Fu allora che notò una distorsione anomala nei dati. Un'area ellittica, di pochi metri, dove i dati topografici sembravano impazzire: le altimetrie si invertivano, i livelli del terreno si piegavano su se stessi, come se una forza invisibile avesse curvato lo spazio. La visualizzazione si deformava lì, come se fosse presente una sorta di... assenza di realtà. Un buco nella normalità. Il cuore del cerchio era contaminato da qualcosa che il software non riusciva a rappresentare correttamente. Ogni tanto apparivano flash di geometrie impossibili—poligoni impazziti, triangoli che si rincorrevano, linee che si intrecciavano per poi dissolversi nel nulla. Una sorta di "rumore visivo", come un'ombra digitale senza consistenza. Poi arrivò il momento dell'attacco. Peter trattenne il fiato mentre faceva partire la riproduzione a velocità normale. Nel giro di pochi istanti, i cani iniziarono ad agitarsi. Alcuni scattarono in avanti, altri indietreggiarono. L'atmosfera si fece frenetica. Ed è lì che Peter li vide: entità distorte, impossibili da definire. Non erano figure umane. Non erano animali. Erano simili a... glitch. Errori informatici. Apparivano e scomparivano, come errori nella matrice del mondo. I loro corpi non avevano una forma coerente. In un frame sembravano arti segmentati, nel successivo un turbine nero pieno di staticità. Il software non riusciva nemmeno a tracciare i contorni. Ogni cane fu attaccato in pochi secondi. Le entità sembravano colpire senza toccare, come se la sola presenza bastasse a causare tagli profondi, lacerazioni, urla canine disperate. Peter si allontanò dallo schermo, inorridito. Non era solo paura quella che sentiva. Era qualcosa di più profondo. Di più antico. Era la sensazione che quel bosco fosse connesso a un'altra dimensione. Una realtà fatta di distorsione e terrore. Una realtà che aveva appena cominciato a manifestarsi. Peter restò immobile per alcuni minuti, fissando le immagini che continuavano a oscillare sullo schermo come se fossero vive. Il silenzio nella stanza era assordante, rotto solo dal ronzio sottile del computer. Cercò di razionalizzare. Di trovare una spiegazione. Una glitch del software? Un'interferenza nei dati? Ma nessuna teoria bastava. Quei dati non erano corruzione casuale. Quelle figure, quelle distorsioni, avevano un'intenzionalità. Una logica sconosciuta. Come se qualcosa avesse deliberatamente lasciato un'impronta non nel mondo reale, ma nei dati stessi. Era una visione, sì. Ma non una visione dell'occhio umano. Era qualcosa che si rivelava solo a chi sapeva leggere i codici, le profondità numeriche nascoste sotto la superficie del reale. Un livello percettivo alieno. Altro. Peter si sfregò le tempie con forza, quasi a voler scacciare il senso di vertigine che gli cresceva dentro. Una parte di lui voleva chiudere tutto, dimenticare. Lasciare Boogerville per sempre. Ma l'altra sapeva che aveva appena varcato una soglia. Che ormai era dentro. E che doveva andare fino in fondo. Aprì la finestra di salvataggio del file. Il cursore lampeggiava accanto alla scritta “Untitled_3DScan”. Lo fissò per un lungo momento, poi iniziò a digitare lentamente, quasi con rispetto. Ogni lettera sembrava pesare. X-E-N-O-V-I-S-I-O-N Un nome nato dall'intuizione e dal terrore. La parola che definiva ciò che aveva visto: una visione estranea, aliena, impossibile da spiegare. Ma assolutamente reale. Premette “Invio”. Il file si salvò, ma Peter capì che nulla sarebbe stato più come prima. Quella visione estranea aveva aperto una porta verso l'ignoto. E ora toccava a lui scoprire come chiuderla. |
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