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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Black
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Harrison è una cittadina dell'Arkansas considerata la più razzista degli Stati Uniti d'America. Tra vicoli e strade si leggevano cartelli e manifesti di incitamento all'odio. Un cartellone con la scritta The black race matters (la razza nera è importante) fu rimosso, e in seguito si fecero sempre più numerose le manifestazioni che inneggiavano al suprematismo bianco. Da qui ebbe inizio la storia di Oliver Jackson. Jason White era un suo compagno di scuola. Oggi ha solo dei tristi ricordi e un dolore che gli ha cambiato la vita. Oliver aveva nove anni quando subì la prima aggressione. In classe, su venti alunni era l'unico di colore e se ne stava sempre in un angolo, isolato da tutti. Un giorno, Jason decise di sedersi accanto a lui. Aveva gli occhi puntati addosso, poi uno dei suoi compagni cominciò a insultarlo. All'uscita di scuola le cose non si placarono. Oliver si mise in mezzo per evitare liti ma prese un pugno. Jason cercò di calmare tutti, ma i ragazzi che li avevano circondati continuavano a urlare: «Sei amico di un negro». A quegli insulti rispose: «Il vostro odio non ha senso». Da quel giorno nessuno gli rivolse la parola. A lui non importava, si era sentito in dovere di difendere il compagno, ma dopo l'accaduto per giorni rimase a digiuno: ogni boccone gli provocava il vomito, tanto che i suoi genitori si preoccuparono. Ad Harrison le aggressioni contro la gente di colore erano all'ordine del giorno, e si viveva nell'angoscia.
Molti erano i feriti durante le risse, ma giunta la polizia era come se non fosse accaduto nulla. Di fronte alla scuola stava seduto un vecchio con accanto un bastone, il “vecchio Thomas”, lo chiamavano. Era un uomo solitario, da qualche anno in pensione per i suoi acciacchi, proprietario di una ferramenta a circa cinquanta metri dalla sua casa; non aveva figli, e sua moglie era morta cinque anni prima per un tumore ai polmoni. «È un alcolizzato e impiccione», mormorava la gente. Con un paio d'occhiali spessi un dito, ogni tanto leggeva un giornale, spettatore e testimone di tutto quello che accadeva. Era noto nel quartiere per un alterco avuto con il barbiere della zona, dopo che fu negato l'ingresso a Oliver, per aver tentato di cancellare le scritte: vietato l'ingresso ai negri. A nulla era valso l'intervento di alcuni manifestanti affinché quei cartelli fossero rimossi, e molti afroamericani a partire da quegli anni iniziarono ad abbandonare la città. Oliver, sebbene non fosse un gigante, celava un sogno nel cuore: giocare a basket. Nella zona centrale della città alcuni ragazzi organizzavano tornei, con l'unico e solito problema dell'esclusione dei giocatori di colore; ma lui, tenace e consapevole, non si dava per vinto. Il preside e docente di matematica, prof. Liam Miller, era un attivista convinto dei diritti degli afroamericani, un bianco simbolo di bontà fondatore del gruppo Respect and dignity for every man. Malvisto per le sue idee, dopo una violenta lite in classe dovette sospendere alcuni ragazzi. Passarono dei mesi e la sua auto prese fuoco nel cortile di casa. Alla successiva denuncia, la polizia gli rispose che l'incendio era stato provocato dall'impianto del motore.
Le forze dell'ordine remavano contro ogni forma di ribellione a favore degli afroamericani. Una sua iniziativa vietata dalle televisioni locali fu oggetto di minacce. A scuola organizzava riunioni per parlare di discriminazioni e diritti civili, spesso con pochi presenti; e non mancavano i suoi interventi affinché fossero rimosse le sempre più numerose scritte offensive sui muri del cortile. Ma la sua arma migliore era l'atteso torneo di basket. Da organizzatore includeva nelle squadre diversi giocatori di colore. Molti s'irritarono quando nella sua classe fu scelto, per la rappresentativa scolastica, proprio Oliver, ottimo playmaker. Fu una bella risposta all'invidia del perfido compagno di classe, Daniel Martin, già capitano della squadra anni prima. Era il bullo della scuola, un tipo arrogante e presuntuoso, in passato più volte sospeso per comportamenti violenti. Non si limitava a distinguere il bianco o il nero, poiché violento con tutti. Il professor Liam lo estromise dalla squadra. Il padre di Daniel era un tossicodipendente, in carcere da cinque anni per spaccio, rapina e detenzione di armi illegali, noto alla polizia per “la rapina del secolo”. In una banca di Harrison, quasi impenetrabile, l'uomo era riuscito a entrare dalle fognature, equipaggiato e dotato di armi, e con la complicità di alcuni dipendenti era venuto a conoscenza di tutti i dettagli: entrate e uscite di emergenza ed elementi che potessero servire al successo dell'operazione. Era stato tutto studiato perfettamente. Possedeva una mappa dei sotterranei adiacenti al complesso bancario. Un'impresa con un bottino di circa cento milioni di dollari, una cifra pazzesca! I rapinatori però non avevano fatto bene i conti poiché, nonostante i complici, l'uscita fu più complicata del previsto. Oltre l'orario di apertura, infatti, nessuno poteva accedere alla banca o uscirvi. Il direttore aveva fatto istallare un allarme e il blocco delle porte. Dopo l'arresto di Martin, il procuratore fece condannare tutti i complici: sette addetti bancari e il gruppo di quattro rapinatori. La notizia ebbe un'eco mediatica straordinaria. La banca di Harrison fino ad allora era stata la più sicura degli Stati Uniti d'America.
Jason era l'unico a chiamare Oliver per nome. Per tutti, invece, era solo “Black”. Nero o negro faceva lo stesso, come un marchio che lo distingueva dagli altri. C'erano ostilità e disprezzo negli sguardi dei compagni. Ma da dove nasceva tutto questo odio? Una sorta di insofferenza verso gli “uomini forti”? Per il colore della loro pelle scura sotto il sole cocente, impenetrabile e capace di resistere alle intemperie venti ore al giorno a lavorare nei campi, cosa impensabile per un uomo bianco?! Senza contare poi la storia dello sport e il dominio incontrastato dei neri nel basket, nell'atletica leggera, nel pugilato e in tante altre discipline sportive. Il 16 ottobre 1968, alle Olimpiadi del Messico, durante la premiazione, due atleti alzarono il pugno al cielo. Fu una presa di posizione contro il razzismo che i due atleti pagarono cara. Quel giorno, gli americani Tommie Smith e John Carlos, mentre suonava l'inno statunitense alzarono il pugno guantato di nero e abbassarono lo sguardo. Il gesto era un simbolo per l'emancipazione degli afroamericani, una denuncia delle discriminazioni che, nonostante la rimozione delle leggi segregazioniste, negli Usa continuavano. Gli atleti si erano presentati scalzi, ai piedi solo calze nere per simboleggiare la povertà degli afroamericani d'America. Oliver sognava di emulare quei campioni, di diventare un professionista dello sport al servizio della gente. Non tardò a esplodere il suo talento: anche se a fatica, si fece apprezzare dai compagni per le sue gesta atletiche. Quando andava a canestro si elevava di quasi un metro e mezzo. Quelle immagini avevano fatto il giro del mondo, grazie alle sue imprese nella rappresentativa scolastica. Nel settembre del 1973, Oliver aveva sedici anni. Ogni tanto si cimentava nella lettura di qualche libro: dai record delle corse su strada alle imprese leggendarie di Muhammad Alì. Raccontava spesso con orgoglio la forza e il coraggio di quegli uomini. Usava un segnalibro con la scritta pace e amore, con il quale bloccava le pagine come se si fosse lì fermato il tempo, a rimarcare frasi che gli erano entrate nel cuore e che leggeva centinaia di volte. Ventisette milioni di persone vivono in schiavitù, e oltre un miliardo non sa leggere. Le parole di quei libri erano impresse nella sua mente. Il ragazzo era affascinato dai personaggi che avevano segnato la storia lottando in nome della giustizia: da Mahatma Gandhi a Nelson Mandela, passando per Martin Luther King e Malcom X. La non violenza, forza più potente di qualunque arma, opera dell'ingegno umano: una delle tante frasi celebri che avevano scosso le coscienze. Dalle numerose letture aveva imparato molto. Quelle pagine, divise da un segnalibro, simbolicamente erano il presente e il futuro. Il fascino dell'eroe, con i suoi occhi arrossati dal pianto, gli arrivò attraverso la lettura della vita di Muhammad Alì, un campione dall'infanzia difficile, che aveva lottato contro la segregazione razziale, come potevano testimoniare i ricordi della madre che aveva visto il figlio subire, perché di colore, il divieto di comprare una bottiglietta d'acqua in un negozio. Oliver stava maturando l'idea di diventare un attivista, sulla scia dell'impegno e del coraggio del professor Liam Miller. |
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