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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Raccontami di Lea
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Si misero i giacconi e uscirono nella notte. Sonia aveva una 500 nera, che a Jonas piacque molto. Aveva un buon profumo e lei la guidava dolcemente. Dopo poco, si trovarono su una strada che usciva da Siena. I cartelli illuminati dai fari indicavano nomi di paesi che non aveva mai sentito nominare. Jonas era abbastanza curioso di capire dove stessero andando. Ma la visibilità in alcuni tratti della strada era piuttosto scarsa. Sonia non parlava molto. L'autoradio diffondeva musica strumentale che lui non conosceva. Jonas rifletteva sul fatto che il suo dolore in quei momenti sembrava essersi in parte nascosto sotto una specie di coltre anestetica, che lo portava lontano dai pensieri quotidiani. A un certo punto, la strada si fece più stretta e Sonia rallentò. Entrò in una radura e fermò l'auto. «Scendiamo un attimo.» «Ma qui nel buio?» «Sì, fidati.» Jonas era quantomeno perplesso. Ma le diede retta e scese. C'era un po' di freddo, ormai erano immersi nella notte. Si sentiva il rumore dell'acqua di un torrente che scorreva più in basso. Tra gli alberi soffiava un vento piuttosto gelido. Percorsero un tratto di strada a piedi nell'oscurità e Jonas stava cominciando a temere che la serata potesse riservare qualche pericolo inatteso, quando Sonia si arrestò. «Eccoci.» Non si vedeva nulla di particolare, se non una curva con un guardrail di protezione e un ponte piuttosto diroccato che doveva essere molto antico. Alla luce della luna, Sonia sembrava trasfigurata. Teneva lo sguardo sul ponte come se aspettasse di vedere qualcuno. Jonas si schiarì la gola. Poi chiese: «Esattamente, cosa stiamo facendo qui?». «Questo è il ponte chiamato Ponte della Pia, proprio per la stessa donna di cui ti ho parlato quando guardavamo il quadro di Rossetti. Si narra che lei attraversò questo ponte per raggiungere la Maremma. La donna fu uccisa dal marito che l'aveva rinchiusa nel suo castello e che non la voleva più come moglie perché non poteva dargli figli. In realtà ci sono varie leggende su questo delitto. Qui sotto scorre il torrente Rosia, e la stradina che si imbocca dopo aver attraversato il ponte conduce a un eremo. Si dice che qui si possa vedere il fantasma della Pia...» Jonas rabbrividì. «Ma per quale motivo ti interessa vedere il fantasma della Pia?» «Perché, se lei può comparire qui, allora anche mio fratello può farlo. Anche tua moglie e le tue figlie.» Un brivido profondo scosse Jonas. Non aveva mai pensato di rivedere le persone a lui più care sotto forma di fantasma e nemmeno lo desiderava. Preferiva ricordarle com'erano nella sua memoria e com'erano nelle foto. «Ma scusami, se dovessi vedere il fantasma di tuo fratello, cosa vorresti fare, dirgli qualcosa?» Jonas si voltò verso Sonia e si rese conto che la ragazza aveva gli occhi lucidi. «Vorrei... vorrei solo chiedergli scusa, dirgli che non era importante che andasse a prendermi la bambola, sarei stata felice lo stesso e lui sarebbe ancora qui. E io non proverei felicità maggiore del poterlo rivedere per un istante.» «Ascolta Sonia, io credo che, se c'è un'altra vita, tuo fratello debba sapere benissimo che non lo avresti mai mandato a morire, se avessi immaginato cosa sarebbe potuto accadere. E davvero, non penso che tu debba venire in pieno inverno di notte, davanti a un ponte quasi in rovina, per parlare con lui. Tra l'altro, rischiamo anche di farci investire qui sul guardrail...» Sonia sembrava sconvolta. «Io vengo qui perché sento che qui ho possibilità di mettermi in contatto con lui, pensavo che avresti capito, almeno tu che hai avuto un grave lutto come me.» «Ma io ti capisco, Sonia» disse lui, mettendole un braccio sulle spalle con gesto fraterno. Lei cominciò a piangere come una bambina. A quel punto Jonas l'abbracciò. Un'ondata di emozioni lo travolse, perché era dai tempi del rapporto con sua moglie che non aveva più abbracciato nessuno. Il calore di Sonia gli dava un senso di appartenenza alla vita che aveva perso di vista. L'oscurità del luogo, il silenzio, la luce della luna, il risuonare dell'acqua in lontananza creavano un'atmosfera surreale che mai Jonas avrebbe pensato di vivere in quel 31 dicembre. Una serata che fino a pochi giorni prima aveva immaginato di trascorrere andando a dormire presto come sempre. In quella situazione così particolare, si rese conto ancora una volta che non sarebbe stata la solitudine a curare la sua anima, ma l'aprirsi ad altre persone. Per la prima volta dopo due anni, si sentiva lui il più forte, in grado di consolare una persona in stato di fragilità emotiva. Avrebbe fatto del suo meglio per dare conforto a Sonia. Cominciò a parlarle in maniera sommessa, mentre se ne stavano appollaiati sul muretto vicino al guardrail, davanti al ponte, cercando di sopperire con il tono suadente delle parole all'ovvia difficoltà che provava nel sostenere una persona che viveva il suo stesso tipo di sofferenza. Lei si accese nervosamente una sigaretta. «Ascoltami Sonia, tu e io abbiamo provato un dolore simile. Ma noi non siamo morti e, in qualche modo, dobbiamo continuare a vivere. Tu ti fai tormentare da un senso di colpa che non ha motivo di essere. Sei mai tornata da uno psicologo, dopo i colloqui che ti fecero fare quando era appena accaduto?» «No, non ho fiducia in quel tipo di supporto, mi dispiace. Te l'ho detto, ne ho avuti diversi e non hanno risolto nulla. Forse ero anche io che mi aspettavo miracoli, ma non ho avuto benefici.» «Certo può dipendere anche dal tuo atteggiamento. Io ci sono andato per un periodo, subito dopo l'incidente, non mi ha tolto il dolore, ma mi ha aiutato a non colpevolizzarmi senza ragione.» «Ma tu che colpa avresti dovuto avere?» chiese lei. «La colpa di non essere stato presente nel momento dell'incidente. Ero a una riunione che si era prolungata. A volte uscivo prima per passare un po' di tempo con loro, ma quel giorno non mi fu possibile.» In quel momento si udì un sibilo e cominciò a levarsi un vento più impetuoso. Sonia rimase interdetta. «Cos'è?» chiese allarmata. «Sembra un temporale in arrivo, ma è strano, fino a poco fa non stavamo osservando la luna piena in un cielo limpido?» «Infatti.» Anche l'acqua sembrava diventare più grossa, il rumore era più forte e si cominciarono a udire grida di uccelli, forse corvi o cornacchie. Sonia si strinse a Jonas. Poi estrasse il cellulare dalla tasca e premette Rec per registrare i suoni di quel momento. Jonas la guardò stupito, poi si ricordò della sua strana abitudine. «E se...» Una luce insolita sembrava ora baluginare sul ponte, una luce che prima non c'era... che fosse davvero...? Forse era solo una nebbiolina, ma poteva sembrare anche qualcosa di soprannaturale. «Non lasciamoci suggestionare» disse Jonas «E perché?» rispose lei. «Immagina invece che davanti a noi compaia proprio il fantasma della Pia, cosa le chiederesti? Non ti verrebbe voglia di sapere da lei se esiste un aldilà, se ha incontrato qualche anima nel suo percorso?» «No, Sonia, perché io non sono Dante Alighieri e le anime preferisco lasciarle al loro posto. Non andiamo troppo in là. Anzi, che ne dici se, dopo essere stati in questo posto così suggestivo – e ti ringrazio per avermi portato qui – non torniamo nella tua galleria o ovunque preferisci, e passiamo un altro po' di tempo insieme tranquilli?» Solo dopo aver pronunciato queste parole, Jonas si rese conto che quello che aveva detto poteva sembrare una proposta di andare oltre e non era quello che intendeva. Sonia restò per qualche istante in silenzio. Poi, pian piano, sembrò riprendersi da una specie di trance dolorosa e fece cenno di sì a Jonas con la testa. «Hai ragione, indulgo troppo nella mia malinconia e questo luogo la amplifica. Vieni, torniamo alla macchina.» Rifecero un pezzo di strada a piedi nel buio. Un'auto passò veloce lungo la strada e Jonas ebbe paura che potesse travolgerli. Finalmente entrarono nella 500. Sonia aveva le mani gelide e le infilò in silenzio tra le dita di Jonas. Lui rimase sorpreso, poi cercò di scaldarla. In quel momento lei aveva palesemente l'aria di una persona fragile che vuole essere abbracciata, ma Jonas era ancora esitante. Non se la sentiva di andare oltre ma, allo stesso tempo, non riusciva a capire se stesso. Le disse: «Tante volte mi sono interrogato sul dolore, sul perché, all'improvviso, la serenità possa essere strappata via con tanta violenza. Sul perché alcune persone vivano una vita abbastanza serena e altri passino da un dolore all'altro. Di sicuro una risposta non c'è, si sono interrogate generazioni di esseri umani su queste tematiche. Ma non sempre riusciamo ad avere la corazza giusta per affrontare tutto questo. Però il conforto di una persona affine aiuta molto e io lo sto provando con te». «Aiutiamoci, Jonas...» disse Sonia con un filo di voce. «Vuoi che guidi io?» chiese lui e la ragazza annuì. Il silenzio della notte, che riempiva le strade nel buio, era come una calda culla. Jonas guidava tenendo la mano di Sonia. Si era reso conto che esporre il proprio dolore in un momento così particolare come quello della notte del 31 dicembre, davanti a un ponte solitario, era servito in parte a esorcizzarlo. Adesso quel dolore non era più solo suo ma era anche di Sonia, così come il dolore di Sonia era anche suo. E questo, in un certo senso, aveva creato un legame profondo tra loro. Erano le 23:45 quando rientrarono nel rifugio di Sonia, tra i quadri e le stampe dei Preraffaelliti. Sonia si sedette su uno sgabello e altrettanto fece Jonas. «Sarà un Capodanno strano,» disse lei «potremo brindare con un po' di succo di arancia o con dell'acqua frizzante... No, aspetta!» Scese dallo sgabello e andò a frugare sotto un tavolino. «Eccole, ho ancora delle birre! Un po' di alcol, anche se minimo, ci vuole stanotte.» Jonas sorrise. «Hai perfettamente ragione» mormorò. Sonia portò anche dei salatini e dei crackers, oltre ai panini preparati prima che ancora non avevano mangiato. «Il nostro sarà un Capodanno solitario e riflessivo, spero non ti dispiaccia...» commentò. «L'ideale per me» rispose Jonas, cercando di non suonare ironico, perché lo pensava davvero. Poi le chiese di mostrarle i suoi quadri e Sonia lo fece entrare in una saletta a parte, dove erano posate alcune tele che raffiguravano alberi scheletrici e sagome nere. Quadri che esprimevano un mondo fatto di sentimenti cupi. Jonas osservò Sonia con un senso di tenerezza infinita, perché lei gli aveva davvero mostrato la sua anima. Si abbracciarono. |
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