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Writer Officina Blog
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Oscuri segretiI
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E vien la notte (Agosto 2012).
Il profumo della terra, appena umida nella notte primaverile, le ricordò le serate passate in cerca di lucciole. Distese le labbra in un sorriso infantile e ingenuo, velato da una lieve inquietudine. Giunta sotto il grande castagno, al limitare della proprietà, si mise seduta per guardare le stelle e assaporare il silenzio. In lontananza una civetta emise il suo canto e volò tra i merli del maestoso castello, che giaceva addormentato. Vinta dalla stanchezza, sentì le palpebre e le membra farsi pe santi, fino a perderne il controllo e sprofondare nell'abbraccio di una sonnolenza improvvisa. Di colpo trasalì nell'udire un rumo re: qualcuno o qualcosa stava giungendo alle sue spalle. — Chi c'è? — chiese, guardandosi attorno. L'unica risposta che ottenne, fu un respiro affannato. Scrutò nel buio, con occhi spalancati dal terrore, e fu allora che lo vide. L'ansia l'attanagliò, serrandole la gola. Tremando, si alzò e iniziò a correre verso una siepe di alloro. I rami e le foglie la graffiarono, offrendole in cambio un riparo sicuro. Nascosta, trattenne il respiro e osservò il buio, strizzando gli occhi fin quasi a farsi male, per mettere meglio a fuoco le immagini. Quando le ombre si diradarono, accompagnate dal riflesso della luna, temette di essere stata vista, nonostante avesse trovato un buon nascondiglio. La sagoma scura vacillò, poi si mosse nella sua direzione. Lei si sentì morire ma non si arrese. Cercò una via di fuga, correndo e ingollando aria che le bruciava la gola e i bronchi. Un attimo, un rumore secco e poi ci fu soltanto l'intuizione del dolore, l'odore del sangue e la presenza della morte. Capì che nessuna strada l'avrebbe potuta portare abbastanza lontana.
L'eredità dei Gherardinis
Carlotta si guardò allo specchio. L'abito indossato per l'occasione la faceva sembrare una triste e grassa signora dell'aristocrazia, in attesa del tè delle cinque. Arricciò il naso in una smorfia poi si voltò di scatto e diede un'occhiata fugace all'orologio da parete: l'avvocato era in ritardo. Sospirando iniziò a ispezionare la stanza, analizzò il calendario, fermo a luglio 2021 nonostante agosto fosse già iniziato da un po', poi si concentrò sul quadro che rappresentava Alberto Zecca, capostipite della famiglia dell'avvocato e amico intimo della bisnonna Carlotta Lisa Gherardinis. Il volto austero sembrava fissarla con occhi impietosi, quasi a giudicarla dall'alto della sua posizione. Un'ombra, appena percepita con la coda dell'occhio, la distrasse. Voltandosi, scorse una sagoma scura che scomparve dietro a un altro dipinto. Carlotta chiuse gli occhi e si diede un pizzicotto: quello non era il momento per ave re un colpo di sonno. Incubi e visioni avrebbero dovuto aspettare, non poteva lasciarsi distrarre, ma la curiosità vinse e fece qualche passo in avanti per osservare il soggetto riportato su tela. Quando capì che si trattava del castello di famiglia, provò una dolorosa stretta allo stomaco. — È una coincidenza — disse allontanandosi. Impaziente, la ragazza iniziò a passeggiare, rimbalzando da un punto all'altro della stanza, ripetendo a bassa voce il discorso che si era preparata. L'odore di polvere e vecchi mobili rendeva l'aria irrespirabile perciò decise di aprire una finestra. Senza interrompere la cantilena, Carlotta afferrò la maniglia girandola con decisione. L'infisso oppose resistenza, e lei lo strattonò con forza facendone vibrare i vetri, fin quando non cedette lasciandola cadere per terra. Un colpo di tosse riecheggiò nella stanza dalle alte volte, bloccandole in gola l'accenno di una risata isterica. Seduta sul pavimento, la ragazza si voltò versò la porta d'ingresso e fece un mezzo sorriso imbarazzato all'uomo che la stava f issando con aria preoccupata. — Avvocato Zecca — borbottò alzandosi e cercando di ricomporsi. Lui la squadrò e, senza dire niente, le fece cenno di accomodarsi su una delle sedie attorno al grande tavolo di legno massello. — Da quanto è arrivato? — Carlotta si mise seduta al margine, rimanendo in tensione, come se fosse pronta alla fuga. Zecca si avvicinò, avvolto nel fruscio della morbida stoffa del costoso abito di sartoria, e le mise una mano sulla spalla. Carlotta sentì un brivido che, partendo dalla base della nuca, le percorse tutta la schiena, facendole accapponare la pelle. — Sei tesa? — le chiese, con ostentata gentilezza. Cercando di riprendere il controllo, lei inspirò una grossa quantità d'aria, espirandola piano, fino a vuotare i polmoni. — Ha letto il progetto che le ho inviato? — Odiava i convenevoli e, soprattutto, non sopportava lui, che ogni volta la faceva sentire un essere inferiore. Zecca scosse il capo arricciando le labbra, emettendo un soffio simile a un sibilo, poi disse con voce decisa: — Car lotta cara, vorrei sapere cosa ho appena visto, — le mise anche l'altra mano sulla spalla e lei si sentì schiacciare dal peso del contatto. — Non capisco, — cercò di alzarsi ma lui la trattenne. — Mi è sembrato tu stessi parlando da sola, — scandì le parole, come se stesse spiegando qualcosa a una bambina. Carlotta provò un'ondata di calore improvviso, che le incendiò il volto. — Stavo soltanto pensando a voce alta — affermò, trovando il coraggio di alzare lo sguardo da terra. Zecca inclinò le labbra, in qualcosa di più simile a un ghigno che a un sorriso, poi la costrinse a mettersi in piedi e voltarsi. — Sono ricominciate le allucinazioni? — chiese con fermezza. Lei lo fissò, cercando di non lasciarsi intimidire dalla sua figura imponente e autoritaria. — Il progetto che le ho inviato riassume in maniera chiara le voci di spesa e gli interventi da fare alla struttura, ma anche i possibili utilizzi e le relative entrate... — iniziò a recitare il discorso imparato a memoria, a sostegno di quel la che, adesso, non le sembrava più un'idea tanto geniale. L'uomo la guardò con un misto di compassione, poi riprese: — Ho saputo che non sei più in cura da... — Avvocato Zecca! — alzò la voce, interrompendolo. — Eugenio. Ti ho detto più volte di chiamarmi per nome. Ti ho visto nascere. Sei come una figlia. — Avvocato! — urlò trattenendo a stento la rabbia. — Se ritiene che il progetto non sia valido, me lo dica, sia chiaro, ma non tiri in ballo... — Sai che sono in pena per la tua salute. — Questa volta fu lui a interromperla. — Non è un suo problema. Ho quasi trent'anni, so badare a me stessa. Zecca scosse il capo e socchiuse gli occhi: — Tua nonna si è più volte raccomandata di vegliare su di te. Lo sai che la schizofrenia può essere ereditaria. — Abbassò lo sguardo. Carlotta lo sapeva bene, purtroppo. La matriarca della famiglia Gherardinis non aveva mai perdonato a sua madre di aver minato con il gene della malattia mentale la discendenza della famiglia, e non perdeva occasione per ricordarglielo, anche adesso che era morta e sepolta. — Sono ancora padrona della mia vita, se è questo che la preoccupa. E vorrei ricordarle che, fino a prova contraria, è grazie alle parcelle che le ha pagato la mia famiglia, se si può permettere un ufficio così lussuoso, nel centro di Campo. — Voglio una risposta. — Non è il caso di alterarsi. Quando fai così somigli fin troppo a tua nonna, ma questo mi rassicura — sembrò rilassarsi. Carlotta lo fissò, furente. — Adesso calmati, torna a sedere e parliamo d'affari — disse lui sedendosi a capo tavola.
Martina distolse lo sguardo dal cellulare. Cominciava ad annoiarsi. Sarebbe voluta salire nello studio di Zecca per dare una mano alla sorella ma Carlotta si era raccomandata di non intromettersi. Quando la vide correre fuori dal portone d'ingresso, con un'espressione di trionfo, si sentì sollevata. Mise in moto la Mini turchese e le andò incontro, accostando accanto al marciapiede. — Allora? Com'è andata? — Si sporse dal finestrino, accogliendola con un sorriso. — Ha approvato il progetto! — disse salendo e chiudendo lo sportello. Martina squadrò la sorella, poi mise la freccia e s'inserì nel traffico. — Non mi sembri troppo felice — disse, controllando lo specchietto retrovisore. Carlotta si passò una mano tra i capelli. — La nonna mi ha nominato erede, non aveva altra scelta. — Sì, ma tu hai avuto un'idea geniale, che gli ha fatto capire che te lo meritavi — la interruppe, sterzando per evitare uno scooter. Carlotta sospirò. — Ha detto che veglierà su di me — lo scimmiottò. — Ho paura che s'inventi qualcosa per fregarmi. Martina la guardò di sfuggita, tornando subito a concentrarsi sulla strada, prima di chiederle: — In che senso? — Se tira in ballo la malattia di mamma e i miei problemi dell'anno scorso... ha molte conoscenze e potrebbe riuscire a farmi interdire. Martina inchiodò, suscitando un coro di clacson alle sue spalle e raccogliendo qualche invettiva. — Non dirlo neppure per scherzo. Tu non sei malata. — Ingranò la marcia e ripartì schizzando. — Lo so. E lo sai anche tu... ma il resto del mondo potrebbe non crederci. Le cose che mi succedono non sono normali. Le due sorelle rimasero in silenzio per il resto del viaggio fin quando, passando davanti a un bivio, Carlotta si risvegliò dal torpore. — Svolta a sinistra — ordinò. Martina eseguì, senza rendersi conto di dove conducesse la deviazione, fin quando non giunsero di fronte a un imponente cancello di ferro battuto, arrugginito e fatiscente. In alto, a dominare la vallata e il borgo che si stendeva ai suoi piedi, il castello Gherardinis sembrava un animale addormentato in un sonno secolare. |
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