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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Respira finché puoi
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Beatrice.
Mentre sistemo la scrivania e riordino i pensieri, sento il campanello della porta. Il mio nuovo paziente è arrivato. Inspiro profondamente e mi avvio con passo sicuro ad accoglierlo. Il primo incontro con un paziente è sempre un momento delicato, un equilibrio sottile tra due fasi: accoglienza e osservazione. Non esistono solo le parole: osservo gli sguardi, la postura, le esitazioni nel tono di voce, i piccoli dettagli che rivelano molto. Le parole possono mentire, il corpo è più decifrabile. Apro la porta con un sorriso professionale e gentile. Davanti a me, vedo un uomo sulla cinquantina, dall'aria seria. Con la mano sinistra stringe il bordo della giacca, la destra è nella tasca; il suo sguardo si muove rapido, senza guardarmi direttamente. L'uomo si fa avanti e gli porgo la mano, come si fa tra persone che si incontrano per la prima volta. Noto immediatamente un'esitazione, prima che lui si decida a ricambiare la mia stretta di mano. Il suo palmo è secco, non stringe con molta forza. “Ci siamo,” dico a me stessa. “Ecco un altro che non tollera il contatto fisico. Chissà se fa così con tutti o solo con le donne. Se lo fa sempre o no. Vedremo...” Mi sposto di lato e lo guido verso la stanza dove ricevo i pazienti. «Buongiorno, prego, si accomodi. La segretaria è in ferie, ed è anche sabato. Perciò, siamo solo io e lei.» La mia voce è calma, priva di fretta. Lo invito a sedersi sulla poltroncina di fronte alla mia, lasciando un giusto spazio. Non uso mai barriere tra me e i pazienti, e di certo non utilizzo un lettino. Il mio primo colloquio serve a costruire un ponte di fiducia. Il paziente deve sentirsi accolto, senza il peso del giudizio. Per questo, inizio con domande semplici, lasciando che lui si ambienti. «Iniziamo a presentarci. Io sono la dottoressa Beatrice Berardi. Signor Santoni, mi può dire il suo nome proprio?» «Caio Santoni. Sono di Petraura.» «Sì. Mi sembra di averla già vista ma non ricordo dove. Che mestiere fa?» «Ho una mia piccola impresa a Petraura, una stazione di servizio, vendo carburanti sulla strada provinciale che va verso Via dei Monti.» Conosco il posto. È alla periferia a nord, su una strada abbastanza trafficata. Era nata durante la Seconda guerra mondiale per rifornire di carburanti le ambulanze e i mezzi militari. So che adesso vende anche le bombole di ossigeno per gli ammalati e gli ospedali, per le imprese locali che usano l'azoto per i motori, per gli impianti di raffreddamento. Non molto grande, ma s'è bene posizionata nel mercato, nonostante non abbia l'insegna di una qualche importante marca. L'uomo sembra a suo agio nel proseguire a descrivere la sua attività, per cui lo lascio parlare, mentre lo studio attentamente. Mi sta dicendo: «Appartiene alla mia famiglia, fin dal 1936. Prima gli affari andavano meglio, adesso subiamo molto la concorrenza dei grandi marchi. Siamo piccoli ma autonomi, per cui comperiamo i carburanti a prezzi di mercato, dov'è più conveniente, giorno per giorno.» Non ho mai fatto caso all'uomo, perché viaggio quasi sempre verso sud e non mi rifornisco mai in quella stazione. Per questo non l'ho riconosciuto, quando me lo sono visto arrivare in studio. Gli chiedo, curiosa: «Mi può dire chi l'ha indirizzata da me?» Non è raro che i pazienti mi arrivino dai medici di base o da specialisti, che hanno fallito le cure con le medicine tradizionali e suggeriscono un percorso di terapia psicologica. Ma quel paziente mi stupisce rispondendomi: «Mi è stata suggerita da mia madre. Si chiama Ernesta ed è amica di sua zia Teresa. Si vedono al bistrot o in libreria, per lavorare a maglia o cucire. Mia madre sa tutto dei miei problemi, perciò qualche giorno fa ne ha parlato con sua zia. Le ha dato il suo telefono, per aiutarmi a prendere questo appuntamento.» A Petraura, tutti conoscono Zia Terry, è un'istituzione. Non mi stupisco più di tanto che abbia fatto il mio nome, ma resto perplessa pensando che negli ultimi giorni ci siamo viste più volte, ma lei non mi ha detto nulla del nuovo paziente in arrivo. Peccato, perché qualche suo buon suggerimento mi avrebbe fatto comodo per inquadrare meglio e in fretta le eventuali patologie o i problemi specifici di Caio Santoni. In fondo, non le sarebbe costato molto darmi un consiglio, basato su fatti e pettegolezzi, praticamente indistinguibili tra loro, visto che la madre del paziente frequenta il suo Club Taglia e cuci, che mia zia ha fondato e presiede. Lei e le sue amiche si riuniscono tutti i mercoledì nel retro della locale libreria “Pagine e peccati”, per sferruzzare e cucire, mentre le loro menti sono attivamente al lavoro con gli aggiornamenti e le ultime notizie sul paese. In quelle occasioni, più che i punti a maglia sui ferri, raccolgono pettegolezzi, o li confezionano abilmente. Ma mi ritrovo a pensare che, evidentemente, zia Terry è anche donna capace di mantenere un corretto riserbo, perché non mi ha messa al corrente dell'arrivo di questo particolare paziente. Mi domando chi sia sua madre Ernesta, perché non ricordo d'avergliela mai sentita nominare. Comunque, anche se il paziente non mi sembra agitato, bisogna che lo metta a suo agio e chiarisca alcuni punti. Per cui, inizio a spiegargli i tempi e i metodi che possono essere impiegati nel suo trattamento, gli dettaglio la procedura. Gli spiego: «Voglio chiarirle il percorso che possiamo fare insieme. A scanso equivoci, prima di decidere quale approccio sia meglio nel suo caso, se quello psicologico o psicoterapeutico, parleremo almeno un paio di volte. Non le chiameremo sedute, ma solo incontri. Le va bene?» Visto che la risposta non arriva, e lui sembra guardare fuori dalla finestra, proseguo, prudentemente: «In ogni caso, le premetto che non prescrivo alcun tipo di farmaco. Per quelli, esistono i medici e gli psichiatri. Mi ha compreso?» Adesso, l'uomo muove gli occhi qua e là, osservando tutto nella stanza. Dimostra più della sua età, panciuto e con baffi scuri, in contrasto con i suoi capelli brizzolati, che lo invecchiano molto. Per l'occasione, s'è vestito con giacca e cravatta, ma ha mani callose, quasi da operaio. Con calma, prendendosi il suo tempo, lui mi risponde che accetta e ha compreso tutto. Concordiamo di vederci una volta alla settimana, il sabato pomeriggio. Fissati gli appuntamenti in agenda e stabiliti i pagamenti, entro nel vivo dell'incontro. È già passato fin troppo tempo, bisogna approfondire i motivi per i quali Santoni è seduto lì, davanti a me, rigido come un pezzo di legno. «Quale motivo l'ha spinta a cercare aiuto, a venire da me?» L'uomo non mi risponde. Non è insolito. Proseguo con calma con un'altra domanda, meno diretta: «Mi dica, ha già avuto qualche esperienza, in passato, con uno psicologo?» È importante chiarire quali siano le sue aspettative, se ha già avuto esperienze precedenti con un terapeuta. L'uomo esita un istante, poi abbassa lo sguardo, spiegando: «No, è la prima volta. Ma non so da dove iniziare. Non sono mai stato bravo a parlare di me.» Annuisco, ribattendo tranquilla: «Capisco. Non c'è fretta. Inizi da quello che le viene più naturale raccontare.» Le domande generiche che faccio a tutti i miei nuovi pazienti mi danno modo di osservare le loro prime reazioni istintive. Non temo mai i lunghi silenzi, perché parlano più delle parole. Un respiro profondo. Un silenzio carico di pensieri. L'uomo sembra guardare dentro di sé, a capo chino. Poi, piano piano, le sue parole cominciarono a fluire. «Non sarà facile, ma ci proverò.» Ogni primo incontro è un inizio, un territorio inesplorato da percorrere insieme, passo dopo passo.
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